More stories

  • in

    Il Parlamento UE non demorde sull’integrazione dei Balcani. Ma avverte Serbia e Bosnia di allinearsi alle sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – Nonostante le difficoltà, i ritardi e gli stalli, il Parlamento Europeo non si stanca di ribadire la necessità per tutta l’UE di accelerare il processo di adesione dei Balcani Occidentali. Lo confermano tutte le relazioni sullo stato di avanzamento dell’integrazione europea nei sei Paesi della regione ancora esclusi dall’Unione, comprese le ultime tre votate oggi (martedì 14 giugno) in commissione Affari esteri (AFET). Relazioni che partono dal Pacchetto Allargamento 2021 presentato dalla Commissione Europea nell’ottobre dello scorso anno, analizzando la situazione specifica sia sul piano della tendenza generale sia delle ultime novità politiche e sociali.
    In attesa del voto in sessione plenaria previsto per l’inizio di luglio, la commissione AFET ha completato il suo lavoro, dando il via libera alle relazioni su Bosnia ed Erzegovina, Kosovo e Serbia. Per quanto riguarda la situazione in Bosnia ed Erzegovina, è stata sottolineata la necessità di mettere fine allo stallo politico fatto di retorica d’odio e di ritiro dalle istituzioni statali da parte delle autorità della Republika Srpska. Così come è emerso domenica (12 giugno) dall’accordo di Bruxelles, è necessaria una svolta rispetto alla “mancanza di volontà politica nei negoziati sulle riforme costituzionali ed elettorali” prima delle elezioni generali del prossimo autunno, ha sottolineato il relatore Paulo Rangel (PPE). Ma per la tenuta democratica del Paese e per il percorso sulla strada dell’Unione è cruciale anche che Sarajevo “attui le sanzioni dell’UE contro la Russia a cui si è allineato”, considerato soprattutto il “continuo interesse” di Mosca nella destabilizzazione del più fragile tra tutti i Paesi dei Balcani Occidentali.
    E a proposito di sanzioni contro la Russia, è la Serbia a essere richiamata all’impegno di sposare la politica estera dell’Unione. Gli eurodeputati si sono detti “rammaricati” della resistenza di Belgrado ad allinearsi alle misure contro il Cremlino, in particolare il relatore Vladimír Bilčík (PPE): “Dopo le elezioni dell’aprile 2022 e la guerra di aggressione della Russia, è mio sincero desiderio che i nostri partner comprendano il senso di urgenza nell’andare avanti nel loro percorso europeo”. La relazione riconosce che per la Serbia l’adesione all’UE continua a essere l’obiettivo strategico, tuttavia non può essere nascosto il fatto che sia l’unico dei sei Paesi dei Balcani Occidentali ad aver fatto “passi indietro” sulle tappe fondamentali di avvicinamento all’Unione. Serve un cambio di passo nella lotta contro la disinformazione e la propaganda russa – agevolata da un rapporto particolarmente stretto tra Mosca e Belgrado – ma anche progressi in materia di Stato di diritto, diritti fondamentali, libertà di espressione, rafforzamento del pluralismo dei media e normalizzazione delle relazioni con il Kosovo.
    È quest’ultimo, da più di dieci anni, uno dei temi più urgenti di tutta la regione. La relazione a firma Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/ALE) riconferma il sostegno “inequivocabile” al dialogo Belgrado-Pristina facilitato dall’UE, ribadendo l’importanza di raggiungere un accordo di normalizzazione “completo e giuridicamente vincolante”, in cui comunque l’indipendenza di Pristina è considerata “irreversibile”. Gli eurodeputati mostrano particolare apprezzamento per la “maggiore stabilità politica” e il forte impegno del Kosovo per diventare “un partner molto affidabile, profondamente ancorato all’alleanza europea e transatlantica“, anche per l’allineamento sulle sanzioni contro la Russia e la solidarietà espressa nei confronti dell’Ucraina. Le critiche sono invece tutte per il Consiglio e per sette Paesi membri. Non solo i cinque che non ne riconoscono l’indipendenza (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) – che sono stati invitati a farlo “immediatamente” – ma anche Francia e Paesi Bassi, a cui la relatrice si è rivolta direttamente: “Spero davvero che questo sia l’ultimo rapporto che menziona il fallimento di non aver mantenuto la promessa di fornire ai cittadini del Kosovo l’esenzione dal visto, attesa da tempo”.
    Montenegro, Albania e Macedonia del Nord
    Oltre alle tre relazioni approvate oggi, la commissione AFET si è già espressa il mese scorso sullo stato di avanzamento del percorso verso l’UE degli altri tre Paesi dei Balcani Occidentali. La relazione sul Montenegro sarà votata alla mini-sessione plenaria del Parlamento Europeo della settimana prossima (22-23 giugno) e metterà l’accento sulla priorità per Podgorica di portare avanti le riforme elettorali e giudiziarie e la lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione. Se è vero che il Montenegro rimane impegnato verso l’integrazione europea, nessuno dei 33 capitoli negoziali è stato chiuso e questo rallenta il bilancio positivo del Paese balcanico allo stadio più avanzato nel processo di adesione all’UE. “Ci auguriamo che il nuovo governo non si trovi ad affrontare i problemi del precedente”, ha sottolineato il relatore Tonino Picula (S&D), facendo riferimento al “clima polarizzato” nella politica nazionale, che potrà essere affrontato dai partiti pro-europei che formano l’esecutivo di minoranza guidato da Dritan Abazović. Alla luce della “continua influenza dei partiti e delle narrative politiche filo-russe” e del crescente volume di campagne di disinformazione di Russia e Cina – “anche attraverso la strumentalizzazione degli istituti religiosi” – la relazione incoraggia la Commissione UE a valutare un’assistenza economica e finanziaria per i Paesi dei Balcani Occidentali che hanno aderito alle sanzioni dell’Unione, come ha fatto il Montenegro.
    Per quanto riguarda Albania e Macedonia del Nord, le relazioni del Parlamento UE sono già state votate alla mini-sessione plenaria del 18-19 maggio ed entrambe hanno posto l’accento sull’urgenza di avviare i negoziati di adesione all’UE in seno al Consiglio UE, sbloccando lo stallo del veto bulgaro. “Il mancato intervento potrebbe avere implicazioni di sicurezza storicamente importanti per la stabilità dell’Europa“, è l’allarme lanciato dagli eurodeputati. Entrambi i Paesi hanno soddisfatto tutte le condizioni richieste da Bruxelles, ma il temporeggiare dei Ventisette “ha minato l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti dell’Unione”. È per questo che Bulgaria e Macedonia del Nord devono risolvere “rapidamente” le questioni bilaterali in sospeso – o quantomeno affrontare la disputa storico-culturale “separatamente dal processo di adesione” – sfruttando il rinnovato impegno della Francia di Emmanuel Macron. Sbloccare i negoziati è un dovere dell’UE nei confronti della Macedonia del Nord, considerato il fatto che Skopje “detiene il miglior record di transizione democratica nella regione dei Balcani Occidentali”, sottolinea la relazione a firma del deputato bulgaro Ilhan Kyuchyuk (Renew Europe). Questo risultato è il frutto del lavoro sullo Stato di diritto, ma anche dell’allineamento alla politica estera di Bruxelles, come ha dimostrato la chiusura dello spazio aereo (con Montenegro e Bulgaria) al ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, una settimana fa. Tuttavia, esistono rischi di una “crescente dipendenza economica ed energetica dalla Russia e dalla Cina”, a partire dalla dipendenza dai prestiti di Pechino.
    Lo stallo sui negoziati di adesione sembra ancora più paradossale se si considera la situazione dell’Albania, vincolata dallo stesso pacchetto della Macedonia del Nord. Già tra il 2018 e il 2019 il dossier macedone-albanese si era bloccato in Consiglio per l’opposizione di Francia, Danimarca e Paesi Bassi – con la richiesta di implementare le riforme strutturali dei due Paesi – ma dopo il via libera della primavera del 2020 sembrava che tutto fosse pronto per il cammino di adesione di Tirana (e di Skopje) nell’Unione. Come sottolineato dalla relazione del Parlamento Europeo, l’Albania ha continuato a mostrare un “impegno incrollabile verso l’integrazione europea” e a intensificare gli sforzi su Stato di diritto, economia e democrazia, nonostante il veto del Consiglio non la riguardi direttamente. Il Paese “rimane un partner strategico pienamente affidabile e impegnato”, ha ribadito con forza la relatrice Isabel Santos (S&D), che ha esortato i Ventisette a compiere un passo che non hanno avuto il coraggio di fare per quattro anni. Nel frattempo il governo guidato da Edi Rama dovrà impegnarsi per “rafforzare la società civile, contrastare la corruzione e la criminalità organizzata”, ma anche “assicurare la libertà dei media e garantire la tutela dei diritti delle minoranze, compresa la comunità LGBTQ+”, è l’ultimo richiamo della relazione votata dagli eurodeputati.

    Adottate in commissione Affari esteri (AFET) le relazioni 2021 sullo stato di avanzamento dei 6 Paesi balcanici. Gli eurodeputati continuano a chiedere al Consiglio lo sblocco dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord e la liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo

  • in

    L’UE in pressing sulla Serbia: “Si allinei alle sanzioni contro la Russia e si impegni sul rispetto dello Stato di diritto”

    Bruxelles – Si riparte, ancora, da Aleksandar Vučić e dal suo rapporto ambiguo con Vladimir Putin. Dopo il trionfo alle elezioni di domenica (3 aprile) da parte del suo Partito Progressista Serbo, Bruxelles torna a pressare Belgrado per un maggiore allineamento della Serbia a livello di politica estera con l’Unione – in quanto Paese candidato all’adesione – e soprattutto perché cambi la sua posizione sulle sanzioni contro la Russia. La volontà del presidente Vučić di rimanere “neutrale” rispetto al campo occidentale, nel quale comunque sta cercando di entrare, e al Cremlino, tradizionale alleato politico e partner commerciale, nasconde tutta l’ambiguità di una scelta che sta creando non pochi problemi all’UE per il possibile aggiramento delle misure restrittive.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić
    Proprio in virtù dell’aggressione militare russa “non provocata e ingiustificata” contro la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, “ci aspettiamo che la Serbia, come Paese che sta negoziando la sua adesione all’UE, si allinei progressivamente alle nostre posizioni, comprese le dichiarazioni e le misure restrittive, in linea con il quadro negoziale”, hanno dichiarato in una nota l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. I Ventisette sono “il principale partner politico e, di gran lunga, economico della Serbia” ed è per questo che la condivisione dei pacchetti di sanzioni contro la Russia dovrebbe essere la naturale conseguenza dell’impegno dell’Unione nel Paese: “Continuiamo a sostenere la ripresa economica, l’energia, la sicurezza alimentare”, anche attraverso il Piano economico e di investimento per i Balcani occidentali.
    Oltre all’allineamento sulle sanzioni, c’è bisogno anche di un maggiore impegno della Serbia sul rispetto dello Stato di diritto, a partire dal risultato delle elezioni di domenica. “Il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche è un pilastro centrale del processo di adesione all’UE”, hanno ricordato Borrell e Várhelyi, puntualizzando che “una serie di carenze hanno portato a una competizione ineguale” alla vigilia del voto, come fatto notare dagli eurodeputati dopo la missione di osservazione elettorale in Serbia. “Incoraggiamo il nuovo Parlamento e la leadership politica a continuare a lavorare per un dialogo autentico e costruttivo in tutto lo spettro politico”, con l’obiettivo di arrivare a “un ampio consenso interpartitico sulle riforme“, necessario per il cammino verso l’UE: indipendenza del sistema giudiziario, lotta alla corruzione e al crimine organizzato, libertà di stampa e condanna senza eccezione dei crimini di guerra. Un riferimento particolare anche alla normalizzazione delle relazioni con il Kosovo attraverso il dialogo mediato dall’UE, “che determina il ritmo generale” dei negoziati di adesione all’UE di entrambe le parti.
    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e l’autocrate russo, Vladimir Putin
    Ma nello stesso momento in cui Bruxelles chiede alla Serbia di allinearsi alle sanzioni contro la Russia, proprio da Mosca arrivano le congratulazioni di Putin a Vučić per la sua “convincente vittoria” alle elezioni presidenziali. Come riportato dall’agenzia di stampa russa Tass, in un telegramma l’autocrate russo ha invitato il presidente serbo a “rafforzare la partnership strategica” tra i due Paesi, dimostrando quanto la politica di Vučić sia più vicina al Cremlino di quanto le sue dichiarazioni di “neutralità” vogliano far sembrare.

    Dopo l’esito delle elezioni di domenica 3 aprile, che hanno sancito il triplice trionfo del partito al potere, la Commissione Europea ha chiesto a Belgrado di “avvicinarsi alle posizioni dell’Unione” e prendere le distanze da Putin (che si è congratulato per la vittoria del presidente Vučić)

  • in

    In Kosovo l’UE sta finanziando il restauro della casa di un collaborazionista nazista (ma per restituirla alla comunità)

    Bruxelles – In Kosovo nemmeno le case hanno pace. L’ultima controversia tra Serbia e Kosovo riguarda la ristrutturazione della casa di Xhafer Ibrahim Deva, collaborazionista ai tempi dell’Albania occupata dal regime nazista, con l’utilizzo di fondi dell’Agenzia per lo sviluppo delle Nazioni Unite (UNPD) e della rappresentanza UE a Pristina.
    A sollevare il caso è stata la vicepremier e ministra per la Cultura e l’informazione della Serbia, Maja Gojković, che ha inviato una lettera alla commissaria UE per la Cultura, l’istruzione e la gioventù, Mariya Gabriel, e al direttore esecutivo dell’UNPD, Akim Steiner, per chiedere di non proseguire con il progetto di restauro nella città di Kosovska Mitrovica della casa del collaborazionista della Germania nazista, macchiatosi di pogrom e crimini contro ebrei e serbi in Kosovo durante la seconda guerra mondiale.
    Xhafer Ibrahim Deva (1904-1978)
    Deva (deceduto nel 1978 a San Francisco) dopo la caduta del Protettorato Italiano del Regno d’Albania nel 1943, divenne ministro degli Interni albanese e fu a capo dell’amministrazione locale di Mitrovica, collaborando con i nazisti per stabilire un governo albanese filo-tedesco in Kosovo. Sotto la sua amministrazione furono condotte operazioni anti-partigiane e anti-serbe e furono reclutati albanesi del Kosovo nella 21esima divisione Waffen-SS Skanderbeg. Nel 1944, appena prima della liberazione dell’Albania, Deva scappò in Croazia e in Austria e, alla fine della guerra, si trasferì prima a Damasco (Siria) e poi negli Stati Uniti, dove giocò un ruolo attivo nell’organizzazione della resistenza anticomunista (reclutato dalla Central Intelligence Agency, CIA).
    Nell’ottica della memoria dei crimini nazisti, sembra ingiustificabile il supporto dell’UE e dell’UNPD al restauro della casa di un collaborazionista in Kosovo. Ecco perché bisogna tenere presente le motivazioni presentate nella risposta congiunta rilasciata della rappresentanza UE a Pristina e dal ministero della Cultura, della Gioventù e dello Sport del Kosovo, per spiegare che è il valore architettonico dell’edificio e non chi l’ha occupato al centro del progetto del Centro culturale regionale: “La conservazione e la riabilitazione del patrimonio culturale e religioso è guidata dalla necessità di garantire la sua esistenza per i posteri, concentrandosi sui valori architettonici di tali siti”.
    L’edificio situato nel centro di Kosovska Mitrovica è stato costruito nel 1930 da architetti e operai austriaci e appartiene allo stile moderno occidentale-europeo, il primo nel suo genere nella città: grazie alle sue numerose decorazioni esterne, “la casa è nella lista temporanea dei siti del patrimonio culturale protetto in Kosovo“. Dal 1945 è di proprietà pubblica ed è stato utilizzato come centro di assistenza sanitaria, rifugio per famiglie senza tetto e orfanotrofio, ma è poi caduto in rovina. Ecco perché “il restauro previsto farà sì che i suoi valori architettonici vengano ripristinati e che la casa venga nuovamente recuperata per la comunità”, con il doppio scopo di “fornire uno spazio per eventi culturali e comunitari e ospitare il Centro Regionale per il Patrimonio Culturale”.
    È qui che si chiariscono tutti i dubbi: “La casa servirà come centro per le comunità locali per riunirsi, esplorare idee, promuovere l’interculturalità, la tolleranza e la connettività“, sempre in un’ottica di “tolleranza zero verso qualsiasi forma di razzismo, discriminazione, pregiudizio o appartenenza etnica che tenta di giustificare o promuovere l’odio razziale e la discriminazione”, si legge nella lettera. UE e UNPD si sono dette “preoccupate” rispetto alla controversia che lega il passato dell’edificio con le attuali tensioni sommerse tra Serbia e Kosovo e, sull’onda dello spirito che guida il dialogo tra Pristina e Belgrado mediato da Bruxelles, hanno richiamato l’attenzione sulla necessità di “lavorare per il futuro del dialogo intercomuniatrio”.

    La dimora di Xhafer Ibrahim Deva nella città di Kosovska Mitrovica è sottoposta a restauro in un programma guidato dall’ONU: “L’edificio appartiene allo stile moderno occidentale-europeo e compare nella lista temporanea dei siti del patrimonio culturale protetto”

  • in

    Dialogo Serbia-Kosovo: l’UE prende tempo, ma tra Vucic e Kurti è scontro aperto. Tutto rimandato al vertice di luglio

    Bruxelles – Non sono servite nemmeno sei ore per spegnere ogni entusiasmo europeo sul nuovo round di alto livello del dialogo tra Serbia e Kosovo mediato dall’UE, svoltosi questa mattina (martedì 15 giugno) a Bruxelles. Se erano grandi le speranze dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e del rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, sui risultati da “iniziare a produrre” nel corso del quarto confronto dal 12 luglio dello scorso anno, ci hanno pensato proprio i leader dei due Paesi balcanici a mettere tutto in soffitta. Se ne riparlerà “entro la fine di luglio, quando il processo proseguirà“, ha dichiarato Lajčák al termine dell’incontro.
    Il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák
    La Commissione Europea prende tempo: il rappresentante speciale UE parla di un “nuovo capitolo”, uno “scambio molto aperto e franco su ciò che ciascuno desidera” e che “entrambi i leader hanno confermato che non c’è altra via da seguire se non quella di normalizzare le relazioni tra Kosovo e Serbia”. Ma così non basta più, di sicuro non dopo la promessa di Borrell (che risale ormai al 12 ottobre 2020) che “l’accordo è una questione di mesi, non anni”.
    Anche perché tra le due parti – se già non correva buon sangue prima – ora è scontro aperto. Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, si è detto “deluso” dall’incontro con il premier kosovaro, Albin Kurti, e che “l’unica cosa positiva della riunione è stata l’intesa a proseguire i negoziati entro fine luglio”. Il leader serbo ha parlato di posizioni “irresponsabili e fuori dalla realtà” da parte di Kurti, dal momento in cui “si rifiuta di parlare della creazione della Comunità delle municipalità serbe in Kosovo”, ma allo stesso tempo “vuole sapere quando riconosceremo l’indipendenza di Pristina”. A questa “provocazione”, Vučić ha precisato ai giornalisti con una punta di orgoglio che non lo farà “mai”.
    Piovono critiche su Belgrado, invece, dal fronte kosovaro: “Da parte nostra l’incontro è stato costruttivo”, ha spiegato il premier Kurti alla stampa, ma “dall’altra parte si riproponevano vecchie idee”. Parlando dei quattro punti proposti durante l’incontro, Kurti ha accusato Vučić di averne respinti tre e di non aver dato “nemmeno una risposta sul quarto”, ovvero la revisione dell’Accordo centro-europeo di libero scambio (CEFTA). Stando a quanto riportato dal governo di Pristina, Belgrado ha rispedito al mittente i progetti di firma di un accordo di pace tra le due parti, di istituzione in Kosovo di un Consiglio nazionale per la minoranza serba (sul modello di quello già esistente in Serbia per le minoranze albanesi e bosniache) e la rimozione del capo della Commissione serba per le persone scomparse durante il conflitto, Veljko Odalović.
    Non proprio la descrizione di un incontro soddisfacente – o “non facile”, come lo ha definito Lajčák. Ma se c’è una sola cosa incoraggiante da portare a casa in vista del nuovo vertice a Bruxelles del prossimo luglio è che entrambi i leader sembrano ormai guardare alle istituzioni europee e statunitensi come un solo attore geopolitico, una duplice garanzia sul presente e sul futuro per la stabilizzazione della regione. Il presidente serbo ha confessato di essere “fiducioso” sul fatto che l’alto rappresentante UE Borrell riferirà “in modo preciso e minuzioso” l’esito dell’incontro di oggi al presidente USA, Joe Biden. Il premier kosovaro ha invece affermato che “l’accordo con Belgrado andrà raggiunto entro la fine dei mandati di Borrell e Biden“.
    Considerando la fine naturale dei rispettivi mandati, si parla della fine del 2024 (per l’alto rappresentante UE) e dell’inizio del 2025 (per il presidente statunitense). Per allora, la dichiarazione di indipendenza del Kosovo avrà compiuto quasi 17 anni e l’inizio del dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’UE quasi 14 anni. Ma intanto c’è da pensare al breve termine, al quinto vertice dalla ripresa del 12 luglio dello scorso anno (il confronto si era precedentemente fermato nel novembre 2018). Se arriverà davvero entro fine luglio, cadrà allo scadere del primo anniversario. E già si inizia a parlare di anni, non mesi.

    Tradisce le aspettative delle istituzioni europee il vertice a Bruxelles tra il presidente serbo Vucic e il premier kosovaro Kurti. Entrambi i leader guardano a UE e Stati Uniti come unico attore geopolitico nella regione

  • in

    Dialogo Serbia-Kosovo, dopo 9 mesi di stallo riprende a Bruxelles il confronto politico. Grandi speranze dall’UE

    Bruxelles – Si riparte, là da dove si era fermato tutto. A Bruxelles è ricominciato oggi (martedì 15 giugno) il dialogo tra Serbia e Kosovo mediato dall’Unione Europea, a nove mesi dall’ultimo confronto politico tra i rappresentanti di Belgrado e Pristina. Era il 7 settembre 2020: l’amministrazione statunitense di Donald Trump stava mettendo seriamente a rischio il processo decennale dell’UE, il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, aveva appena comunicato che avrebbe trasferito l’ambasciata in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme come segno di intesa con The Donald e l’ex-premier del Kosovo, Avdullah Hoti, ancora non era stato travolto dallo scandalo politico che ha fatto crollare il suo governo a gennaio 2021.
    Da sinistra, il premier del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante UE, Josep Borrell (15 giugno 2021)
    Un vero e proprio parto politico – sia per le tempistiche, sia per le complicazioni lungo il cammino – è quello che ha portato al quarto incontro dei leader dei due Paesi dei Balcani occidentali, dopo la ripresa del 12 luglio dello scorso anno (il confronto si era precedentemente fermato nel novembre 2018). Nel frattempo, se tutto sembra rimasto immutato in Serbia, il Kosovo ha vissuto uno dei periodi di più grande fermento sociale e istituzionale: il neo-premier, Albin Kurti, e la nuova presidente della Repubblica, Vjosa Osmani, hanno promesso una svolta radicale nel Paese, ma anche nelle relazioni con il vicino che non vuole riconoscere l’indipendenza di Pristina, dichiarata il 17 febbraio 2008.
    Con tutte queste premesse, l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina e le altre questioni regionali dei Balcani occidentali, Miroslav Lajčák, hanno dato questa mattina il benvenuto al presidente serbo Vučić e al premier kosovaro Kurti. In un’atmosfera che, per descriverla in modo incisivo, “non è facile“. Parola dell’alto rappresentante UE.
    Da sinistra, l’alto rappresentante UE, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (15 giugno 2021)
    “Questo processo e questo sincero impegno da entrambe le parti è necessario per il bene del popolo del Kosovo e della Serbia”, ha esortato Borrell prima dell’inizio del nuovo incontro con i due leader balcanici. Un invito che ricalca le parole utilizzate nel corso delle rispettive visite bilaterali del presidente serbo e del primo ministro kosovaro a Bruxelles alla fine di aprile: “Allora ho incoraggiato a proseguire senza indugio il dialogo, con l’obiettivo di produrre risultati, nonostante tutte le difficoltà esistenti”.
    Ma l’alto rappresentante Borrell ha voluto mettere in luce che “c’è un nuovo slancio e dobbiamo usarlo“. Prima di tutto il cambio di atteggiamento della nuova amministrazione statunitense di Joe Biden (non a caso Borrell ha sottolineato che l’appuntamento coincide con il vertice UE-Stati Uniti di oggi), che ha portato a un maggiore allineamento tra Bruxelles e Washington sulle modalità e le prospettive di stabilizzazione della penisola balcanica. Ma soprattutto per la nuova ondata di confronti dentro e fuori le istituzioni europee sul presente e il futuro dei Balcani occidentali nell’UE: “È un’importante opportunità per il progresso dell’intera regione“, ma “senza un accordo tra Kosovo e Serbia, sarà a rischio”, ha avvertito l’alto rappresentante.
    Ecco perché l’Unione Europea si aspetta un incontro “importante e proficuo”, che porti a “rapidi progressi per lasciarci finalmente alle spalle il passato” e “raggiungere un accordo completo e giuridicamente vincolante sulla normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia”. Sono molti oggi i fattori di novità rispetto a quel 7 settembre 2020: la speranza a Bruxelles è che nel frattempo non sia cambiato tutto, perché tutto rimanesse come prima.

    I am hosting a new meeting of the High Level Belgrade-Pristina Dialogue today with President @predsednikrs and Prime Minister @albinkurti.
    The Dialogue and its outcome is the path to the European future of both sides. Meanwhile, it brought important results for their citizens. pic.twitter.com/oZ3lOgxZTl
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) June 15, 2021

    Il presidente serbo, Aleksandar Vucic, e il premier kosovaro, Albin Kurti, accolti dall’alto rappresentante Borrell per la nuova sessione di colloqui ad alto livello: “Sarà difficile, ma dobbiamo iniziare a produrre risultati”