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    Il Pkk si scioglie, l’Ue invita la Turchia a “cogliere l’attimo” per una soluzione politica alla questione curda

    Bruxelles – L’annuncio storico dello scioglimento del Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, dopo oltre 40 anni di lotta armata contro lo Stato turco e più di 40 mila vittime, apre una finestra d’opportunità per “avviare un processo inclusivo basato sul dialogo e sulla riconciliazione” tra Ankara e la minoranza curda, che rappresenta circa il 20 per cento della popolazione. È la speranza della Commissione europea, dei leader delle comunità curde della regione e dell’opposizione turca al presidente sultano Recep Tayyip Erdoğan. In un comunicato, la Turchia ha già chiarito che la dissoluzione del Pkk non porterà a concessioni, decentramenti o “modelli federali che intacchino la struttura unitaria del Paese”.Il negoziato che porterà il Pkk a deporre le armi è durato più di otto mesi, avviato lo scorso autunno attraverso la mediazione del partito filo-curdo DEM e giunto a compimento quando, il 27 febbraio, il leader curdo e teorico del Confederalismo democratico, Abdullah Öcalan – imprigionato da 26 anni nell’isola-prigione di Imrali, al largo delle coste di Istanbul – ha invitato il suo movimento a mettere fine alla guerriglia. Il Pkk aveva disposto immediatamente un cessate il fuoco con la Turchia, fino all’annuncio di ieri (12 maggio) che “il dodicesimo congresso del Pkk ha deciso di sciogliere la struttura organizzativa del Pkk e di porre fine alla sua lotta armata“.Erdogan, che già allora definì l’appello di Öcalan “un’opportunità storica” per turchi e curdi, ha dichiarato: “Oggi abbiamo superato un’altra soglia critica. Il gruppo terrorista ha deciso di abbandonare le armi e dissolversi. Riteniamo questa decisione importante per il mantenimento della pace e della fratellanza“. Il presidente ha puntualizzato che, “per evitare incidenti su questa strada, la nostra intelligence monitorerà ciò che resta per concludere questo processo”.Una donna curda applaude durante una manifestazione dove sventolano bandiera del Partito dei Lavoratori del Kurdistan e del leader Abdullah OcalanL’agenzia stampa curda Firat, da sempre vicina al Pkk, ha reso noto le modalità con cui verrà sciolta l’organizzazione separatista curda. In tre fasi, e sotto l’egida delle Nazioni Unite. In una prima fase, verrà pianificato nel dettaglio l’abbandono delle armi: i primi battaglioni a deporre le armi saranno quelli dell’Iraq del nord, nelle province di Duhok, di Erbil e di Seyid Sadik. Una terza fase riguarderà la distruzioni di campi di addestramento, depositi di armi, tunnel e rifugi che dovrebbe essere delegata all’esercito turco. Il processo dovrebbe avvenire sotto gli occhi di osservatori internazionali e dell’Onu.Il presidente del Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli (DEM), Tuncer Bakirhan, ha affermato che “l’esito del Congresso del Pkk è una buona notizia per tutta la Turchia” e si è augurato che “questo processo termini con la pace e la democrazia”, perché “ormai non c’e’ alcun ostacolo alla costruzione di una Turchia democratica“. Il partito filo-curdo, che ha avuto un ruolo fondamentale nelle trattative con Öcalan, è da anni vittima di una serie di indagini giudiziarie per presunti legami con il Pkk, ed alcuni dei suoi leader ed esponenti sono tutt’ora incarcerati. L’accusa di collaborazione con il Pkk – oltre che corruzione, riciclaggio e turbativa d’asta – è la stessa con cui Erdogan ha fatto arrestare lo scorso 19 marzo il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, esponente del Partito Popolare Repubblicano.Hanno espresso soddisfazione, tra gli altri, per la svolta storica, il presidente della regione autonoma del Kurdistan iracheno, Nechirvan Barzani, e i ministri degli Esteri di Giordania e Siria. Da Bruxelles, il portavoce della Commissione europea per gli Affari esteri, Anouar El Anouni, ha auspicato “l’avvio di un incredibile processo di pace che miri a una soluzione politica alla questione curda” e invitato “tutte le parti a cogliere l’attimo e ad avviare un processo inclusivo basato sul dialogo e sulla riconciliazione”.

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    Ue-Russia, scintille dopo “l’ultimatum” per il cessate il fuoco. Vicino l’accordo a 27 su nuove sanzioni al Cremlino

    Bruxelles – In attesa che Mosca risponda all’invito di Volodymyr Zelensky per un faccia a faccia in Turchia, l’Unione europea sta limando un nuovo pacchetto di misure restrittive contro la Russia a cui, secondo fonti diplomatiche, i 27 potrebbero dare un primo via libera a livello di ambasciatori già mercoledì (14 maggio). Intanto il Cremlino respinge le minacce giunte da Londra, dove Francia, Germania, Italia, Polonia, Regno Unito e Spagna hanno fatto intendere che, se Putin non accetterà di sospendere le ostilità entro la fine della giornata, dovrà affrontare nuove sanzioni.Il portavoce del governo tedesco, Stefan Kornelius, ha avvertito che “il tempo sta per scadere” per la Russia affinché accetti la tregua di 30 giorni in Ucraina a partire da oggi, messa sul tavolo da Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Donald Tusk e Keir Starmer, in accordo con il premier ucraino. Pena, l’applicazione di nuove sanzioni. L’Alta rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Kaja Kallas, ha affermato in un post su X che Putin “dovrebbe finirla di giocare” e “impegnarsi seriamente” nei negoziati per la pace.L’Alta rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Kaja Kallas, e i ministri degli Esteri di Francia, Regno Unito, Germania, Italia, Polonia e Spagna a Londra, 12/05/25 [Ph: Account X Kaja Kallas]Immediatamente, durante una conferenza stampa, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha risposto che gli “ultimatum” lanciati dai leader dell’Ue “sono inaccettabili” e che “non si può parlare alla Russia con un linguaggio del genere”. Nel frattempo, lontano dalle telecamere, le diplomazie dei 27 Paesi membri stanno finalizzando il diciassettesimo pacchetto di sanzioni contro Mosca, in cantiere da fine febbraio (da quando cioè è stato adottato il sedicesimo) e ormai quasi pronto. Secondo quanto riportato da fonti diplomatiche, la Commissione europea ha presentato alcune modifiche al pacchetto per dare seguito alle osservazioni formulate dalle capitali e “negli ultimi giorni la presidenza polacca del Consiglio dell’Ue ha collaborato con gli Stati membri per migliorare il pacchetto”.Le stesse fonti rivelano che sono state aggiunte altre navi della cosiddetta flotta ombra, con cui la Federazione russa aggira l’embargo europeo sul petrolio e su altre merci, all’elenco delle imbarcazioni soggette a misure restrittive. Sarebbero ora “quasi 200”. Alcuni Paesi, in particolare i baltici e gli scandinavi, spingono per l’imposizione di sanzioni anche sul gas naturale liquefatto (Gnl) russo e sulla società atomica statale Rosatom.Il via libera del Coreper, il Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri, potrebbe arrivare mercoledì. “La maggior parte delle delegazioni sostiene la proposta. Alcune hanno chiesto un po’ più di tempo per concludere ulteriori analisi”, confermano le fonti. A quel punto, i ministri degli Esteri dei 27 potrebbero formalizzare il 17esimo pacchetto di sanzioni già il giorno successivo, giovedì 15 maggio. Sempre che Mosca non lanci un segnale forte e risponda all’appello (o “ultimatum”) di Bruxelles.

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    Allargamento, in Montenegro il decimo Forum Ue della società civile dei Balcani Occidentali

    Bruxelles – Il 13 e 14 maggio si terrà a Budva, in Montenegro, la decima edizione del Forum della Società civile dei Balcani Occidentali, promosso dal Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese). L’evento rappresenta uno dei principali appuntamenti dedicati al dialogo strutturato tra le organizzazioni della società civile dei paesi balcanici e le istituzioni dell’Ue. In un momento cruciale per il futuro dell’allargamento dell’Unione, il forum si concentrerà sul tema “Accelerare la convergenza socio-economica con l’Ue per una vita migliore”, riflettendo l’urgenza di rafforzare i legami politici, economici e sociali tra la regione e l’Unione.Il forum si propone come piattaforma di confronto multilivello per discutere il ruolo della società civile nel processo di adesione all’UE, la partecipazione dei partner sociali e l’attuazione concreta del Pilastro europeo dei diritti sociali. I lavori si articoleranno intorno a tre priorità: l’accelerazione del processo di adesione dei paesi della regione, il contributo della società civile alla realizzazione del Piano di crescita per i Balcani Occidentali e le modalità attraverso cui promuovere maggiore coesione e convergenza in materia di diritti sociali e benessere economico.La locandina dell’evento (Fonte: EESC)Il Montenegro, paese ospitante, è considerato tra i candidati più avanzati nei negoziati di adesione, e il forum rappresenterà anche un’occasione per valorizzare i suoi progressi e incoraggiare altri partner della regione a seguire percorsi simili. La scelta di Budva come sede non è casuale: evidenzia simbolicamente la centralità del Montenegro come ponte tra Bruxelles e i Balcani, e sottolinea l’impegno del Cese nel coinvolgimento diretto delle comunità locali nei processi decisionali europei.Negli ultimi anni, la cooperazione tra l’UE e i Balcani Occidentali ha vissuto momenti altalenanti, tra avanzamenti nei negoziati e fasi di stallo politico. Il forum mira a rilanciare questa relazione attraverso la voce della società civile, che viene riconosciuta come attore fondamentale per sostenere le riforme democratiche, il rispetto dello stato di diritto, la lotta alla corruzione e la promozione della sostenibilità ambientale. A tal fine, i partecipanti – circa 150 tra rappresentanti di organizzazioni civiche, membri del CESE, delegati delle istituzioni europee e funzionari governativi regionali – discuteranno anche di strategie concrete per rafforzare la capacità delle società civili locali di influenzare i processi pubblici.L’iniziativa si inserisce nel quadro delle attività preparatorie al pacchetto sull’allargamento dell’Ue previsto per fine anno e potrà contribuire a definire raccomandazioni operative, destinate alla Commissione Europea e ai governi dei paesi candidati. In questo modo, il Forum di Budva non sarà soltanto un momento di riflessione, ma anche un tassello chiave nella costruzione di una strategia condivisa per una maggiore integrazione e convergenza socio-economica nella regione balcanica. Sarà possibile partecipare all’evento da remoto sul sito del Cese.

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    Zelensky “convoca” Putin a Istanbul per colloqui diretti

    Bruxelles – Per la prima volta in oltre tre anni di conflitto, Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin potrebbero incontrarsi di persona nei prossimi giorni. I due presidenti hanno indicato la Turchia come luogo di un potenziale colloquio, per il quale spinge fortemente anche Donald Trump, che oggi ha anche annunciato che potrebbe partecipare all’incontro “se lo ritenessi importante per raggiungere un accordo”. Ma finora la diplomazia ha messo in fila solo una serie di buchi nell’acqua, e non si vede all’orizzonte alcuna tregua nei combattimenti.Il carrozzone della diplomazia internazionale è parso rimettersi in moto durante lo scorso weekend intorno alla guerra d’Ucraina. Uno spiraglio di cauto ottimismo era sembrato pervadere le cancellerie europee dopo che, al termine di una visita a Kiev sabato (10 maggio), i leader di Francia, Germania, Polonia e Regno Unito erano riusciti a portare anche il presidente statunitense dalla loro.La proposta messa sul tavolo da Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Donald Tusk e Keir Starmer – in accordo con Volodymyr Zelensky – era quella di un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni a partire da oggi (12 maggio), come dimostrazione di buona fede da parte di Vladimir Putin rispetto all’avvio di negoziati sostanziali su una soluzione politica del conflitto. Persino Donald Trump, che dal suo re-insediamento è parso allontanarsi sempre più da Kiev per avvicinarsi a Mosca, aveva dato il suo assenso.Da sinistra: il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il premier polacco Donald Tusk e quello britannico Keir Starmer a Kiev, il 10 maggio 2025 (foto: Genya Savilov/Afp)Nello stile cui ha abituato il mondo, il presidente russo ha però risposto picche sul cessate il fuoco, dichiarandosi tuttavia disponibile ad intavolare delle trattative dirette con la leadership ucraina in Turchia, evitando di legarsi le mani con qualunque precondizione. Nella Repubblica anatolica si terrà, il 14 e 15 maggio, una ministeriale informale proprio sul dossier Ucraina, e il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha ribadito per l’ennesima volta di essere disposto ad ospitare colloqui di pace tra le delegazioni di Kiev e Mosca.Tanto è bastato a Trump per tornare a mettere pressione su Zelensky. “Incontratevi ora!“, ha scritto il tycoon newyorkese sul suo social Truth, esortando l’omologo ucraino ad “accettare immediatamente” l’offerta dello zar russo. “Almeno saranno in grado di determinare se un accordo è possibile o meno e, in caso contrario, i leader europei e gli Stati Uniti sapranno come stanno le cose e potranno procedere di conseguenza“, ha ragionato l’inquilino della Casa Bianca.Ieri sera (11 maggio), Zelensky ha dunque rilanciato sfidando Putin a incontrarsi “personalmente” ad Istanbul giovedì prossimo, auspicando che “stavolta i russi non cerchino scuse” per sfilarsi dalle trattative. “Attendiamo un cessate il fuoco totale e duraturo“, ha aggiunto il presidente ucraino, “per fornire la base necessaria alla diplomazia”. Se avesse effettivamente luogo, il faccia a faccia tra i due leader sarebbe il primo da oltre tre anni a questa parte.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Ramil Sitdikov via Afp)Quella dei colloqui diretti tra Zelensky e Putin è un’opzione sulla quale entrambi i leader avevano fatto delle aperture in linea di principio già il mese scorso, ma sulla quale non si sono mai registrati progressi in termini concreti. I due belligeranti, come recentemente certificato dallo stesso Trump, rimangono distanti anni luce da una vera intesa e tutte le proposte di cessate il fuoco, da qualunque parte provenissero, sono finora cadute nel vuoto.Stando alla retorica ufficiale, Zelensky sembra mantenere la linea adottata fin qui: niente trattative senza tregua. Che è l’opposto di quella del Cremlino: prima il dialogo, poi (eventualmente) una pausa delle ostilità. Appare improbabile, tuttavia, che Kiev possa ignorare le pressioni dell’amministrazione a stelle e strisce, soprattutto alla luce della ratifica da parte del Parlamento ucraino, lo scorso 8 maggio, del famigerato accordo sullo sfruttamento delle materie prime critiche.Il giorno prima della visita di Macron, Merz, Tusk e Starmer a Kiev, Putin aveva ospitato sulla Piazza Rossa a Mosca decine di leader mondiali per le celebrazioni dell’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista nel 1945 (incluso lo slovacco Robert Fico, in barba alla conclamata unità dei Ventisette al fianco dell’Ucraina).L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (centro), e il primo ministro ucraino Denys Shmyhal (foto: European Council)Lo stesso giorno, alcuni ministri degli Esteri dell’Ue guidati dal capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas, avevano annunciato a Leopoli l’imminente creazione di un tribunale ad hoc per i crimini d’aggressione dell’Ucraina che dovrebbe perseguire la leadership della Federazione.L’Alta rappresentante si trova in queste ore a Londra per partecipare alla riunione del gruppo Weimar+ (composto da Francia, Germania, Italia, Polonia, Regno Unito e Spagna). “Dobbiamo mettere pressione sulla Russia“, ha ribadito, “affinché si sieda al tavolo e parli con l’Ucraina”. “Se non c’è un cessate il fuoco, non ci possono essere negoziati sotto il fuoco” delle bombe, ha aggiunto, accusando Mosca di “giocare” con le iniziative diplomatiche. Gli europei insistono a sostenere che, se il Cremlino non accetterà di sospendere le ostilità entro la fine della giornata, imporranno nuove sanzioni.

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    La Danimarca assume la presidenza del Consiglio artico

    Bruxelles – Da questa mattina (12 maggio), la Danimarca ha assunto la leadership del Consiglio artico, il forum che riunisce i Paesi che si affacciano sul circolo polare settentrionale, succedendo alla Norvegia, che ha guidato l’organismo dal 2023 al 2025. Il nuovo mandato danese, che durerà fino al 2027, si preannuncia particolarmente significativo, visto il contesto geopolitico complesso che attraversa la regione artica.Durante la presidenza norvegese, il Consiglio ha affrontato una crisi interna senza precedenti, a causa delle tensioni derivanti dalla guerra in Ucraina e dalla sospensione della cooperazione con la Russia. Nonostante queste difficoltà, la Norvegia è riuscita a mantenere l’unità e la funzionalità del Consiglio, concentrandosi su obiettivi limitati come il cambiamento climatico, la protezione dell’ambiente marino e il benessere dei popoli artici.Ora, sotto la guida danese, la sfida maggiore sarà gestire le dinamiche politiche delicate, in particolare in relazione alla Groenlandia, che è diventata un punto di interesse strategico dopo le dichiarazioni di Donald Trump, che non ha escluso la possibilità di acquisirne il controllo militarmente. La Danimarca dovrà bilanciare gli interessi geopolitici globali con la necessità di preservare la stabilità e la cooperazione tra i membri del Consiglio Artico, un compito non facile in un periodo di crescente rivalità internazionale.

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    Ucraina, l’Ue sostiene la creazione di un tribunale speciale per perseguire l’aggressione russa in Ucraina

    Bruxelles – Una nuova iniziativa giuridica prende forma in Europa, con il sostegno politico e istituzionale dell’Ue e di numerosi partner internazionali: un tribunale ad hoc per punire il reato di aggressione della Russia contro l’Ucraina. Il progetto, annunciato lo scorso venerdì (9 maggio) dalla Commissione europea, dal Consiglio d’Europa e dal primo ministro ucraino Denys Shmyhal, mira a colmare una lacuna giuridica lasciata aperta dal diritto internazionale, che attualmente impedisce alla Corte penale Internazionale di intervenire pienamente contro Mosca, in quanto la Russia non ne riconosce la giurisdizione.Il nuovo tribunale sarà istituito sotto la legislazione ucraina con il supporto di partner internazionali e avrà sede nei Paesi Bassi, già centro simbolico e operativo della giustizia penale internazionale. Il suo compito sarà esclusivo: giudicare il crimine di aggressione, ovvero l’atto con cui la Russia ha lanciato l’invasione su larga scala dell’Ucraina nel febbraio 2022. Secondo quanto comunicato dalla Commissione Europea, il tribunale opererà con l’appoggio congiunto della Commissione, del Servizio europeo per l’azione esterna, del Consiglio d’Europa e dell’Ufficio del Procuratore generale ucraino. Sarà finanziato da una coalizione di Stati, tra cui i Paesi Bassi, il Giappone e il Canada, con l’ambizione di avviare i lavori entro la fine del 2025.Il crimine di aggressione, a differenza di altri crimini internazionali come il genocidio o i crimini di guerra, è un reato che riguarda la leadership politica e militare: mira a identificare e processare coloro che hanno deciso e diretto l’invasione, mettendo al centro il ruolo personale di figure come il presidente, il primo ministro e il ministro degli esteri. In tal senso, il tribunale si configura come uno strumento mirato per attribuire responsabilità a chi ha il potere decisionale più alto, e non solo agli esecutori materiali dei crimini sul campo. Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha più volte ribadito l’importanza di assicurare giustizia per il crimine originario da cui sono scaturite tutte le altre atrocità, affermando che solo un processo credibile e imparziale può fungere da deterrente contro future aggressioni. Per questo motivo, il nuovo tribunale mira a rappresentare un esempio giuridico e politico per la comunità internazionale, riaffermando il principio secondo cui l’impunità non può essere la norma nei conflitti armati.Kaja Kallas visita il cimitero di Lychakiv a Lviv (Foto: Commissione europea)La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha definito l’iniziativa come una risposta necessaria a una violazione flagrante del diritto internazionale: “Quando la Russia ha scelto di far avanzare i suoi carri armati oltre i confini dell’Ucraina, infrangendo la Carta delle Nazioni Unite, ha commesso una delle violazioni più gravi: il crimine di aggressione. Ora, la giustizia sta arrivando”. Il progetto del tribunale si inserisce nel più ampio quadro di sostegno legale fornito dall’Unione Europea, che ha già contribuito alla creazione dell’International centre for the prosecution of the crime of aggression, con sede a L’Aia e sotto la supervisione di Eurojust. Questo centro sta attualmente costruendo i dossier giudiziari necessari a preparare i futuri procedimenti. Quanto alle prove necessarie, l’Alta rappresentante Ue per la politica estera Kaja Kallas non nutre alcun dubbio: “Ogni centimetro della guerra della Russia è stato documentato. Ciò non lascia alcuno spazio a dubbi sulla palese violazione da parte della Russia della Carta Onu. L’aggressione russa non resterà impunita”.Il cammino che porterà all’operatività del tribunale non sarà privo di ostacoli. Secondo le norme del diritto internazionale, i principali leader di uno Stato godono di immunità finché restano in carica, il che potrebbe posticipare l’avvio di eventuali processi effettivi. Tuttavia, il meccanismo previsto consentirà la conservazione delle prove e l’avvio dei procedimenti istruttori, con la possibilità di avviare il processo non appena le condizioni legali lo permetteranno. Il prossimo passo, ora, sarà l’adozione formale degli atti giuridici da parte del Consiglio d’Europa e la nomina dei giudici e procuratori tramite un comitato indipendente.

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    Elezioni in Albania, Edi Rama verso il poker contro il redivivo Berisha. Con l’incognita del voto della diaspora

    Bruxelles – Da un lato, la promessa di ripulire il Paese dalla corruzione e dell’ingresso lampo nell’Unione europea. Dall’altro, una sorta di Make Albania Great Again di chiara ispirazione trumpiana. L’Albania che arriva al voto di domenica 11 maggio è ancora dominata da due volti ultra-noti della politica nazionale: il premier socialista Edi Rama, a caccia del quarto mandato, e Sali Berisha, primo presidente eletto dopo il crollo del regime comunista e leader della coalizione di centro-destra. L’unica vera novità, in grado di sparigliare le carte, è la prima volta del voto della numerosissima diaspora albanese, che conta circa 250 mila elettori registrati.La carta di Rama per assicurarsi il poker di mandati è la promessa dell’adesione all’Ue entro il 2030. Una prospettiva che in Albania gode del sostegno di oltre quattro cittadini su cinque, il più alto dei Paesi dei Balcani occidentali. Tanto che uno dei segni distintivi dei sostenitori di Rama è proprio una maglietta bianca con scritto sopra un gran numero 5 multicolore, ad indicare gli anni che mancano al 2030. Durante i suoi comizi, questa settimana, Rama ha issato le bandiere a dodici stelle e – ai suoi sostenitori nella città di Pogradec – ha dichiarato: “Siamo alle porte dell’Europa e quelle porte ora sono aperte per noi”. Negli ultimi sei mesi, l’Albania ha aperto 16 dei 35 capitoli negoziali per l’adesione al blocco Ue.Edi Rama e il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, a Bruxelles il 14/04/2025Secondo i dati della Banca mondiale, la crescita economica annuale per il periodo 2022-2024 ha superato il 4 per cento, trainata dal commercio con l’Ue, dal boom del turismo e dall’importante produzione di energia idroelettrica. D’altra parte, il basso tenore di vita e l’alto tasso di disoccupazione continuano a nutrire un’emigrazione di massa: tra il 2011 e il 2023, la popolazione albanese è diminuita di circa 420 mila unità.In questo contesto pieno di contraddizioni, il Partito Socialista è ancora il favorito e punta a riconfermare la maggioranza assoluta dei 140 seggi del Parlamento di Tirana. Di fronte a Rama, che negli anni è riuscito a costruire un potere personale che sembra incontrastato, gli avversari di sempre, ma indeboliti: il Partito Democratico, con cui i socialisti hanno dominato il panorama politico dal crollo del regime di Enver Hoxha all’inizio degli anni ’90. L’Alleanza per una Magnifica Albania – a guida democratica – è “la coalizione più forte che l’Albania abbia mai visto in 32 anni”, è convinto Sali Berisha, l’ottantenne ex primo ministro e leader del principale partito d’opposizione a Rama.Socialisti e Democratici, nessuno immune dalla corruzione dilaganteIl redivivo Berisha è tornato al timone del Partito Democratico dopo tre anni di caos, in cui è stato preso di mira dall’amministrazione di Joe Biden per presunta corruzione, espulso dal proprio gruppo parlamentare e posto agli arresti domiciliari dalla magistratura albanese. La sua liberazione ha revitalizzato la base del partito, ma Berisha rimane sotto inchiesta e soggetto a sanzioni sia da parte degli Stati Uniti che del Regno Unito, il che limita decisamente la sua credibilità internazionale.Il leader del Partito Democratico, Sali Berisha, a Tirana il 15/5/25 (Photo by Adnan Beci / AFP)Berisha punta tutto su una rivisitazione in salsa albanese del MAGA trumpiano. Ha assunto come consulente per la campagna elettorale Chris LaCivita, una delle menti dell’ultima campagna presidenziale di Trump, e ha adottato gli slogan tipici dell’universo della destra sovranista: la battaglia contro il woke e Soros e le accuse alla magistratura politicizzata che ha cercato di eliminarlo. Il suo principale alleato, l’ex presidente e leader del Partito della Libertà Ilir Meta, è attualmente in detenzione, arrestato lo scorso ottobre con l’accusa di corruzione e riciclaggio di denaro.Nemmeno Rama è immune alla corruzione endemica nel Paese. In questi dodici anni al potere, diversi scandali hanno lambito il premier e colpito membri dei suoi governi e del partito socialista. Per ultimo, il caso di alcuni contratti a sei zeri per la costruzione di inceneritori assegnati illegalmente, per cui – a seguito delle indagini condotte dalla SPAK, la procura anticorruzione fondata nel 2019 – l’ex ministro dell’Ambiente Lefter Koka è stato incarcerato e l’ex vice di Rama, Arben Ahmetaj, è stato incriminato e ha lasciato il Paese (risiede ora in Svizzera).In cinque anni di attività, la SPAK ha confiscato 200 milioni di euro in casi di corruzione e criminalità organizzata, e diversi rapporti di media e organizzazioni internazionali hanno evidenziato le ambiguità e i torbidi legami tra l’establishment politico albanese e le reti criminali coinvolte nel traffico di droga e nel riciclaggio di denaro. Uno studio pubblicato il mese scorso dalla Global Initiative Against Transnational Organized Crime ha fatto luce sul ruolo della mafia albanese nel traffico globale di cocaina, in particolare attraverso il porto di Durazzo, reso possibile dalla corruzione all’interno delle istituzioni politiche, di polizia e giudiziarie albanesi.Le incognite: la diaspora e i nuovi partiti anti-corruzioneNon è chiaro quale impatto avranno queste vicende sulle elezioni, alla quale parteciperanno per la prima volta circa 250 mila elettori registrati della diaspora albanese. L’impressione è che, in mancanza di un’alternativa valida, Rama centrerà il poker. Ma se il Partito socialista non dovesse raggiungere i 71 seggi necessari per governare da solo (attualmente ne ha 76), il calendario a tappe forzate promesso da Rama per l’adesione all’Ue potrebbe uscirne compromesso.Nel conto dei seggi, potranno giocare un ruolo anche nuove formazioni che sono entrate in corsa per dare un’alternativa ai due partiti dell’establishment percepiti come troppo corrotti: Levizja Bashke (Movimento Insieme), partito di sinistra fondato nel 2022 con radici nell’attivismo civico, Shqiperia behet (Fare l’Albania) e Nisma Thurje (Iniziativa), due partiti centristi anti-corruzione che corrono in una lista unita, e Mundesia (L’Opportunità), guidato Agron Shehaj, imprenditore ed ex deputato del Partito Democratico.

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    Stoccolma respinge la lettera trumpiana contro le politiche di inclusione: “Non rinunciamo alla diversità”

    Bruxelles – Il comune di Stoccolma ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di aderire alla richiesta, inviata dall’ambasciata statunitense, lo scorso martedì (6 maggio), che invitava la capitale a ridimensionare le proprie politiche di diversità, equità e inclusione (Dei), riprendendo la politica anti-inclusività dell’amministrazione statunitense di Donald Trump. Questo episodio è stato descritto come il primo caso in cui una lettera di questo tipo è stata inviata da un governo straniero.Jan Valeskog, vicesindaco di Stoccolma con delega alla pianificazione, ha definito la richiesta “assurda” e ha ricordato come contino “le nostre priorità politiche, non quelle di questa o altre ambasciate”. La lettera, che ha suscitato grande scalpore in Svezia, chiedeva a Stoccolma di confermare che non fossero in corso programmi per promuovere la diversità, l’equità e l’inclusione. In caso di rifiuto, veniva richiesto di fornire spiegazioni dettagliate da inviare al team legale statunitense. Valeskog ha confermato che la richiesta è stata inviata all’ufficio urbanistico, probabilmente in quanto destinatario di pagamenti e responsabile dell’applicazione delle tariffe per i permessi edilizi. “Siamo rimasti davvero sorpresi” ha affermato: “perché la diversità, l’uguaglianza e l’inclusione sono valori fondamentali che perseguiamo e difendiamo a Stoccolma”.La lettera fa parte di una serie di iniziative intraprese dall’amministrazione Trump per applicare le sue politiche contro le politiche Dei, che si estendono anche alle aziende straniere che intrattengono rapporti con il governo degli Stati Uniti. A marzo diversi funzionari europei, in particolar modo in Francia, avevano già espresso preoccupazione dopo che alcune aziende avevano riferito di aver ricevuto comunicazioni simili.Questo caso è stato il primo segnale di una possibile interferenza diretta nelle politiche locali da parte degli Stati Uniti, in un contesto che si aggiunge a un clima di crescente tensione tra le politiche americane e quelle europee. Dopo la pubblicazione della notizia, il caso ha suscitato un’ondata di reazioni sui social media e tramite email da parte di residenti e cittadini in tutta la Svezia. “Migliaia di persone sono davvero indignate” ha commentato Valeskog: “Molti seguono le notizie su quanto sta accadendo negli Stati Uniti, ma improvvisamente con queste richieste la questione è diventata molto più vicina“. L’episodio ha sollevato interrogativi sul ruolo delle politiche estere americane nelle scelte interne dei Paesi europei e ha riaffermato l’importanza dei valori democratici e inclusivi per le amministrazioni locali, in particolare quelle svedesi, che continuano a sostenere con forza la diversità e l’inclusione come principi irrinunciabili.