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    In Georgia il Parlamento ha approvato la stretta sui diritti LGBTQ. Borrell: “Si allontana sempre più dall’adesione all’Ue”

    Bruxelles – Con l’approvazione definitiva della legge sui “valori della famiglia e la protezione dei minori”, la Georgia si “allontana ulteriormente” dal suo percorso verso l’Unione europea. Perché il provvedimento che mette a repentaglio i diritti della comunità LGBTQ è l’ultimo di una serie di strette annunciate da Tbilisi sullo Stato di diritto: dalla legge sugli ‘agenti stranieri’, alle minacce di bandire i partiti di opposizione dopo le elezioni in calendario il 26 ottobre. In una nota, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, ha invitato il governo guidato da Giorgi Kobakhidze, ma soprattutto la presidente Salomé Zourabichvili, a ritirare la legge.Una legge che secondo Borrell “comprometterà i diritti fondamentali del popolo e aumenterà la discriminazione e la stigmatizzazione”. Di fatto, le nuove norme modificano l’articolo 30 della Costituzione georgiana inserendo nella carta fondamentale il riferimento a diverse questioni come il matrimonio, l’adozione e l’affidamento di minori, gli interventi medici legati all’identità di genere, il riconoscimento del genere nei documenti e l’uso di termini legati al genere nei comunicati ufficiali e nella sfera mediatica. Ma soprattutto la legge sancisce il riconoscimento come famiglia – e la sua tutela – solo nell’unione di un uomo (“biologicamente maschio”) e di una donna (“biologicamente femmina”).Con l’adozione della nuova legislazione, dunque, il Paese del Caucaso meridionale si allontana ancora di più dalla prospettiva dell’adesione al blocco dei Ventisette, allungando la lista di provvedimenti incompatibili con gli standard europei per quanto riguarda soprattutto la tenuta della democrazia e dello Stato di diritto. Già in seguito all’adozione della legge di ispirazione filo-russa sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, che prevede che tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero dovrebbero registrarsi come ‘organizzazione che persegue gli interessi di una potenza straniera’, il Consiglio europeo ha di fatto congelato il percorso della Georgia verso l’ingresso nell’Ue.In fotocopia a quanto successo la scorsa primavera per la legge sugli agenti stranieri, la presidente filo-europeista Zourabichvili sembra intenzionata a respingere la legge. Ma il governo trainato dal partito Sogno Georgiano dorme sogni tranquilli, perché dispone di una maggioranza schiacciante in Parlamento che gli permetterebbe di aggirare il veto della presidente. E di promulgare così la legge prima dell’appuntamento elettorale, che sarà a questo punto decisivo per tracciare il percorso di Tbilisi verso l’Ue.The Georgian Parliament adopted laws on ‘family values and protection of minors’ which will undermine the fundamental rights of the people and increase discrimination & stigmatisation.I call on Georgia to withdraw this legislation, further derailing the country from its EU path.— Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) September 18, 2024

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    Due anni fa in Iran l’uccisione di Mahsa Amini, il ricordo dell’Ue: “Un giorno che resterà sempre nell’infamia”

    Bruxelles – Due anni fa, il brutale omicidio di una giovane donna da parte delle forze di polizia scatenò il più grande movimento di proteste da quando, nel 1979, l’ayatollah Khomeini trasformò la monarchia iraniana in un regime teocratico. Il 16 settembre 2022, “una data che rimarrà per sempre nell’infamia”, ha dichiarato la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, che ha voluto aprire la sessione plenaria del Parlamento europeo omaggiando Mahsa Amini.“Vorrei ribadire ora che il Parlamento europeo è orgoglioso di stare al fianco di quelle donne e uomini coraggiosi e ribelli che continuano a lottare per l’uguaglianza, la dignità e la libertà in Iran”, ha proseguito la leader Ue. La ventiduenne venne arrestata dalla polizia morale a Teheran per non aver indossato correttamente l’hijab e morì durante la custodia delle forze dell’ordine. Solo nei primi 200 giorni di proteste scatenate dopo la sua morte, secondo Iran Human Rights per mano delle forze di polizia sono rimasti uccisi almeno 537 manifestanti. Nel dicembre 2023, Il Parlamento europeo ha simbolicamente insignito Mahsa Amini con il Premio Sakharov per la libertà di pensiero.Roberta Metsola apre la sessione plenaria dell’Eurocamera con l’omaggio a Mahsa Amini“Oggi onoriamo l’eredità di Mahsa Amini, la nostra vincitrice del Premio Sakharov 2023, e di tutti coloro che hanno pagato il prezzo della libertà. Il Parlamento europeo ricorda qui oggi e sempre”, ha concluso il suo intervento Metsola. La repressione del movimento ‘Donne, vita, libertà’ da parte del regime del ‘macellaio di Teheran’ Ebrahim Raisi, il presidente iraniano rimasto vittima di un incidente in elicottero lo scorso maggio, “ha causato centinaia di morti, migliaia di detenzioni ingiuste e di danni, nonché gravi limitazioni alla libertà di opinione e di espressione e ad altre libertà civili”, ha ricordato in una nota l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell.Il capo della diplomazia Ue ha puntato il dito contro le “sentenze sproporzionatamente dure, compresa la pena capitale, contro i manifestanti”. I responsabili della repressione sono stati mano a mano colpiti da dieci pacchetti di sanzioni europee, che – come ammesso dallo stesso Borrell lo scorso anno – non hanno sortito alcun effetto. Anzi, in Iran sono aumentate vertiginosamente le esecuzioni capitali e si è irrigidito il controllo sulla vita della popolazione civile, soprattutto sulle donne. “L’Ue coglie l’occasione per ribadire la sua forte e inequivocabile opposizione alla pena di morte in ogni momento, in ogni luogo e in ogni circostanza” e ricorda che, “secondo il diritto internazionale, il divieto di tortura è assoluto”, si legge nella nota.Borrell ha chiesto al nuovo presidente iraniano, il riformista Masoud Pezeshkian, di “eliminare, nella legge e nella pratica, tutte le forme di discriminazione sistemica nei confronti di tutte le donne e le ragazze nella vita pubblica e privata e di adottare misure che rispondano alle esigenze di genere per prevenire e garantire la protezione di donne e ragazze contro la violenza sessuale e di genere in tutte le sue forme”.Dal carcere di Teheran, è giunto in Occidente l’appello del premio Nobel per la pace, Narges Mohammadi, che in una lettera resa pubblica oggi ha supplicato l’Onu di accorrere in aiuto del popolo iraniano perché “due anni dopo Mahsa Amini nulla è più come prima”. Secondo l’attivista per i diritti umani “il popolo avverte il più grande cambiamento nelle sue convinzioni, nelle sue vite e nella sua società. Un cambiamento che, pur non avendo ancora rovesciato il regime della Repubblica Islamica, ha scosso le fondamenta della tirannia religiosa“. Ecco perché per le istituzioni internazionali non è più il momento di “osservare, ma di agire attivamente”.

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    Ucraina, gli europarlamentari italiani insistono sulla ricerca della pace. E’ tempo di più diplomazia

    Bruxelles – Sostegno all’Ucraina, quello si. Senza se, ma… con dei ‘ma’. Uno su tutti, quello delle trattative di pace per porre fine a un conflitto che anima sempre di più le delegazioni italiane del Parlamento europeo. Non c’è dubbio che Kiev abbia il diritto di difendersi, e non si discute il sostegno dell’Ue, questa è una precisazione d’obbligo, oltre che a concetti ribaditi dai rappresentanti dei vari partiti italiani in occasione del briefing con la stampa che precedere la sessione plenaria del Parlamento, dove la questione Ucraina sarà oggetto dei lavori. Ma emerge in modo trasversale la necessità di dare nuovo impulso alla diplomazia.Chi pone l’accento sul tema in modo più urgente è Ignazio Marino (Verdi-Avs), che guarda con una certa apprensione all’immediato futuro. Le elezioni statunitensi si terranno tra 42 giorni, ricorda, e ricorda anche che il candidato repubblicano “Donald Trump ha detto che se vince non aspetterà l’insediamento per andare da Putin e negoziare la pace alle condizioni che più fanno gli interessi degli Stati Uniti“. Ecco che, alla luce di queste premesse, “anziché spingere per più armamenti bisognerebbe agire prima che agiscano altri“, visto che, insiste “se non ricordo male l’Ucraina si trova in Europa”.Inizia a farsi strada una preoccupazione tutta nuova, quella di un ruolo secondario e subalterno in politica estera. Non è detto che a succedere a Joe Biden nella Casa bianca sarà Trump, ma comunque si avverte la necessità di accompagnare il sostegno economico e armato dell’Ucraina a un dialogo fin qui ridotto al minimo. Salvatore De Meo, capodelegazione di Forza Italia, ben riassume la necessità di questa doppia linea d’azione. “Per quanto riguarda l’Ucraina non possiamo non continuare a rafforzare la vicinanza dell’Europa, insistendo per creare le condizioni per uno spiraglio di pace“.Linea e posizione analoga quella espressa dal Pd, attraverso Annalisa Corrado. “Il sostegno all’Ucraina resta necessario”, ma al tempo stesso, aggiunge, occorre un “potenziamento di tutti gli strumenti diplomatici“, perché quello che preoccupa sicuramente una parte dei socialisti è il rischio di “una escalation che poi diventa difficile da gestire”.I partiti di maggioranza e opposizione descrivono una certa convergenza sul tema, come dimostra una volta di più Stefano Cavedagna (Ecr), esponente del partito della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Per l’europarlamentare di Fratelli d’Italia resta fermo il principio per cui “l’Ucraina ha il diritto di difendersi, ci sono un aggredito e un aggressore”, con Fdi che “sostiene” Kiev, ma al tempo stesso anche all’interno del Fratelli d’Italia si è dell’idea che “l’obiettivo deve essere la pace“.Anche dalle fila della Lega viene esternata la necessità di “creare le prospettive di pace” quando si parla del conflitto russo-ucraino, sostiene Anna Maria Cisint. L’europarlamentare del Carroccio sottolinea come il suo partito e il suo gruppo “non si è mai sottratto a votare per il sostegno all’Ucraina”, ma, aggiunge, “non abbiamo mai fatto mistero della necessità di accompagnare l’aiuto con un’azione diplomatica forte”, perché “un tavolo di pace è necessario”.Serve dunque un riorientamento dell’Ue, che però è tutt’altro che scontato. Il motivo lo spiega Gaetano Pedullà (M5S-laSinistra). “Se vogliamo la pace dobbiamo cambiare la narrativa e smettere di fare quanto fatto negli ultimi due anni e mezzo, vale a dire andare avanti con sanzioni e rifornimento armi”. Per il pentastellato non ci sono grandi alternative. “Senza dialogo non ci può essere pace”, ma per avere un dialogo occorre avere le condizioni per agevolarlo. Quindi per forza di cose serve “ragionare con la Russia, prima che lo facciano gli Stati Uniti“.Nel gruppo italiano all’europarlamento serpeggerebbe dunque una generale necessità di una soluzione non armata del conflitto, a riprova delle insofferenze, non solo italiane, prodotte da un conflitto che va avanti contro ogni interesse a dodici stelle. Su una cosa tutte le delegazioni tricolore sembrano non avere dubbi: le armi fornite dall’Italia all’Ucraina devono essere utilizzate solo per scopi di difesa e non di offesa. un concetto espresso e ribadito da tutti.

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    L’Ue pronta a nuove sanzioni contro l’Iran: nel mirino missili balistici, droni e il settore dell’aviazione

    Bruxelles – L’Ue pronta ad allinearsi alle sanzioni contro Teheran già adottate da Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania in risposta al trasferimento di missili balistici di fabbricazione iraniana alla Russia. Un trasferimento che è “minaccia diretta alla sicurezza europea”, una “sostanziale escalation materiale” rispetto alla fornitura a Mosca di droni e munizioni. Per questo l’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha annunciato che Bruxelles risponderà con “nuove e significative misure restrittive”.L’Unione europea inserirà quindi nel già ben nutrito regime di sanzioni contro l’Iran per il suo supporto alla Russia nuove persone ed entità coinvolte nei programmi iraniani di missili balistici e droni, e “sta valutando” misure restrittive anche nel settore dell’aviazione. Il capo della diplomazia Ue ha precisato che la risposta avverrà “rapidamente e in coordinamento con i partner internazionali”. Washington e Londra hanno già agito: il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha annunciato il 10 settembre sanzioni contro sei società iraniane di droni e missili balistici e dieci tra i loro dirigenti e dipendenti. Anche la compagnia aerea iraniana Iran Air è finita sotto la scure occidentale: Washington ha rivelato che “i partner internazionali annunceranno misure che non permetteranno a Iran Air di operare sul loro territorio in il futuro”. E Londra ha infatti annunciato che “porrà fine a tutti i collegamenti aerei diretti” con l’Iran.Lo scorso 14 maggio – dopo il massiccio lancio di droni da Teheran verso Israele – il Consiglio dell’Ue aveva deciso di ampliare il campo di applicazione del regime di sanzioni in considerazione del sostegno militare dell’Iran non solo alla Russia, ma anche a gruppi armati in Medio Oriente e nella regione del Mar Rosso. E può ora colpire individui ed entità che forniscono, vendono o sono in qualsiasi modo coinvolti nel trasferimento di missili e droni iraniani. Le sanzioni consistono nel divieto di ingresso sul territorio comunitario per gli individui, nel congelamento dei beni detenuti nei Paesi Ue e sul divieto di fornire fondi ai soggetti elencati.Per Borrell la fornitura di missili balistici al Cremlino “avviene nel mezzo dei più recenti attacchi della Russia contro l’Ucraina, anche con missili balistici e droni, che dimostrano la sua chiara determinazione a continuare la sua brutale guerra di aggressione contro l’Ucraina e il suo popolo, in particolare prendendo di mira le infrastrutture energetiche critiche, cercando di causare la massima perdita possibile di vite civili e di infliggere devastazioni su larga scala”. Toccherà ora ai 27 Stati membri dare il via libera alle sanzioni messe sul tavolo dall’Alto rappresentante.

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    Sanchez all’Ue: ripensiamo i dazi sulle auto elettriche cinesi

    Bruxelles – L’imposizione di dazi sui veicoli elettrici cinesi dovrebbe essere “riconsiderata” dall’Unione europea. Lo ha detto ieri (11 settembre), durante la sua visita in Cina, il presidente del governo spagnolo Pedro Sánchez: “Non abbiamo bisogno di una nuova guerra, in questo caso una guerra commerciale”, ha affermato.La Commissione dovrebbe imporre le sue tariffe entro la fine di ottobre, dopo un annuncio della fine di agosto.La paura spagnola sembra essere quella di ritorsioni da parte cinese, dopo che da alcuni mesi Pechino ha avviato diverse indagini antidumping e antisovvenzioni su prodotti europei, tra cui la carne di maiale, delle quali la Spagna è il principale esportatore dell’Ue.Entro la fine di ottobre gli Stati membri saranno chiamati a votare sull’approvazione di dazi sui veicoli elettrici cinesi, che potrebbero essere bloccati se una maggioranza qualificata di Stati membri votasse contro.All’inizio di luglio, dazi provvisori sono stati approvati da undici Paesi, mentre altri quattro hanno votato contro e nove si sono astenuti.

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    Dall’Egitto le accuse di Borrell a Israele: “Vuole trasformare la Cisgiordania in una nuova Gaza”

    Bruxelles – Dura accusa dell’Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, al governo Netanyahu. Le recenti operazioni israeliane in Cisgiordania “hanno un obiettivo chiaro”: trasformarla “in una nuova Gaza, intensificando la violenza e delegittimando l’Autorità Palestinese”. E la condanna al raid che avrebbe causato almeno 40 morti e 60 feriti nella zona umanitaria di Al-Mawashi, a Khan Younis. In visita in Egitto, Borrell ha dichiarato: “Non posso che pronunciarmi contro questo genere di cose. La guerra ha sempre le sue leggi. È difficile credere che queste leggi di guerra vengano rispettate”.Israele sostiene di aver colpito “importanti terroristi di Hamas che operavano da un centro di comando e controllo” all’interno del campo profughi. Solo due giorni fa, il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, aveva declinato la proposta di Borrell – in viaggio in Medio Oriente – di fissare un incontro in Israele. In conferenza stampa con il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdelatty, il capo della diplomazia Ue ha ribadito l’importanza di un cessate il fuoco a Gaza, rammaricandosi del fatto che l’accordo ma non sia mai stato raggiunto, a quasi un anno dall’inizio del conflitto. “Perché? È molto semplice: perché coloro che fanno la guerra non hanno interesse a farla finire. Quindi fingono. Sempre meno, perché la loro intransigenza è accompagnata da una totale impunità e le loro azioni non hanno conseguenze”, ha denunciato Borrell, che ha poi ripetuto la sua invettiva intervenendo ad una conferenza con gli Stati della Lega araba.L’Alto rappresentante ha accusato “membri radicali del governo di Netanyahu” di “cercare di rendere impossibile la creazione di un futuro Stato palestinese”. Borrell ha poi spronato i Paesi della Lega araba ad “accelerare il lento – certamente troppo lento – cambiamento di percezione del conflitto israelo-palestinese riaffermando l’Iniziativa di pace araba e facendola conoscere meglio in tutto il mondo”.Il primo appuntamento utile è la prossima Assemblea Generale dell’Onu, che si terrà a fine mese a New York: per Borrell un’opportunità per mobilitare la comunità internazionale. “Dobbiamo lanciare il processo, non solo un evento, in modo da poter continuare a lavorare ogni giorno con tutti coloro che sono pronti a costruire la soluzione dei due Stati, impegnandosi e cercando il tipo di pressione che possiamo esercitare su coloro che non vogliono questa soluzione”, ha spiegato.

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    Rimpasto di governo: Kiev nomina come ministro degli Esteri il vice di Dmytro Kuleba

    Bruxelles – Procede il cambio ai vertici dell’esecutivo ucraino avviato dal presidente Volodymyr Zelensky all’inizio della settimana, che aveva portato alle dimissioni eccellenti del ministro degli Esteri Dmytro Kuleba lo scorso mercoledì (4 settembre). Il giorno successivo, la Verkhovna Rada (il Parlamento monocamerale nazionale) ha approvato la nomina del vice di quest’ultimo, Andrii Sybiha, per guidare la diplomazia e gli sforzi internazionali del Paese. Nelle intenzioni del capo dello Stato, il rimpasto governativo più ampio dall’inizio dell’invasione russa su larga scala dovrà servire a ridare nuova energia all’Ucraina mentre sta per cominciare un altro, difficile inverno. Così, i deputati di Kiev hanno approvato giovedì (5 settembre) la figura proposta da Zelensky per sostituire Kuleba, che era diventato in questi due anni e mezzo uno dei volti ucraini più conosciuti all’estero. I voti favorevoli a Sybiha alla Rada sono stati 258, mentre non sarebbe stato espresso nessun parere contrario. Il 49enne Sybiha, che ha alle spalle una solida carriera diplomatica (dal 2016 al 2021 è stato ambasciatore in Turchia, tra le altre cose) e lavora da tempo all’interno dell’ufficio del presidente, era diventato il numero due di Kuleba lo scorso aprile. Si unirà dunque agli altri nuovi ministri approvati dal Parlamento, mentre al suo predecessore, che è stato per anni il volto e la voce di Kiev nei rapporti con gli alleati, spetterebbe ora una posizione che ha a che fare con il rafforzamento delle relazioni con la Nato. Il rimpasto governativo sta coinvolgendo diverse altre figure politiche. Olga Stefanishyna (ex vicepremier responsabile dell’Integrazione europea ed euro-atlantica) è diventata ministra alla Giustizia, Oleksiy Kuleba gestirà lo Sviluppo delle comunità, dei territori e delle infrastrutture, Svetlana Grinchuk prenderà in carico il ministero dell’Ambiente. Mykolai Tochitsky avrà la responsabilità della Cultura e delle comunicazioni strategiche, mentre all’Agricoltura è stato nominato Vitaliy Koval (che prima guidava il Fondo delle proprietà statali). L’ex vicepremier Iryna Vereshchuk prenderà la guida della divisione Armi e difesa dell’ufficio del presidente e alle Industrie strategiche dovrebbe invece finire Herman Smetanin, che dal giugno 2023 è a capo di Ukroboronprom, un’azienda nel settore della difesa. 

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    L’Ue avverte la Serbia: “Allinearsi alla Russia in contrasto con obiettivo dichiarato di adesione”

    Bruxelles – O la Russia o l’Unione europea. Una cosa esclude l’altra e la Serbia deve chiarire che intenzioni ha per il suo presente e ancor di più per il proprio futuro. La Commissione europea non gradisce il viaggio del vice primo ministro serbo Aleksandar Vulin in Russia e il suo incontro col presidente russo Vladimir Putin, e avverte che scelte troppo filo-russe potrebbero chiudere le porte dell’Ue per Belgrado bloccando di fatto il processo di adesione.“Sotto la guida di Vladimir Putin la Russia viola lo Statuto delle Nazioni Unite e il diritto internazionale su cui si fonda l’Unione europea, e allinearsi alla Russia non è compatibile con i principi dell’Ue e in contrasto con ciò che richiede l’adesione all’Ue”, mette in chiaro Peter Stano, portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell. La missione istituzionale condotta da Vulin “è in contrasto con l’obiettivo dichiarato di aderire all’Ue”, e da Bruxelles arriva l’invito esplicito ad “astenersi dal rafforzare i legami con la Russia”.La richiesta è però un minaccia. L’incompatibilità delle politica di Belgrado con i valori e l’acquis comunitario implica per l’Unione europea il dover riconsiderare il processo di adesione, il che vuol dire minacciare di sospenderlo come l’esecutivo comunitario ha iniziato a fare con la Georgia. La Serbia ha fatto richiesta di adesione all’Ue nel 2009, e a marzo 2012 ha ottenuto lo status di Paese candidato. Da allora oltre un decennio di lavorio continuo, reso più complicato dalla questione del Kosovo e la normalizzazione dei rapporti tra le due entità (il Kosovo continua a non essere riconosciuto come Stato indipendente e sovrano da tutti i 27), ma comunque mai messo in discussione come oggi.