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    Alla vigilia del vertice di Bruxelles tra Vučić e Kurti, l’Ue condanna la “retorica incendiaria” tra Serbia e Kosovo

    Bruxelles – I presupposti vanno tutti nella direzione di un vertice tanto atteso quanto delicato e difficilmente risolutivo. A due giorni dal nuovo incontro tra il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, nel quadro del dialogo facilitato dall’Ue, il clima rimane teso e da Bruxelles arrivano richiami alla collaborazione e alla distensione dei rapporti, che hanno conosciuto nuove tensioni nelle ultime settimane.
    “A breve saranno pubblicati i dettagli sui temi da affrontare al vertice di alto livello di giovedì 18 agosto, ma saranno discusse tutte le questioni più importanti“, ha confermato la portavoce della Commissione Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali, nel corso del punto quotidiano con la stampa europea. “Non voglio speculare sui possibili risultati, per noi rimane importante che entrambe le parti mettano fine alle ostilità e alla retorica incendiaria e mostrino piena responsabilità” nell’affrontare il sesto vertice di alto livello, ha poi precisato la portavoce. Il riferimento è alle dichiarazioni degli scorsi giorni di entrambi i leader balcanici sulla situazione nel nord del Kosovo, dove da inizio mese è tornata di attualità la questione delle targhe automobilistiche al passaggio della frontiera. I disordini – mai fuori controllo, nonostante alcuni incidenti tra le forze dell’ordine di Pristina e i cittadini kosovari di etnia serba – sono stati definiti “a un passo dalla catastrofe” dal presidente serbo Vučić, mente il premier kosovaro Kurti ha utilizzato una serie di interviste (anche a Repubblica) per mettere in guardia da una potenziale guerra serba fomentata dalla Russia di Putin.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, al vertice di Bruxelles del 15 giugno 2021
    L’avvertimento di non seguire la strada della retorica “incendiaria” era già arrivato domenica (14 agosto) in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), preoccupato per le dichiarazioni sulla guerra e sul conflitto nei Balcani Occidentali: “I politici di alto livello delle due parti saranno ritenuti responsabili di qualsiasi escalation che porti a un aumento delle tensioni e, potenzialmente, della violenza nella regione”. Un richiamo esplicito al presidente della Serbia e al premier del Kosovo, richiamati alla “responsabilità” e al confronto costruttivo all’interno del dialogo facilitato dall’Ue: “Il raggiungimento di un accordo globale e giuridicamente vincolante sulla piena normalizzazione delle relazioni richiede un clima che contribuisca a ripristinare la fiducia, la riconciliazione e le buone relazioni”, è la posizione di Bruxelles, che continua a insistere sul rispetto e la “piena attuazione” degli accordi già raggiunti, come quello in ambito energetico del 21 giugno scorso e l’intesa del 2013 (che Pristina ancora si rifiuta di attuare sul punto dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo).
    Nel suo richiamo alle due parti l’Ue è forte anche dello “stretto coordinamento” con gli Stati Uniti e con la Nato, attraverso la collaborazione tra la missione civile Eulex e i 3.700 soldati della Kosovo Force (Kfor), la forza militare internazionale per l’ordine e la pace in Kosovo. È anche per questo motivo che, prima del vertice di giovedì presieduto da Josep Borrell, alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Vučić e Kurti incontreranno domani (mercoledì 17 agosto) il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg. Dopo le notizie delle barricate e dei disordini al confine tra Serbia e Kosovo dello scorso 31 luglio, proprio la missione Nato in Kosovo aveva rilasciato un comunicato in cui avvertiva di essere “pronta a intervenire se la stabilità viene messa a repentaglio” nella regione e a prendere tutte le misure necessarie per mantenere un ambiente sicuro e protetto in Kosovo in ogni momento, in linea con il suo mandato Onu”.

    Sul tavolo dell’incontro di alto livello con il presidente serbo e il premier kosovaro ci saranno “tutti i temi più importanti ancora aperti” tra Belgrado e Pristina. L’Ue si aspetta “piena responsabilità e la fine alle ostilità da entrambe le parti”, in particolare sulla questione delle targhe

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    Da Belgrado un altro schiaffo a Bruxelles e alle sanzioni Ue. Dopo Sputnik, anche Russia Today aprirà una sede in Serbia

    Bruxelles – Se l’Unione Europea ancora continua ad appellarsi alla Serbia di Aleksandar Vučić per un allineamento alle sanzioni internazionali contro la Russia, la realtà dei fatti rimane ben distante. Non solo da un punto di vista di politica estera ed energetica, ma anche di informazione e disinformazione. L’ultima dimostrazione di questa assenza di volontà da parte di Belgrado nel chiudere la porta a Mosca per stringere i legami con Bruxelles è la notizia che “sono in corso i preparativi” per l’apertura in Serbia di una sede di Russia Today, organo di propaganda del Cremlino entrato nella lista delle sanzioni dell’UE a pochi giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.
    La caporedattrice di Sputnik Serbia, Ljubinka Milinčić
    A confermarlo in un’intervista per la rete televisiva serba Nova.rs è Ljubinka Milinčić, caporedattrice di Sputnik Serbia, l’altro media statale russo la cui distribuzione sul territorio comunitario è stata sospesa a inizio marzo per arginare la diffusione della disinformazione di Mosca sulla guerra in corso in Ucraina (dal 3 giugno sono state aggiunte altre tre grandi emittenti del Cremlino, Rossiya RTR/RTR Planeta, Rossiya 24/Russia 24 e TV Centre International). Ad assumere la guida di Russia Today in Serbia potrebbe essere la figlia della stessa caporedattrice di Sputnik Serbia, anche se Milinčić non ha voluto commentare l’indiscrezione di Nova.rs.
    Questa decisione allontana ancora di più le speranze di Bruxelles di una – ormai quasi irrealizzabile – adozione da parte di Belgrado delle sanzioni internazionali contro la Russia, considerato il fatto che la Serbia è un Paese candidato all’adesione Ue e che tra i capitoli negoziali compare anche l’allineamento alla politica estera dell’Unione. Sul piano della disinformazione, per Bruxelles Russia Today e Sputnik sono considerati “essenziali e strumentali” nel sostenere l’aggressione della Russia contro l’Ucraina, specifica una nota del Consiglio sulla sospensione della distribuzione via cavo, satellite, Iptv (sistema di trasmissione di segnali televisivi su reti informatiche), piattaforme, siti web e app. Come documentato dalla task force East StratCom del Servizio europeo di azione esterna (Seae) contro la disinformazione, i due media statali russi rappresentano una minaccia “significativa e diretta” per la sicurezza dell’Unione Europea e per i partner già stretti – tra cui sarebbe inclusa anche la Serbia – dal momento in cui “fanno parte di uno sforzo coordinato di manipolazione delle informazioni”.
    La questione del non-allineamento della Serbia alle sanzioni UE non riguarda solo l’ambito della disinformazione, ma anche – e soprattutto – quello energetico. A fine maggio il presidente Vučić ha stretto un accordo con Vladimir Putin per la fornitura di 2,2 miliardi di metri cubi di gas (il 73 per cento del fabbisogno annuale nazionale) a condizioni economiche particolarmente favorevoli, proprio mentre i Paesi membri dell’Ue si stanno vedendo tagliare le forniture di gas dal colosso energetico russo Gazprom e Bruxelles sta cercando di spingere l’indipendenza energetica dalle fonti fossili di Mosca entro il prossimo autunno. A inizio giugno il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, si sarebbe dovuto recare in visita a Belgrado per definire i dettagli dell’accordo informale sull’energia tra i due Paesi. Ma sono state proprio le sanzioni Ue in vigore in Bulgaria (uno dei Ventisette), in Macedonia del Nord e in Montenegro (partner balcanici dell’Unione) a impedire il viaggio di Lavrov in Serbia con la chiusura dei rispettivi spazi aerei, come previsto dalle misure restrittive che includono il divieto di ingresso e transito sul territorio dei Paesi membri e dei partner allineati per gli individui sanzionati.

    La caporedattrice di Sputnik Serbia, Ljubinka Milinčić, ha confermato che anche l’altro organo di propaganda del Cremlino aprirà un ufficio di rappresentanza nella capitale. La distribuzione dei due media statali russi è stata sospesa sul territorio Ue dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina

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    Serbia e Kosovo hanno raggiunto a Bruxelles un’intesa per l’attuazione degli accordi in ambito energetico

    Bruxelles – Piccoli passi di disgelo sulla strada del dialogo Pristina-Belgrado facilitato dall’UE. I negoziati a livello tecnico condotti oggi (martedì 21 giugno) a Bruxelles tra i capi-negoziatori di Kosovo, Besnik Bislimi, e Serbia, Petar Petković, hanno prodotto un’intesa per una tabella di marcia che fissa obiettivi specifici per l’attuazione degli Accordi sull’energia del 2013 e del 2015, finora attuati solo parzialmente.
    Come rilevato dal Servizio per l’azione esterna dell’UE (SEAE), l’importanza di questa intesa sulla roadmap per l’energia riguarda il fatto che i due accordi siglati da Serbia e Kosovo presentavano “elementi rilevanti ancora in sospeso”. Dopo mesi di tensione tra Pristina e Belgrado, questo primo – parziale – gesto di riavvicinamento è considerato da Bruxelles “un passo avanti nella normalizzazione delle relazioni, a beneficio di tutti i cittadini“, che dovrebbe dare la spinta per “compiere progressi in tutte le altre attività di attuazione ancora in sospeso”. Tra queste c’è anche quella relativa alla creazione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, vale a dire una comunità di municipalità kosovare a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia, e che al momento Pristina non vuole riconoscere (non rispettando così l’accordo del 2013).

    Good news from the #Brussels-led 🇽🇰 – 🇷🇸 #Dialogue.
    After the year of tensions, we’ve a concrete Action Plan on the implementation of 2013 Energy provisions that will facilitate the energy situation in North of Kosovo. Full trust in @MiroslavLajcak to keep up with the progress. https://t.co/WBV0vPVRFr
    — Viola von Cramon (@ViolavonCramon) June 21, 2022

    L’ottimismo di Bruxelles non è ingiustificato, dal momento in cui l’intesa sull’energia siglata tra Serbia e Kosovo riguarda proprio uno dei punti più controversi del rapporto tra i due Paesi balcanici: la fornitura di elettricità alle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. L’accordo garantisce a Elektrosever (società di proprietà serba stabilita in Kosovo e soggetta alla legge kosovara) di operare nelle quattro municipalità settentrionali, “aprendo la strada verso la fine dell’attuale pratica non trasparente e non regolamentata“. Il segretariato della Comunità dell’Energia sarà incaricato di monitorare l’attuazione tecnica dell’accordo commerciale tra Elektrosever e KEDS, la società kosovara di distribuzione dell’energia. Dal 2008 – dopo la dichiarazione d’indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia – queste quattro municipalità hanno goduto di un regime non legale di gratuità dalle bollette dell’energia elettrica, il cui deficit è stato coperto fino al 2017 dai contribuenti del resto del Paese e che ha aperto la strada fino all’inizio di quest’anno a un’intensa attività di estrazione di criptovalute.
    Particolare soddisfazione per l’accordo tra Serbia e Kosovo sulla tabella di marcia per l’energia è stata espressa dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, al termine di una conversazione telefonica con il premier kosovaro, Albin Kurti, e con il presidente serbo, Aleksandar Vučić: “Si tratta di un grande e importante passo in avanti nel dialogo facilitato dall’UE e porterà a risultati concreti per tutti i cittadini”, ha ribadito Borrell, dicendosi “fiducioso” di continuare a lavorare sui prossimi obiettivi dell’intesa tra i due Paesi.

    Spoke to @avucic and @albinkurti to congratulate them on reaching an agreement on the energy roadmap today.
    This is a big & important step forward in the EU-facilitated Dialogue and will deliver concrete results for all citizens. We look forward to continue working on next steps https://t.co/5r2jS0SX8n
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) June 21, 2022

    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    All’interno del dialogo facilitato dall’Unione Europea, i capi-negoziatori di Pristina e Belgrado hanno concordato la tabella di marcia che specifica anche obblighi e diritti per la fornitura di elettricità alle quattro municipalità settentrionali del Kosovo a maggioranza serba

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    La sanzioni UE hanno costretto il ministro russo Sergei Lavrov ad annullare la visita in Serbia

    Bruxelles – Se fosse stato necessario un episodio simbolico per confermare l’efficacia delle sanzioni UE contro la Russia, oggi è arrivato. Il viaggio in Serbia del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, è stato annullato a causa della decisione di Bulgaria, Macedonia del Nord e Montenegro di applicare le misure restrittive volute dai Ventisette e condivise da tutti i partner balcanici (fatta eccezione per Serbia e Bosnia ed Erzegovina), chiudendo i rispettivi spazi aerei al velivolo che lo avrebbe dovuto portare a Belgrado.
    È dal 25 febbraio (il giorno successivo all’inizio dell’invasione in Ucraina) che il presidente russo, Vladimir Putin, e il suo braccio destro Lavrov sono stati inseriti nella lista delle sanzioni dell’UE. Nei confronti dei soggetti colpiti dalle misure restrittive – dopo sei pacchetti di sanzioni, 1158 individui e 98 entità – è previsto il congelamento dei beni e il divieto di mettere fondi a loro disposizione, ma anche il divieto di viaggio che impedisce l’ingresso o il transito attraverso il territorio dei Paesi membri e dei partner allineati. È su questa base che nella giornata di ieri (domenica 5 giugno) i governi bulgaro (uno dei Ventisette), macedone e montenegrino hanno preso la decisione di applicare la misura nel caso la rotta del velivolo su cui avrebbe dovuto viaggiare Lavrov fosse passata per il proprio spazio aereo tra oggi e domani.

    La visita programmata in Serbia avrebbe dovuto portare Lavrov a colloquio con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e in un secondo momento con il ministro degli Interni, Aleksandar Vulin. Al centro delle discussioni ci sarebbe dovuta essere l’intesa per il rinnovo di altri tre anni del contratto sulla fornitura di gas naturale russo verso il Paese balcanico a condizioni favorevoli, con la definizione dei dettagli dell’accordo informale preso telefonicamente tra i due presidenti la settimana scorsa. Il viaggio di Lavrov era programmato da giorni e, se si fosse concretizzato, sarebbe stato il primo in un Paese europeo dall’inizio della guerra in Ucraina. A questo punto è probabile che sarà il ministro degli Esteri serbo, Nikola Selaković, a volare prossimamente a Mosca, considerato il fatto che la compagnia di bandiera Air Serbia è l’unico vettore che ancora opera da e verso la Russia.
    Da sinistra: il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e l’omologo russo, Vladimir Putin
    “Sono profondamente dispiaciuto per l’ostruzione alla visita di un grande e comprovato amico della Serbia“, ha commentato il ministro Vulin in un comunicato: “Chi ha impedito l’arrivo di Lavrov non vuole la pace, sogna di sconfiggere la Russia, e la Serbia è orgogliosa di non far parte dell’isteria anti-russa“. Una nuova porta chiusa in faccia a Bruxelles sulla necessità di allinearsi alle sanzioni internazionali contro Mosca, per riflettere anche nella pratica la condanna dell’aggressione militare ai danni dell’Ucraina e per abbandonare la presunta politica di neutralità. Da parte del presidente serbo è stata invece espressa “insoddisfazione” per gli impedimenti alla visita di Lavrov ed è stata ribadita la volontà di mantenere “l’indipendenza e l’autonomia nel processo decisionale politico”, anche al netto del percorso di avvicinamento all’UE. Lo si legge in un comunicato pubblicato solo in lingua serba (come quello del ministro Vulin, non tradotto nella sezione del sito in inglese), al termine dell’incontro con l’ambasciatore russo in Serbia, Alexander Bocan Kharchenko. Durante l’incontro si è parlato anche di un possibile incontro tra i ministri degli Esteri dei due Paesi.
    Intanto però la questione sta creando tensione nella regione balcanica, in particolare con la Croazia, Paese membro UE. “Non siamo in tempi in cui si può stare seduti su due sedie”, ha commentato nel corso di una conferenza stampa il premier croato, Andrej Plenković, a proposito del viaggio annullato da Lavrov. “La Serbia deve decidere da che parte stare, se ha veramente l’ambizione di continuare sulla strada dell’integrazione nell’Unione Europea“, ha incalzato il leader dell’esecutivo di Zagabria. Immediata e rabbiosa la reazione di Belgrado, per voce del ministro Vulin: “Plenković non capisce che la Serbia è seduta su un unica sedia, quella serba, e che non è un territorio, ma uno Stato [un riferimento tra le righe al contrasto con il Kosovo sulla questione dell’autoproclamata indipendenza, ndr] e sono gli Stati a decidere chi sono i loro amici”. Con un riferimento che porta indietro le lancette della storia di 30 anni, ai tempi delle guerre nell’ex-Jugoslavia: “Se c’è un popolo che ha inequivocabilmente scelto la parte sbagliata della storia, è quello croato, e se c’è un popolo che ha portato i croati dalla parte giusta della storia, è quello serbo”, è stato l’accusa sibillina del ministro degli Interni di Belgrado.

    Bulgaria, Macedonia del Nord e Montenegro hanno chiuso il proprio spazio aereo al volo del braccio destro di Vladimir Putin, applicando le misure restrittive condivise tra i partner internazionali. Il viaggio era previsto per definire i dettagli dell’accordo sul gas Mosca-Belrado

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    Le richieste di Bruxelles non scalfiscono Belgrado. La Serbia riceverà per altri tre anni il gas russo a condizioni favorevoli

    Bruxelles – L’UE incalza, la Serbia non cede. Nonostante le incessanti richieste di allineamento alle sanzioni internazionali contro la Russia che arrivano dai Ventisette, e che Belgrado sta rispedendo al mittente, la Serbia sta anche dimostrando di non voler fare nulla per allentare il forte legame con Mosca. Il presidente Aleksandar Vučić ha trovato un’intesa strategica con il collega russo Vladimir Putin, per il rinnovo di altri tre anni del contratto sulla fornitura di gas naturale russo verso il Paese balcanico – in scadenza il 31 maggio – “a condizioni estremamente favorevoli”.
    Come riportano i media statali serbi, l’intesa tra i due leader è stata trovata ieri (domenica 29 maggio) nel corso di una telefonata e la firma potrebbe concretizzarsi nei primissimi giorni di giugno nel corso di una visita a Belgrado da parte del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov (sarebbe la prima in un Paese europeo dall’inizio della guerra in Ucraina). A quanto si apprende, Vučić e Putin hanno anche confermato la propria disponibilità a continuare la partnership rafforzata tra i due Paesi e hanno discusso della guerra in Ucraina e della questione del Kosovo. Per quanto riguarda la fornitura del gas dalla Russia alla Serbia, i dettagli saranno formalizzati all’inizio di questa settimana, ma alcune anticipazioni sono arrivate nel corso di una conferenza stampa del presidente Vučić al termine della telefonata con Putin: “La Serbia ha bisogno di grandi quantità di gas, ma avremo un inverno sicuro, mentre il costo dipenderà da ulteriori colloqui”.
    Da sinistra: il presidente della Serbia, Aleksander Vučić, e della Russia, Vladimir Putin
    Secondo quanto riferito dallo stesso Vučić, la Serbia importa dalla Russia l’81 per cento del suo fabbisogno totale di gas, che si attesta attorno ai tre miliardi di metri cubi all’anno: la metà è destinata alle centrali termiche ed elettriche, mentre il 26 per cento è consumato dall’industria. Attualmente il gas naturale fornito da Gazprom costa alla Serbia 270 dollari per mille metri cubi e, stando alle parole del presidente serbo, durante l’inverno 2022 il prezzo potrebbe scendere a un decimo di quello pagato a Mosca dal resto del continente europeo (tra 310 e 410 dollari per mille metri cubi). L’intesa di massima si dovrebbe applicare per la fornitura di 2,2 miliardi di metri cubi di gas (il 73 per centro del fabbisogno annuale totale), mentre i restanti 800 milioni dovranno essere concordati successivamente.
    Ci sono diversi elementi che mantengono stretto il rapporto energetico tra Mosca e Belgrado. Prima di tutto, sarà necessario attendere la versione definitiva dell’accordo triennale siglata da entrambe le parti, senza dimenticare che nei prossimi mesi potrebbero essere trovate intese minori per integrare le necessità di gas del Paese balcanico. La russa Gazprom è poi proprietaria di maggioranza di Naftna Industrija Srbije (l’industria petrolifera serba), direttamente o attraverso società controllate: è anche l’unico fornitore di gas naturale in Serbia e il proprietario di maggioranza di entrambi i gasdotti che lo trasportano.
    Ciò che preoccupa Bruxelles è anche l’opportunismo del presidente Vučić, che da una parte cerca l’adesione del Paese nell’Unione Europea e dall’altra non appare intenzionato ad allentare l’alleanza storica con Putin. Se è vero che l’accordo per il gas al 2025 non influisce direttamente su nessun pacchetto di sanzioni UE contro la Russia, va sottolineato l’atteggiamento accusatorio del neo-rieletto presidente della Serbia nel presentarlo: “È molto favorevole per noi, anche se non è facile resistere perseguendo una politica indipendente e sovrana. Ma ci siamo riusciti dall’inizio della guerra in Ucraina ed è importante continuare a farlo”. Il riferimento è alle pressioni dei Ventisette per adottare le sanzioni economiche contro Mosca (la Serbia è l’unico Paese europeo a essersi opposta, insieme a Bosnia ed Erzegovina e Bielorussia) e abbandonare la presunta politica di neutralità e di condannare anche nei fatti l’aggressione militare russa.
    A questo si aggiunge un altro fattore sul medio-lungo periodo. Rispondendo alle domande dei giornalisti, Vučić ha ventilato l’ipotesi della costruzione di un nuovo impatto di stoccaggio di gas in Serbia gestito da Gazprom, tema di discussione durante la conversazione telefonica con il leader della Russia. Tutto questo si verificherebbe mentre Polonia e Bulgaria prima e Finlandia poi si sono viste tagliare le forniture di gas da Mosca e soprattutto mentre i 27 Paesi membri dell’UE dovranno cercare una via di uscita dalla dipendenza dalle fonti fossili russe, aumentando i partenariati internazionali e le vie di approvvigionamento (aperte anche alla Serbia). C’è un’ultima questione che, per quanto remota, non può far stare tranquillo il presidente Vučić. Se l’Unione Europea dovesse decidere di interrompere le forniture di gas da Mosca, la Serbia si troverebbe completamente tagliata fuori: il gasdotto BalkanStream (prolungamento del TurkStream che connette Russia e Turchia) passa dalla Bulgaria, mentre il gasdotto serbo-ungherese può essere chiuso da Budapest.

    Il presidente serbo, Aleksandar Vučić, non cede alle pressioni dei Ventisette sull’allineamento alle sanzioni contro Mosca e trova un accordo con Vladimir Putin per la fornitura di 2,2 miliardi di metri cubi di gas a prezzo agevolato rispetto al resto d’Europa

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    L’UE in pressing sulla Serbia: “Si allinei alle sanzioni contro la Russia e si impegni sul rispetto dello Stato di diritto”

    Bruxelles – Si riparte, ancora, da Aleksandar Vučić e dal suo rapporto ambiguo con Vladimir Putin. Dopo il trionfo alle elezioni di domenica (3 aprile) da parte del suo Partito Progressista Serbo, Bruxelles torna a pressare Belgrado per un maggiore allineamento della Serbia a livello di politica estera con l’Unione – in quanto Paese candidato all’adesione – e soprattutto perché cambi la sua posizione sulle sanzioni contro la Russia. La volontà del presidente Vučić di rimanere “neutrale” rispetto al campo occidentale, nel quale comunque sta cercando di entrare, e al Cremlino, tradizionale alleato politico e partner commerciale, nasconde tutta l’ambiguità di una scelta che sta creando non pochi problemi all’UE per il possibile aggiramento delle misure restrittive.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić
    Proprio in virtù dell’aggressione militare russa “non provocata e ingiustificata” contro la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, “ci aspettiamo che la Serbia, come Paese che sta negoziando la sua adesione all’UE, si allinei progressivamente alle nostre posizioni, comprese le dichiarazioni e le misure restrittive, in linea con il quadro negoziale”, hanno dichiarato in una nota l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. I Ventisette sono “il principale partner politico e, di gran lunga, economico della Serbia” ed è per questo che la condivisione dei pacchetti di sanzioni contro la Russia dovrebbe essere la naturale conseguenza dell’impegno dell’Unione nel Paese: “Continuiamo a sostenere la ripresa economica, l’energia, la sicurezza alimentare”, anche attraverso il Piano economico e di investimento per i Balcani occidentali.
    Oltre all’allineamento sulle sanzioni, c’è bisogno anche di un maggiore impegno della Serbia sul rispetto dello Stato di diritto, a partire dal risultato delle elezioni di domenica. “Il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche è un pilastro centrale del processo di adesione all’UE”, hanno ricordato Borrell e Várhelyi, puntualizzando che “una serie di carenze hanno portato a una competizione ineguale” alla vigilia del voto, come fatto notare dagli eurodeputati dopo la missione di osservazione elettorale in Serbia. “Incoraggiamo il nuovo Parlamento e la leadership politica a continuare a lavorare per un dialogo autentico e costruttivo in tutto lo spettro politico”, con l’obiettivo di arrivare a “un ampio consenso interpartitico sulle riforme“, necessario per il cammino verso l’UE: indipendenza del sistema giudiziario, lotta alla corruzione e al crimine organizzato, libertà di stampa e condanna senza eccezione dei crimini di guerra. Un riferimento particolare anche alla normalizzazione delle relazioni con il Kosovo attraverso il dialogo mediato dall’UE, “che determina il ritmo generale” dei negoziati di adesione all’UE di entrambe le parti.
    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e l’autocrate russo, Vladimir Putin
    Ma nello stesso momento in cui Bruxelles chiede alla Serbia di allinearsi alle sanzioni contro la Russia, proprio da Mosca arrivano le congratulazioni di Putin a Vučić per la sua “convincente vittoria” alle elezioni presidenziali. Come riportato dall’agenzia di stampa russa Tass, in un telegramma l’autocrate russo ha invitato il presidente serbo a “rafforzare la partnership strategica” tra i due Paesi, dimostrando quanto la politica di Vučić sia più vicina al Cremlino di quanto le sue dichiarazioni di “neutralità” vogliano far sembrare.

    Dopo l’esito delle elezioni di domenica 3 aprile, che hanno sancito il triplice trionfo del partito al potere, la Commissione Europea ha chiesto a Belgrado di “avvicinarsi alle posizioni dell’Unione” e prendere le distanze da Putin (che si è congratulato per la vittoria del presidente Vučić)

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    Il vento nazionalista soffia ancora in Ungheria e Serbia: Orbán e Vučić stravincono le elezioni (tra le polemiche)

    Strasburgo, dall’inviato – Dentro e appena fuori i confini dell’UE, là dove l’Unione sta spingendo il processo di allargamento, non si è placato il vento dei populismi di destra, i più vicini alla Russia di Vladimir Putin. L’intensa domenica di elezioni (3 aprile) in Ungheria e Serbia ha sancito il trionfo rispettivamente del premier Viktor Orbán e del presidente Aleksandar Vučić, i due leader che stanno costruendo una forte alleanza nazionalista sull’asse Budapest-Belgrado, non completamente allineata alla politica di Bruxelles nei confronti della Russia. Due tornate elettorali particolarmente intense alla vigilia – per le aspettative di un cambiamento al vertice dei due Paesi – ma anche dopo la chiusura dei seggi, a causa delle grosse polemiche sul processo di voto e delle rivendicazioni di vittoria delle elezioni, sia in Ungheria sia in Serbia.
    Qui Budapest
    Niente da fare per l’opposizione unita guidata da Péter Márki-Zay. Nonostante il testa a testa previsto alla vigilia del voto, il partito Fidesz del premier Orbán ha conquistato il 53,13 per cento dei voti alle elezioni parlamentari, migliorando di quattro punti percentuali il risultato di quattro anni fa e assicurandosi nuovamente la maggioranza dei due terzi dell’Assemblea nazionale (135 seggi su 199). Con il 98,96 per cento delle schede scrutinate, la commissione elettorale ungherese ha confermato il nuovo trionfo dell’uomo forte di Budapest, che ora riceverà il quarto mandato consecutivo per formare l’esecutivo (al potere ininterrottamente dal 29 maggio 2010).
    Alta l’affluenza, al 69,54 per cento – in leggera flessione rispetto alle elezioni del 2018 (70,22) – che però non ha premiato l’opposizione formata dai sei partiti guidati dall’economista conservatore Márki-Zay (socialisti, verdi, liberali, progressisti e conservatori): nel sistema elettorale che assegna 106 seggi ai collegi uninominali, la coalizione ne ha conquistati 56, fermandosi al 35,04 per cento dei voti. A superare la soglia di sbarramento al 5 per cento anche i nazionalisti di estrema destra del Movimento Nostra Patria (6,17 punti percentuali, per 7 deputati), più il seggio garantito alla minoranza tedesca.

    Hungary, national parliament election:
    With 99% counted, the right-wing Fidesz/KDNP (NI|EPP) alliance of Prime Minister Viktor Orbán wins a 2/3-parliamentary majority for the 3rd time in a row.
    The right-wing extremist Mi Hazánk (~NI) enters parliament for the 1st time. #Ungarn pic.twitter.com/kRkvIvJWyz
    — Europe Elects (@EuropeElects) April 4, 2022

    “Abbiamo ottenuto una vittoria così grande che può essere vista anche dalla luna, e sicuramente da Bruxelles”, ha esultato il premier Orbán, polemizzando contro “la più grande forza che ha provato a schiacciarci” prima del voto: “Contro il globalismo, contro i burocrati di Bruxelles, contro Soros, contro i media mainstream europei e anche contro il presidente ucraino”, Volodymyr Zelensky, in riferimento ai rimproveri rivoltigli durante l’ultimo Consiglio Europeo. La prima dichiarazione populista del premier ungherese è servita e porta con sé una nota sinistra sui rapporti con Kiev e soprattutto con Putin, tradizionale alleato di Orbán. Dopo aver tenuto un profilo basso nell’ultimo mese di campagna elettorale, che è coinciso con l’inizio della campagna militare russa in Ucraina, ora da Budapest potrebbero arrivare picconate all’unanimità sempre raggiunta tra i leader UE sulle sanzioni e sulla lotta senza quartiere a Mosca. “Fidesz rappresenta una forza conservatrice patriottica e cristiana, è il futuro dell’Europa. Prima l’Ungheria!”, ha concluso il suo messaggio post-voto Orbán, facendo capire con quale spirito tornerà ad approcciarsi a Bruxelles.
    Il premier ungherese ha però taciuto la sconfitta personale arrivata dal referendum sulla legge anti-LGBT+, che si è tenuto sempre ieri contemporaneamente alle elezioni parlamentari. Solo il 44,46 per cento degli elettori ha espresso un voto valido, non raggiungendo il quorum richiesto per avallare la proposta legislativa del governo. Un’altra criticità ha riguardato lo svolgimento del processo elettorale, reso opaco dalle modifiche alla legge elettorale, dalle regole di registrazione degli indirizzi, dai problemi di trasparenza dei finanziamenti della campagna e dall’influenza del partito al potere sui media. Riconoscendo la sconfitta “in questo sistema”, il candidato premier dell’opposizione Márki-Zay ha ribadito che “è la propaganda ad aver vinto queste elezioni, non l’onestà, abbiamo fatto tutto quello che potevamo”.

    Hungary: national referendum today:
    “Do you support the teaching of sexual orientation to minors in public education institutions without parental consent?”
    Vote among all eligible voters
    No: 41%Yes: 3%
    Threshold to meet: 50%+ of eligible voters voting either ‘yes’ or ‘no’ pic.twitter.com/7P2F20ABIk
    — Europe Elects (@EuropeElects) April 4, 2022

    Qui Belgrado
    Contemporaneamente alle elezioni in Ungheria, anche per la Serbia il 3 aprile 2022 segna una data-chiave per la riaffermazione delle forze nazionaliste legate alla Russia di Putin. Con il 90 per cento delle schede scrutinate, il presidente Vučić è proiettato alla seconda vittoria consecutiva al primo turno delle presidenziali, con il 59,55 per cento dei voti, mentre il principale candidato dell’opposizione unita, Zdravko Ponoš, si ferma al 17. Per quanto riguarda le elezioni parlamentari, il Partito Progressista Serbo di Vučić si attesta al 43,45 per cento dei voti, assicurandosi 122 deputati sui 250 dell’Assemblea nazionale: lontano il cartello di opposizione Serbia Unita, con 13 punti percentuali e 36 seggi. Sembrano tramontare anche le possibilità per l’opposizione di strappare dalle mani dei nazionalisti la capitale Belgrado: il candidato dell’SNS, Aleksandar Šapić, si sta affermando con quasi il 40 per cento delle preferenze, mentre quelli dell’opposizione Serbia Unita, Vladeta Janković, e del movimento della sinistra ecologista Moramo, Dobrica Veselinović, rispettivamente al 20 e al 10 per cento.
    Nel mezzo di un processo elettorale su cui si attende il giudizio degli osservatori internazionali anche del Parlamento Europeo per le sospette irregolarità di voto e le violenze contro i candidati dell’opposizione al Partito Progressista Serbo fuori da alcuni seggi, l’UE guarda con preoccupazione alle dichiarazioni del presidente Vučić, che ieri sera si è attribuito la vittoria dalla sede dell’SNS. “Quello che è importante per europei, russi e americani è che proseguiremo nella nostra politica di neutralità“, ha affermato, confermando che Belgrado manterrà buoni rapporti con la Russia e, implicitamente, non aderirà alle sanzioni occidentali. “Dobbiamo vedere cosa fare sul petrolio e ci saranno colloqui sul gas” russo, ha aggiunto Vučić, ribadendo con forza che “questa crisi ha scosso economie molto più forti della nostra, ma noi siamo completamente stabili”.

    Serbia (Presidential Election), 88.7% parallel count:
    Vučić (SNS+-EPP): 59% (+4)Ponoš (US-S&D): 18% (+2)Jovanović (NADA-*): 6% (+1)…
    Source: CeSID / Ipsos
    +/- vs. 2017 election result
    ➤ https://t.co/eWnraQ39P8#Izbori2022 #Srbija #Serbia #SerbiaElections pic.twitter.com/IXba6uQHet
    — Europe Elects (@EuropeElects) April 3, 2022

    I due più stretti alleati di Putin in Europa, il premier ungherese e il presidente serbo, sono stati riconfermati con un’ampia maggioranza dai rispettivi elettorati. Contestazioni sul processo elettorale e sullo svolgimento del voto, oltre alle provocazioni rivolte all’UE

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    Una delegazione di eurodeputati parteciperà alla missione di osservazione elettorale in Serbia il 3 aprile

    Bruxelles – Sarà una super domenica di elezioni in Serbia e per questo appuntamento fondamentale per il Paese balcanico le istituzioni UE vogliono tenere sotto controllo lo svolgimento, l’affluenza e le modalità di voto. Con questo obiettivo inizia oggi (giovedì 31 marzo) fino a lunedì prossimo (4 aprile) la missione di osservazione elettorale da parte di una delegazione di sette eurodeputati, in occasione delle elezioni parlamentari (anticipate), presidenziali e amministrative in Serbia del 3 aprile.
    “Esamineremo tutti gli aspetti delle elezioni, compreso il quadro giuridico, l’amministrazione elettorale, i reclami e i ricorsi, l’ambiente politico e la campagna elettorale, la performance dei media, la situazione delle minoranze nazionali e la partecipazione delle donne”, ha commentato il capo della delegazione del Parlamento UE, l’eurodeputato olandese Thijs Reuten (S&D). I membri del Parlamento UE si uniranno alla missione internazionale di osservazione delle elezioni in Serbia organizzata dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), che incontrerà in questi giorni candidati, partiti, funzionari, amministratori e cittadini. Al termine della missione saranno presentate le conclusioni sul processo elettorale, in linea con quanto osservato sul territorio serbo.
    Il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić (Belgrado, 8 luglio 2021)
    Il triplice appuntamento elettorale si innesta sullo sfondo di una situazione politica particolarmente tesa nel Paese. Le elezioni parlamentari arrivano a due anni dal boicottaggio dei partiti di opposizione per le accuse al presidente Aleksandar Vučić di politiche illiberali nei confronti della società civile e della libertà di stampa: dal 2020 il suo Partito Progressista Serbo (SNS) governa con una maggioranza di 188 deputati su 250 e il voto anticipato è stato imposto dallo scetticismo dei partner internazionali sul livello di rispetto degli standard democratici del Paese. La convocazione degli elettori per il rinnovo dell’Assemblea nazionale lo stesso giorno dell’elezione del nuovo presidente della Serbia sa di pronunciamento sui cinque anni di presidenza Vučić, che cerca la riconferma per un secondo mandato.
    La campagna elettorale in Serbia, che è ruotata attorno a temi vecchi (adesione UE, Kosovo, NATO) e apparentemente nuovi (aggressione russa dell’Ucraina e rapporto tra Mosca e Belgrado), è stata travolta dalle polemiche sulla partecipazione di alcuni criminali di guerra alle elezioni parlamentari e amministrative. Come il politico ultra-nazionalista Vojislav Šešelj, leader del Partito radicale serbo, condannato a dieci anni di prigione dal Meccanismo per i tribunali penali internazionali dell’Aia nell’aprile 2018 per crimini di guerra contro l’etnia croata nel villaggio di Hrtkovci nel 1992. Secondo la legge serba, se un deputato riceve una pena detentiva superiore a sei mesi, il suo mandato cessa e non può essere rieletto: ma la misura non è mai stata applicata nel caso di Šešelj. “Non c’è spazio per il revisionismo, la glorificazione dei criminali di guerra e la negazione dei genocidi“, ha commentato nel corso del punto quotidiano con la stampa di Bruxelles la portavoce della Commissione Europea Ana Pisonero, anche se non ha risposto esplicitamente alla domanda su una presa di posizione dell’UE sullo scandalo della candidatura dei criminali di guerra.
    A livello internazionale ed europeo, l’esito delle elezioni in Serbia assume ancora più significato se si considera il contemporaneo appuntamento elettorale nella vicina Ungheria, Paese membro UE a cui Belgrado guarda come punto di riferimento nell’Unione e come alleato sull’asse sovranista/nazionalista. Come il presidente serbo Vučić, anche il premier ungherese, Viktor Orbán, punta alla rielezione (la terza consecutiva) in un clima di accuse da parte dell’opposizione e di Bruxelles di violazioni della libertà di stampa e dei diritti delle minorazione, anche considerata la consultazione sul referendum sui diritti LGBT+ che si terrà proprio domenica 3 aprile. Vučić e Orbán sono legati da stima reciproca e da un rapporto particolarmente stretto a livello politico: il presidente serbo ammira le modalità di governo dell’uomo forte di Budapest – “veterano della politica europea” – mentre il premier ungherese punta a stringere con Belgrado un’alleanza strategica nell’ottica del futuro ingresso del Paese balcanico nell’Unione. Ecco perché, con le elezioni in Serbia e in Ungheria di domenica, non sono in gioco solo le prospettive della politica interna dei due Paesi, ma anche l’indirizzo su cui procederà il processo di allargamento UE nella regione balcanica.

    Saranno valutati gli standard democratici delle elezioni presidenziali, parlamentari e amministrative nel Paese. L’appuntamento alle urne sullo sfondo delle polemiche sui criminali di guerra e del contemporaneo voto nell’Ungheria di Orbán, alleato del presidente serbo Vučić