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    Si stringono i tempi per trovare l’intesa definitiva tra Serbia e Kosovo. A Bruxelles il nuovo incontro tra Vučić e Kurti

    Bruxelles – Proprio nel giorno del quindicesimo anniversario dalla proclamazione d’indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia. Se è un caso, è uno di quelli particolarmente curiosi, anche considerata l’urgenza della questione. Come rende noto il Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae), il prossimo 27 febbraio l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha convocato a Bruxelles una riunione di alto livello del dialogo Belgrado-Pristina.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    La nota del Seae precisa che alla riunione saranno presenti sia il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, sia il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, avendo entrambi “confermato la loro partecipazione”. L’appuntamento arriva a tre mesi dall’ultimo incontro fallimentare andato in scena proprio a Bruxelles il 21 novembre dello scorso anno, in cui non erano stati fatti passi in avanti sulla questione della re-immatricolazione delle auto con targhe kosovare su tutto il territorio amministrato da Pristina (risolta solo da un accordo in extremis raggiunto alla mezzanotte di due giorni più tardi).
    Gli ultimi eventi nel rapporto tra Serbia e Kosovo
    Da allora però molte cose sono cambiate, nonostante siano trascorsi solo tre mesi. Dopo le dure tensioni con Belgrado per la nomina del nuovo ministro kosonaro per le Comunità e il ritorno dei profughi, Pristina è ancora sotto pressione dei partner europei e statunitense per l’istituzione delle Associazione delle municipalità serbe in Kosovo. Ma nel corso del mese di dicembre sono andati in scena altri tre importanti eventi che hanno reso sempre più urgente la risoluzione di un dialogo mediato dall’Ue che sta per compiere 12 anni. Prima della richiesta ufficiale del Kosovo di aderire all’Unione Europa, al vertice Ue-Balcani Occidentali del 6 dicembre a Tirana è stata messa nero su bianco la necessità di compere “progressi concreti verso un accordo globale giuridicamente vincolante” sulla normalizzazione delle relazioni tra Pristina e Belgrado. Ma pochi giorni più tardi si sono riaccese le tensioni nel nord del Kosovo (risolte grazie alla diplomazia internazionale), con blocchi stradali e barricate messi in atto dalle frange più estremiste della minoranza serba.
    Da sinistra: il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Una serie di eventi e di posizioni sempre più radicalizzate e in un certo senso più ravvicinate temporalmente rispetto al passato. Il che da una parte ha reso evidente che solo una soluzione definitiva tra i due Paesi può mettere fine a rischi di un’esacerbazione delle violenze, e dall’altra sembra suggerire che davvero questo accordo potrebbe essere più vicino, con entrambi gli attori politici (caratterizzati da marcati tratti nazionalisti) che esasperano la propria retorica per uscire dai negoziati con un compromesso più favorevole. Ecco perché sarà decisivo quantomeno cercare – ma poi tutto si gioca sul trovarlo – uno sbocco politico alla “proposta dell’Ue sulla normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia”, su cui sarà incentrata la riunione di alto livello del 27 febbraio. Prima della sessione congiunta, l’alto rappresentante Borrell e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, terranno “incontri separati” sia con Vučić sia con Kurti: sul tavolo dei lavori ci sarà la nuova versione della proposta di mediazione franco-tedesca che dovrebbe portare a un’intesa entro la fine dell’anno.

    L’alto rappresentante Josep Borrell e il rappresentante speciale per il dialogo Pristina-Belgrado, Miroslav Lajčák, presiederanno la riunione di alto livello per cercare uno sbocco politico alla proposta dell’Unione Europea sulla normalizzazione delle relazioni Pristina-Belgrado

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    Cos’è l’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo al centro dell’anno cruciale per il dialogo Pristina-Belgrado

    Bruxelles – Non c’è speranza di chiudere nel 2023 un accordo definitivo per la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, se non si raggiunge un’intesa vincolante per l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, come previsto dall’accordo di Bruxelles siglato esattamente 10 anni fa. Passano da qui gli sforzi diplomatici di Unione Europea e Stati Uniti per quanto riguarda il dialogo Pristina-Belgrado, entrato nel suo tredicesimo anno di vita e diventato ormai l’unica soluzione per chiudere contese e tensioni tra i due vicini balcanici.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (13 novembre 2022)
    Mentre le pressioni della diplomazia europea e statunitense rimangono particolarmente forti su Belgrado – per l’adozione delle sanzioni internazionali contro la Russia e l’allineamento alla politica estera dell’Ue – non sono da meno quelle nei confronti di Pristina, proprio sulla questione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo. Già nel dicembre del 2021 l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, aveva avvertito il primo ministro kosovaro, Albin Kurti, che è imperativo il rispetto di tutti gli accordi sottoscritti con Belgrado, ma nel corso delle ultime settimane le missioni diplomatiche di Bruxelles e Washington – spinte anche dal tridente Francia-Germania-Italia – hanno puntato con forza su questo punto, per sgombrare il campo da ripensamenti o passi indietro rispetto agli impegni presi nel contesto del dialogo mediato dall’Ue.
    Lo dimostra in tutta la sua evidenza la nota del consigliere del Dipartimento di Stato americano, Derek Chollet, e dell’inviato speciale degli Stati Uniti per i Balcani Occidentali, Gabriel Escobar, pubblicata oggi (30 gennaio) a proposito delle “condizioni per una relazione sana, pacifica e sostenibile tra Serbia e Kosovo”. La proposta di mediazione franco-tedesca – ormai divenuta a tutti gli effetti la proposta di mediazione europea – è studiata per “interrompere la spirale di crisi e scontri e far progredire con decisione l’integrazione” dei due Paesi nell’Unione, ma per l’amministrazione Biden “uno dei compiti più critici” è sempre quello che riguarda l’attuazione dell’accordo sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. Un “obbligo internazionale, giuridicamente vincolante, che richiede un’azione da parte del Kosovo, della Serbia e dell’Unione Europea”, ma che allo stesso tempo “non mina la Costituzione né minaccia la sovranità, l’indipendenza o le istituzioni democratiche” del Kosovo.

    As Kosovo’s closest friend & ally, we believe that by working to establish the ASM, Kosovo will realize a critical element needed to build its rightful future as a sovereign, multiethnic, and independent country, integrated into Euro-Atlantic structures. https://t.co/iFfSYo2Qao pic.twitter.com/c8yGJYVeHl
    — U.S. Embassy Pristina (@USEmbPristina) January 30, 2023

    Il nodo tra Serbia e Kosovo
    Secondo quanto sottoscritto dalle due parti nell’accordo di Bruxelles del 2013, per la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi balcanici dopo la dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia il 17 febbraio 2008 è prevista l’istituzione di “un’associazione/comunità di comuni a maggioranza serba in Kosovo”, aperta a “qualsiasi altro comune, purché i membri siano d’accordo”. Un’Associazione creata “da uno statuto”, con un suo presidente, vicepresidente, Assemblea e Consiglio e la possibilità di “cooperare nell’esercizio dei loro poteri in modo collettivo” nei settori dello “sviluppo economico, istruzione, sanità, pianificazione urbana e rurale“. Forze di polizia e autorità giudiziarie saranno uniche per tutto il Kosovo, ma con l’autorizzazione alla formazione di un comando regionale di polizia per le quattro municipalità settentrionali a maggioranza serba (Mitrovica settentrionale, Zvecan, Zubin Potok e Leposavic) e un collegio di giudici istituito dalla Corte d’Appello di Pristina per occuparsi di tutte le municipalità a maggioranza serba del Kosovo.
    A 10 anni dall’accordo di Bruxelles non sono stati compiuti progressi sostanziali per l’implementazione sul campo dei 15 punti, mentre si sono acuite nell’ultimo anno le tensioni nel nord del Kosovo sia sulla questione delle targhe per i veicoli sia per le conseguenze delle dimissioni di massa di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia serbo-kosovari dalle rispettive istituzioni nazionali. L’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo è considerata da Belgrado un’entità di governo che deve essere istituita proprio a partire dall’intesa giuridicamente vincolante di Bruxelles, ma è anche una potenziale leva politica in mano del presidente della Serbia, Aleksander Vučić, per continuare a controllare indirettamente una zona contesa (l’intero Kosovo è tutt’ora considerato parte del Paese). Quello che invece contesta Pristina – dopo il deciso cambio di rotta del governo nazionalista di Kurti dall’elezione del 2021 – è che la nuova Associazione in Kosovo non sia nient’altro che una replica della fallimentare Republika Srpska in Bosnia ed Erzegovina, l’entità a maggioranza serba nel Paese che negli ultimi anni ha portato a una destabilizzazione sempre maggiore del Paese proprio per l’eccessiva autonomia garantita a un establishment politico filo-russo.
    “Siamo assolutamente contrari alla creazione di qualsiasi entità che assomigli alla Repubblica Srpska in Bosnia ed Erzegovina“, hanno assicurato i due diplomatici statunitensi nella nota, chiedendo invece a Pristina di “fornire la propria visione di questa associazione”. Secondo quanto emerge dalle parole di Chollet ed Escobar, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, avrebbe fatto notare al premier Kurti che “esistono 14 accordi simili all’interno dell’Unione Europea, nessuno dei quali viola i sistemi europei di governo effettivo”, che garantiscono autonomie specifiche all’interno del quadro degli Stati nazionali. L’associazione “non sarebbe mono-etnica” e “non aggiungerebbe un nuovo livello di potere esecutivo e legislativo al governo del Kosovo”, assicurano i mediatori, mentre l’aspetto più positivo potrebbe essere il fatto che “i comuni che condividono interessi, lingua e cultura potrebbero lavorare insieme in modo più efficace per affrontare le sfide comuni” negli ambiti autorizzati dall’accordo di Bruxelles del 2013.

    Unione Europea e Stati Uniti stanno cercando di mediare tra Serbia e Kosovo su uno dei punti più divisivi dei negoziati. La creazione della comunità è prevista dall’accordo di Bruxelles del 2013, ma il rischio è quello di istituzionalizzare la divisione etnica, come con la Republika Srpska in Bosnia

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    Il Kosovo ha presentato la richiesta formale per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione all’Unione Europea

    Bruxelles – Era una questione di giorni, se non di ore, dopo le anticipazioni dalla presidente Vjosa Osmani al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana martedì scorso (6 dicembre). Nella tarda mattinata di oggi (mercoledì 14 novembre) il Kosovo ha presentato la richiesta formale per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione all’Unione Europea. A partire da oggi tutti gli Stati extra-Ue interessati dal processo di allargamento dell’Unione si trovano almeno nella casella di partenza della richiesta di adesione, in un anno che ha visto il più grande sconvolgimento per le prospettive di espansione dei Ventisette a nuovi membri sul continente.
    Da sinistra: il presidente dell’Assemblea del Kosovo, Glauk Konjufca, la presidente della Repubblica, Vjosa Osmani, e il primo ministro, Albin Kurti (Pristina, 14 dicembre 2022)
    “Un momento storico per Kosovo e Unione Europea“, è il commento entusiasta della presidente Osmani al termine della cerimonia di firma della domanda di adesione all’Ue con il premier Albin Kurti e il presidente dell’Assemblea nazionale, Glauk Konjufca. Secondo la leader kosovara si tratta di “un passo più vicino alla realizzazione del sogno di coloro che hanno sacrificato le loro vite per la libertà, l’indipendenza e la democrazia”, ma anche alla “realizzazione della nostra comune e incrollabile ambizione di entrare nell’Unione Europea“. Per il Paese “non c’è mai stata un’alternativa, ma i sogni diventano realtà solo quando si lavora per realizzarli”, come ha dimostrato l’ultima relazione sui progressi di Pristina nel Pacchetto Allargamento 2022 della Commissione Ue.
    “I progressi dipenderanno dal nostro impegno per riforme profonde, che facciano progredire la democrazia, rafforzino lo Stato di diritto e sviluppino la nostra economia”, ha dichiarato in conferenza stampa il premier Kurti, precisando che la lettera sarà presentata nei prossimi giorni alla Commissione e alla presidenza di turno ceca del Consiglio dell’Ue (che terminerà il proprio semestre il prossimo 31 dicembre). Il Kosovo dovrà però affrontare una doppia sfida, che al momento blocca la strada verso l’ottenimento dello status di Paese candidato all’adesione Ue: cinque Stati membri non ne riconoscono l’indipendenza (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e la finalizzazione di un accordo giuridicamente vincolante sulla normalizzazione delle relazioni con la Serbia (da cui Pristina ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza nel 2008). Nonostante le aspre tensioni tra i due Paesi nel nord del Kosovo, a Bruxelles il 2023 è considerato l’anno decisivo per portare a termine un dialogo mediato dall’Ue ormai più che decennale.

    A historic moment. 🇽🇰 🇪🇺
    A step closer to fulfilling the dream of those who sacrificed their lives for freedom, independence & democracy, as well as, fulfilling our common and unwavering ambition of joining the European Union. pic.twitter.com/TX9Ygwl2MJ
    — Vjosa Osmani (@VjosaOsmaniPRKS) December 14, 2022

    Tra Kosovo e allargamento Ue
    Il processo di allargamento Ue coinvolge i sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), la Turchia – i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan – Ucraina e Moldova – a cui è stato concesso al vertice dei leader Ue di giugno lo status di Paesi candidati – e Georgia, a cui è stata riconosciuta la prospettiva europea. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente dal 2014 e dal 2012, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord si è sbloccato a metà luglio dopo quasi tre anni di stallo (prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello della Bulgaria contro Skopje). Dopo sei anni dalla richiesta di adesione per la Bosnia ed Erzegovina è quasi arrivato il momento della concessione dello status di Paese candidato, mente il Kosovo ha firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione nel 2016 e da oggi ha completato il quadro degli Stati balcanici che si trovano formalmente sulla strada di adesione all’Unione.
    Ricevuta la proposta formale di candidatura all’adesione, per diventare un Paese membro dell’Ue è necessario superare l’esame dei criteri di Copenaghen: per i Balcani Occidentali è compresa la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra l’Unione e il Paese richiedente, a cui viene offerta la prospettiva di adesione. Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri, si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.

    La lettera è stata firmata dalla presidente Vjosa Osmani, dal premier Albin Kurti e dal leader dell’Assemblea nazionale Glauk Konjufca: “Un passo più vicino alla realizzazione della nostra comune e incrollabile ambizione di entrare nell’Ue”. Ma prima l’accordo sui rapporti con la Serbia

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    Si riaccendono le tensioni nel nord del Kosovo. Escalation tra barricate, retorica incendiaria e attacco alla missione Ue

    Bruxelles – Un fine settimana di ordinaria follia nel nord del Kosovo, dove da venerdì (9 dicembre) la tensione è tornata ancora a crescere in maniera preoccupante, anche complice la retorica incendiaria di Belgrado. Barricate ai passaggi di frontiera, arresti e granata stordente contro la missione Eulex dell’Unione Europea: l’escalation degli ultimi mesi nelle regioni settentrionali del Paese, dove si concentra la minoranza serba, ha raggiunto uno dei livelli di criticità più alti mai toccati. Anche se parlare di rischio di guerra tra Serbia e Kosovo è al momento del tutto azzardato.
    Tutto è iniziato – di nuovo – nel pomeriggio di venerdì, dopo la decisione di Pristina di inviare alcune centinaia di forze di polizia per tenere sotto controllo la situazione a Kosovska Mitrovica e ai valichi di confine (dal momento in cui gli agenti serbo-kosovari dimessisi in massa a inizio novembre non sono ancora tornati in servizio). Nonostante le rassicurazioni del premier Albin Kurti del fatto che le operazioni non hanno alcun target etnico – ma sarebbero indirizzate a contrastare la criminalità che rischia di prendere il sopravvento nella regione senza un’adeguata presenza di forze dell’ordine – la reazione di Belgrado è stata violentissima. La premier serba, Ana Brnabić, è arrivata a minacciare la possibilità di inviare mille soldati da Belgrado sul territorio kosovaro (cosa non possibile senza il consenso della Nato, secondo quanto previsto dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu del 1999) per contrastare un “comportamento irresponsabile” da parte del governo di Pristina.
    Soldati della Kosovo Force (Kfor) della Nato a Zubin Potok, dove è stata eretta una barricata da manifestanti serbo-kosovara (credits: Armend Nimani /Afp)
    La situazione tesa è andata esasperandosi proprio per la retorica nazionalista dei due governi. Da una parte la presidente kosovara, Vjosa Osmani, ha attaccato Belgrado, affermando che “il sogno egemonico della Serbia non si avvererà, non ci saranno mai poliziotti e militari serbi sul territorio del Kosovo”, mentre la premier serba Brnabić ha alzato l’asticella, avvertendo che il rapporto “è al limite di un nuovo conflitto”. Dichiarazioni che – come fanno notare diversi analisti – rispondo a logiche di rafforzamento politico a livello interno e hanno poca aderenza con la realtà: sul campo è presente la più grande missione militare della Nato, la Kosovo Force (Kfor), con i suoi 3.700 soldati, e un nuovo conflitto armato – dopo quello tra il 1998 e il 1999, conclusosi solo grazie all’intervento dell’Alleanza Atlantica – sarebbe un suicidio diplomatico per entrambi i Paesi.
    Allo stesso tempo la situazione non deve essere sottostimata, dal momento in cui era da mesi che non si vedevano barricate ai valichi di frontiera, alzate dalle frange più estremiste e violente della minoranza serba-kosovara. Nella giornata di sabato le proteste si sono esacerbate con la notizia dell’arresto di un ex-agente della polizia kosovara, Dejan Pantić, accusato di “attacchi terroristici”. I blocchi stradali nel settore nord di Kosovska Mitrovica, Zvecan e Leposavic sono stati realizzati con mezzi pesanti – tra cui anche alcuni donati da Bruxelles attraverso i progetti finanziati dall’Ue – mentre sono aumentati gli atti di sabotaggio, che hanno coinvolto anche Eulex.
    Nel corso della notte tra sabato e domenica (10-11 dicembre) vicino a Rudare una granata stordente ha colpito una pattuglia di ricognizione della missione civile nell’ambito della politica di sicurezza e difesa comune dell’Unione, senza causare nessun ferito né danneggiamento di materiale. “Chiediamo ai responsabili di astenersi da ulteriori azioni di provocazione e sollecitiamo le istituzioni del Kosovo a portare i colpevoli davanti alla giustizia”, si legge in una dichiarazione della missione Eulex. “L’Ue non tollererà attacchi a Eulex o il ricorso ad atti violenti e criminali nel nord del Paese“, è l’attacco dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “I gruppi serbi del Kosovo devono rimuovere immediatamente le barricate” e “tutti gli attori devono evitare un’escalation”.

    Stun grenade attack on #EULEX reconnaissance patrol.
    Read the full statement in English, Albanian and Serbian here:https://t.co/52yvDy8HEx pic.twitter.com/9YZG2vmudZ
    — EULEX Kosovo (@EULEXKosovo) December 11, 2022

    Il rinvio delle elezioni locali nel nord del Kosovo
    A questo si aggiunge la situazione politica nel nord del Kosovo, che si intreccia strettamente con le dimissioni di massa di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali del 5 novembre, in segno di protesta contro l’obbligo di sostituire le targhe serbe con quelle rilasciate dalle autorità di Pristina (in larga parte utilizzate dalla minoranza serba nel Kosovo settentrionale). Tra i dimissionari ci sono anche i sindaci di Kosovska Mitrovica, Zubin Potok, Zvecan e Leposavic e per questo motivo nelle quattro città si dovrà tornare alle urne, altro elemento di tensione con le frange più estremiste della minoranza serba in Kosovo. Le elezioni anticipate – in programma inizialmente per il 18 dicembre – sono state rinviate il prossimo 23 aprile dalle istituzioni di Pristina, per non rischiare di rendere la situazione fuori controllo. Ad annunciarlo è stata la stessa presidente Osmani, dopo consultazioni con diverse forze politiche.
    Manifestazioni di serbi del Kosovo nel nord del Paese (credits: Armend Nimani / AFP)
    Nel quadro dell’escalation di tensione nel nord del Kosovo, la politica locale si interseca con quella internazionale. In vista di quelli che sono ormai considerati gli ultimi mesi decisivi per chiudere la questione del Kosovo, la proposta di mediazione franco-tedesca che dovrebbe portare a termine il dialogo tra Pristina e Belgrado insisterà sulla completa implementazione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia). Se il 2023 sarà davvero l’anno dell’accordo definitivo tra i due Paesi balcanici, chi vincerà le elezioni locali nelle quattro città sarà verosimilmente il rappresentante dei serbi del Kosovo all’interno della Associazione delle municipalità. E Belgrado ha tutto l’interesse che Lista Srpska – il partito più vicino al presidente serbo, Aleksandar Vučić – non perda la presa politica sul territorio.
    Non è un caso se il leader serbo ha avuto recentemente uno scatto d’ira per la nomina di Nenad Rašić come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi all’interno del governo kosovaro. Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado e concorrente di Lista Srpska, il cui leader Goran Rakić si era dimesso dallo stesso ministero a inizio novembre. Vučić ha definito Rašić “la peggiore feccia serba” proprio perché la questione nel Kosovo settentrionale è strettamente legata alla politica interna serba: “Per anni ha creato una sovrapposizione tra partito e interesse nazionale”, ha spiegato in un’intervista a Eunews Giorgio Fruscione, politologo dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ed esperto delle questioni balcaniche. Dentro e fuori i confini nazionali Vučić tenta di far apparire “tutti gli esponenti che non ricadono sotto il suo controllo non ‘abbastanza’ serbi”. La mossa di Kurti di posizionare un serbo del Kosovo non fedele a Belgrado “sembra uno scacco matto” e per Belgrado è cruciale che lo stesso scenario non si ripeta nelle quattro amministrazioni locali finora controllate nel nord del Paese.
    Gli sforzi diplomatici dell’Ue
    Dopo settimane di tensione per la questione delle targhe e le nomine ministeriali in Kosovo – che ha spinto lo stesso presidente serbo Vučić a minacciare, e poi ritrattare, un boicottaggio del vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana – i Ventisette stanno spingendo perché i due Paesi balcanici raggiungano “progressi concreti verso un accordo globale giuridicamente vincolante” sulla normalizzazione delle loro relazioni, come messo in chiaro dalle conclusioni del summit in Albania. Bruxelles sta puntando tutte le sue carte su un aggiornamento della proposta franco-tedesca, che – come riportano fonti europee – dovrebbe consentire di raggiungere un’intesa “in meno di un anno”.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    Solo tre settimane fa l’alto rappresentante Borrell era riuscito in extremis a far raggiungere un accordo di compromesso tra le due parti per porre termine alla grave crisi sulle targhe nel nord del Kosovo. La mediazione di Bruxelles con i capi-negoziatori, arrivata dopo un incontro fallimentare tra Vučić e Kurti, si è rivelata decisiva anche per l’avanzamento del dialogo per la normalizzazione delle relazioni tra Pristina e Belgrado: il testo del 23 novembre in cinque paragrafi si concentra “pienamente, e con urgenza, sulla proposta di normalizzazione” secondo quanto “presentato questo settembre dal facilitatore dell’Ue e sostenuto da Francia e Germania”. In questo modo la proposta di Parigi e Berlino è entrata ufficialmente nel cuore del dialogo mediato da Bruxelles, che nelle intenzioni dei maggiori attori diplomatici a livello europeo si dovrebbe chiudere entro la fine dell’anno prossimo.
    Anche l’Italia sta cercando di ritagliarsi un ruolo decisivo per la distensione dei rapporti tra Serbia e Kosovo. A fine novembre la missione diplomatica a Belgrado e Pristina dei ministri degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto, aveva spinto “la ricerca e le soluzioni ai problemi” emersi con sempre più urgenza negli ultimi mesi. Nel corso del vertice di Tirana la stessa premier Giorgia Meloni si era intrattenuta in contatti bilaterali con i presidenti Vučić e Osmani per affrontare “una questione annosa per questa regione” e per “portare avanti il ruolo dell’Italia di amicizia e cooperazione” con i partner balcanici. A fronte della nuova ondata di escalation sul campo il ministro Tajani ha chiesto in particolare a Belgrado di allentare le tensioni e si è rivolto direttamente al presidente serbo in una telefonata, chiedendo “moderazione” per evitare un peggioramento della situazione: “La stabilità della regione è un obiettivo italiano ed europeo“, ha precisato il titolare della Farnesina.
    Il tema è stato oggetto della riunione dei ministri degli Esteri dei Ventisette. Alla luce della situazione l’Alto rappresentante Borrell ha deciso di inviare in missione Tomáš Szunyog, il rappresentante speciale per il Kosovo, così da poter fornire un quadro più preciso della situazione in occasione del vertice dei capi di Stato e di governo. La missione è prevista per mercoledì, 14 dicembre, in tempo utile per poter informare i leader il giorno seguente.

    Una granata stordente ha colpito una pattuglia di ricognizione della missione Eulex: “L’Ue non tollererà il ricorso ad atti violenti e criminali”, avverte l’alto rappresentante Borrell. Posticipate le elezioni locali in quattro città per non aggravare la situazione. Ma non c’è rischio di conflitto

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    Salta ancora l’accordo tra Serbia e Kosovo sulle targhe. L’Ue: “Vučić e Kurti pieni responsabili del fallimento dei colloqui”

    Bruxelles – Il biasimo dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nei confronti di Kosovo e Serbia non è mai stato così diretto e veemente. “Informerò gli Stati membri, i ministri degli Esteri e i nostri partner del comportamento non costruttivo delle parti e della totale mancanza di rispetto per i loro obblighi legali internazionali, in particolare del Kosovo“, è il commento rilasciato al termine di una riunione d’emergenza che sarebbe dovuta essere decisiva per mettere fine all’escalation di tensione alla frontiera tra i due Paesi.
    E invece, davanti al “livello di tensione più pericoloso dal 2013” – come lo stesso alto rappresentante Borrell lo aveva definito pochi giorni fa – il vertice di alto livello di oggi (lunedì 21 novembre) a Bruxelles con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, ha inviato “un segnale politico molto negativo”. Convocato ieri (domenica 20 novembre) dopo una settimana di lavoro intenso tra i capi-negoziatori di Pristina e Belgrado, la riunione di emergenza avrebbe dovuto portare a una “de-escalation della situazione”, chiudendo la politica di “gestione permanente della crisi” e iniziando a “progredire verso la normalizzazione delle relazioni”, aveva messo in chiaro Borrell. “Si trattava di una responsabilità di entrambi i leader”, ma “purtroppo oggi non hanno trovato un accordo per una soluzione”, sono le parole prive di speranza dopo l’ultimo incontro tra i due leader balcanici.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    Mentre il tempo stringe nel nord del Kosovo sulla questione della re-immatricolazione dei veicoli con targa serba, l’attacco da parte di Bruxelles è durissimo: entrambi i leader “si assumono la piena responsabilità per il fallimento dei colloqui di oggi e per qualsiasi escalation e violenza che potrebbe verificarsi sul terreno“. Nel corso della riunione l’alto rappresentante Borrell e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, hanno presentato “una proposta che avrebbe potuto risolvere la situazione che il presidente Vučić ha accettato, mentre il primo ministro Kurti non l’ha fatto“. Anche senza un accordo, l’alto rappresentante Borrell ha chiesto con particolare forza – ripetendolo intenzionalmente due volte – al Kosovo di “sospendere immediatamente ulteriori tappe della re-immatricolazione dei veicoli” – e alla Serbia di “sospendere l’emissione di nuove targhe con le denominazioni delle città del Kosovo, incluse le targhe KM” (acronimo di Kosovska Mitrovica).
    Risulta chiaro dalle parole di Borrell che però è soprattutto Pristina a non essere disposta a fare passi indietro sul piano a tappe per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe serbe presentato lo scorso 28 ottobre: a chi non si adeguerà – dopo i primi 21 giorni di novembre con un solo avvertimento – da domani (22 novembre, con una proroga di un giorno decisa ieri) e il 21 gennaio sarà emessa una multa e tra il 21 gennaio al 21 aprile sarà applicata una targa temporanea. Dal 21 aprile in poi l’entrata in vigore sarà invece definitiva e i veicoli non conformi saranno sottoposti a sequestro.

    “I will inform 🇪🇺 Member States, Foreign Ministers and our partners about the unconstructive behaviour of Parties and complete lack of respect for their intl legal obligations, and this goes in particular for Kosovo. This send a very negative political signal.” https://t.co/Aq5XlUfvZ8
    — Peter Stano (@ExtSpoxEU) November 21, 2022

    Le tensioni tra Serbia e Kosovo
    Le tensioni crescenti sono legate agli eventi nel nord del Kosovo dopo l’introduzione del piano graduale del governo di Pristina sulle targhe. Il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, ha deciso di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali, denunciando la “violazione del diritto internazionale” e la mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia).
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (21 novembre 2022)
    La situazione è “ancora peggio di agosto”- quando si era riaccesa la disputa – dal momento in cui “meno di 50 poliziotti kosovaro-albanesi stanno gestendo la situazione, e certamente non sono abbastanza”, ha avvertito Borrell: “Questo crea un vuoto di sicurezza sul campo molto pericoloso in una situazione di fragilità evidente“. Nemmeno la presenza della missione dell’Ue Eulex e della forza militare della Nato Kosovo Force (Kfor) è sufficiente, perché “non possono prendere il posto della polizia locale, non è nel loro mandato”. Ed è per questo che l’appello continuo di Bruxelles è quello del “ritorno della minoranza serba nelle rispettive istituzioni del Kosovo” e alla distensione del clima da parte di Belgrado.
    Pristina è invece chiamata mettere fine alla sua posizione intransigente e lasciare spazio a un compromesso più ampio, che chiuda oltre 10 anni di mediazione diplomatica dell’Ue. È per questo che domani (martedì 22 novembre) i ministri italiani degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto, saranno in visita nei due Paesi balcanici per incontrare gli omologhi e i leader che oggi non hanno trovato un’intesa, mettendo in campo tutto il peso politico che l’Italia possiede sulle prospettive di integrazione della regione nell’Unione. Nel frattempo Francia e Germania spingeranno sulla proposta di mediazione che Borrell ha definito “una bussola di due pagine” e che dovrebbe fornire un nuovo orizzonte per i rapporti tra Serbia e Kosovo. Ma oggi le speranze di una de-escalation sono appese solo a un filo, come è apparso dal volto quasi sconsolato di Borrell al termine del punto con la stampa.

    Il presidente serbo e il premier kosovaro non hanno raggiunto un’intesa considerata decisiva dall’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, per mettere fine all’escalation di tensione nel nord del Kosovo. Duro attacco da Bruxelles: “Comportamento non costruttivo, in particolare da Pristina”

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    L’alto rappresentante Ue Borrell avverte che le tensioni in corso tra Serbia e Kosovo “sono le più pericolose dal 2013”

    Bruxelles – Un fine settimana intenso, in cui “Serbia e Kosovo mi hanno tenuto davvero molto occupato” a Parigi. È senza filtri l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nel descrivere alla stampa il clima di tensione che si respira a proposito dei rapporti tra i due Paesi balcanici, dopo il resoconto ai 27 ministri Ue degli Esteri sui due confronti con il presidente serbo, Aleksander Vučić, e il premier kosovaro, Albin Kurti, a margine del Paris Peace Forum. Borrell ha avvertito che “abbiamo raggiunto il livello di tensione più pericoloso dal 2013“, con riferimento alla situazione pre-Accordo di Bruxelles, due anni dopo l’avvio del dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’Ue.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a margine del Paris Peace Forum (11 novembre 2022)
    Tutto è legato agli eventi nel nord del Kosovo dopo l’introduzione del piano a tappe del governo di Pristina dal primo novembre fino alla primavera 2023 per la re-immatricolazione delle auto con targa serba nel Paese. Il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, ha deciso di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali, denunciando la “violazione del diritto internazionale” e la mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia). “Il ritiro dei serbi dalle istituzioni ha creato un vuoto nel nord del Kosovo e in questo vuoto tutto può succedere“, è l’allarme dell’alto rappresentante Ue: “Ora dobbiamo evitare lo scontro frontale”.
    Inevitabilmente l’appello è al “ritorno della minoranza serba nelle rispettive istituzioni del Kosovo” e alla distensione del clima da parte della Serbia di Vučić. Ma anche Pristina è chiamata a “rientrare nel dialogo sulle targhe”, che al momento non soddisfa Bruxelles. In altre parole “entrambe le parti devono dimostrare la volontà di ridurre le tensioni” ed è per questo che i capi-negoziatori di Serbia e Kosovo “inizieranno in questi giorni a lavorare sulle tappe future” di un dialogo che deve dare frutti in tempi strettissimi: “Convocherò i leader [Vučić e Kurti, ndr] solo se i negoziatori raggiungeranno un accordo entro il 21 novembre“, ha messo in chiaro Borrell, precisando che “se non dovessimo raggiungerlo, ci troveremmo in una situazione molto pericolosa”.
    Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a margine del Paris Peace Forum (11 novembre 2022)
    I due partner dell’Unione Europea “sono a un bivio, devono decidere se imboccare la strada verso l’Ue o verso il passato“, che ha già visto una guerra etnica tra il 1998 e il 1999. E da Bruxelles ci si aspetta “volontà a cercare soluzioni europee”. L’alto rappresentante Borrell ha riportato alla stampa che dal Consiglio Affari Esteri di oggi (lunedì 14 novembre) è uscito un messaggio di spinta verso “progressi chiari”, che coinvolgono sia missioni sul campo – come quella dell’italiano Antonio Tajani la settimana prossima a Pristina e Belgrado – sia un quadro di compromesso più ampio, che chiuda oltre 10 anni di mediazione diplomatica dell’Ue. È qui che si inserisce la “proposta chiara” dell’inedita coppia Francia-Germania (qui tutti i dettagli), definita da Borrell “una proposta europea, una bussola di due pagine” che dovrebbe portare a un nuovo orizzonte per Serbia e Kosovo.
    “Dobbiamo riuscire a leggere il problema con lenti diverse”, ha spiegato l’alto rappresentante Ue, parlando “non più di gestione delle crisi, ma di soluzioni strutturali, perché il percorso europeo richiede questo”. La modalità ‘gestione delle crisi’ è ciò che ha caratterizzato finora il dialogo: “Ne abbiamo avute in continuazione, una volta usciti da una, ce ne troviamo un’altra da affrontare”, come l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, il riconoscimento dei documenti di identità, le rispettive targhe per i veicoli alla frontiera e sul territorio nazionale. Invece il nuovo approccio – che “nessuna delle due parti a Parigi ha rifiutato, è già un successo” – deve puntare sulla prevenzione alla radice dei problemi, per “evitare che si manifestino crisi”. A oggi però Serbia e Kosovo si trovano nel pieno della più grave degli ultimi dieci anni e hanno solo una settimana per trovare una soluzione sostenibile e non rendere ancora più spinosa la situazione già delicatissima nel cuore dei Balcani Occidentali.

    Dopo i colloqui bilaterali a Parigi con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il premier kosovaro, Albin Kurti, Borrell ha messo in chiaro che i capi-negoziatori hanno tempo fino al 21 novembre per trovare un’intesa: “Sono a un bivio, tra imboccare la strada verso l’Ue o verso il passato”

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    Cosa prevede la proposta franco-tedesca per portare a termine il dialogo tra Serbia e Kosovo mediato dall’Ue

    Bruxelles – Una proposta in nove punti che, senza mai citare la parola “indipendenza” esplicitamente, punta a risolvere la disputa tra Serbia e Kosovo mettendo nero su bianco il reciproco rispetto della giurisdizione, dell’integrità territoriale e dell’inviolabilità dei confini dei due Paesi balcanici. Secondo quanto emerge dall’anticipazione dell’ultima bozza della proposta franco-tedesca pubblicata da Euractiv, Parigi e Berlino sarebbero seriamente intenzionate a rilanciare il dialogo tra Belgrado e Pristina mediato dall’Ue dal 2011, e mettere fine a un conflitto diplomatico – dopo quello armato del 1998-1999 – che prosegue dal 2008, con la dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia.
    Dell’esistenza di una proposta franco-tedesca a Bruxelles se ne parla ormai da settembre, ma i dettagli erano finora sempre rimasti oscuri (fatta eccezione per una prima indiscrezione dell’Albanian Post, ormai superata dalla nuova bozza). Sia le autorità kosovare sia quelle serbe hanno confermato che il documento è arrivato nelle rispettive capitali e al summit del Processo di Berlino del 3 novembre la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, aveva messo in chiaro che da parte dell’esecutivo comunitario c’è “pieno supporto” al nuovo input e che “sarà integrato” nel dialogo facilitato dall’Ue: “È un ponte gettato per risolvere i problemi nel modo più veloce“, aveva spiegato von der Leyen.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, durante la firma degli accordi sulla mobilità regionale nei Balcani Occidentali nel quadro del Processo di Berlino (3 novembre 2022)
    È inedita la sinergia tra Parigi e Berlino sulle questioni balcaniche e sull’allargamento dell’Ue nella regione, ma potrebbe essere il primo tassello di una nuova collaborazione tra le due maggiori forze europee per superare gli stalli che si trascinano da anni, se non da decenni.
    La Germania è stato finora l’attore più rilevante – insieme all’Italia – nella spinta in avanti dell’Unione nei confronti dei Sei dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia). Nel 2014 l’allora cancelliera tedesca, Angela Merkel, aveva inaugurato il Processo di Berlino, una delle più significative iniziative diplomatiche sull’allargamento Ue nella regione.
    La Francia invece, dopo anni a remare contro l’ingresso di nuovi Paesi nell’Unione, di fronte ai rischi reali di destabilizzazione russa nei Balcani Occidentali ha preso in mano le redini diplomatiche nel corso del suo semestre di presidenza del Consiglio dell’Ue e ha contribuito con due proposte allo sblocco dello stallo sull’avvio dei negoziati di adesione di Macedonia del Nord e Albania.
    La proposta franco-tedesca sul dialogo tra Serbia e Kosovo
    La versione più aggiornata della proposta franco-tedesca è suddivisa in nove articoli e parte dalla constatazione che Kosovo e Serbia dovranno sviluppare “relazioni normali e di buon vicinato basate sulla parità di diritti” e guidate dalle “reciproche aspirazioni all’adesione all’Ue” (la richiesta di Pristina è attesa entro la fine dell’anno, mentre Belgrado si trova in una fase di stallo, a causa del non-allineamento con la politica estera e di sicurezza dell’Unione).
    Anche in considerazione degli ultimi sviluppi sul piano delle tensioni nel nord del Kosovo per la re-immatricolazione delle auto con targa serba, la proposta di Parigi e Berlino prevede che i due Paesi Balcanici, “in conformità con gli Accordi di stabilizzazione e associazione firmati da entrambe le parti”, si impegnino a “risolvere qualsiasi controversia tra loro esclusivamente con mezzi pacifici” e ad “astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza”. Da notare la specifica sulla “inviolabilità, ora e in futuro, della frontiera/confine esistente” e del “pieno rispetto della reciproca integrità territoriale”. Tra le righe, la Serbia dovrà riconoscere nei fatti la sovranità e l’indipendenza del Kosovo.
    Elemento implicito confermato dal quarto punto del documento: “Il Kosovo e la Serbia partono dal presupposto che nessuna delle due parti può rappresentare l’altra nella sfera internazionale, né agire per suo conto”. Di qui dovrebbero seguire le azioni della diplomazia europea, sia per il riconoscimento della sovranità del Kosovo dai cinque Stati membri Ue che ancora non l’hanno fatto (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia), sia per l’accesso di Pristina a tutte le istituzioni internazionali, dalle Nazioni Unite (al momento bloccato dal veto di Russia e Cina al Consiglio di Sicurezza) al Consiglio d’Europa.
    Pristina e Belgrado dovranno poi promuovere “relazioni pacifiche nei Balcani Occidentali” e contribuire “alla sicurezza regionale e alla cooperazione in Europa”, a partire dal “rispetto reciproco della giurisdizione di ciascuna parte“. Il richiamo è di nuovo non solo alla normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, ma anche al rispetto dei principi della politica estera dell’Unione – a cui entrambi i Paesi balcanici aspirano ad aderire – in primis sulla condanna delle guerra russa in Ucraina e l’allineamento alle sanzioni economiche contro il Cremlino.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, al vertice di Bruxelles del 15 giugno 2021
    Il settimo e ottavo articolo della proposta franco-tedesca si indirizzano alla messa a terra delle “questioni pratiche e umanitarie” tra i due partner: “Concluderanno accordi al fine di sviluppare e promuovere, sulla base del presente Trattato e a reciproco vantaggio, la cooperazione” bilaterale nei settori “dell’economia, della scienza e della tecnologia, dei trasporti, delle relazioni giudiziarie, delle poste e delle telecomunicazioni, della sanità, della cultura, dello sport, della protezione dell’ambiente e in altri campi”, con i dettagli specificati in un “protocollo aggiuntivo”. In questo contesto, Kosovo e Serbia “si scambieranno missioni permanenti” da istituire “presso la sede del rispettivo governo” (le questioni pratiche sull’istituzione di tali missioni “saranno trattate separatamente”, specifica il testo).
    E infine i due Paesi balcanici converranno che il documento “non pregiudica i trattati e gli accordi internazionali bilaterali e multilaterali da essi già conclusi“. Si tratta in questo caso di un riferimento implicito al nodo dell’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, prevista dall’Accordo di Bruxelles del 2013. Recentemente è stato il portavoce del Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae), Peter Stano, ad avvertire le autorità kosovare che si tratta di “un obbligo legale vincolante” e che “devono essere avviate immediatamente le iniziative per la creazione” della comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia.

    In un’anticipazione della bozza del documento pubblicata dal sito Euractiv, emergono i punti su cui si dovrebbe impostare la risoluzione della disputa ancora in stallo: reciproco rispetto della giurisdizione di ciascuna parte, dell’integrità territoriale e dell’inviolabilità dei confini esistenti

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    Tensioni della minoranza serba nel nord del Kosovo, l’Ue chiede “responsabilità” a Pristina e Belgrado

    Bruxelles – Il momento è delicato e lo si capisce dalle parole scelte dal portavoce del Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae), Peter Stano, per descrivere la situazione nel nord del Kosovo: “È un’escalation molto pericolosa, che sta mettendo a rischio anni di duro lavoro e di conquiste“. Il riferimento è agli avvenimenti degli ultimi giorni nella regione di confine, dopo la decisione del governo di Pristina di imporre un piano a tappe dal primo novembre fino alla primavera 2023 per la re-immatricolazione delle auto con targa serba nel Paese. “Ci appelliamo a entrambe le parti affinché si assumano le proprie responsabilità per trovare una soluzione europea”, è l’esortazione che arriva da Bruxelles, che avverte sul rischio di “conseguenze non solo per Serbia e Kosovo, ma per l’intera regione“.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, al vertice di Bruxelles del 15 giugno 2021
    La nuova ondata di tensione nel nord del Paese balcanico si è aperta con la decisione del principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali, denunciando la “violazione del diritto internazionale e dell’Accordo di Bruxelles” del 2013, come ha spiegato il leader del partito, Goran Rakić. Le dimissioni sono arrivate sabato (5 novembre) dopo una riunione nella città di Zvečan, dove alcuni poliziotti si sono simbolicamente tolti le uniformi della polizia del Kosovo. I serbi kosovari chiedono il “rispetto degli accordi già firmati” e il ritiro dell’obbligo di sostituire le targhe serbe con quelle rilasciate dalle autorità di Pristina (con annesse multe per chi non lo rispetta).
    Il nuovo piano graduale per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe serbe era stato annunciato dal premier Albin Kurti lo scorso 28 ottobre e prevede che – per chi non si adeguerà – tra il primo e il 21 novembre sarà emesso un avvertimento, tra il 21 novembre e il 21 gennaio una multa e tra il 21 gennaio al 21 aprile sarà applicata una targa temporanea. Dal 21 aprile in poi l’entrata in vigore sarà invece definitiva e i veicoli non conformi saranno sottoposti a sequestro. La decisione aveva però subito mostrato il maggiore punto di debolezza, quando da Bruxelles era stata espressa l’insoddisfazione per il fatto che “il Kosovo ha il diritto di eliminare gradualmente le targhe, ma il processo deve avvenire secondo le modalità concordate nel dialogo” mediato dall’Ue, aveva commentato la scorsa settimana alla stampa la portavoce della Commissione Ue responsabile per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali.
    Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti (credits: Afp)
    La cosiddetta ‘battaglia delle targhe’ era scoppiata per la prima volta nel settembre dello scorso anno, quando i reparti speciali di polizia avevano fermato automobili, ciclomotori e camion ai valichi di confine di Jarinje, Brnjak e Merdare, imponendo l’applicazione di targhe di prova kosovare e scatenando boicottaggi e interruzioni stradali da parte delle frange più estremiste della minoranza serba nel nord del Paese. Dopo l’accordo provvisorio trovato a Bruxelles, nei successivi 10 mesi Serbia e Kosovo non sono mai riusciti a trovare un’intesa sulle targhe sostenibile, definitiva e reciproca. A fine luglio si erano registrati nuovi incidenti in occasione della scadenza del primo agosto per la re-immetricolazione dei veicoli con targhe serbe, che avevano spinto il governo Kurti a concedere una doppia proroga per le nuove norme sulle targhe: dal primo settembre è in vigore l’obbligo di apporre un bollo a coprire l’emblema serbo (misura identica a quella applicata da Belgrado sulle auto kosovare), mentre entro il 30 settembre – con un ulteriore rinvio al 31 ottobre – tutti i cittadini di etnia serba che vivono in Kosovo avrebbero dovuto re-immatricolare i propri veicoli, utilizzando una targa rilasciata dalle autorità di Pristina.
    Da sinistra: il rappresentante speciale dell’Ue per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić
    Con l’entrata in vigore del nuovo piano al primo novembre la tensione è tornata a crescere, anche con la regia del presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, come evidenziato da alcuni analisti. Il leader serbo ha un controllo diretto della Lista Srpska e ha appoggiato le manifestazioni di domenica (6 novembre) nella città di Kosovska Mitrovica, per chiedere la sospensione della normativa nel Paese che ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza da Belgrado nel 2008. “Ci appelliamo a tutta la responsabilità dei leader dei serbi in Kosovo affinché impediscano un’ulteriore escalation e adottino misure per un comportamento più europeo”, è l’esortazione che arriva questa settimana da Bruxelles, dopo che l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, aveva subito messo in guardia “entrambe le parti dall’astenersi da qualsiasi azione unilaterale, che potrebbe portare a ulteriori tensioni”. 
    “Chiediamo alla Serbia e ai rappresentanti serbi del Kosovo di rispettare i loro obblighi di dialogo e di tornare nelle istituzioni kosovare per svolgere i loro compiti, anche nella polizia, nella magistratura e nelle amministrazioni locali”, è l’invito urgente del portavoce Stano diretto alla parte serba. Ma allo stesso tempo, l’Ue ha esortato nuovamente il Kosovo a “estendere immediatamente il processo di reimmatricolazione dei veicoli e sospendere qualsiasi azione punitiva nei confronti dei possessori di targhe serbe”, perché “la questione delle targhe può essere risolta nell’ambito del dialogo” mediato da Bruxelles. Sia la missione dell’Ue Eulex, sia la forza militare della Nato Kosovo Force (Kfor) – che dispiega circa 3.700 soldati nel Paese – sono in stato di allerta e “continueranno a garantire la stabilità sul terreno e a sostenere il mantenimento di un ambiente sicuro“, è l’ultimo avvertimento dell’alto rappresentante Borrell, mentre il rappresentante speciale dell’Ue speciale per il dialogo Pristina-Belgrado, Miroslav Lajčák, è in contatto con le autorità di entrambi i Paesi.

    Spoke this evening to both President Vucic @predsednikrs & PM @albinkurti.
    Recent developments put years of hard work under Belgrade-Pristina Dialogue at risk.
    Called on both sides to refrain from any unilateral actions which might lead to further tensions.
    Full statement ⬇️ https://t.co/KAAltL2IzL
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) November 5, 2022

    Il nodo dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo
    La questione delle targhe si lega strettamente e potrebbe trovare una soluzione diplomatica in un altro tema scottante per l’ultimo decennio del dialogo Pristina-Belgrado: l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, secondo l’Accordo di Bruxelles firmato nel 2013. “L’Ue invita le autorità kosovare ad avviare immediatamente le iniziative per la creazione” della comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia, ha puntualizzato con determinazione il portavoce Stano. “L’Assemblea del Kosovo ha ratificato l’Accordo di Bruxelles e la Corte Costituzionale ha stabilito che deve essere istituita, è un obbligo legale vincolante“, la cui mancata attuazione “non solo mette in discussione il principio dello Stato di diritto nella regione di confine, ma danneggia anche la reputazione e la credibilità del Kosovo“.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen e la presidente del Kosovo, Vjosa Osmani
    L’avvertimento era già arrivato nel dicembre dello scorso anno dallo stesso alto rappresentante Borrell, ma né dal premier Kurti né dalla presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, sono mai arrivate aperture sulla questione. Il primo aveva risposto a Borrell che “focalizzare l’attenzione solo su una parte di accordo non implementato a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale del Kosovo è fare gli interessi dei politici di Belgrado, non del popolo che non ha mai protestato”. Mentre la seconda aveva bollato l’Associazione delle municipalità serbe come “una fase preliminare della creazione di una seconda Republika Srpska e noi non vogliamo un altro Stato che non funziona, come quello bosniaco”, con riferimento alla situazione politica delicatissima in Bosnia ed Erzegovina (per le spinte secessioniste nell’entità a maggioranza serba).
    L’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, unita alle concessioni richieste a Pristina da Bruxelles e Washington sulla questione delle targhe, potrebbe però rappresentare una chiave di volta per il superamento del cronico stallo nel dialogo tra i due Paesi balcanici. Dietro le quinte c’è una proposta franco-tedesca di cui al momento non si conoscono i dettagli, se non le indiscrezioni pubblicate in esclusiva dall’Albanian Post: nell’accordo che dovrebbe essere firmato nel 2023, in cambio dei compromessi da parte di Pristina, la Serbia si impegnerebbe a prendere atto della “realtà del Kosovo indipendente” (al momento senza un riconoscimento formale, che avverrebbe tra altri 10 anni). Da Bruxelles non arrivano né smentite né conferme alle anticipazioni, ma la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato apertamente al summit del Processo di Berlino di giovedì scorso (3 novembre) che c’è “pieno supporto dalla Commissione alla proposta franco-tedesca, sarà integrata nel dialogo facilitato dall’Ue tra Serbia e Kosovo“, dal momento in cui rappresenta “un ponte gettato per risolvere i problemi nel modo più veloce”.

    Dopo l’escalation che ha portato al ritiro dei serbi dalle istituzioni nazionali kosovare per la decisione del governo di imporre un piano a tappe per l’eliminazione delle targhe serbe nel Paese, da Bruxelles arrivano richieste di distensione e di attuazione di tutti gli accordi già presi