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    Serbia, un anno di proteste guidate dagli studenti. Nessuna apertura da Vučić e un’UE in grande difficoltà

    Bruxelles – A poche ore dal primo anniversario del crollo della tettoia alla stazione ferroviaria di Novi Sad, che costò la vita a 16 persone, decine di migliaia di cittadini serbi stanno muovendo in direzione della città a nord di Belgrado: domani (1 novembre) ricorderanno le vittime e ribadiranno che non hanno alcuna intenzione di fermare il più grande movimento di protesta della storia del Paese. Nonostante la ferocia con cui il presidente, Aleksandar Vučić, si è mostrato finora determinato a rimanere al potere.Ieri sera, a Inđija, a metà strada tra la capitale e Novi Sad, circa tremila giovani hanno dormito a cielo aperto, nella strada principale della città, grazie ai materassi e alle coperte messi a disposizione dai cittadini. Il sindaco di Inđija, esponente del partito del presidente (SNS), si è rifiutato di aprire qualsiasi spazio pubblico per accogliere gli studenti. L’appuntamento è alle 11:52 di domani mattina – l’ora esatta del tragico incidente – alla stazione di Novi Sad, dove saranno osservati 16 simbolici minuti di silenzio.Dopo un anno di proteste imponenti contro la corruzione e la gestione autoritaria dell’apparato statale, è tempo di qualche bilancio. Secondo Srđan Cvijić, presidente dell’International Advisory Committee of the Belgrade Centre for Security Policy, “non è stata fatta alcuna apertura” da parte del presidente. Dall’enorme manifestazione di Belgrado, lo scorso 28 giugno, Vučić ha solamente stretto le maglie della repressione “andando al di là di qualsiasi linea rossa vista finora” nel Paese candidato di lunga data all’adesione all’Unione europea. Diversi report di media indipendenti e organizzazioni della società civile hanno denunciato molestie sessuali contro le studentesse arrestate nelle stazioni di polizia e l’utilizzo di armi e sostanze chimiche illegali per respingere i manifestanti. Nel frattempo, il governo ha rinforzato la narrazione che vuole che l’incidente di Novi Sad sia stato in realtà un atto terroristico.Srđan Cvijić, presidente dell’International Advisory Committee of the Belgrade Centre for Security PolicyA sostenere pubblicamente questa “teoria del complotto” anche Ana Brnabić, presidente del Parlamento di Belgrado che interverrà al Forum Ue sull’Allargamento, a Bruxelles, il prossimo 18 novembre. L’Unione europea d’altronde, sulla situazione nel paese nel cuore dei Balcani, è in grande difficoltà. Il report annuale sullo stato dell’arte nei Paesi candidati all’adesione, che sarà svelato martedì 4 novembre, dovrebbe adottare un linguaggio molto duro nei confronti di Belgrado. E, pochi giorni fa, il Parlamento europeo ha adottato ad ampia maggioranza una risoluzione in cui ha chiesto a Vučić di fermare la repressione e di “essere serio” nel percorso di adesione.Eppure, uno dopo l’altro, la commissaria Ue per l’Allargamento Marta Kos, il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si sono recati a Belgrado per confermare il supporto a Vučić, in quello che Cvijić ha definito un “bisogno masochista dell’Europa di credere in questo governo, perché ha paura di un salto nel buio”. Due settimane fa, in conferenza stampa insieme a Vučić, von der Leyen ha usato il bastone e la carota: dopo aver sottolineato che Bruxelles sta dalla parte “della libertà anziché dell’oppressione, compreso il diritto di riunirsi pacificamente“, ha “accolto con favore i recenti progressi” compiuti con l’istituzione del registro elettorale unificato e con le nomine del consiglio della Commissione Regolatrice dei Media Elettronici (REM).Ursula von der Leyen e Aleksandar Vucic a Belgrado, 15/10/25 (Photo by Andrej ISAKOVIC / AFP)Proprio quest’ultimo punto – ha commentato Cvijić – mostra il “faticoso gioco” che sta portando avanti il presidente. Secondo la ricostruzione dell’analista politico, è vero che diverse organizzazioni indipendenti sono “entrate con difficoltà e molti rischi per la loro legittimità pubblica” in dialogo con il governo per eleggere i membri del REM, ma “per l’ennesima volta” l’esecutivo “ha usato degli escamotage” per assicurarsi la maggioranza dei membri di questa commissione di controllo.Il gioco di Vučić è su diversi fronti: mostrare finte aperture a Bruxelles, delegittimare i manifestanti e i loro sostenitori – lo stesso Cvijić è stato attaccato da un alto funzionario del governo dopo aver pubblicato un editoriale sul quotidiano britannico The Guardian – e nel frattempo “utilizzare ogni possibilità per approfondire fratture nel movimento democratico”. Perché qualche crepa nel fronte studentesco sulla strategia da perseguire esiste, e ruota intorno al comportamento da tenere in vista di uno degli obiettivi primari, quello di ottenere elezioni legislative anticipate.Una veduta dall’alto delle proteste oceaniche in Serbia contro il presidente Aleksandar Vučić (foto: Tadija Anastasijevic/Afp)In un primo momento, il movimento studentesco aveva rifiutato con convinzione qualsiasi interazione con le istituzioni politiche consolidate, compresi i partiti di opposizione. Ora gli studenti che sostengono con forza la necessità di tornare alle urne hanno annunciato che presenteranno una lista elettorale, che sarà resa pubblica solamente quando e se verranno convocate le elezioni. Una vasta parte della società serba sostiene questa richiesta e ha invitato tutti i partiti dell’opposizione a non partecipare alle eventuali elezioni, in segno di sostegno ai candidati degli studenti. Questo sta inevitabilmente portando a timori e tensioni nel vasto movimento democratico.Ed è lì che sta provando a inserirsi Vučić per allargare le crepe. Secondo Cvijić, il presidente non sta convocando le elezioni perché “non è sicuro di poterle vincere”, e quindi “sta lavorando per rompere il fronte” dell’opposizione e riconquistare terreno. Da calendario istituzionale, la Serbia dovrà in ogni caso tenere le elezioni presidenziali nella primavera del 2027 e quelle per rinnovare il parlamento prima della fine dello stesso anno. Il tempo è dalla parte di Vučić. La storia dalla parte degli studenti. E di quei 16 cittadini schiacciati dalla tettoia di una stazione ferroviaria inaugurata pochi mesi prima, che ha svelato l’inadeguatezza dei lavori e la corruzione dilagante dell’apparato statale del Paese.

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    Serbia, l’Europarlamento ammonisce (di nuovo) la Serbia: “Fermi la repressione e sia seria sull’adesione all’Ue”

    Bruxelles – Dopo quasi un anno di proteste ininterrotte, l’Eurocamera tiene accesi i riflettori sulla tesissima situazione in Serbia. Con una maggioranza ampia ma non schiacciante (457 voti favorevoli, 103 contrari e 72 astensioni), l’Aula di Strasburgo riunita in plenaria ha approvato oggi (22 ottobre) una risoluzione sulla “polarizzazione e l’aumento della repressione” nel Paese balcanico, a poco meno di 12 mesi dal crollo della pensilina nella città di Novi Sad.Quell’evento, che ha provocato la morte di 16 persone, è stato il catalizzatore per una mobilitazione popolare trasversale dalle dimensioni mai viste (almeno dal collasso della Jugoslavia negli anni Novanta). Ai cittadini – guidati soprattutto dai movimenti studenteschi – che chiedono con forza la fine della corruzione, un futuro europeo per il loro Paese e la fine del regime autoritario del presidente filorusso Aleksandar Vučić, gli apparati di sicurezza hanno risposto col pugno di ferro, mettendo in campo una repressione massiccia del dissenso democratico.Una situazione che, se pare indisporre solo fino a un certo punto i vertici comunitari (come si evince dall’equilibrismo di Ursula von der Leyen, che ha recentemente incontrato il capo di Stato serbo, ma anche da quelli del presidente del Consiglio europeo, António Costa, e dell’Alta rappresentante Kaja Kallas), continua invece a preoccupare gli eurodeputati. Se Belgrado vuole mostrarsi seria rispetto all’adesione all’Ue, si legge tra le righe della risoluzione congiunta, deve fermare la macchina della violenza, rispettare lo Stato di diritto e i diritti umani e smetterla di strizzare l’occhio a Mosca.Now is the time for strategic choices.Also for Serbia.It needs implementing EU reforms it has repeatedly promised to deliver.It needs responding to what citizens ask loud and clearly.Now is the time to deliver & lead Serbia to the EU.The EU’s offer will not be matched. pic.twitter.com/NrdHD0YQga— Marta Kos (@MartaKosEU) October 22, 2025Parlando durante il dibattito di ieri all’emiciclo, la commissaria all’Allargamento Marta Kos ha condannato le violenze contro studenti, manifestanti e giornalisti e ha ammonito Belgrado: “Ci aspettiamo che la Serbia rispetti i valori fondamentali dell’Ue” se vuole davvero entrare nel club a dodici stelle, osserva, inclusi “il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’eguaglianza, dello Stato di diritto e dei diritti umani” tra cui spiccano “la libertà di assemblea pacifica, la libertà dei media e la libertà accademica”. L’Unione, ha aggiunto, si aspetta che vengano condotte le dovute indagini sui fatti di Novi Sad, per i quali è partita un’inchiesta che non ha ancora portato a nulla.Kos ha accolto positivamente i recenti progressi sulle riforme pre-adesione concordate con Bruxelles (ad esempio sul registro dei voti unificato e sulla commissione dei media elettronici), ma ha sottolineato che adesso vanno compiuti “passi concreti per far ripartire il dialogo con tutta la società“. Lo stesso Vučić ha millantato di voler aprire un confronto coi manifestanti, salvo poi lasciare la situazione immutata. “Portare una Serbia democratica nell’Ue è nell’interesse dei serbi e anche nel nostro”, dice, ma affinché ciò avvenga servono impegni concreti “sui princìpi democratici e sulle riforme”.Soprattutto, incalza, il Paese balcanico deve finirla col suo equilibrismo sullo scacchiere internazionale – il presidente Vučić è tradizionalmente vicino alla Russia di Vladimir Putin ma di recente sembra aver ammorbidito i toni anche nei confronti dell’Ucraina – e “scegliere con trasparenza” da che parte vuole stare. “Le relazioni strette con Pechino e Mosca accompagnate da dichiarazioni critiche sull’Ue, incluso con una narrazione russa, non è quello che ci si attende da un Paese candidato”, nota Kos, che condanna anche la disinformazione dilagante e le intimidazioni subite da alcuni eurodeputati. Infine, conclude, “va rafforzato l’allineamento con la politica estera e di sicurezza comune“.L’eurodeputata Pd Alessandra Moretti (foto: Michel Christen/Parlamento europeo)Sulla stessa linea anche gli interventi degli esponenti italiani dei Socialisti (S&D) e dei Conservatori (Ecr). Dai banchi di questi ultimi, il meloniano Alessandro Ciriani avverte su un “equilibrio che si sta incrinando” in Serbia, come indicato dai sondaggi che rilevano come solo il 33 per cento dei cittadini del Paese balcanico sostiene apertamente l’adesione: “A trarne vantaggio – dice – sono attori con interessi a noi concorrenti come Russia e Cina, con ricadute negative per la stabilità regionale”. “L’Ue deve mantenere un approccio equilibrato e costruttivo, rilanciando l’offerta europea di sviluppo e dialogo inclusivo“, continua, ed “evitare che la delusione si trasformi in distacco e il distacco in allontanamento geopolitico“.Dal Pd, Alessandra Moretti condanna la risposta delle autorità serbe contro i manifestanti: “Non è degna di un Paese candidato”, rimarca, “né tantomeno di uno Stato di diritto”. “La pericolosa polarizzazione creatasi nel Paese rischia di normalizzare la violenza e di indebolire istituzioni democratiche“, aggiunge, invocando un cambio di passo. “L’impegno serbo verso il percorso europeo non può essere fatto solo di parole ma servono progressi concreti sullo Stato di diritto, la lotta alla corruzione, l’indipendenza dei media e della magistratura, un sistema elettorale libero e l’allineamento alla politica estera europea”, conclude.Anche il deputato liberale franco-italiano Sandro Gozi sottolinea che il cammino verso l’Ue “comporta benefici ma anche impegni per la democrazia, lo Stato di diritto e la libertà”, a cominciare da quella degli studenti “di manifestare ed esprimere critiche nei confronti del presidente Vučić”, al quale rivolge un “appello alla responsabilità democratica” per fare un passo indietro e ascoltare realmente le richieste dei suoi concittadini, anziché farli manganellare.Proteste per le strade di Belgrado (foto: Marko Djoković/Afp)Una voce fuori dal coro arriva dalla Sinistra, quella di Danilo Della Valle (M5s). Riprendendo un leitmotiv caro alla narrazione pro-Cremlino, il pentastellato si è scagliato contro la tentazione di “utilizzare lo stesso metodo disastroso adottato all’Euromaidan, che ha contribuito a portare la guerra alle porte dell’Europa“. Il riferimento è al presunto zampino di Ue, Usa e Nato nelle proteste di piazza (che gli ucraini chiamano “rivoluzione della Dignità“) che nell’autunno tra il 2013 e il 2014 hanno portato al rovesciamento del presidente filorusso Viktor Yanukovych e messo in moto una catena di tragici eventi sfociati nell’annessione della Crimea, nel conflitto in Donbass e, nel 2022, nell’invasione russa su larga scala.Secondo Della Valle, che pure riconosce la vivacità della società serba “capace di attivarsi e chiedere un cambiamento reale”, durante le manifestazioni “non ci sono bandiere dell’Ue” e “il popolo serbo non ha dimenticato i bombardamenti Nato del 1999 e l’atteggiamento coloniale di molti Paesi europei, inclusa l’Italia, che ha reso i Balcani una polveriera”. “Stiamo molto attenti a non gettare benzina sul fuoco“, avverte, perché la regione sarebbe “una pentola a pressione pronta a scoppiare”.

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    Von der Leyen da Vučić: la Serbia “raddoppi” gli sforzi verso l’adesione all’Ue

    Bruxelles – Ursula von der Leyen fa visita a quello che è ormai il grande malato dei Balcani occidentali. A confronto con Albania, Montenegro, Macedonia del Nord e Bosnia-Erzegovina, il percorso della Serbia verso l’adesione all’Unione europea sembra procedere a ritroso. La presidente della Commissione europea, nel suo tour annuale della regione, ha fatto tappa oggi (15 ottobre) a Belgrado, ospite dell’autoritario presidente filo-russo Aleksandar Vučić. E ha scelto, ancora una volta, di non scaricarlo, ma senza fare sconti.La Serbia deve “raddoppiare” i suoi sforzi, ha intimato von der Leyen nella conferenza stampa congiunta a margine dell’incontro con il presidente serbo. È ora – ha aggiunto – che il Paese balcanico “concretizzi” la sua adesione al club a 12 stelle, il cui percorso è stato avviato più di 15 anni fa. Per fugare ogni dubbio sulla posizione di Bruxelles sulla dura repressione governativa dei movimenti di protesta che infiammano il Paese da quasi un anno, la leader Ue ha affermato: “Siamo a favore della libertà anziché dell’oppressione, compreso il diritto di riunirsi pacificamente“.Le proteste oceaniche in Serbia contro il presidente Aleksandar Vučić (foto: Tadija Anastasijevic/Afp)Le lacune di Belgrado sono ben note nella capitale Ue: “Dobbiamo vedere progressi in materia di Stato di diritto, quadro elettorale e libertà dei media”, ha elencato von der Leyen. Bastone e carota, è la strategia per tenere ancorati i Paesi candidati al faticoso percorso di riforme necessario all’adesione: la presidente ha “accolto con favore i recenti progressi” compiuti con l’istituzione del registro elettorale unificato e con le nomine del consiglio della Commissione Regolatrice dei Media Elettronici (REM).“Ho notato gli sforzi compiuti da tutti per lavorare insieme, compresa la società civile e l’opposizione”, ha riconosciuto von der Leyen, consapevole allo stesso tempo che l’indipendenza dal controllo politico dell’ente regolatore dei media è ancora tutta da ottenere e che non si può distogliere lo sguardo da Belgrado nemmeno per un attimo. “È un buon primo passo, ma ora è fondamentale l’attuazione ed è per questo che vorrei invitarvi a Bruxelles tra un mese per fare insieme il punto della situazione”, ha affermato rivolgendosi a Vučić.La ricetta indicata dall’Ue è sempre la stessa, anche quando ci si sposta in politica estera. Serve un “migliore allineamento”, il “61 per cento” indicato da von der Leyen non basta. D’altronde Vučić continua a strizzare l’occhio alla Russia e non si è ancora uniformato al regime di sanzioni europee contro Mosca. Questo nonostante – ha sottolineato ancora la presidente della Commissione europea – Belgrado e tutti i Balcani occidentali abbiano beneficiato, durante la crisi energetica “causata dall’aggressione russa in Ucraina”, delle misure di emergenza messe in campo dall’Ue.Il presidente russo Vladimir Putin (sinistra) e il suo omologo serbo Aleksandar Vučić (foto: Alexander Zemlianichenko/Afp)Per accelerare un processo lungo, che negli ultimi anni ha creato non poche frustrazioni nei Paesi candidati, nell’aprile 2024 l’Unione europea ha istituito uno strumento da 6 miliardi di euro per supportare i piani di riforme socio-economiche necessarie all’adesione nei 6 dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia). Nell’ambito del Piano di crescita per i Balcani occidentali, la Commissione ha “già messo a disposizione oltre 100 milioni di euro in nuovi investimenti dell’UE per la Serbia”, ha ricordato von der Leyen.Vučić, più che riluttante alle aperture sullo Stato di diritto e sulla libertà dei media previste per avanzare nei negoziati, ha messo le mani avanti: “Non posso promettere nulla, se non che lavoreremo sodo per rispettare il programma di riforme”, ha affermato, auspicando che “in tutto questo avremo il sostegno dell’Ue”. Il leader nazionalista conservatore, che guida il Paese da oltre un decennio e la cui popolarità è oggi ai minimi storici, sa che inimicarsi Bruxelles – che non l’ha scaricato dopo le enormi proteste degli studenti – potrebbe sancire il suo definitivo isolamento.A turno, Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, l’Alta rappresentante per gli Affari esteri Kaja Kallas, e la commissaria per l’Allargamento Marta Kos, hanno tutti strigliato Vučić tendendogli al contempo la mano, per non recidere un rapporto che si inscrive in un delicato equilibrio geopolitico. E da equilibrista in bilico, Vučić prova a districarsi tra promesse a Bruxelles, ammiccamenti a Mosca e piccole concessioni in patria. Vučić ha chiesto a von der Leyen di “trovare un modo per mitigare la situazione” energetica della Serbia, la cui compagnia petrolifera Nis è soggetta a sanzioni da parte dell’amministrazione americana e “di fatto anche da parte dell’Ue”. Il ricatto morale è servito: “Spero che un Paese candidato abbia il sostegno dell”Ue per la propria sicurezza energetica”, ha affermato.

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    INTERVISTA / Nataša Kovačev: “In Serbia, i manifestanti si sentono abbandonati da Bruxelles”

    Bruxelles – Da una decina di mesi, la Serbia è sconvolta dalle proteste popolari più partecipate della sua storia recente. In gioco, nelle strade dove gli studenti vengono manganellati e i giornalisti assaliti, non c’è solo la tenuta democratica di un Paese che, sulla carta, è candidato ad entrare nell’Unione europea. C’è anche la credibilità della stessa Ue, che rischia di sgretolarsi sotto il peso dell’inazione. La giornalista serba Nataša Kovačev ha condiviso con Eunews le sue riflessioni sulle dinamiche perverse che si stanno innescando nel suo Paese, alimentate anche dalla freddezza della reazione comunitaria.“Le persone che stanno protestando da oltre 10 mesi – cioè da quando una quindicina di persone sono rimaste uccise nel crollo di una pensilina a Novi Sad (la città natale di Kovačev) lo scorso novembre, scatenando una risposta popolare mai vista dall’implosione della Yugoslavia – si aspettavano una reazione più decisa da parte dell’Ue“, scandisce Kovačev. Invece, negli ultimi mesi, sono arrivati solo mezzi silenzi: come quello del presidente del Consiglio europeo António Costa e quello dell’Alta rappresentante Kaja Kallas.Nataša Kovačev (foto: Nataša Kovačev/LinkedIn)Quello che arriva da Bruxelles, continua, è invece un desolante combinato di “reazioni tiepide e segnali contrastanti“, una cacofonia politica che confonde e scoraggia chi ha creduto in un futuro europeo per la Serbia. E che ora ci crede sempre meno. “Se guardiamo i sondaggi, notiamo che oggi solo il 33 per cento degli intervistati sostiene convintamente la prospettiva dell’adesione” al club a dodici stelle, illustra la giornalista. Nel 2015, l’anno dopo l’apertura dei primi capitoli negoziali con Belgrado, questa cifra si aggirava intorno al 59 per cento.Gli studenti e i loro alleati nel movimento di protesta, già impegnati a resistere coi propri corpi (timpani inclusi) alla brutale repressione messa in campo dall’autoritario presidente Aleksandar Vućič, temono ora di venire abbandonati anche da quelle stesse istituzioni a cui hanno rivolto accorati appelli, affinché li aiutassero a difendere quanto rimane della democrazia e dello Stato di diritto in Serbia.Lo spettacolo che arriva dai rappresentanti comunitari, in effetti, è tutt’altro che edificante. “Durante l’ultima plenaria a Strasburgo, abbiamo sentito cose piuttosto diverse”, spiega: “Marta Kos (la commissaria all’Allargamento, ndr) ha parlato chiaramente della situazione in Serbia e ha preso una posizione netta al riguardo”, ragiona Kovačev, mentre la numero uno del Berlaymont, Ursula von der Leyen, “non si è neanche disturbata a menzionare quello che succede nel suo discorso sullo stato dell’Unione”.D’altro canto, concede la giornalista, Manfred Weber – capo-padrone del Partito popolare europeo, la più potente forza politica del Vecchio continente, da cui proviene anche la presidente della Commissione – “ha ventilato l’ipotesi di sospendere l’Sns (il Partito progressista serbo di Vućič, ndr) dal Ppe”, nel quale è attualmente un membro osservatore. Tuttavia, puntualizza, “è una decisione unilaterale di un partito politico, non una mossa comune dell’Unione”.Il presidente serbo Aleksandar Vućič (foto: Alex Halada/Afp)“Forse qualcosa sta iniziando a muoversi“, rileva con cautela Kovačev, “e pare che tra i vertici comunitari si cominci ad avvertire la necessità di una risposta più incisiva“. “Spero che questo si traduca presto in un’azione concreta, soprattutto per ridare speranza a chi continua a scendere in piazza“, osserva. Auspica un segnale inequivocabile per mettere in chiaro che, oltre alla retorica stucchevole, Bruxelles intende davvero “tutelare lo Stato di diritto ovunque, a maggior ragione in un Paese candidato“.Finora, sotto il regime illiberale di Vućič la spirale di violenza non sembra accennare a fermarsi. In diverse occasioni, spiega Kovačev, il presidente si è dichiarato disponibile a discutere direttamente coi leader della protesta. “Ma i manifestanti non vogliono parlare con lui, vogliono che le istituzioni facciano il loro lavoro, che la corruzione finisca, che lo Stato serbo funzioni“, dice. Invece, ammette, “la repressione del dissenso si fa più asfissiante e si moltiplicano le detenzioni arbitrarie ed extragiudiziali“.Peraltro, aggiunge, “ogni qualvolta Vućič apre a qualche forma di dialogo, si registrano nuovi incidenti“. Come quello dello scorso gennaio, quando a Novi Sad alcuni uomini affiliati all’Sns hanno rincorso degli studenti che stavano affiggendo manifesti, aggredendoli fisicamente. “Hanno tirato fuori una mazza da baseball e li hanno picchiati, rompendo la mascella ad una ragazza“, racconta. Così, alla successiva mano tesa fintamente dal capo dello Stato ai manifestanti, questi hanno risposto per le rime: “Difficile parlare con la mascella rotta”, si leggeva nei comunicati dell’epoca.Poliziotti in tenuta antisommossa a Belgrado (foto: Marko Djokovic/Afp)Il problema, nota Kovačev, è “l’impunità pressoché assoluta” di cui godono le forze dell’ordine. Nel caso di gennaio, ricorda, “quegli uomini furono arrestati e processati, ma a processo ancora in corso Vućič li graziò, prima che venisse emessa qualunque sentenza”. Anche lei ha visto coi propri occhi queste dinamiche, dato che, ci dice, “il dibattito pubblico e lo spazio mediatico sono estremamente polarizzati e ci sono frequenti attacchi contro giornali e giornalisti”.Come certificato da Media freedom rapid response nel suo ultimo rapporto, la situazione in Serbia è “emergenziale”. Nei primi sei mesi di quest’anno si sono verificate 96 aggressioni contro operatori mediatici: una dozzina in più di quelle commesse nell’arco di tutto il 2024 (84) e quasi il doppio del 2023 (49). “Persino se documenti gli attacchi, se li riprendi, non accade nulla“, lamenta Kovačev. Lo scorso novembre, ci racconta, il suo cameraman è stato scaraventato a terra di fronte agli uffici dell’Sns a Novi Sad mentre stava filmando le proteste.Ad aggredirlo era stato un uomo uscito dall’edificio stesso, dopo aver confabulato con alcuni membri della sezione locale del partito. “Avevamo l’incidente sul nastro“, sottolinea la giornalista, “e lo portammo alla polizia e al procuratore, ma nulla si mosse per mesi”. Poi, quando Kovačev e colleghi riuscirono a dimostrare che l’aggressore era uno stretto alleato del sindaco, furono chiamati a testimoniare dal procuratore. Eppure, alla fine, tutto si risolse in una bolla di sapone e gli inquirenti “derubricarono l’incidente ad un banale alterco tra privati, anziché considerarlo un reato penale”.In Serbia, come in altri Paesi candidati (su tutti la Georgia), l’impunità di un potere che prevarica i suoi stessi cittadini è un problema urgente e gravissimo. Da un’Ue che tanto ama dipingersi come paladina del diritto e dei diritti, illudendosi di poter ancora proiettare all’esterno qualche tipo di soft power, ci si aspetterebbe un intervento risoluto contro lo scivolamento autoritario delle fragili democrazie ai suoi stessi confini.Tanto più che, spesso, nell’allontanarsi da Bruxelles questi Paesi si avvicinano a Mosca, a Pechino e ad altri attori geopolitici che l’Europa considera come antagonisti. Magari, ipotizza Kovačev, è precisamente la consapevolezza di trovarsi su un piano inclinato così ripido a “innervosire le gerarchie comunitarie“. “Sanno benissimo che in Serbia le violazioni sono estese, ma forse l’assenza di reazioni deriva dalla paura di spingere Vućič ancora di più tra le braccia della Russia o della Cina“, ragiona.

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    Serbia, Vučić tenta la carta del dialogo coi manifestanti: “Discutiamo insieme”

    Bruxelles – Aleksandar Vučić, l’autoritario presidente della Serbia al potere dal 2014, tenta l’azzardo per provare ad ammorbidire il movimento di protesta che sta scuotendo da mesi il Paese balcanico, che manifesta contro la corruzione e lo scivolamento verso l’orbita di Mosca. Ma la sua offerta di dialogo non sembra convincere studenti e opposizioni, che vogliono le dimissioni dell’uomo forte di Belgrado.Con una mossa piuttosto inaspettata, il presidente serbo Aleksandar Vučić ha teso la mano ai manifestanti che da oltre nove mesi riempiono le piazze del Paese balcanico per chiedere la fine della corruzione dilagante e un generale ricambio della classe politica. Incluso il capo dello Stato: “Arrestate Vučić” è uno dei cartelli che capita di leggere alle proteste, scoppiate lo scorso novembre in seguito al crollo di una pensilina a Novi Sad, nel quale sono morte 16 persone.Così, in un discorso alla nazione trasmesso in tv oggi (22 agosto), il presidente ha azzardato la sua proposta, offrendosi di intrattenere “discussioni e dibattiti su tutte le nostre televisioni, su tutti i nostri siti, coi rappresentanti legittimi” del movimento di protesta. Vučić si dice intenzionato ad “affrontare le diverse visioni” allo scopo di “risolvere la questione attraverso il dialogo e il confronto” e con l’obiettivo ultimo di “ricostruire il Paese, per riportarlo alla situazione in cui si trovava nove mesi fa”.Fino ad oggi, l’autoritario leader sembrava avviato irrevocabilmente sulla strada della repressione, delegata a forze dell’ordine autorizzate a ricorrere anche a dispositivi illegali come i cannoni sonici per disperdere i contestatori. Negli ultimi giorni, la tensione era salita pericolosamente con scontri anche violenti tra manifestanti e fazioni filogovernative, conditi da assalti ad alcune sedi dei partiti che compongono l’esecutivo e diffusi abusi di potere commessi dagli apparati di sicurezza.Le proteste per le strade di Belgrado, il 15 agosto 2025 (foto: Marko Djoković/Afp)Ma i critici di Vučić – sia in piazza sia in Parlamento – non sembrano disposti a bersi la storia del suo improvviso ravvedimento. “Un presidente che ricorre alla violenza non è qualcuno con cui si può discutere di questioni politiche, questo è un governo corrotto che calpesta la democrazia e i diritti umani“, il commento caustico di Savo Manojlović, leader del partito centrista Kreni-Promeni.Opposizioni e studenti chiedono a Vučić di dimostrare la sua buona fede facendosi da parte e convocando al più presto elezioni presidenziali anticipate, prima del 2027 quando scadrà il suo secondo mandato (e anche l’ultimo, a rigor di Costituzione). Il capo dello Stato “non ha una risposta alla ribellione popolare“, si legge in una nota degli studenti dell’Università di Belgrado, in cui accettano di discutere ma solo “durante la campagna elettorale“.Finora, l’unico risultato concreto a cui hanno portato le oceaniche proteste popolari – probabilmente le più ampie nella storia del Paese balcanico da quando è implosa la Jugoslavia – è rappresentato dalle dimissioni dell’ex primo ministro Miloš Vučević, rassegnate a fine gennaio nel tentativo, egregiamente fallito, di placare i manifestanti.Da anni, l’uomo forte di Belgrado pone un dilemma geopolitico di non poco conto all’Ue. La Serbia è ufficialmente un Paese candidato all’adesione al club a dodici stelle ma, oltre alla repressione delle proteste e alle violazioni di massa dei diritti fondamentali, a provocare forti grattacapo a Bruxelles c’è anche l’imbarazzante vicinanza di Vučić a Vladimir Putin.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Vyacheslav Prokofyev/Sputnik via Afp)Incurante degli ammonimenti dell’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas, il presidente serbo si è recato a Mosca lo scorso 9 maggio per celebrare l’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista, in tribuna d’onore sulla Piazza Rossa insieme allo zar e al premier slovacco Robert Fico, uno dei due enfants terribles dell’Unione. Con l’altro, il primo ministro ungherese Viktor Orbán, Vučić sta lavorando per prolungare l’oleodotto Druzhba e far arrivare fino in Serbia il greggio della Federazione, acuendo ulteriormente la frizione diplomatica tra Budapest e Kiev.Allo stesso tempo, tuttavia, Vučić si mostra ambivalente nei confronti dell’Ucraina. A giugno si è presentato a sorpresa a Odessa, dove ha partecipato ad una riunione convocata da Volodymyr Zelensky in persona, e da qualche tempo Mosca sta accusando Belgrado di aver tradito la tradizionale amicizia tra i due Paesi vendendo armi a Kiev.Le alte sfere di Bruxelles hanno sempre sostenuto di stare dalla parte degli studenti, ma nelle loro più recenti visite nella capitale serba tanto Kallas quanto António Costa, presidente del Consiglio europeo, sono stati piuttosto morbidi nel mettere Vučić di fronte alle proprie responsabilità. Per una curiosa coincidenza, del resto, la Commissione europea ha incluso la Serbia tra gli 11 Paesi terzi in cui finanzierà progetti per l’approvvigionamento delle materie prime critiche, essenziali per mantenere la competitività del Vecchio continente nel XXI secolo.

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    Le proteste in Serbia stanno diventando violente

    Bruxelles – Si stringono le maglie della repressione in Serbia. Il presidente filorusso Aleksandar Vučić intende usare il pugno di ferro contro i manifestanti che da cinque giorni stano protestando per le strade delle principali città del Paese balcanico. L’escalation della violenza potrebbe segnare un punto di svolta nella contestazione antigovernativa, ma per ora l’Ue non ha niente da dire al riguardo.“Arrestate Vučić“: è una delle tante scritte comparse sui cartelli che hanno punteggiato le piazze di mezza Serbia durante il weekend, in quella che gli osservatori descrivono come una recrudescenza dello scontro tra manifestanti e governo, che si protrae ininterrottamente dallo scorso autunno.Negli ultimi cinque giorni le proteste sono diventate violente in tutto il Paese, soprattutto a Belgrado, con scontri accesi tra alcune fazioni filogovernative e i manifestanti, alcuni dei quali hanno dato alle fiamme delle sedi dell’Sns, il partito del presidente Aleksandar Vučić al potere dal 2012, e dei loro alleati di coalizione. Le forze dell’ordine sono state accusate di uso eccessivo della forza per sedare i disordini.(credits: Angela Weiss / Afp)Ma il capo dello Stato non ha intenzione di mollare la presa sul potere e, anzi, promette l’ennesimo giro di vite contro il dissenso. “Se non mettiamo in atto misure più severe, è solo questione di giorni prima che loro (i manifestanti, ndr) uccidano qualcuno“, ha dichiarato ieri (17 agosto), bollando le proteste come “puro terrorismo” orchestrato da fantomatiche forze esterne che avrebbero ordito un complotto per disarcionarlo. “Sarete testimoni della determinazione dello Stato serbo“, ha minacciato l’autoritario leader, ammonendo che “useremo tutti i mezzi a nostra disposizione per ripristinare la pace e l’ordine nel Paese”.Quella degli scorsi giorni è la più grave escalation delle oceaniche proteste – considerate le più grosse dall’implosione della Jugoslavia e rimaste finora ampiamente pacifiche – contro la corruzione dilagante esplose quando, lo scorso novembre, il crollo di una pensilina a Novi Sad ha ucciso una quindicina di persone. Guidato soprattutto dagli studenti, il movimento popolare non ha mai smesso di contestare la leadership di Vučić, il quale ha risposto con la repressione.Repressione che, almeno finora, non è parsa disturbare particolarmente i resposabili di Bruxelles. Nei mesi scorsi, tanto il presidente del Consiglio europeo, António Costa, quanto l’Alta rappresentante Kaja Kallas si sono recati a Belgrado per reiterare l’impegno dell’Ue verso l’adesione della Serbia. Chiudendo un occhio, anzi entrambi, sulle gravi violazioni dei diritti umani nonché sull’imbarazzante vicinanza di Vučić al presidente russo Vladimir Putin.

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    Serbia, il presidente filorusso Aleksandar Vučić per la prima volta in Ucraina

    Bruxelles – Colpo di scena tra i Balcani occidentali e l’Ucraina. Uno dei principali alleati europei di Vladimir Putin, il presidente serbo Aleksandar Vučić, ha partecipato a sorpresa ad un summit a Odessa, incontrando l’omologo ucraino Volodymyr Zelensky nella sua prima visita ufficiale nel Paese. Potrebbe trattarsi di un tentativo di riposizionare Belgrado sullo scacchiere internazionale, più lontano da Mosca e più vicino a Bruxelles?L’annuncio, diffuso dall’ufficio della presidenza serba, ha colto tutti di sorpresa. Aleksandar Vučić si è recato oggi (11 giugno) a Odessa per una visita ufficiale di un giorno, mettendo piede in Ucraina per la prima volta da quando è salito al potere nel lontano 2012. L’autoritario leader balcanico ha partecipato ad un summit organizzato da Kiev che riunisce una dozzina di Paesi dell’Europa sud-orientale.Tra gli altri, erano presenti nella città portuale – colpita nelle scorse ore dall’ennesimo bombardamento russo – anche il neo-eletto presidente romeno Nicușor Dan, la presidente moldava Maia Sandu, il premier greco Kyriakos Mitsotakis e quello croato Andrej Plenković. Nessun invito, invece, per i rappresentanti del Kosovo: probabilmente un gesto di buona fede da parte ucraina nei confronti di Belgrado, che non riconosce l’indipendenza di Pristina.Grateful to all the leaders and partners who came together in Odesa for the Fourth Ukraine–Southeast Europe Summit.@sandumaiamd, @JakovMilatovic, @NicusorDanRO, @avucic, @R_JeliazkovPM, @AndrejPlenkovic, @kmitsotakis, @elisaspiropali, @IzetMexhiti, @tfajonYour presence sends… pic.twitter.com/Q58VCl0hdK— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) June 11, 2025Secondo diversi osservatori, la comparsata a Odessa andrebbe letta come un segnale politico del leader serbo, che starebbe cercando di riposizionare il suo Paese un po’ più lontano dalla Russia e un po’ più vicino all’Ue. Vučić si era finora destreggiato in un complicato equilibrismo tra Mosca e Bruxelles, che non sembrava averlo ancora messo in particolare difficoltà.Uno dei più solidi alleati europei di Vladimir Putin (col quale ha celebrato l’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista lo scorso 9 maggio), il presidente serbo mantiene con la Federazione profondi legami economici, energetici, strategici e storico-culturali.Per non alienarsi il Cremlino, sta cercando di restare “neutrale” rispetto alla guerra d’Ucraina: non ha aderito alle sanzioni dell’Ue contro Mosca (è in arrivo il 18esimo pacchetto) e fornisce aiuti umanitari (ma non militari) a Kiev, mentre alle votazioni in sede Onu si è ripetutamente schierato a favore dell’integrità territoriale del Paese aggredito, evitando di riconoscere la Crimea e le altre oblast’ parzialmente occupate come territorio russo de jure.Eppure, negli ultimi giorni il rapporto tra Mosca e Belgrado pare essersi improvvisamente incrinato. A fine maggio, l’intelligence russa ha accusato la Serbia di aver inviato armi a Kiev tramite triangolazioni con Paesi Nato come Bulgaria, Cechia e Polonia e altri intermediari africani, arrivando a parlare di una “pugnalata alle spalle” da parte del tradizionale alleato balcanico. La Serbia, come la Russia, è storicamente avversa alla Nato, avendone subito i bombardamenti nel 1999.Il presidente russo Vladimir Putin durante le celebrazioni per l’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista, il 9 maggio 2025 a Mosca (foto: Vyacheslav Prokofyev/Sputnik via Afp)D’altra parte, almeno sulla carta, Vučić punta a portare Belgrado dentro il club a dodici stelle. Ma sul percorso verso l’adesione pesano – o erano pesate fin qui – sia la gestione sempre più autoritaria del potere da parte sua (a partire dalla repressione delle oceaniche proteste che stanno scuotendo il Paese da mesi) sia l’imbarazzante vicinanza con lo zar russo, nonostante i silenzi di António Costa e di Kaja Kallas.Attualmente, sono aperti 22 capitoli negoziali su un totale di 33 e un paio sono stati chiusi provvisoriamente, ma il processo è in naftalina da qualche anno. Nello specifico, i problemi sarebbero legati all’apertura del cluster 3 (crescita inclusiva), poiché i Ventisette non ritengono soddisfacente la situazione dello Stato di diritto, inclusi il contrasto alla corruzione, l’indipendenza della magistratura e la libertà dei media.La verità, ad ogni modo, è che l’avvicinamento della Serbia all’Ue – parallelamente all’allontanamento dalla Russia – è nell’interesse strategico di Bruxelles. È probabilmente ancora presto, tuttavia, per dire se siamo di fronte ad un riallineamento della politica estera di Belgrado, che comporterebbe l’abbandono di alleanze decennali da parte di Vučić, peraltro senza una prospettiva concreta di adesione.

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    Sulla Serbia l’Ue rimane in silenzio. Dopo Costa, neanche Kallas critica Vučić

    Bruxelles – Altro giro, altri mezzi silenzi. L’Ue non vuole alzare la voce con la Serbia, scegliendo di non prendere di petto due questioni fondamentali: la vicinanza del presidente Aleksandar Vučić alla Russia di Vladimir Putin e la repressione delle proteste antigovernative. In visita a Belgrado, Kaja Kallas è stata giusto un pelo più loquace di António Costa, che l’aveva preceduta di una decina di giorni. Ma nemmeno lei è riuscita a pronunciare una condanna chiara e netta né dell’autoritarismo del leader serbo né dello scivolamento del Paese candidato verso Mosca.Per la seconda volta nel giro di una decina di giorni, uno dei vertici comunitari si è presentato a Belgrado per confrontarsi con la leadership serba sui progressi nel processo di adesione. Oggi (22 maggio) è toccato a Kaja Kallas, dopo che lo scorso 13 maggio era stato il turno del presidente del Consiglio europeo António Costa.Rispetto a quest’ultimo, l’Alta rappresentante è stata un po’ più schietta. “Voglio sottolineare che abbiamo bisogno di vedere azioni” concrete da parte del Paese balcanico che dimostrino una reale volontà di progredire sulla strada dell’ingresso in Ue, ha dichiarato di fronte ai giornalisti. L’unico modo per Belgrado di avanzare sul sentiero europeo, ha detto, è realizzare “riforme reali”, non cosmetiche. “Non ci sono scorciatoie per l’adesione”, ha aggiunto, suggerendo che “i prossimi passi includono la libertà dei media, la lotta alla corruzione e la riforma elettorale“.My message to the authorities in Belgrade is clear.I want to see Serbia advancing towards the EU. For that, political leaders must deliver the necessary reforms and clarify the strategic direction.This is best done by restoring trust and staying true to democratic principles. pic.twitter.com/I9Jv9BV33P— Kaja Kallas (@kajakallas) May 22, 2025Queste riforme, ha osservato, porteranno benefici a tutta la popolazione, a partire dai giovani animatori dell’agguerrito movimento studentesco, che da mesi si stanno riversando nelle piazze per chiedere un impegno serio contro la corruzione dilagante e reclamare il proprio futuro europeo. Un futuro in cui “l’autonomia delle università dev’essere rispettata”, dice Kallas, riconoscendo esplicitamente le rivendicazioni dei manifestanti.Ma la sua loquacità si è fermata lì. Nessuna condanna della repressione delle proteste ordinata dal governo, oltre a vaghe parole sulla necessità che “i Paesi candidati seguano i princìpi dei diritti umani” tra cui quello a un giusto processo, negato invece agli studenti detenuti arbitrariamente nelle carceri serbe.E nessuna condanna esplicita nemmeno del clamoroso viaggio del presidente Vučić a Mosca, dove ha partecipato alle celebrazioni dello scorso 9 maggio insieme a Vladimir Putin. Un vero e proprio schiaffo in faccia alla stessa Kallas, che aveva personalmente esortato i leader di Stati membri e Paesi candidati a non presentarsi sulla Piazza Rossa (in rappresentanza della prima categoria c’era il premier slovacco Robert Fico).Rispondendo ad una domanda sul tema, il capo della diplomazia a dodici stelle si è limitata a ripetere che “il mio punto di vista è molto chiaro, non capisco perché sia necessario stare fianco a fianco con la persona che sta conducendo questa orribile guerra in Ucraina“. Per poi aggiungere, senza elaborare oltre, che il capo dello Stato “mi ha spiegato la sua versione della storia” nel corso di una “discussione molto lunga”.Il presidente russo Vladimir Putin (sinistra) e il suo omologo serbo Aleksandar Vučić (foto: Alexander Zemlianichenko/Afp)La vicinanza di Vučić al Cremlino è uno dei motivi di maggior imbarazzo a Bruxelles per quel che riguarda la politica estera del Paese candidato. L’altro elemento che sta “ostacolando l’allineamento con la Pesc“, cioè la politica estera dell’Ue, è lo stallo in cui si trova il processo noto come dialogo Belgrado-Pristina, il cui obiettivo è la normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Serbia e Kosovo.“La Serbia sta affrontando scelte geostrategiche” importanti, ha rimarcato Kallas, e deve decidere “dove vuole stare”. “Il futuro europeo della Serbia dipende dai valori che sceglie di sostenere” in patria e all’estero, dice l’Alta rappresentante: sia nei rapporti con la Russia sia nelle relazioni di vicinato, a partire dal Kosovo e dalla Bosnia-Erzegovina.L’invito di Kallas: “È tempo di superare il passato e focalizzarci sul futuro comune“. Bruxelles incoraggia i partner dei Balcani occidentali a “far tesoro dello slancio attuale sull’allargamento”, pur riconoscendo la lentezza di un processo che finora ha prodotto pochi risultati concreti. Il rischio, se i Paesi candidati implementano le riforme ma i Ventisette non fanno “i compiti a casa”, è quello di alimentare “frustrazione” nei cittadini, riconosce Kallas.La sua visita a Belgrado è la prima tappa di un tour nella regione che ricalca, seppur in versione ridotta, quello di Costa: lasciata la Serbia, l’Alta rappresentante si è recata in Kosovo. Da Pristina ha annunciato che l’Ue “ha iniziato a rimuovere gradualmente le misure introdotte nel giugno 2023“, cioè le sanzioni seguite agli scontri nel nord del Paese, ma che la rimozione totale rimane “condizionale” ad una completa de-escalation. Domani, l’Alta rappresentante concluderà il suo viaggio in Macedonia del nord.