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    Sulla Serbia l’Ue rimane in silenzio. Dopo Costa, neanche Kallas critica Vučić

    Bruxelles – Altro giro, altri mezzi silenzi. L’Ue non vuole alzare la voce con la Serbia, scegliendo di non prendere di petto due questioni fondamentali: la vicinanza del presidente Aleksandar Vučić alla Russia di Vladimir Putin e la repressione delle proteste antigovernative. In visita a Belgrado, Kaja Kallas è stata giusto un pelo più loquace di António Costa, che l’aveva preceduta di una decina di giorni. Ma nemmeno lei è riuscita a pronunciare una condanna chiara e netta né dell’autoritarismo del leader serbo né dello scivolamento del Paese candidato verso Mosca.Per la seconda volta nel giro di una decina di giorni, uno dei vertici comunitari si è presentato a Belgrado per confrontarsi con la leadership serba sui progressi nel processo di adesione. Oggi (22 maggio) è toccato a Kaja Kallas, dopo che lo scorso 13 maggio era stato il turno del presidente del Consiglio europeo António Costa.Rispetto a quest’ultimo, l’Alta rappresentante è stata un po’ più schietta. “Voglio sottolineare che abbiamo bisogno di vedere azioni” concrete da parte del Paese balcanico che dimostrino una reale volontà di progredire sulla strada dell’ingresso in Ue, ha dichiarato di fronte ai giornalisti. L’unico modo per Belgrado di avanzare sul sentiero europeo, ha detto, è realizzare “riforme reali”, non cosmetiche. “Non ci sono scorciatoie per l’adesione”, ha aggiunto, suggerendo che “i prossimi passi includono la libertà dei media, la lotta alla corruzione e la riforma elettorale“.My message to the authorities in Belgrade is clear.I want to see Serbia advancing towards the EU. For that, political leaders must deliver the necessary reforms and clarify the strategic direction.This is best done by restoring trust and staying true to democratic principles. pic.twitter.com/I9Jv9BV33P— Kaja Kallas (@kajakallas) May 22, 2025Queste riforme, ha osservato, porteranno benefici a tutta la popolazione, a partire dai giovani animatori dell’agguerrito movimento studentesco, che da mesi si stanno riversando nelle piazze per chiedere un impegno serio contro la corruzione dilagante e reclamare il proprio futuro europeo. Un futuro in cui “l’autonomia delle università dev’essere rispettata”, dice Kallas, riconoscendo esplicitamente le rivendicazioni dei manifestanti.Ma la sua loquacità si è fermata lì. Nessuna condanna della repressione delle proteste ordinata dal governo, oltre a vaghe parole sulla necessità che “i Paesi candidati seguano i princìpi dei diritti umani” tra cui quello a un giusto processo, negato invece agli studenti detenuti arbitrariamente nelle carceri serbe.E nessuna condanna esplicita nemmeno del clamoroso viaggio del presidente Vučić a Mosca, dove ha partecipato alle celebrazioni dello scorso 9 maggio insieme a Vladimir Putin. Un vero e proprio schiaffo in faccia alla stessa Kallas, che aveva personalmente esortato i leader di Stati membri e Paesi candidati a non presentarsi sulla Piazza Rossa (in rappresentanza della prima categoria c’era il premier slovacco Robert Fico).Rispondendo ad una domanda sul tema, il capo della diplomazia a dodici stelle si è limitata a ripetere che “il mio punto di vista è molto chiaro, non capisco perché sia necessario stare fianco a fianco con la persona che sta conducendo questa orribile guerra in Ucraina“. Per poi aggiungere, senza elaborare oltre, che il capo dello Stato “mi ha spiegato la sua versione della storia” nel corso di una “discussione molto lunga”.Il presidente russo Vladimir Putin (sinistra) e il suo omologo serbo Aleksandar Vučić (foto: Alexander Zemlianichenko/Afp)La vicinanza di Vučić al Cremlino è uno dei motivi di maggior imbarazzo a Bruxelles per quel che riguarda la politica estera del Paese candidato. L’altro elemento che sta “ostacolando l’allineamento con la Pesc“, cioè la politica estera dell’Ue, è lo stallo in cui si trova il processo noto come dialogo Belgrado-Pristina, il cui obiettivo è la normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Serbia e Kosovo.“La Serbia sta affrontando scelte geostrategiche” importanti, ha rimarcato Kallas, e deve decidere “dove vuole stare”. “Il futuro europeo della Serbia dipende dai valori che sceglie di sostenere” in patria e all’estero, dice l’Alta rappresentante: sia nei rapporti con la Russia sia nelle relazioni di vicinato, a partire dal Kosovo e dalla Bosnia-Erzegovina.L’invito di Kallas: “È tempo di superare il passato e focalizzarci sul futuro comune“. Bruxelles incoraggia i partner dei Balcani occidentali a “far tesoro dello slancio attuale sull’allargamento”, pur riconoscendo la lentezza di un processo che finora ha prodotto pochi risultati concreti. Il rischio, se i Paesi candidati implementano le riforme ma i Ventisette non fanno “i compiti a casa”, è quello di alimentare “frustrazione” nei cittadini, riconosce Kallas.La sua visita a Belgrado è la prima tappa di un tour nella regione che ricalca, seppur in versione ridotta, quello di Costa: lasciata la Serbia, l’Alta rappresentante si è recata in Kosovo. Da Pristina ha annunciato che l’Ue “ha iniziato a rimuovere gradualmente le misure introdotte nel giugno 2023“, cioè le sanzioni seguite agli scontri nel nord del Paese, ma che la rimozione totale rimane “condizionale” ad una completa de-escalation. Domani, l’Alta rappresentante concluderà il suo viaggio in Macedonia del nord.

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    Costa incontra Vučić, ma non condanna lo scivolamento di Belgrado verso Mosca

    Bruxelles – L’Ue abbandona il bastone e sceglie la carota con la Serbia di Aleksandar Vučić, nonostante il leader autoritario continui a tenersi in stretti rapporti con Vladimir Putin e a gestire il Paese come un feudo personale. Il presidente del Consiglio europeo António Costa, in visita ufficiale nella capitale, ha mostrato un volto amichevole, incoraggiando lo Stato candidato a proseguire sulla via delle riforme e chiudendo un occhio sulle violazioni dello Stato di diritto.Inizia a Belgrado il tour di António Costa nei Balcani occidentali: tre giorni di incontri nelle cancellerie della regione, che si muovono in ordine sparso (e a velocità diverse) verso l’adesione al club a dodici stelle. Stamattina (13 maggio) è in Serbia, nel pomeriggio si sposterà in Bosnia-Erzegovina; quindi Montenegro, Kosovo, Macedonia del nord e infine Albania, dove venerdì (16 maggio) si terrà il sesto summit della Comunità politica europea.Adesione e riformeIl principale impegno istituzionale di Costa è stato un bilaterale con Aleksandar Vučić, il capo di Stato nazionalista al potere dal 2014 che sta trasformando la democrazia serba in un regime autoritario e sta spostando Belgrado sempre più lontana da Bruxelles e sempre più vicina a Mosca. Le rispettive delegazioni, riunitesi dopo il faccia a faccia tra i leader, si sono confrontate soprattutto sulle relazioni Ue-Serbia nella prospettiva dell’allargamento dell’Unione ai Balcani occidentali, nonché sulle opportunità di cooperazione economica.There is a positive momentum for enlargement and a clear opportunity for Serbia to seize it.During my meetings today in Belgrade with President @avucic, PM Macut @SerbianGov and Parliament speaker @anabrnabic, I stressed the importance of progressing towards EU accession… pic.twitter.com/alm4DhzBGA— António Costa (@eucopresident) May 13, 2025Durante una conferenza stampa congiunta al palazzo presidenziale, i due non hanno lesinato sulle buone maniere e i convenevoli. Costa si è detto compiaciuto di sapere che “l’integrazione nell’Ue rimane una priorità assoluta” del governo serbo e ha lodato la traiettoria di quello che ha definito un “Paese stabile, pacifico e prospero, che ha affrontato l’eredità del passato e ha scelto di abbracciare il suo futuro democratico ed europeo”.Il processo di adesione, ha sottolineato il presidente del Consiglio europeo, non è un’imposizione di Bruxelles ma “una libera scelta di ogni Stato” cui va dato seguito attraverso una serie di azioni concrete. Per tenere fede agli impegni presi, il governo serbo deve ora lavorare alacremente alle riforme. Il terzo cluster dei negoziati verrà aperto quando Belgrado avrà compiuto progressi sufficienti sulla libertà dei media, il contrasto alla corruzione e la riforma della legge elettorale.L’asse Belgrado-Mosca (che imbarazza Bruxelles)Ma c’erano un paio di grossi elefanti nella stanza che ospitava Costa, Vučić e i giornalisti. Il primo è la vicinanza politica del presidente serbo all’omologo russo Vladimir Putin, particolarmente scomoda in questa fase storica. Una relazione tossica che, almeno teoricamente, dovrebbe creare forti imbarazzi al leader di un Paese candidato all’ingresso in Ue ma che, a quanto pare, non scalfisce eccessivamente la prima carica dello Stato balcanico.Non è passata inosservata ai cronisti la partecipazione dell’uomo forte di Belgrado alla parata della vittoria sulla Piazza Rossa a Mosca, lo scorso 9 maggio. Un vero e proprio schiaffo in faccia al capo della diplomazia comunitaria Kaja Kallas, che il mese scorso aveva esortato Stati membri e Paesi candidati a non recarsi alla corte dello zar con un ammonimento scivolato addosso tanto al presidente serbo quanto al premier slovacco Robert Fico.Il presidente russo Vladimir Putin durante le celebrazioni per l’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista, il 9 maggio 2025 a Mosca (foto: Vyacheslav Prokofyev/Sputnik via Afp)Ma Costa ha gettato acqua sul fuoco, sostenendo che la visita di Vučić nella capitale della Federazione fosse unicamente intesa a “celebrare un evento del passato” (cioè gli 80 anni della vittoria sovietica sulla Germania nazista nel 1945), mentre “nel presente la Serbia è pienamente impegnata nel processo di adesione“, come certificato dal suo interlocutore.Affinché questo processo vada in porto, ha rimarcato tuttavia l’ex premier portoghese, Belgrado deve garantire “pieno allineamento” con la politica estera e di sicurezza comune (Pesc) dell’Unione, che passa attraverso la condanna dell’invasione russa dell’Ucraina e il sostegno a Kiev. “Non possiamo celebrare la liberazione di 80 anni fa e non condannare l’invasione di altri Paesi oggi“, ha osservato Costa. Per poi tornare però a tendere la mano a Vučić: “Non abbiamo la stessa visione su tutto”, ha ammesso, ma “l’unico modo per affrontare le divergenze è parlare e capirsi“.Il silenzio sulle proteste antigovernativeIl secondo elefante nella stanza era la gestione di Vučić dello Stato serbo, dove la corruzione dilaga e l’impunità ostacola un vero cambiamento. Da mesi, anziché placarsi continuano a ingrossarsi quelle che potrebbero essere le più grosse proteste antigovernative nel Paese almeno dai tempi della cacciata del leader comunista Slobodan Milošević a inizio millennio, dopo il crollo della Jugoslavia. Manifestazioni oceaniche che l’apparato di sicurezza di Belgrado reprime con la violenza ricorrendo, pare, anche a strumenti banditi dalle convenzioni internazionali come i cosiddetti “cannoni sonici“.Da quando, lo scorso novembre, è crollata una pensilina a Novi Sad uccidendo 15 persone, un’ondata di malcontento popolare ha sconvolto il Paese balcanico minacciando di far traballare la presa di Vučić sul potere. Ad animare le piazze serbe è soprattutto un movimento studentesco motivato e organizzato, che giusto ieri (12 maggio) è arrivato a Bruxelles dopo una maxi-maratona a staffetta di quasi 2mila chilometri per portare di fronte al Berlaymont la protesta – ormai ampiamente trasversale e intergenerazionale – di un popolo che vuole costruire per sé un futuro europeo anziché rimanere un satellite del Cremlino.Manifestanti a Belgrado, il 15 marzo 2025 (foto: Andrej Isakovic/Afp)Su questo aspetto (un punto su cui la stessa Commissione Ue ha iniziato ad alzare la voce negli ultimi tempi), tuttavia, i due leader hanno glissato diplomaticamente. Non una parola sull’erosione dello Stato di diritto o sulla repressione del dissenso, due dinamiche che pure non si sposano troppo bene coi criteri di Copenaghen che i Paesi candidati devono soddisfare per aderire all’Unione.Per ora, Costa preferisce mantenere un tono conciliante. Da quando ha assunto l’incarico di presidente del Consiglio europeo lo scorso dicembre, si è fatto vanto di aver posto al centro dell’attenzione i partner dei Balcani occidentali nell’ottica dell’allargamento del club a dodici stelle. Prima di ripartire alla volta di Sarajevo, l’ex premier portoghese ha incontrato anche il premier Duro Macut e la presidente del Parlamento, Ana Brnabić.

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    Serbia, Bruxelles al nuovo governo: “Le nostre richieste in linea con quelle degli studenti”

    Bruxelles – Dopo mesi di ambiguità, la Commissione europea coglie l’opportunità del nuovo governo in Serbia per mettere le cose in chiaro e fissare alcune linee rosse: ciò che l’Ue chiede al Paese candidato all’adesione di lunga data è “strettamente in linea con le richieste dei cittadini che protestano“, ha dichiarato la responsabile per l’Allargamento, Marta Kos, rivolgendosi al neo-premier Djuro Macut e ad una delegazione degli studenti che da novembre alimentano l’ondata di proteste contro l’autoritario presidente Aleksandar Vučić.Nella prima visita nel Paese balcanico da quando, lo scorso 7 aprile, Vučić ha consegnato l’esecutivo in mano al sessantunenne medico e professore universitario Macut – che non ha alcuna esperienza politica e non è iscritto ad alcun partito, ma ha sostenuto in passato il Partito Progressista Serbo (SNS) del presidente -, Kos ha voluto lanciare un messaggio. Dopo gli incontri istituzionali a Belgrado con Vučić e Macut, si è recata alla stazione di Novi Sad per deporre un mazzo di rose nel luogo dell’incidente in cui, lo scorso 1 novembre, persero la vita 15 persone. Ha incontrato organizzazioni della società civile, studenti, professori e delegazioni dei partiti d’opposizione.La commissaria Ue per l’Allargamento, Marta Kos, a Novi Sad, 30/4/25In un post su X indirizzato agli “studenti di Novi Sad”, ha affermato: “Vi capisco. Voglio ribadire che ciò che l’Ue chiede alla Serbia è strettamente in linea con le richieste dei cittadini che protestano. Ma la cosa più importante è che voi, le giovani generazioni, possiate beneficiare delle numerose opportunità che l’Ue ha da offrire“. Un’offerta presentata dalla stessa Kos al premier e reiterata a favore di telecamere: “La nostra offerta al popolo serbo è la seguente – ha dichiarato la commissaria -: collaborate con noi alle riforme necessarie per rendere possibile la vostra adesione all’Ue, collaborate con noi per istituire un sistema giudiziario indipendente e in grado di combattere la corruzione, collaborate con noi per mettere in campo leggi e istituzioni che garantiscano la libertà e l’indipendenza dei vostri media, collaborate con noi per istituire un quadro elettorale che assicuri che sia la volontà del popolo serbo e solo la sua volontà a decidere le maggioranze”.Una mano tesa verso gli studenti, l’altra verso il governo di Macut, di cui Kos “sente l’energia a collaborare con noi”. Nel tentativo di riconciliare un Paese che rischia di perdere un treno che passa “una volta in una generazione”, quello per “completare l’unificazione dell’Europa”. In un intervento deciso, Kos ha sottolineato che “molti paesi candidati se ne sono resi conto e stanno attuando riforme più rapidamente che mai”. Lo stesso non si può dire per Belgrado, impantanata in un regime sempre più impopolare e autoritario, oltre che disallineato con Bruxelles in politica estera. “Mi piacerebbe che lo stesso accadesse in Serbia – ha aggiunto -. Senza questi cambiamenti, la Serbia non può progredire nel suo percorso verso l’Ue“.Marta Kos e, alla sua destra, il neo premier serbo Djuro Macut, 29/04/25Non ha più mani da tendere invece verso Vučić, l’uomo al potere dal 2014 e principale responsabile dell’allontamento della Serbia dal percorso europeo. Il leader nazionalista, che ha rafforzato i legami con Vladimir Putin negli ultimi anni, è atteso a Mosca il 9 maggio, per partecipare alle celebrazioni del Giorno della vittoria, anniversario della sconfitta del nazismo e della fine della seconda guerra mondiale. Secondo quanto affermato da un portavoce della Commissione europea, Kos ha trasmesso al presidente filo-russo “un messaggio condiviso anche da molti Stati membri”, e cioè che la sua eventuale partecipazione alla parata del 9 maggio “avrà un impatto sul percorso” della Serbia nell’Ue.D’altro canto, Vučić ha descritto l’incontro con Kos come una “buona conversazione sulle sfide e le opportunità chiave del nostro percorso europeo”, e sottolineato “la piena disponibilità ad accelerare le riforme, non per esigenze burocratiche, ma perché crediamo che esse portino una vita migliore ai nostri cittadini”. Forse Vučić non si riferiva a quei 47 cittadini che hanno adito la Corte europea dei diritti dell’uomo, denunciando il presunto utilizzo di un cannone sonico – illegale in Serbia – per disperdere i manifestanti in occasione dell’enorme protesta dello scorso 15 marzo a Belgrado. Oggi la Cedu, sottolineando che fino a 4 mila persone hanno riportato l’accaduto, ha accolto parzialmente le richieste dei ricorrenti e indicato una misura provvisoria al governo serbo: “Fino a nuovo ordine, qualsiasi uso di dispositivi sonori a fini di controllo delle folle deve essere impedito in futuro”.To the students of Novi Sad: I hear you.I want to reiterate that what the EU asks from Serbia closely aligns with the demands of the citizens protesting.Most importantly, I want you, the young generation to benefit from the many opportunities the EU has to offer. pic.twitter.com/Ff6FiQcA6J— Marta Kos (@MartaKosEU) April 30, 2025

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    Serbia, von der Leyen e Costa non scaricano Vučić. Ma insistono su riforme e lotta alla corruzione

    Bruxelles – Travolto dalla rabbia dei cittadini in patria, l’autoritario presidente serbo Aleksandar Vučić trova sollievo a Bruxelles, dove i leader Ue Ursula von der Leyen e Antonio Costa hanno pensato che fosse il momento opportuno per ospitarlo per una cena che lo stesso Vučić ha definito “cordiale, concreta, aperta, responsabile e seria”. Una portavoce della Commissione europea aveva anticipato che le proteste in corso da oltre 4 mesi avrebbero “benissimo potuto essere oggetto di discussione”, ma il messaggio che trapela dall’incontro rischia di essere un altro: l’Ue, per ragioni strategiche ed economiche, sceglie di non scaricare Vučić voltando le spalle alle aspirazioni del popolo serbo di un taglio netto con il regime al potere da dodici anni.“Abbiamo discusso della necessità di avanzare nelle riforme relative all’Ue. Sono necessari progressi nella libertà dei media, nella lotta alla corruzione e nella riforma elettorale“, ha affermato il presidente del Consiglio europeo a margine della cena con il leader nazionalista serbo. Secondo Costa, “sono a portata di mano risultati tangibili in settori che possono apportare benefici diretti al popolo serbo. Il futuro della Serbia è nell’Ue“. Von der Leyen, con un post su X, ha sottolineato che il Paese – da undici anni candidato all’adesione all’Ue – deve portare avanti le riforme “in particolare per compiere passi decisivi verso la libertà dei media, la lotta alla corruzione e la riforma elettorale”.Manifestanti a Belgrado, 15/03/25 (Photo by Andrej ISAKOVIC / AFP)Secondo Srđan Cvijić, presidente dell’International Advisory Committee of the Belgrade Centre for Security Policy, la percezione pubblica in Serbia dell’incontro “è stata ampiamente negativa, poiché molti lo vedono come un segno del continuo sostegno dell’Unione Europea al governo sempre più autoritario di Vučić“. Contattato da Eunews, l’analista politico suggerisce però che “un’analisi più attenta rivela un cambiamento nel tono e nel trattamento riservato” al leader servo rispetto ad incontri precedenti.In particolare, von der Leyen si era recata in Serbia poco prima dell’inizio delle proteste, il 25 ottobre 2024, ed in una conferenza stampa congiunta con Vučić aveva lodato i progressi di Belgrado nello stato di diritto e nelle riforme democratiche. Dichiarazioni “in netto contrasto con la reale traiettoria politica del Paese”, che “hanno suscitato forti reazioni tra i cittadini serbi favorevoli all’integrazione europea“, sottolinea Cvijić. A confronto, il protocollo seguito ieri “è stato visibilmente più sobrio”. Nessun “caro Aleksandar”, nessuna conferenza stampa congiunta, solo una breve dichiarazione scritta in cui i leader Ue hanno evidenziato la necessità di maggiori sforzi su libertà dei media, lotta alla corruzione e riforma elettorale, piuttosto che soffermarsi sui progressi già acquisiti.Srđan Cvijić, presidente dell’International Advisory Committee of the Belgrade Centre for Security PolicyBen più elaborata è stata invece la ricostruzione dell’incontro offerta ai media da Vučić. A partire dalle accuse sull’utilizzo da parte delle forze dell’ordine di un’arma sonica a lungo raggio per disperdere i manifestanti durante l’imponente manifestazione dello scorso 15 marzo. Vučić ha assicurato ai leader europei che “non c’era nessun cannone sonoro, che siamo pronti a verificarlo in ogni modo, che forniremo anche una risposta alla Corte europea dei diritti dell’uomo”. Prima di specificare curiosamente che “il suo utilizzo non è vietato da nessuna parte in Europa” e che “negli Stati Uniti lo usano quasi ogni giorno”.In una nota pubblicata sul sito ufficiale del presidente serbo, si legge che Vučić avrebbe riaffermato l’impegno assoluto di Belgrado “nel percorso verso l’Ue, ancora di più di quanto non lo sia stata finora”. Non proprio quel che è emerso nell’ultimo rapporto Ue sull’Allargamento, pubblicato il 30 ottobre 2024 – il giorno prima dell’incidente alla stazione di Novi Sad che ha causato 15 vittime e scatenato le proteste in Serbia -: nel documento veniva evidenziato soprattutto il disallineamento rispetto alla politica estera comunitaria, i continui ammiccamenti verso Mosca e Pechino, ma anche l’avanzamento a rilento sulle riforme sullo Stato di diritto e sulla normalizzazione dei rapporti con il Kosovo. “Credo che entro la fine dell’anno il nostro obiettivo sia quello di aprire almeno due cluster per progredire rapidamente verso l’Ue”, ha affermato Vučić. La Serbia ha aperto 22 dei 35 capitoli negoziali del suo processo di adesione, con due chiusi solo provvisoriamente.“Presto avremo una decisione sulla formazione di un nuovo governo o su nuove elezioni”, avrebbe comunicato Vučić ai due leader Ue. A Belgrado è ancora insediato il governo del dimissionario Miloš Vučević, una delle teste saltate sotto la pressione delle proteste studentesche. Il premier aveva fatto un passo indietro lo scorso 28 gennaio, e sono dunque ampiamente scaduti i 30 giorni previsti dalla legge serba per incaricare un nuovo esecutivo o richiamare i cittadini alle urne.I leader avrebbero discusso inoltre di economia e investimenti, nonché dell’interesse dell’Unione europea “per le risorse minerarie e i progetti comuni con la Serbia”. Proprio ieri Bruxelles ha adottato il primo elenco di 47 progetti strategici per l’approvvigionamento di materie prime critiche nei Paesi membri. In Serbia, nella valle di Jadar, tiene banco da anni la vicenda della possibile costruzione del sito di estrazione di litio più grande d’Europa. L’Ue ci ha messo gli occhi da tempo, ed è uno dei motivi per cui Bruxelles è pronta a fare concessioni al regime serbo. Secondo Vučić, “nel giro di sette o otto giorni” Jadar sarà indicato come “progetto strategico dell’Ue in Paesi terzi”.Il presidente nazionalista si è detto in definitiva convinto che il colloquio “abbia significato molto per il futuro della Serbia”. Per l’Ue però – ne è sicuro Srđan Cvijić- Vučić è “un partner sempre più tossico e politicamente oneroso”.

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    Serbia, Vučić sempre più repressivo: raid della polizia nelle sedi di quattro Ong, per far piacere a Trump

    Bruxelles – Travolto dal più grande movimento di protesta dai tempi del crollo regime diSlobodan Milošević, in Serbia il presidente autoritario Aleksandar Vučić mostra i muscoli contro la società civile. E lo fa approfittando dell’ordine esecutivo con cui Donald Trump ha congelato i fondi americani destinati agli aiuti all’estero: ieri (25 febbraio) la polizia serba ha fatto irruzione nelle sedi di quattro Ong che ricevevano fondi da USAID e sospettate di uso improprio di fondi e riciclaggio di denaro.Le quattro organizzazioni prese di mira dall’indagine avviata dal Dipartimento Speciale della Procura della Repubblica sono il Center for Research, Transparency and Accountability, Civic Initiatives, Center for Practical Politics e Trag Foundation. Tutte e quattro si occupano da anni di diritti umani e civili, stato di diritto, elezioni democratiche, e via dicendo.L’Ufficio del Procuratore Generale di Belgrado ha confermato l’apertura del caso e di aver contattato il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti per fornire le informazioni necessarie in merito ai “sospetti che i massimi funzionari del governo statunitense hanno precedentemente espresso in merito all’uso improprio di fondi, al possibile riciclaggio di denaro e all’uso improprio dei fondi dei contribuenti statunitensi in Serbia”.Nel comunicato diffuso dalla Procura, si citano “il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il segretario di Stato americano Marco Rubio, il segretario stampa della Casa Bianca Karoline Leavitt, nonché il Dipartimento per l’efficienza del governo guidato da Elon Musk e anche il direttore dell’FBI Kash Patel”, tra coloro che “hanno espresso sospetti sul lavoro di USAID”.Aleksandar Vučić (credits: Angela Weiss / Afp)Ma le ong hanno accusato lo Stato di “attaccare i diritti civili fondamentali e di continuare a esercitare pressioni illegali sulla società civile in Serbia”. Vučić avrebbe colto l’occasione per intensificare la repressione: l’avvio dell’indagine segue infatti settimane di dichiarazioni pubbliche da parte di esponenti del governo, e dello stesso presidente, che alludevano al finanziamento delle proteste studentesche da parte dell’agenzia statunitense. Dall’inizio delle proteste scoppiate per un incidente alla stazione di Novi Sad in cui sono morte 15 persone, Vučić ha più volte lanciato generiche accuse di ingerenze straniere per sobillare i manifestanti.Civic Initiatives ha rilasciato una dichiarazione in cui conferma che nella mattina di martedì una ventina di agenti della polizia sono entrati nei loro uffici senza mostrare alcun mandato di perquisizione. Allo stesso tempo le forze dell’ordine hanno fatto irruzione anche nella sede del think-tank Center for Practical Politics, che si trova nello stesso edificio, nonostante quest’ultima non abbia alcun progetto finanziato da USAID. Il direttore del think-tank, Dragan Popović, si è sfogato con un post su X, in cui ha definito la perquisizione “una dimostrazione insensata dei muscoli del regime autoritario”.Popović si è detto preoccupato per il fatto che “l’azione di Trump contro l’USAID venga utilizzata per minacciare il lavoro della società civile in Serbia”. Timore condiviso oltreoceano da Amnesty International Usa, secondo cui il raid della polizia contro le ong in Serbia “è un esempio orribile” di come “le accuse di Trump e Musk contro USAID senza prove documentate o un giusto processo hanno minacciato i partner che si occupano di diritti umani in tutto il mondo”. La Serbia non è l’unico Paese ad aver lanciato campagne contro le ong dopo le accuse di Trump sull’operato di USAID. Il primo ministro slovacco Robert Fico ha affermato che nel suo paese i fondi “sono stati usati senza dubbio per fini politici, con l’obiettivo di favorire alcuni partiti”, e ha promesso indagini più approfondite.Le proteste oceaniche in Serbia contro il presidente Aleksandar Vučić (foto: Tadija Anastasijevic/Afp)A distanza di oltre un giorno, non è arrivato alcun commento dai vertici delle istituzioni europee. Né dall’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, né dalla commissaria per l’Allargamento, la slovena Marta Kos. Eppure Belgrado è in corsa per l’adesione all’Unione europea e come tale dovrebbe garantire un determinati standard di rispetto dello stato di diritto. Scegliendo il silenzio, di fatto l’Ue sostiene il regime di Vučić ai danni delle aspirazioni democratiche del movimento di protesta che guidato dagli studenti. Sacrificati sull’altare della stabilità: l’Ue non vuole isolare la Serbia, paese già pericolosamente nell’orbita di Mosca e capace di destabilizzare tutta la regione.

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    In Kosovo ha vinto di nuovo Kurti, ma governare sarà complesso

    Bruxelles – Come da aspettative, il primo ministro kosovaro uscente Albin Kurti ha di nuovo vinto le elezioni. Ma stavolta sarà più difficile governare, perché il suo partito non ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti e dovrà formare una coalizione. Chiunque salga al potere a Pristina, uno dei nodi principali per i prossimi anni sarà quello delle relazioni con la vicina Serbia, che non sembrano tuttavia destinate a migliorare rapidamente.Non ci sono stati grandi colpi di scena – almeno rispetto a quanto anticipato dai sondaggi della vigilia – alle elezioni legislative tenutesi ieri (9 febbraio) in Kosovo, alle quali ha preso parte appena il 40,6 per cento degli aventi diritto contro quasi il 48,8 per cento del 2021. Nel Paese più giovane d’Europa hanno votato poco meno di 800mila elettori, mentre sarebbero oltre 14mila le schede raccolte dalle comunità della diaspora, anche se il loro conteggio verrà finalizzato con ogni probabilità domani.Con circa il 90 per cento dei voti scrutinati, stando ai dati della Commissione elettorale centrale è in testa il partito del premier uscente Albin Kurti, Vetëvendosje (abbreviato in Vv, letteralmente “Autodeterminazione”), con il 41,05 per cento dei consensi espressi. Al secondo posto, con distacco, c’è il Partito democratico del Kosovo (Partia Demokratike e Kosovës, Pdk) al 22,26 per cento e, dietro, la Lega democratica del Kosovo (Lidhja Demokratike e Kosovës, Ldk) al 17,6 per cento. Si tratta di una flessione di oltre 9 punti per il Vv di centro-sinistra, mentre il Pdk e l’Ldk (i due principali soggetti del centro-destra) sono cresciuti entrambi di circa 5 punti percentuali. Il quarto partito, l’Alleanza per il futuro del Kosovo (Aleanca për Ardhmërinë e Kosovës, Aak), ha preso poco meno del 7,6 per cento, migliorando leggermente il risultato del 2021.Il primo ministro uscente del Kosovo, Albin Kurti (foto: Armend Nimani/Afp)Pallottoliere alla mano ciò significa che, al contrario di quanto avvenuto negli ultimi quattro anni, Kurti non potrà governare da solo nella nuova legislatura poiché il suo Vv arriverà ben distante dai 61 seggi necessari per ottenere la maggioranza assoluta sui 120 totali del Kuvendi, il Parlamento monocamerale kosovaro, e avrà dunque bisogno di appoggiarsi ad un altro partito per dar vita ad un esecutivo. Lui stesso l’ha riconosciuto implicitamente ieri sera, sottolineando che “la nostra coalizione vincente formerà il nuovo governo“.Kurti ha anche minimizzato la possibilità, ipotizzata da alcuni analisti, che le tre forze dell’opposizione possano unirsi per escludere il Vv dal governo: “È chiaro a chiunque che (il Pdk e l’Ldk, ndr) sono al secondo e al terzo posto e anche se si uniscono non possono competere con Vetëvendosje“, ha dichiarato. D’altro canto, il leader dell’Ldk Lumir Abdixhiku ha pubblicamente ammesso la sconfitta: “Anche se abbiamo avuto un aumento considerevole” dei consensi rispetto al 2021, “questo risultato non è soddisfacente“, ha osservato, assumendosi le responsabilità per “un risultato che rispettiamo”.Come da previsioni, infine, la Lista serba (Srpska lista, Sl) otterrà tutti e 10 i seggi che la Costituzione kosovara riserva alla minoranza serba nell’emiciclo. Sl è politicamente vicina alle autorità di Belgrado e al presidente Aleksandar Vučić, che sta attualmente fronteggiando un’ondata di proteste di portata storica ma si è comunque congratulato per il risultato elettorale del partito.Dalla consultazione emerge così un Paese nel limbo, in cui l’acuta polarizzazione politica genera una situazione di incertezza che potrebbe tramutarsi in uno stallo prolungato. La scorsa legislatura, dominata dal Vv di Kurti, è stata la prima nella (breve) storia della nazione balcanica ad essere durata per l’intero mandato di quattro anni, ma non è affatto scontato che quella nata dal voto di ieri riesca a rimanere in carica fino al 2029.Un sostenitore della Lista Srpska (foto: Armend Nimani/Afp)Tanto il Pdk quanto l’Ldk (che dovrebbero ottenere 45 seggi in tutto) hanno escluso di allearsi con il Vv per formare un esecutivo, ma nemmeno per loro sarebbe facile mettere insieme una coalizione sufficientemente ampia per governare escludendo il partito del premier uscente (che, insieme agli alleati, di seggi dovrebbe ottenerne 47).Soprattutto, il principale problema per il nuovo esecutivo – qualunque sia il suo colore politico – sarà quello delle relazioni con Belgrado, che in questi anni sono state piuttosto complicate a causa della posizione marcatamente nazionalista di Kurti. L’annosa questione della normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Kosovo e Serbia rimane al primo posto nell’agenda internazionale di Pristina, e le pressioni per raggiungere qualche tipo di risultato aumenteranno nei prossimi mesi a causa anche del congelamento dei finanziamenti allo sviluppo statunitensi voluto dal nuovo presidente Donald Trump, i quali fornivano ossigeno all’economia stagnante del Paese balcanico. In un simile contesto, peraltro, il dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’Ue è in panne da due anni.Come sottolineato da alcuni osservatori, del resto, le idee sul tavolo per la ripresa dei rapporti tra i due Stati – ad esempio la creazione di un’associazione di comuni a maggioranza serba nel Kosovo settentrionale, o lo scambio di terre ipotizzato dallo stesso presidente Usa – appaiono elettoralmente poco remunerative, e difficilmente i leader di qualunque partito si assumeranno la responsabilità di tradurle in realtà. Considerata l’instabilità politica emersa dalle urne e la possibilità della convocazione di elezioni anticipate nel breve periodo (dalle quali l’opposizione uscirebbe verosimilmente rafforzata), gli incentivi per progredire sulla strada della normalizzazione sembrano piuttosto scarsi.

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    Kosovo, il voto di domenica è un referendum sul premier Kurti

    Bruxelles – Kosovo alle urne. Le elezioni di domenica prossima (9 febbraio) segnano un momento chiave nella vita politica della giovane nazione balcanica e rappresentano di fatto un referendum personale sul premier Albin Kurti, sfidato dalle opposizioni parlamentari che però restano disunite. L’esito dell’appuntamento elettorale determinerà con buona probabilità l’allineamento internazionale di Pristina per i prossimi anni, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con Belgrado.Il primo ministro uscente Albin Kurti è il primo ad essere arrivato a fine mandato da quando il Paese ha dichiarato la propria indipendenza dalla Serbia nel 2008. Quattro anni fa, nel febbraio 2021, il leader del Movimento per l’autodeterminazione (Vetëvendosje, Vv) di centro-sinistra aveva travolto gli avversari ottenendo a sorpresa più del 50 per cento dei consensi. E ora vuole ripetere il colpo.Kurti è accusato da più parti di non aver lavorato abbastanza per ottenere un più ampio riconoscimento diplomatico per il Kosovo, soprattutto a causa delle tensioni con la vicina Serbia, che anzi secondo i critici il capo del governo di Pristina avrebbe intenzionalmente rinfocolato nel corso del suo mandato. Ha bollato Belgrado come proxy di Mosca, e si è lamentato dell’atteggiamento occidentale nei confronti delle autorità serbe, giudicato eccessivamente accomodante. La sua campagna elettorale è incentrata principalmente sul contrasto alla corruzione, sulla piena indipendenza nazionale e sul muro contro muro con la Serbia.I suoi principali sfidanti sono Bedri Hamza, candidato del Partito democratico del Kosovo (Partia Demokratike e Kosovës, Pdk), e il leader della Lega democratica del Kosovo (Lidhja Demokratike e Kosovës, Ldk) Lumir Abdixhiku. I liberal-conservatori del Pdk, che quattro anni fa ha ottenuto il 17 per cento, stanno puntando in campagna elettorale sulle riforme economiche e la necessità di rafforzare le relazioni internazionali di Pristina. Un approccio più equilibrato ai rapporti con Belgrado è proposto anche dall’Ldk di centro-destra (12,7 per cento del voto popolare nel 2021), con Abdixhiku che sostiene la necessità di ricostruire la credibilità del Paese in generale e i legami con l’Occidente in particolare.Le proteste oceaniche in Serbia contro il presidente Aleksandar Vučić (foto: Tadija Anastasijevic/Afp)Stando ai sondaggi, il Vv di Kurti è ancora saldamente in testa alle intenzioni di voto, con un virtuale 52 per cento dei consensi, mentre il Pdk e l’Ldk arrancano alle sue spalle ad oltre 30 punti, collocandosi rispettivamente al 19 e 15 per cento. Le forze dell’opposizione, inclusa l’Alleanza per il futuro del Kosovo (Aleanca për Ardhmërinë e Kosovës, Aak) che si aggira sull’8 per cento, non sono finora riuscite a dare vita ad un fronte comune contro il premier uscente, data la rivalità che persiste tra i partiti.Ora, se il Vv non dovesse ottenere la maggioranza assoluta, dovrebbe formare una coalizione, e in tal caso una pedina di scambio cruciale potrebbe diventare la presidenza della Repubblica. Attualmente la carica è occupata da Vjosa Osmani, compagna di partito di Kurti, ma il suo mandato scadrà nell’aprile 2026.Dei 120 seggi al Kuvendi, il Parlamento monocamerale di Pristina, 20 sono riservati alle minoranze etniche, tra cui 10 per quella serba. Lo scorso dicembre, la Commissione elettorale centrale kosovara aveva bandito la Lista serba (Srpska lista) dalla competizione di dopodomani, ma la decisione è stata successivamente annullata dalla Commissione elettorale per i reclami (Pzap).L’appuntamento con le urne arriva in un momento di particolare tensione geopolitica internazionale, che si riflette anche nella regione. Oltre alle massicce proteste in corso in Serbia, dove centinaia di migliaia di cittadini stanno chiedendo le dimissioni del presidente Aleksandar Vučić, ad aggiungere incertezza nel contesto dei Balcani occidentali è anche la nuova linea assunta in politica estera dalla Casa Bianca dopo il ritorno di Donald Trump. Con la decisione shock di congelare le operazioni dell’Usaid in giro per il mondo, viene messa in forte discussione la presenza statunitense in questo angolo d’Europa, dove l’integrazione euro-atlantica ha storicamente avuto un ruolo chiave per contrastare l’influenza di altri attori, soprattutto della Russia di Vladimir Putin.Belgrade-Pristina Dialogue: @EUCouncil appoints Peter Sørensen as EU Special Representative @EUSR_Dialogue, replacing @MiroslavLajcak as of 1 Feb. for initial 13 months, to achieve comprehensive normalisation of the relations between Serbia & Kosovo(*)https://t.co/rnhXhRtrar— EU Council Press (@EUCouncilPress) January 27, 2025A fine gennaio il diplomatico danese Peter Sørensen è stato nominato nuovo rappresentante speciale Ue per il dialogo Belgrado-Pristina. Il processo è in stallo da tempo, date le mosse tutt’altro che distensive compiute dal governo kosovaro nei confronti della minoranza serba che abita nel nord del Paese, che hanno contribuito ad un generale irrigidimento delle relazioni.Tra gli Stati membri dell’Unione, sono in cinque a non aver ancora riconosciuto il Kosovo come Paese sovrano e indipendente: Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna. Attualmente, Pristina è considerata una “potenziale candidata” per l’adesione al club europeo, ma finora la linea intransigente di Kurti non ha fatto compiere progressi al Paese balcanico nel cammino per avvicinarsi a Bruxelles. In Kosovo è tuttora presente la missione Nato Kfor, cui partecipano anche militari italiani.

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    Serbia, le proteste segneranno “la fine del regime” di Aleksandar Vučić. Intervista a Srđan Cvijić

    Bruxelles – Come nelle tessere del domino, in Serbia il crollo fatale di una pensilina alla stazione ferroviaria di Novi Sad ha innescato il più grande movimento di protesta dai tempi della caduta del regime di Slobodan Milošević. Venticinque anni dopo, un altro regime rischia di sbriciolarsi di fronte alle manifestazioni che si susseguono da ormai tre mesi, quello “violento e brutale” del Partito progressista serbo (Sns) e del suo leader, il presidente Aleksandar Vučić. “In un modo o nell’altro, questa è la fine del regime di Vučić”, ha predetto in un’intervista a Eunews Srđan Cvijić, analista politico e presidente dell’International Advisory Committee of the Belgrade Centre for Security Policy.Pochi giorni fa, nel tentativo di placare le proteste studentesche, si è dimesso il primo ministro Miloš Vučević, al centro della bufera perché sindaco di Novi Sad ai tempi della ristrutturazione della stazione ferroviaria. “Un non evento”, secondo Cvijić, perché Vučević altro non era che un burattino del presidente, che nei dodici anni al potere “ha concentrato progressivamente tutto il potere su di sé”. Per questo – spiega da Belgrado Cvijić – “non ha sortito alcun effetto sulle manifestazioni“: gli studenti non si sono fermati, e non si fermeranno.Srđan Cvijić, presidente dell’International Advisory Committee of the Belgrade Centre for Security PolicyLa morte di 15 persone – più due feriti gravi – nell’incidente del 15 novembre scorso a Novi Sad ha scoperchiato il vaso di pandora sulla corruzione dilagante nel Paese balcanico, rovesciando per strada migliaia di persone al grido di ‘Corruption kills’. L’avanguardia della mobilitazione sono le Università: gli studenti hanno insediato nelle facoltà dei plenum, organi “dal basso” incaricati di prendere le decisioni e coordinati tra loro a livello nazionale. Senza colori politici e senza leader riconoscibili. “Gli studenti sono estremamente cauti a non avere niente a che fare con la politica, non c’è nessun contatto nemmeno con l’opposizione“, racconta ancora Cvijić, che ha potuto partecipare in prima persona – in quanto membro della società civile – ad alcuni di questi plenum.Nelle piazze di Belgrado e delle principali città serbe, a differenza di quanto succede in Georgia, non si vedono nemmeno bandiere dell’Unione europea. Eppure entrambi sono paesi candidati all’adesione all’Ue, e – a Belgrado come a Tbilisi – nelle mobilitazioni entrano in gioco anche le posizioni marcatamente filo-russe dei propri governi. Ma “qui l’Unione europea è percepita come un alleato di Vučić“, ammette Cvijić, che è stato anche analista politico senior per le relazioni esterne dell’Ue. “A causa di tutta una serie di rapporti economici. È comprensibile, l’Ue non vuole isolare la Serbia, ma ha creato questa percezione”, spiega ancora, mettendo in chiaro che “non vuol dire che popolazione è anti-europea, ma che è delusa dall’Unione europea”.A livello nazionale invece, secondo il politologo serbo l’elusione delle etichette politiche non è soltanto una “decisione pragmatica” per evitare di esporsi alla “macchina del fango incredibilmente feroce” dell’apparato governativo, ma il frutto di anni di “antipolitica di Vučić”, che ha fatto sì che la popolazione “percepisce con sospetto qualsiasi attore politico”. È proprio la mancanza del legame con la politica la chiave del successo travolgente delle proteste: “Gli studenti hanno canalizzato la rivolta di una popolazione intera“, la “frustrazione di dodici anni di questo regime violento e brutale”, e “il livello di solidarietà è incredibile”, conferma Cvijić.Addirittura, dopo una prima fase di arresti coatti durante i cortei di novembre, ultimamente – come durante il blocco stradale messo in atto lo scorso 27 gennaio da studenti e agricoltori su due importanti arterie verso il centro di Belgrado – la polizia stessa non ha voluto intervenire contro i manifestanti. Il partito nazionalista di Vučić si fa vendetta da solo: i responsabili delle violenze commesse sui manifestanti – sarebbero una ventina le persone attaccate in questi mesi – si sono spesso dimostrati affiliati all’Sns, come nel caso dell’agguato, sempre il 27 gennaio, subito a Novi Sad da un gruppo di studenti, colpevoli di aver imbrattato con graffiti e adesivi anti-governativi un ufficio del Partito progressista serbo, e nel quale è rimasta gravemente ferita una donna.Il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e di spalle l’ex premier Miloš Vučević (credits: Oliver Bunic / Afp)“Anche quando il coinvolgimento non è diretto, le violenze sono il risultato dell’istigazione e della propaganda” del regime, accusa Cvijić. Un regime “che assomiglia più a un’organizzazione mafiosa piuttosto che a un governo“. A questo punto, Vučić sembra essere scivolato in uno stretto pozzo, e qualsiasi tentativo di dimenarsi e risalire la china non fa altro che ricacciarlo più in giù. Come le accuse esplicite contro l’ingerenza nelle proteste di “agenti stranieri, provenienti da diversi Paesi occidentali”, che rischiano di alienargli definitivamente il già scarso supporto di cui gode nel resto d’Europa. Come l’apertura ad un rimpasto del governo e le dimissioni del premier: “Ora il regime è in difficoltà, perché se nominerà semplicemente un altro primo ministro come Vučević farà infuriare la gente – spiega Cvijić -, ma nemmeno le elezioni sono un’opzione perché i partiti di opposizione hanno già dichiarato che non parteciperebbero”.L’unica opzione – indica l’analista – è “nominare un governo tecnico di transizione, con due scopi: liberare i media controllati dal governo e creare condizioni per elezioni libere”. A quel punto, sarà fondamentale scoprire se il movimento studentesco si sfilaccerà o se appoggerà uno dei candidati. Per ora, questa questione non si pone perché, più che politica, in Serbia è in atto “una vera rivoluzione morale e emotiva”. E questo, “in un modo o nell’altro, è la fine del regime di Vučić”.