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    Posticipata di altre 48 ore l’entrata in vigore delle multe in Kosovo sulle targhe serbe. Italia spinge colloqui con Belgrado

    dall’inviato a Strasburgo – Non c’è un giorno senza colpi di scena tra Pristina e Belgrado, in un mese frenetico per l’acuirsi della tensione nel nord del Kosovo per la decisione del governo guidato da Albin Kurti di implementare senza ripensamenti il piano a tappe per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe serbe dello scorso 28 ottobre, senza che la Serbia abbia smesso di emettere nuove targhe con le denominazioni delle città kosovare. Dopo le feroci accuse arrivate ieri (lunedì 21 novembre) dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, al termine di una riunione d’urgenza fallimentare con i due leader balcanici (il premier Kurti e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić), da Pristina è arrivata la decisione di prorogare al 24 novembre l’entrata in vigore delle multe per chi non rispetta le nuove regole.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    “Ringrazio l’ambasciatore [statunitense in Kosovo, ndr] Jeff Hovenier per il suo impegno e la sua partecipazione”, ha scritto il premier Kurti in un tweet nella notte tra lunedì e martedì, annunciando che “accetto la sua richiesta di rinviare di 48 ore l’imposizione di multe per le targhe automobilistiche illegali KM [acronimo di Kosovska Mitrovica, ndr] e altre”. In questo modo viene dato ancora del tempo a Stati Uniti e Unione Europea per “trovare una soluzione nei prossimi due giorni” alla disputa tra Pristina e Belgrado, ha precisato lo stesso Kurti. Tuttavia, da Bruxelles è abbastanza chiara la traccia: “Chiedo al Kosovo di sospendere immediatamente ulteriori tappe della re-immatricolazione dei veicoli” – ha ribadito con forza l’alto rappresentante Borrell ieri in una conferenza stampa dai toni quasi sconsolati – mentre “alla Serbia di sospendere l’emissione di nuove targhe con le denominazioni delle città kosovare, incluse quelle KM”.
    Secondo le parole di Borrell il vero scoglio sarebbe Pristina (“Vučić ha accettato, mentre il primo ministro Kurti non l’ha fatto”), che dovrebbe convincersi in queste ore a fare passi indietro sul piano a tappe. Dopo i primi 21 giorni di novembre con un solo avvertimento, a chi non si adeguerà da giovedì (24 novembre, con una doppia proroga per un totale di tre giorni) e il 21 gennaio sarà emessa una multa e tra il 21 gennaio al 21 aprile sarà applicata una targa temporanea. Dal 21 aprile in poi l’entrata in vigore sarà invece definitiva e i veicoli non conformi saranno sottoposti a sequestro. Proprio per questa ragione sono tornate a crescere le tensioni nel nord del Paese: il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, ha deciso di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali. La denuncia è di “violazione del diritto internazionale”, sommata alla mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia).

    I thank Ambassador Hovenier for his commitment and engagement. I accept his request for a 48-hour postponement on imposition of fines for illegal ‘KM’ (and other) car plates. I am happy to work with the US and the EU to find a solution during the next two days. https://t.co/iXq1SCM8JL
    — Albin Kurti (@albinkurti) November 21, 2022

    Il ruolo dell’Italia tra Kosovo e Serbia
    Mentre la situazione sul campo rischia di tornare ad aggravarsi per le dispute politiche delle due parti, il nuovo governo italiano guidato da Giorgia Meloni cerca di rafforzare la tradizionale posizione di Roma di sponsor delle prospettive di integrazione della regione nell’Unione, provando a mettere sul tavolo tutto il suo peso politico e affiancandolo a una proposta di mediazione franco-tedesca di ampio respiro. Oggi i ministri italiani degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto, hanno guidato una missione diplomatica in entrambe le capitali balcaniche, per incontrare gli omologhi e i leader che rischiano di far naufragare oltre 10 anni di mediazione guidata dall’Ue.
    “Ho apprezzato la decisione del Kosovo di sospendere per 48 ore l’imposizione di multe per la questione delle targhe, è un segnale positivo di disponibilità, che ho sentito anche dalla Serbia”, ha dichiarato alla stampa il titolare della Farnesina. Il ministro Tajani ha poi sottolineato di nutrire “speranza” per un compromesso: “Noi siamo venuti a cercare soluzioni, non ci schieriamo, ma stiamo nel mezzo per cercare e favorire soluzioni ai problemi”, dal momento in cui “le iniziative unilaterali non servono a raggiungere un compromesso, vogliamo che riparta il dialogo e il confronto”. Secondo le parole del ministro degli Esteri italiano, “tocca a noi svolgere un ruolo di pacificatori, saremo una garanzia sia per la minoranza serba in Kosovo sia per i kosovari”.
    Il ministro Crosetto ha parlato di “tempi difficili”, perché “il clima è peggiorato nelle ultime settimane” nel nord del Kosovo. L’Italia comunque “ha il dovere di essere protagonista nel dialogo“, per aiutare i due partner a “cercare insieme una soluzione a un problema che impedisce lo sviluppo e il reciproco rispetto”. Il quadro è sempre quello dell’adesione di entrambi i Paesi balcanici all’Ue: “L’Europa è una grande famiglia, ma dove bisogna saper convivere” e, “quando due membri futuri non vanno d’accordo, la responsabilità degli altri è di farli sedere a tavola e farli mettere d’accordo in modo che nessuno si senta trattato in modo diverso“. Questo è ciò che si propone di fare l’Italia nel nuovo quadro di mediazione in cui si è inserita di prepotenza, di fronte a un’escalation che la riguarda da vicino (il continente italiano è quello più consistente nella forza militare della Nato Kosovo Force): “È troppo importante questa parte dell’Europa per lasciarla da sola in momento di difficoltà“, ha concluso Crosetto.

    Oggi missione congiunta con il Ministro della Difesa @GuidoCrosetto in Serbia e Kosovo. Lavoriamo per allentare le tensioni tra i due Paesi, anche grazie alla presenza del nostro contingente militare. L’Italia vuole essere protagonista di pace anche nei Balcani Occidentali.
    — Antonio Tajani (@Antonio_Tajani) November 22, 2022

    Il premier kosovaro, Albin Kurti, ha accettato una proroga (fino a giovedì 24 novembre) al piano graduale di re-immatricolazione dei veicoli nel nord del Paese, per cercare un’intesa dell’ultimo minuto. Intanto i ministri Tajani e Crosetto guidano la missione nei due Paesi balcanici

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    Salta ancora l’accordo tra Serbia e Kosovo sulle targhe. L’Ue: “Vučić e Kurti pieni responsabili del fallimento dei colloqui”

    Bruxelles – Il biasimo dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nei confronti di Kosovo e Serbia non è mai stato così diretto e veemente. “Informerò gli Stati membri, i ministri degli Esteri e i nostri partner del comportamento non costruttivo delle parti e della totale mancanza di rispetto per i loro obblighi legali internazionali, in particolare del Kosovo“, è il commento rilasciato al termine di una riunione d’emergenza che sarebbe dovuta essere decisiva per mettere fine all’escalation di tensione alla frontiera tra i due Paesi.
    E invece, davanti al “livello di tensione più pericoloso dal 2013” – come lo stesso alto rappresentante Borrell lo aveva definito pochi giorni fa – il vertice di alto livello di oggi (lunedì 21 novembre) a Bruxelles con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, ha inviato “un segnale politico molto negativo”. Convocato ieri (domenica 20 novembre) dopo una settimana di lavoro intenso tra i capi-negoziatori di Pristina e Belgrado, la riunione di emergenza avrebbe dovuto portare a una “de-escalation della situazione”, chiudendo la politica di “gestione permanente della crisi” e iniziando a “progredire verso la normalizzazione delle relazioni”, aveva messo in chiaro Borrell. “Si trattava di una responsabilità di entrambi i leader”, ma “purtroppo oggi non hanno trovato un accordo per una soluzione”, sono le parole prive di speranza dopo l’ultimo incontro tra i due leader balcanici.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    Mentre il tempo stringe nel nord del Kosovo sulla questione della re-immatricolazione dei veicoli con targa serba, l’attacco da parte di Bruxelles è durissimo: entrambi i leader “si assumono la piena responsabilità per il fallimento dei colloqui di oggi e per qualsiasi escalation e violenza che potrebbe verificarsi sul terreno“. Nel corso della riunione l’alto rappresentante Borrell e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, hanno presentato “una proposta che avrebbe potuto risolvere la situazione che il presidente Vučić ha accettato, mentre il primo ministro Kurti non l’ha fatto“. Anche senza un accordo, l’alto rappresentante Borrell ha chiesto con particolare forza – ripetendolo intenzionalmente due volte – al Kosovo di “sospendere immediatamente ulteriori tappe della re-immatricolazione dei veicoli” – e alla Serbia di “sospendere l’emissione di nuove targhe con le denominazioni delle città del Kosovo, incluse le targhe KM” (acronimo di Kosovska Mitrovica).
    Risulta chiaro dalle parole di Borrell che però è soprattutto Pristina a non essere disposta a fare passi indietro sul piano a tappe per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe serbe presentato lo scorso 28 ottobre: a chi non si adeguerà – dopo i primi 21 giorni di novembre con un solo avvertimento – da domani (22 novembre, con una proroga di un giorno decisa ieri) e il 21 gennaio sarà emessa una multa e tra il 21 gennaio al 21 aprile sarà applicata una targa temporanea. Dal 21 aprile in poi l’entrata in vigore sarà invece definitiva e i veicoli non conformi saranno sottoposti a sequestro.

    “I will inform 🇪🇺 Member States, Foreign Ministers and our partners about the unconstructive behaviour of Parties and complete lack of respect for their intl legal obligations, and this goes in particular for Kosovo. This send a very negative political signal.” https://t.co/Aq5XlUfvZ8
    — Peter Stano (@ExtSpoxEU) November 21, 2022

    Le tensioni tra Serbia e Kosovo
    Le tensioni crescenti sono legate agli eventi nel nord del Kosovo dopo l’introduzione del piano graduale del governo di Pristina sulle targhe. Il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, ha deciso di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali, denunciando la “violazione del diritto internazionale” e la mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia).
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (21 novembre 2022)
    La situazione è “ancora peggio di agosto”- quando si era riaccesa la disputa – dal momento in cui “meno di 50 poliziotti kosovaro-albanesi stanno gestendo la situazione, e certamente non sono abbastanza”, ha avvertito Borrell: “Questo crea un vuoto di sicurezza sul campo molto pericoloso in una situazione di fragilità evidente“. Nemmeno la presenza della missione dell’Ue Eulex e della forza militare della Nato Kosovo Force (Kfor) è sufficiente, perché “non possono prendere il posto della polizia locale, non è nel loro mandato”. Ed è per questo che l’appello continuo di Bruxelles è quello del “ritorno della minoranza serba nelle rispettive istituzioni del Kosovo” e alla distensione del clima da parte di Belgrado.
    Pristina è invece chiamata mettere fine alla sua posizione intransigente e lasciare spazio a un compromesso più ampio, che chiuda oltre 10 anni di mediazione diplomatica dell’Ue. È per questo che domani (martedì 22 novembre) i ministri italiani degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto, saranno in visita nei due Paesi balcanici per incontrare gli omologhi e i leader che oggi non hanno trovato un’intesa, mettendo in campo tutto il peso politico che l’Italia possiede sulle prospettive di integrazione della regione nell’Unione. Nel frattempo Francia e Germania spingeranno sulla proposta di mediazione che Borrell ha definito “una bussola di due pagine” e che dovrebbe fornire un nuovo orizzonte per i rapporti tra Serbia e Kosovo. Ma oggi le speranze di una de-escalation sono appese solo a un filo, come è apparso dal volto quasi sconsolato di Borrell al termine del punto con la stampa.

    Il presidente serbo e il premier kosovaro non hanno raggiunto un’intesa considerata decisiva dall’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, per mettere fine all’escalation di tensione nel nord del Kosovo. Duro attacco da Bruxelles: “Comportamento non costruttivo, in particolare da Pristina”

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    I Ventisette hanno autorizzato la Commissione ad avviare i negoziati per dispiegare Frontex nei Balcani Occidentali

    Bruxelles – Il dispiegamento degli agenti Frontex su tutte le frontiere dei Balcani Occidentali si avvicina sempre di più. Dopo la raccomandazione della Commissione Europea dello scorso 26 ottobre, il Consiglio dell’Ue ha deciso oggi (venerdì 18 novembre) di autorizzare i negoziati con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia per ampliare gli accordi sulla cooperazione dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera.
    Gli accordi negoziati nell’ambito del nuovo mandato di Frontex consentiranno all’agenzia di assistere i quattro Paesi balcanici nella gestione delle persone migranti in arrivo, nel contrastare l’immigrazione irregolare e nell’affrontare la criminalità trans-frontaliera. I nuovi accordi consentiranno al personale Frontex di esercitare poteri esecutivi, come i controlli di frontiera e la registrazione delle persone.
    In altre parole, se il nuovo quadro giuridico sarà negoziato secondo i termini di Bruxelles, i corpi permanenti dell’Agenzia Ue potranno essere dispiegati in tutta regione: non più solo alle frontiere esterne dell’Ue ma anche alle frontiere interne tra Paesi terzi. In questo scenario, Frontex potrà operare con pieni poteri esecutivi anche alle frontiere tra Macedonia del Nord-Albania, Macedonia del Nord-Serbia, Albania-Montenegro, Montenegro-Serbia, Montenegro-Bosnia ed Erzegovina e Serbia-Bosnia ed Erzegovina. Rimane anche sul fronte della gestione congiunta delle frontiere il buco nero del Kosovo, dal momento in cui non c’è ancora l’unanimità tra i Ventisette sul riconoscimento della sua sovranità (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia si oppongono).
    A oggi, il dispiegamento degli agenti può avvenire solo alle frontiere degli Stati membri dell’Unione (e senza poteri esecutivi). “Le sfide migratorie nella rotta dei Balcani Occidentali non iniziano alle frontiere dell’Unione”, ha commentato il ministro dell’Interno della Repubblica Ceca e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Vít Rakušan: “La cooperazione con i nostri partner, anche attraverso l’invio di personale Frontex, è essenziale per individuare e bloccare tempestivamente i movimenti migratori irregolari“. Secondo il ministro ceco, questo accordo “migliorerà la protezione delle frontiere esterne dell’Unione”, contribuendo allo stesso tempo “agli sforzi dei Paesi dei Balcani Occidentali per impedire ai contrabbandieri di utilizzare i loro territori come tappe di transito“.
    Lo stato dell’arte degli accordi Frontex con i Balcani Occidentali
    Gli accordi sullo status di Frontex nell’ambito del precedente mandato dell’Agenzia europea sono stati conclusi con l’Albania nell’ottobre 2018, con il Montenegro nell’ottobre 2019 e con la Serbia un mese più tardi, mentre dal 2017 è in stallo quello con la Bosnia ed Erzegovina, mai firmato dal momento dell’entrata in vigore del regolamento rivisto. È per questo motivo che per la Commissione era considerato cruciale il via libera alle raccomandazioni dal Consiglio dell’Ue, per autorizzare lo stesso esecutivo ad avviare i negoziati con Tirana, Podgorica, Belgrado e Sarajevo.
    Nel corso del tappa a Skopje dello scorso 26 ottobre (nel contesto del suo viaggio nei Balcani Occidentali), la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha messo il cappello sulla firma del secondo accordo con la Macedonia del Nord, che permetterà a Frontex di dispiegare squadre di gestione delle frontiere, sia alle frontiere con l’Unione (Grecia e Bulgaria) sia con gli altri Paesi balcanici extra-Ue (Serbia, Kosovo e Albania). Si tratta del primo documento ufficiale firmato dal momento dell’avvio dei negoziati di adesione all’Ue della Macedonia del Nord, in cui ha rivestito un ruolo significativo la traduzione anche in lingua macedone, “senza note, senza asterischi, su un piano di parità con tutte le 24 lingue dell’Unione Europea”, ha sottolineato von der Leyen.
    A questo si aggiunge un nuovo pacchetto di assistenza da 39,2 milioni di euro nell’ambito dello strumento di assistenza pre-adesione (IPA III) per rafforzare la gestione delle frontiere nei Balcani Occidentali. I finanziamenti di Bruxelles – arrivati a 171,7 milioni di euro – serviranno principalmente per l’acquisto di attrezzature specializzate, come sistemi di sorveglianza mobile, droni, dispositivi biometrici, formazione e sostegno ai Centri nazionali di coordinamento e creazione di strutture per “accoglienza e detenzione”, specifica l’esecutivo Ue.

    Con il via libera del Consiglio dell’Ue, l’esecutivo comunitario potrà negoziare con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia l’operatività dei corpi permanenti non più solo alle frontiere esterne dell’Unione ma anche alle frontiere interne tra Paesi terzi, garantendo poteri esecutivi

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    L’Ue cerca di avvicinare la Serbia mettendola al centro dei progetti balcanici (e con il più alto supporto contro la crisi)

    Bruxelles – L’Unione Europea cambia strategia e cerca di convincere la Serbia ad allinearsi alle richieste di Bruxelles mettendola al centro dei progetti infrastrutturali, energetici e di connettività di tutta la regione balcanica, per un collegamento ulteriore al resto d’Europa. Non può passare inosservato il fatto che la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, non ha scelto la capitale Belgrado come tappa serba del suo viaggio di quattro giorni nei Balcani Occidentali (come ha invece fatto per Macedonia del Nord, Kosovo, Albania e Bosnia ed Erzegovina), ma Jelašnica, presso Niš, nel sud del Paese.
    Proprio qui sorgerà “entro il prossimo anno” l’interconnettore di gas che collegherà la Serbia alla Bulgaria, un progetto finanziato all’80 per cento da Commissione e Banca europea per gli investimenti (Bei). Lo scopo è duplice: non solo “aprirà il mercato serbo del gas alla diversificazione e migliorerà la sicurezza energetica” del Paese (che pochi mesi fa ha siglato un nuovo contratto con Gazprom), ma soprattutto “vi avvicinerà all’Ue”, ha promesso la numero uno della Commissione al presidente della Serbia, Aleksandar Vučić. L’esortazione è quasi latina – “bisogna essere in due per ballare il tango” – ma l’obiettivo è senza dubbio pragmatico: “È necessario, una dipendenza troppo incentrata sul gas russo non è positiva“. La presenza di von der Leyen sul sito dei lavori in Serbia è una dimostrazione che “siamo già insieme in un’Unione dell’energia“, perché “qualsiasi cosa faccia l’Unione Europea, i Balcani Occidentali sono inclusi” e viceversa: “Un miglioramento dell’interconnettore del gas qui ha un’influenza positiva per l’intera Unione Europea”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučič (Jelašnica, 28 ottobre 2022)
    L’Unione dell’energia coinvolge anche l’approvvigionamento energetico da “fornitori affidabili” attraverso la piattaforma di acquisto congiunto del gas, a cui “anche la Serbia è invitata a unirsi”. Per i Ventisette è cruciale “usare il nostro potere di mercato per ottenere risultati migliori dove c’è molta concorrenza, soprattutto sui prezzi”, ha spiegato la numero uno dell’esecutivo comunitario. Ed è qui che si inserisce la questione del supporto energetico dell’Ue a tutti i partner dei Balcani Occidentali, il vero filo rosso della visita di von der Leyen nelle sei capitali. Dopo gli 80 milioni per la Macedonia del Nord, altrettanti per l’Albania, i 75 milioni per il Kosovo e i 70 milioni per la Bosnia ed Erzegovina, la presidente della Commissione ha annunciato “165 milioni di euro in sovvenzioni per il sostegno immediato al bilancio della Serbia, per aiutare famiglie e imprese vulnerabili” ad affrontare i prezzi dell’energia alle stelle. Si tratta di gran lunga dell’importo più alto tra tutti i partner balcanici, tanto che il leader serbo non ha potuto nascondere un moto di sincera ammirazione: “È una cifra enorme per noi, dobbiamo ringraziare i contribuenti dell’Unione, soprattutto quando qualcuno ci offre un supporto economico senza chiedere nulla in cambio”.
    Ma è la seconda parte del sostegno di Bruxelles a interessare con ancora più forza, almeno sul medio/lungo periodo. L’Ue finanzierà con un pacchetto da 500 milioni di euro in sovvenzioni progetti nazionali e congiunti su energie rinnovabili e infrastrutture transfrontaliere, come quella tra Serbia e Bulgaria visitata dai due leader. Nel taccuino di von der Leyen c’è l’interconnettore del gas tra Serbia e Macedonia del Nord, progetto che “completerà il collegamento della regione”, ma anche un grande esempio di quella “interdipendenza” tra i Balcani Occidentali e il resto dell’Europa: “Il Corridoio Elettrico Trans-Balcanico è affascinante, tutto sarà connesso dall’Italia alla Bulgaria passando per la Serbia, il Montenegro e la Bosnia ed Erzegovina”. In questo modo “ci aiuteremo a vicenda, per non trovarci mai più in un collo di bottiglia come quello di oggi”.

    The 🇷🇸🇧🇬 gas interconnector will improve Serbia’s energy security – and bring you one step closer to the EU.
    We also invite 🇷🇸 to take part in our EU joint procurement of energy.
    We will be happy to have Serbia with us. https://t.co/vGFNe1HBcN
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) October 28, 2022

    La Serbia tra Ue, Russia e Kosovo
    Oltre alle interconnessioni e all’energia c’è di più, in particolare sul fronte della politica internazionale. La prima questione è legata strettamente all’invasione russa dell’Ucraina e allo stretto legame della Serbia con Mosca. Da quando è scoppiata la guerra Bruxelles chiede insistentemente a Belgrado di rendere coerente la propria politica sulle sanzioni contro la Russia a quella dell’Ue, ma a oggi non si vedono spiragli per uno scostamento dall’ormai insostenibile posizione di neutralità tra i partner occidentali e l’alleato storico. La presidente von der Leyen ha utilizzato molta cautela nel sottolineare la necessità di un allineamento alla politica estera e di sicurezza dell’Unione – “questa guerra sta ridefinendo il panorama della sicurezza dell’intero continente, permettetemi di assicurarvi che l’Ue è e rimarrà il più importante partner politico ed economico della Serbia” – proprio per non compromettere la nuova strategia improntata più sullo stretto coinvolgimento sul campo e la persuasione economica del partner balcanico.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučič (Jelašnica, 28 ottobre 2022)
    Il secondo capitolo più urgente riguarda le tensioni tra la Serbia e il Kosovo, a tre giorni dalla scadenza fissata dal governo di Pristina per la re-immatricolazione dei veicoli nel Paese (dopo due rinvii consecutivi, per un totale di tre mesi). Da lunedì 31 ottobre tutti i mezzi di trasporto dovranno presentare targhe kosovare e potrebbero essere sequestrati quelli che circolano ancora con targhe serbe, molto diffuse tra la minoranza serba nel nord del Paese. Per Belgrado tutto ciò rappresenta una provocazione (nonostante la misura sia identica a quella applicata dalla Serbia): “Sono molto preoccupato per i rapporti con Pristina, ma facciamo il possibile per mantenere la pace e la stabilità”, ha affondato il presidente Vučić, rispondendo a distanza alle parole di ieri dell’omologa kosovara, Vjosa Osmani. Lo stesso leader serbo ha convocato il Consiglio per la sicurezza nazionale, per valutare come rispondere a eventuali tensioni violente al confine, come quelle scoppiate a fine luglio nord del Kosovo
    “Sappiamo tutti per esperienza che solo con il dialogo siamo in grado di risolvere i conflitti, c’è ancora tempo“, ha assicurato la presidente von der Leyen. Ma dopo un anno di soluzione provvisoria (la numero uno della Commissione si trovava proprio in Serbia il 30 settembre 2021, quando era stata firmata) e tre mesi di confronto tra Pristina e Belgrado, i due Paesi balcanici non sono riusciti a raggiungere un’intesa definitiva, come invece hanno fatto sul riconoscimento dei documenti d’identità nazionali lo scorso 27 agosto. Bruxelles e Washington spingono per un ultimo rinvio di 10 mesi della scadenza, per avere maggiori prospettive di compromesso, ma il governo kosovaro non sembra voler fare ulteriori concessioni. Servirà un colpo di coda diplomatico della leader dell’esecutivo comunitario per imprimere una svolta.

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    È sempre più stretta l’alleanza tra Vučić e Orbán. L’asse contro le sanzioni alla Russia che preoccupa Bruxelles

    Bruxelles – Era solo una questione di tempo per le formalità, perché i segnali del rapporto solidissimo tra Belgrado e Budapest erano già chiari. Il premier dell’Ungheria, Viktor Orbán, ha ricevuto oggi (venerdì 16 settembre) il gran collare dell’Ordine della Repubblica di Serbia – una delle massime onorificenze a capi di Stato e di governo per meriti speciali resi allo Stato e al popolo serbo – direttamente dalle mani del presidente Aleksandar Vučić. “Ringrazio il primo ministro ungherese per il suo forte contributo al miglioramento della cooperazione bilaterale complessiva tra Serbia e Ungheria, che è in costante aumento e ha raggiunto il suo stadio più alto, senza precedenti nella storia moderna”, ha dichiarato nel suo intervento Vučić.
    Un’alleanza che già aveva iniziato a formalizzarsi con lo scambio di onorificenze un anno fa, ma che ora – in un contesto geopolitico sempre più teso a causa delle conseguenze della guerra russa in Ucraina e per il vento nazionalista che si è confermato nei due Paesi alle rispettive elezioni dello scorso 3 aprile – assume caratteristiche sempre più preoccupanti per l’Unione Europea. Bruxelles è direttamente coinvolta anche dalle parole del presidente Vučić – per il sostegno “aperto e inequivocabile dell’Ungheria per la piena adesione della Serbia all’Ue il prima possibile” – in un futuro allargamento al Paese balcanico che solleva timori per il rafforzamento dell’asse illiberale Belgrado-Budapest. Proprio ieri (giovedì 15 settembre) il Parlamento Ue ha definito l’Ungheria di Orbán una “autocrazia elettorale” e ha chiesto alla Commissione il congelamento dei fondi comunitari destinati a Budapest, mentre il regime di Vučić è sotto l’occhio dei partner occidentali su diversi fronti, a partire dal rispetto degli standard democratici e dello Stato di diritto.

    We are grateful to our Hungarian friends, but especially to you, #ViktorOrban, for the open, unequivocal, and constant support you give to Serbia in its pursuit of #EU membership as well as on all significant regional issues, in particular our bilateral cooperation. 🇷🇸🇭🇺 pic.twitter.com/LJyD4uNO0X
    — Александар Вучић (@predsednikrs) September 16, 2022

    Ma a fare notizia sono gli attacchi violenti ed espliciti alla politica delle sanzioni alla Russia di Putin attuata dall’Unione. Non tanto quelli del serbo Vučić – unico leader europeo a non essersi allineato nemmeno a livello di principio – quanto piuttosto quelli dell’ungherese Orbán, che dopotutto farebbe ancora parte dei Ventisette e che quelle misure restrittive ha contribuito a disegnarle (o più spesso a limitarle). “Noi vorremmo che la politica delle sanzioni cambiasse e che Bruxelles la ponesse su basi ragionevoli”, ha dichiarato il leader dell’esecutivo di Budapest, dicendosi convinto che “se le sanzioni contro Mosca fossero revocate, la situazione migliorerebbe immediatamente”. Riferendosi in particolare alle misure restrittive su carbone e petrolio, Orbán ha definito i 27 governi europei “nani che impongono sanzioni contro un gigante energetico” ed è per questo che tutto ciò “minaccia di distruggere l’intero sistema” costruito in Europa, a partire dai Paesi più vicini alla Russia: “Le sanzioni inventate dall’Occidente danneggiano l’Ungheria e l’Europa centrale più di chi contro cui sono applicate, stiamo andando alla deriva in una crisi economica sempre più profonda“.

    (1/3) PM Orbán in Belgrade: “Sanctions invented by the West hurt Hungary and Central Europe more than against whom they are applied. We are drifting into a deepening economic crisis and if sanctions were lifted, the situation would improve immediately.”
    — Zoltan Kovacs (@zoltanspox) September 16, 2022

    Non preoccupano di meno le esternazioni dal punto di vista del rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto. In primis sulla reazione alla risoluzione del Parlamento Ue – “Siamo stufi di questa barzelletta, non ha alcuna importanza” – ma anche per la gestione delle richieste di asilo: “È una missione storica e una responsabilità comune dei due Paesi difendere le porte meridionali dell’Europa, e contrastare i continui flussi migratori“, ha attaccato Orbán, facendo riferimento alla “storia, geografia e la secolare amicizia che ci uniscono”.
    Sul fronte serbo è invece caldissima la questione dei diritti LGBTQ+ e dello svolgimento della Marcia dell’EuroPride di Belgrado di domani (sabato 17 settembre). “Non mi voglio occupare di un tema imposto in modo perverso al popolo serbo, sia da quelli che sono a favore sia da quelli che sono contro, come se fosse questione di vita o di morte”, ha risposto con fastidio Vučić alle domande dei giornalisti sulle notizie sempre più insistenti pubblicate dalla stampa nazionale a proposito della revoca del governo del divieto allo svolgimento della Marcia annunciato martedì (13 settembre) dal ministero dell’Interno. Il governo presieduto da Ana Brnabić (prima premier omosessuale della storia serba) avrebbe confermato alla Commissione Europea di aver fatto concessioni agli organizzatori, accordando lo svolgimento con un percorso più breve. Ma Vučić – che è stato il primo ad annunciare a fine agosto “la cancellazione o la posticipazione” dell’EuroPride – sembra non voler cedere a livello mediatico, non contribuendo di certo a diminuire la tensione e le possibili violenze dell’ala estremista e omofoba del nazionalismo in Serbia.

    NEWS: Government confirms #EuroPride2022 march will go ahead tomorrow @belgradepride, as we and @AllOut and @InterPride submitted 27,000 petitions to the Serbian government. https://t.co/HAbzn2biRR
    — EPOA • EuroPride (@EuroPride) September 16, 2022

    Trovi l’intervista agli organizzatori dell’EuroPride di Belgrado e un’analisi dei rapporti Serbia-Ungheria nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    Al premier ungherese è stato conferito il gran collare dell’Ordine della Repubblica di Serbia (una delle più alte onorificenze) per il rafforzamento della cooperazione reciproca. Attacco alla politica dell’Unione sulle misure restrittive contro Mosca: “Come nani contro un gigante energetico”

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    L’Ue in pressing sulla Serbia per trovare una soluzione con gli organizzatori dell’EuroPride per ospitare l’evento a Belgrado

    Bruxelles – Aumentano le pressioni delle istituzioni Ue sulla Serbia dopo l’ondata di polemiche sulla posizione intransigente del presidente serbo, Aleksandar Vučić, a proposito dello svolgimento dell’Europride 2022 in programma tra il 12 e il 18 settembre a Belgrado. “Dopo l’annuncio della cancellazione, l’Unione Europea incoraggia le autorità serbe a proseguire i contatti con gli organizzatori per trovare una soluzione che consenta di ospitare l’EuroPride in pace e sicurezza”, si legge in una nota firmata dal portavoce del Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae), Peter Stano: “Attendiamo con ansia una decisione finale positiva” sullo svolgimento dell’evento che celebra quest’anno il trentesimo anniversario dall’istituzione.

    Statement by the Spokesperson on the announcements of the cancellation of EuroPride in Belgrade | EEAS Website https://t.co/yA0qK61knl
    — Belgrade Pride – EuroPride 2022 (@belgradepride) September 2, 2022

    Martedì (30 agosto) il presidente Vučić aveva ribadito che la manifestazione annuale itinerante per i diritti LGBTQ+ in programma quest’anno nella capitale serba sarà “annullata o rinviata” per “questioni urgenti”, non facendo nessuna apertura rispetto a quanto annunciato pochi giorni prima nel corso della cerimonia di conferimento del mandato di governo alla premier uscente, Ana Brnabić. “Potrà chiamare Biden, potranno chiamare Putin o Erdogan o chi volete, la decisone non cambierà”, aveva messo un punto Vučić. Ma gli organizzatori dell’EuroPride hanno continuato a confermare che l’evento non è annullato e che la marcia del 17 settembre per le strade di Belgrado si svolgerà, dal momento in cui le autorità nazionali non hanno il potere di cancellare la manifestazione una volta assegnata alla città ospitante, a meno che non si tratti di ragioni di sicurezza pubblica motivate dalle forze di polizia.
    Da Bruxelles è subito arrivato un importante sostegno alla causa dell’EuroPride 2022 in Serbia, sia con il messaggio inviato alla premier Brnabić da parte della co-presidente dell’intergruppo LGBTQ+ del Parlamento Ue, Terry Reintke, e dalla collega di partito, Viola von Cramon-Taubadel (“L’EuroPride sarà un simbolo forte contro i movimenti autoritari guidati dall’odio, marceremo a Belgrado per la democrazia e la diversità”), sia con la lettera firmata da 145 eurodeputati indirizzata anche al presidente serbo. “Siamo consapevoli delle minacce alla sicurezza dei manifestanti, ma riteniamo che vietare del tutto l’evento non sia la soluzione giusta”, è quanto sottolineato con forza nel testo, che ha esortato alla “positiva collaborazione e a sostenere gli organizzatori nella realizzazione di una Marcia dell’EuroPride sicura”. Tra gli eurodeputati italiani firmatari della lettera compaiono la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno, il membro del comitato dell’intergruppo LGBTQ+ Fabio Massimo Castaldo (Movimento 5 Stelle), insieme ad Alessandra Moretti,Brando Benifei, Massimiliano Smeriglio (Partito Democratico), Eleonora Evi e Rosa D’Amato (Verdi).

    🏳️‍🌈 145 MEPs signed today our joint letter calling on the 🇷🇸 #Serbian leadership (@SerbianPM/@avucic) to facilitate a safe #EuroPride2022 as scheduled.
    Our MEPs also urge authorities to deploy sufficient police protection.
    Read it below 👇 https://t.co/SsKle1gmxb pic.twitter.com/u1lFMMzC2t
    — LGBTI Intergroup (@LGBTIintergroup) August 31, 2022

    È così che, anche grazie al pressing dell’Ue, si è aperto uno spazio di dialogo tra le autorità della Serbia e gli organizzatori dell’EuroPride. Si cerca ora una soluzione che garantisca lo svolgimento della manifestazione – e in completa sicurezza – con un qualche tipo di riconoscimento della situazione delicata all’interno del Paese (in particolare sui rapporti con il Kosovo e sulla crisi energetica). Un tentativo ulteriormente supportato da Bruxelles con la messa in campo del peso diplomatico del Servizio guidato dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “L’Ue attribuisce grande importanza al fatto che questo Pride si svolga in circostanze pacifiche e con la sicurezza dei partecipanti”, si legge nel comunicato, che ricorda a Belgrado le aspettative dell’Unione nei confronti dei “nostri partner più stretti” in materia di “protezione e promozione dei diritti umani”, inclusa la “difesa dei diritti delle persone LGBTIQ+, della libertà di riunione e di espressione”. L’EuroPride, conclude il testo, “si batte per la parità di diritti delle persone LGBTIQ+ in tutta Europa, dando voce a coloro che subiscono discriminazioni, violenze o odio per motivi diversi dal loro sesso, sessualità o genere”.

    Il Servizio europeo per l’azione esterna attende “con ansia” una decisione finale “positiva” dai contatti tra autorità serbe e organizzatori della manifestazione LGBTQ+. Bruxelles attribuisce “grande importanza” allo svolgimento dell’evento “in circostanze pacifiche e in sicurezza”

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    Il presidente serbo Vučić vuole annullare l’EuroPride 2022 a Belgrado. Da Bruxelles arriva l’appello di 145 eurodeputati

    Bruxelles – Le polemiche non accennano a diminuire e, al contrario, la posizione intransigente del presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, sull’Europride 2022 in programma tra il 12 e il 18 settembre a Belgrado rischia di aumentare i rischi di legittimazione delle violenze dell’estrema destra nazionalista contro la comunità LGBTQ+ serba ed europea. “Abbiamo deciso che l’EuroPride non si farà“, ha confermato ieri (martedì 30 agosto) il capo dello Stato, respingendo qualsiasi tentativo di influenza esterna: “Potrà chiamare Biden, potranno chiamare Putin o Erdogan o chi volete, la decisone non cambierà”. Il tutto a pochi giorni dalla manifestazione di migliaia di persone a Belgrado, capeggiata dai partiti ultra-nazionalisti omofobi e dalla Chiesa Ortodossa (con inflitrazioni di gruppi organizzati russi), che hanno espresso – con icone religiose, canti nazionalpatriottici, ritratti di Putin e magliette con impressa la Z della propaganda del Cremlino – la propria opposizione allo svolgimento della manifestazione annuale itinerante nella capitale serba.

    Serbia’s capital, Belgrade, is due to host the EuroPride march in September, an event staged in a different European city each year. But the government said it would be cancelled or postponed, citing reasons such as threats from right-wing activists https://t.co/4QEOuwyGkb pic.twitter.com/TFPGOlUSxE
    — Reuters (@Reuters) August 29, 2022

    La dichiarazione di Vučić sorprende fino a un certo punto, ma preoccupa piuttosto per le implicazioni che potrebbe avere su dinamiche già particolarmente delicate. Conferendo il nuovo mandato di governo alla premier uscente, Ana Brnabić, il presidente della Serbia aveva annunciato già sabato scorso (27 agosto) che l’EuroPride in programma a Belgrado sarebbe stato “annullato o rinviato” per “questioni urgenti” – ovvero la disputa di confine con il Kosovo e la crisi energetica – che nulla hanno a che fare con lo svolgimento pacifico della manifestazione più attesa dalla comunità LGBTQ+ europea. A questo poi si aggiunge il fatto che Vučić parla di “annullamento”, non di “divieto”, perché un’autorità nazionale non ha il potere di cancellare l’evento una volta assegnato alla città ospitante, fatte eccezione le ragioni di sicurezza pubblica motivate dalle forze di polizia. Ecco perché questa posizione va letta in ottica politica: l’annuncio di Vučić è arrivato nello stesso giorno dell’accordo di compromesso storico sui documenti d’identità con il Kosovo, una coincidenza che lascia presagire il tentativo di distogliere l’attenzione dei partiti di estrema destra e della Chiesa Ortodossa da un’evidente sconfitta del nazionalismo serbo. La stessa intransigenza nella conferma dell’annullamento dell’evento va in questa direzione, per tentare di mantenere saldo il consenso interno dell’elettorato su cui Vučić basa il proprio potere politico.
    Per tutte queste ragioni si teme un’esacerbazione delle tensioni e una potenziale legittimazione delle violenze dei gruppi più conservatori e omofobi ai danni dei manifestanti dell’EuroPride, che comunque arriveranno a Belgrado da tutta Europa fra due settimane. Il circolo vizioso che ormai si è creato tenderà a confondere causa ed effetto, considerato anche il fatto che il governo Brnabić ha dichiarato che non sussistono le condizioni per lo svolgimento dell’EuroPride in sicurezza: “Gruppi estremisti potrebbero approfittare di tale evento per alimentare tensioni e creare instabilità in Serbia“. Tuttavia, proprio a causa di queste dichiarazioni che hanno avallato le richieste della manifestazione omofoba, il 2022 potrebbe tornare a registrare violenze dopo anni di marce del Pride Month di Belgrado senza incidenti. Il primo Pride nel Paese balcanico si è svolto nel 2001, ma già nel 2009 è stato cancellato per minacce di scontri, poi verificatisi durante la manifestazione del 2010. Dopo un’interruzione di tre anni, dal 2014 è tornato a svolgersi ininterrottamente e dal 2017 vi partecipa anche Brnabić, prima premier omosessuale dichiarata nella storia del Paese.

    The President of Serbia has said today that #EuroPride2022 is cancelled. It is not. Only the organisers can cancel the event. Our full statement. https://t.co/OQ8OWgIFuT
    — EuroPride is not cancelled! (@EuroPride) August 27, 2022

    Gli organizzatori dell’EuroPride continuano a ricordare che la manifestazione non è annullata e che la marcia del 17 settembre per le strade di Belgrado si svolgerà: “Lo Stato non può cancellare l’evento, sarebbe una chiara violazione della Costituzione nazionale”, oltre che “degli articoli 11, 13 e 14 della Convenzione europea sui diritti umani, che la Serbia ha ratificato come membro del Consiglio d’Europa”, si legge in un comunicato. Da Bruxelles arriva un importante sostegno alla causa dell’EuroPride 2022 in Serbia, con l’impegno in prima linea della co-presidente dell’intergruppo LGBTQ+ del Parlamento Europeo, Terry Reintke: “Gli attacchi alla comunità LGBTI*, alla libertà e ai diritti fondamentali rappresentano una minaccia per le democrazie in Europa e nel mondo”, ha ricordato in un’intervista all’emittente serba N1: “L’EuroPride sarà un simbolo forte contro i movimenti autoritari guidati dall’odio, marceremo a Belgrado per la democrazia e la diversità“. Lo stesso messaggio è stato portato proprio da Reintke e dalla collega di partito, Viola von Cramon-Taubadel, alla premier serba Brnabić: “Abbiamo detto chiaramente che il governo serbo deve fare di tutto per proteggere la libertà di riunione, anche per le minoranze”.
    L’iniziativa è stata rafforzata dalla lettera dell’intergruppo LGBTQ+ firmata da 145 eurodeputati e indirizzata al presidente Vučić e alla premier Brnabić. “Siamo consapevoli delle minacce alla sicurezza dei manifestanti, ma riteniamo che vietare del tutto l’evento non sia la soluzione giusta”, sottolinea il testo, che esorta alla “positiva collaborazione e a sostenere gli organizzatori nella realizzazione di una Marcia dell’EuroPride sicura”. Nello specifico, la leadership serba è stata richiamata a “consentire che l’EuroPride si svolga come previsto”, a impegnarsi per un numero “sufficiente” di forze dell’ordine perché “tutti i partecipanti possano esercitare in sicurezza il loro diritto alla riunione pacifica e alla libertà di espressione” e a “mantenere il dialogo con la delegazione dell’Ue e gli organizzatori per trovare una soluzione”. Tra gli eurodeputati italiani firmatari della lettera compaiono la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno, il membro del comitato dell’intergruppo LGBTQ+ Fabio Massimo Castaldo (Movimento 5 Stelle), insieme ad Alessandra Moretti,Brando Benifei, Massimiliano Smeriglio (Partito Democratico), Eleonora Evi e Rosa D’Amato (Verdi).

    🏳️‍🌈 145 MEPs signed today our joint letter calling on the 🇷🇸 #Serbian leadership (@SerbianPM/@avucic) to facilitate a safe #EuroPride2022 as scheduled.
    Our MEPs also urge authorities to deploy sufficient police protection.
    Read it below 👇 https://t.co/SsKle1gmxb pic.twitter.com/u1lFMMzC2t
    — LGBTI Intergroup (@LGBTIintergroup) August 31, 2022

    Dopo le manifestazioni dei partiti nazionalisti e della Chiesa Ortodossa contro la manifestazione LGBTQ+ di metà settembre, il capo dello Stato ha ribadito che l’evento non si terrà “per questioni di sicurezza”. Ma non ha il potere di vietarlo e così aumentano solo i rischi di violenze omofobe

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    Lo storico accordo sui documenti d’identità tra Kosovo e Serbia, grazie alla mediazione Ue. Ora tocca alle targhe

    Bruxelles – Bisogna leggere tra le righe dell’intesa tra Pristina e Belgrado per capire quanto si tratti di un accordo storico per la regione balcanica. Il via libera reciproco ai documenti d’identità nazionali alla frontiera è un primo riconoscimento de facto della sovranità del Kosovo da parte della Serbia, nonostante Belgrado si rifiuti per principio di definirlo come tale: mai nei 14 anni d’indipendenza unilaterale di Pristina la polizia di frontiera serba aveva consentito l’ingresso nel Paese a persone che mostravano una carta d’identità rilasciata dalle autorità kosovare (al loro posto venivano rilasciati documenti serbi provvisori).
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, al vertice di Bruxelles del 18 agosto 2022
    “Nell’ambito del dialogo facilitato dall’Unione Europea, la Serbia ha accettato di abolire i documenti di ingresso e uscita per i possessori di documenti d’identità kosovari, mentre il Kosovo ha accettato di non introdurli per i possessori di documenti d’identità serbi“, si legge in una nota dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Nello stesso accordo tra Pristina e Belgrado è contenuta la precisazione che i serbi del Kosovo “potranno viaggiare liberamente tra il Kosovo e la Serbia utilizzando le proprie carte d’identità”, grazie alle garanzie fornite a Bruxelles dal premier kosovaro, Albin Kurti. “Lieto” di annunciare l’intesa sulla libertà di circolazione raggiunta nella giornata di sabato (27 agosto), l’alto rappresentante Borrell ha sottolineato che il risultato è stato reso possibile grazie all’incontro di alto livello del dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’Ue della scorsa settimana e agli “intensi sforzi” continuati nelle due capitali nei giorni seguenti in coordinamento con “i nostri partner statunitensi”.
    Da Bruxelles e da Washington si guarda a questo accordo storico come un segnale incoraggiante di disponibilità al compromesso anche su un’altra questione calda nell’estate 2022. L’alto rappresentante Borrell non ha nascosto che “ci sono alcuni problemi ancora aperti e mi aspetto che entrambi i leader continuino a dare prova di pragmatismo e costruttività per risolvere il problema delle targhe“. Dopo quasi un anno di soluzione provvisoria, a fine luglio erano scoppiate nuove tensioni nel nord del Kosovo sulla questione delle targhe automobilistiche al passaggio della frontiera, a seguito della decisione del governo di Pristina di introdurre l’obbligo su tutto il territorio nazionale di utilizzare quelle kosovare al posto di quelle serbe (molto diffuse tra la minoranza serba nel nord del Paese) a partire dal primo agosto. Prorogata di un mese, la misura identica a quella applicata da Belgrado entrerà in vigore da giovedì primo settembre.

    I am happy that we found a European solution that facilitates travel between #Kosovo and #Serbia, which is in the interest of all citizens of Kosovo and Serbia.
    I thank @predsednikrs and @albinkurti for their leadership, and underline the excellent practical EU – US cooperation pic.twitter.com/kO4UZNenwk
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) August 27, 2022

    Anche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha salutato “con favore” l’accordo sulla libera circolazione tra Pristina e Belgrado, ma allo stesso tempo ha esortato il premier kosovaro Kurti e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, a “risolvere le questioni in sospeso attraverso il dialogo politico”. In Kosovo è di stanza il più grande contingente dell’Alleanza Atlantica, la cui forza militare internazionale Kosovo Force (Kfor) dispiega circa 3.700 soldati e il cui mandato è quello di “contribuire al mantenimento di un ambiente sicuro e protetto” nella regione e alla “dissuasione di nuove ostilità”. In un tweet lo stesso segretario generale Stoltenberg ha ribadito che “la Nato rimane vigile”. Dalle due capitali sono arrivate reazioni opposte. Il premier Kurti ha sottolineato con entusiasmo che “la reciprocità è lo spirito di una soluzione giusta e di principio“, ricordando che “i cittadini della nostra Repubblica possono ora recarsi in Serbia liberamente e da pari a pari”, mentre Pristina “non introdurrà documenti di ingresso e uscita per i documenti serbi”. Il presidente Vučić ha invece messo in rilievo che “è fondamentale” che i serbi del Kosovo possano entrare e uscire dal Kosovo “liberamente” con documenti rilasciati dalle autorità di Belgrado, ma ribadendo con forza che il compromesso con Pristina è solo per “ragioni pratiche” e che questo “non rappresenta un riconoscimento implicito dell’indipendenza”.
    La posizione non cambia – “in base alla Costituzione serba, il Kosovo è parte integrante della Repubblica di Serbia” – ma è sotto gli occhi di tutti che accettare i documenti d’identità rilasciati da un’autorità che si considera nazionale ha nei fatti delle implicazioni concrete sul riconoscimento della sovranità del Paese stesso. I rapporti tra Pristina e Belgrado rimangono comunque molto tesi, sia per la questione delle targhe sia per la volontà del Kosovo di presentare la richiesta formale di adesione Ue entro la fine dell’anno. Anche per le spinte e nazionaliste in entrambi i Paesi, un accordo finale sembra ancora molto distante e Bruxelles dovrà spingere ancora molto sul dialogo per dare seguito a questo passo storico: al centro della disputa non c’è solo il riconoscimento formale della sovranità del Kosovo da parte della Serbia, ma anche il rispetto da parte di Pristina dell’intesa del 2013 sulla creazione della Comunità delle municipalità serbe nel Paese (ancora non implementata per il timore che nel Paese si crei una Republika Srpska come in Bosnia ed Erzegovina, problematica anche per l’Unione Europea).

    Citizens of our Republic may now travel to Serbia freely as equals. I want to thank HRVP Borrell, EUSR Lajcak, DAS Escobar & Ambasador Hovenier for their contribution. Reciprocity is the spirit of a principled & just solution. 🇽🇰will not introduce entry-exit docs for Serbian IDs.
    — Albin Kurti (@albinkurti) August 27, 2022

    A questo scenario complesso si è aggiunta un’altra controversia, che dimostra quanto la posizione intransigente di Vučić risponda a delicate dinamiche interne al Paese, in particolare in relazione all’elettorato nazionalista su cui ha costruito il proprio successo politico. Conferendo un nuovo mandato di governo alla premier uscente, Ana Brnabić, dopo le elezioni dello scorso 3 aprile (l’esecutivo sarà formato entro i prossimi 20 giorni), il presidente serbo ha annunciato proprio sabato scorso che l’EuroPride in programma tra il 12 e il 18 settembre a Belgrado sarà “annullato o rinviato”. La dichiarazione ha alzato un polverone di polemiche in tutta Europa, ma va rilevato un tecnicismo non irrilevante: Vučić non ha detto “vietato”, perché un’autorità nazionale non ha il potere di cancellare l’evento più atteso dalla comunità LGBTQ+ europea una volta assegnata la città, fatta eccezione per ragioni di sicurezza pubblica motivate dalle forze di polizia. Il numero uno della Serbia ha fatto riferimento a “questioni urgenti” – ovvero la disputa di confine con il Kosovo e la crisi energetica – che nulla c’entrano con lo svolgimento pacifico della manifestazione annuale itinerante.
    Ecco perché questa dichiarazione deve essere letta in ottica puramente politica: nel giorno dell’annuncio di un accordo di compromesso storico con il Kosovo, Vučić ha ritenuto necessario distogliere l’attenzione dei partiti di estrema destra e della Chiesa Ortodossa, concedendo loro un ‘successo’ interno dopo le manifestazioni di agosto nella capitale serba contro l’EuroPride (i vertici religiosi hanno addirittura minacciato “maledizioni contro tutti coloro che organizzano e partecipano a una cosa del genere”). Il governo Brnabić ha appoggiato la decisione del presidente, affermando che non sussistono le condizioni per lo svolgimento dell’EuroPride in sicurezza: “Gruppi estremisti potrebbero approfittare di tale evento per alimentare tensioni e creare instabilità in Serbia“, si legge in una nota. Anche questa posizione si mostra precaria e poco fondata, dal momento in cui la marcia del Pride Month di Belgrado si svolge ininterrottamente da otto anni (dopo un’interruzione per le violenze dell’estrema destra nel 2010) e dal 2017 vi partecipa anche Brnabić, prima premier omosessuale dichiarata nella storia del Paese.
    Gli organizzatori hanno denunciato l’illegalità della decisione e hanno confermato che la marcia dell’EuroPride si terrà in ogni caso il 17 settembre, come da programma: “Lo Stato non può cancellare l’evento, sarebbe una chiara violazione della Costituzione nazionale”, oltre che “degli articoli 11, 13 e 14 della Convenzione europea sui diritti umani, che la Serbia ha ratificato come membro del Consiglio d’Europa”. Nel comunicato viene anche ricordato che dopo l’assegnazione dell’evento a Belgrado nel 2019 la premier serba aveva promesso “pieno appoggio” alla manifestazione e alla protezione dei diritti della comunità LGBTQ+ nel Paese. Immediata la levata di scudi in difesa dell’EuroPride 2022 anche a Bruxelles. “I diritti non siano ostaggio dell’estrema destra“, ha ribadito con forza l’eurodeputata del Partito Democratico, Alessandra Moretti, ribadendo che “l’Europa non fa passi indietro sulle libertà”. Messaggio rinforzato dalla co-presidente dell’intergruppo LGBTQ+ del Parlamento Europeo, Terry Reintke: “Siamo pienamente solidali con il Belgrade Pride, saremo con voi fra tre settimane e marceremo per le strade di Belgrado“.

    The @LGBTIintergroup in the European Parliament stands in full solidarity with @belgradepride 🌈
    We will be there for @EuroPride in 3 weeks and march with you in the streets of Belgrade.
    Freedom of assembly is a fundamental right.
    We stand together to defend our rights.
    💕✨ pic.twitter.com/OHgNqG9Zsv
    — Terry Reintke (@TerryReintke) August 27, 2022

    L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha annunciato che i due governi hanno raggiunto l’intesa sull’uso delle rispettive carte d’identità alla frontiera, grazie al dialogo mediato da Bruxelles. È un primo passo per il riconoscimento (de facto) della sovranità di Pristina da parte di Belgrado