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    Ucraina, 26 Paesi forniranno garanzie di sicurezza a Kiev. Ma tutti aspettano Trump

    Bruxelles – L’incontro della coalizione dei volenterosi tenutosi a Parigi stamane ha sancito la disponibilità di 26 Paesi a partecipare a vario titolo alle garanzie di sicurezza per l’Ucraina. Gli europei offriranno a Kiev asset terrestri, aerei e marittimi per monitorare i termini un’eventuale tregua, che però ancora non si vede all’orizzonte. I leader del Vecchio continente hanno poi sentito Donald Trump, concordando maggiore coordinazione sulle future sanzioni ai danni della Russia.Pur tra mille incertezze, inizia a diradarsi la nebbia intorno alle famigerate garanzie di sicurezza che gli alleati occidentali di Kiev dovrebbero fornire all’Ucraina una volta terminata la guerra, in corso da più di tre anni e mezzo. Nella loro ennesima riunione svoltasi stamattina (4 settembre) nella capitale transalpina, i leader della coalizione dei volenterosi hanno discusso gli elementi principali intorno ai quali dovrebbe imperniarsi il mantenimento della pace nel dopoguerra, delineati ieri dai capi di Stato maggiore.Al meeting convocato da Emmanuel Macron erano fisicamente presenti, oltre a Volodymyr Zelensky, diversi leader della coalizione di 35 membri tra cui il primo ministro polacco Donald Tusk, il presidente finlandese Alexander Stubb e la premier danese Mette Frederiksen, più il presidente del Consiglio europeo António Costa, la numero uno della Commissione Ursula von der Leyen e l’inviato speciale della Casa Bianca Steve Witkoff. Il premier britannico Keir Starmer ha co-presieduto l’incontro da remoto, mentre si sono collegati online anche Giorgia Meloni e il cancelliere tedesco Friedrich Merz.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (sinistra) e quello francese Emmanuel Macron (foto via Imgagoeconomica)Stando a quanto dichiarato dal padrone di casa, “26 Paesi si sono impegnati” a partecipare alla cosiddetta “forza di rassicurazione” per stabilizzare l’Ucraina nel post-conflitto, mettendo a disposizione asset di vario tipo per le tre componenti principali di tale operazione, “via terra, via mare o via aria“. Zelensky ha descritto come una “vittoria” la disponibilità di un numero così ampio di alleati, aggiungendo che “contiamo anche sul sostegno degli Stati Uniti“, che verrà definito in dettaglio “nei prossimi giorni”. Non è stato fornito un elenco ufficiale dei 26 Paesi suddetti.Il primo pilastro di tale forza di rassicurazione sarà dunque un contingente terrestre multinazionale che verrà schierato distante dal fronte, a differenza di quanto avviene nel peacekeeping tradizionale, dove i soldati stranieri si interpongono tra gli eserciti belligeranti lungo la linea di contatto. L’unica cosa certa è che dovranno essere gli europei a fornire le truppe, ma per ora non è chiaro né quanti militari verranno impegnati né, soprattutto, con quali regole d’ingaggio.Il secondo elemento sarà la protezione dei cieli ucraini, pattugliati dai caccia dei volenterosi. Anche in questo caso restano fumosi alcuni dettagli chiave, ad esempio se i piloti dovranno imporre una no-fly zone oppure alzarsi in volo solo per fornire supporto aereo in caso di necessità. Infine, verrà organizzata una missione navale per sminare le coste ucraine e rendere nuovamente navigabili le rotte commerciali del Mar Nero.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Il nodo più intricato da sciogliere rimane quello dell’invio di soldati sul campo. Gli europei sembrano restii ad esporsi direttamente, soprattutto finché gli Usa non specificheranno quale sarà il loro contributo. Si sa già che Washington non manderà truppe di terra: linea condivisa anche da Italia, Germania e Polonia. A fornire soldati ci dovrebbe pensare, tra gli altri, la Francia, che però è in preda ad una profonda crisi politica e potrebbe rimanere presto senza un governo.Meloni ha reiterato “la proposta di un meccanismo difensivo di sicurezza collettiva ispirato all’articolo 5 del Trattato di Washington” (la clausola di mutua difesa della Nato) e ha ribadito “l’indisponibilità dell’Italia a inviare soldati in Ucraina”. La premier ha invece segnalato apertura per “iniziative di monitoraggio e formazione al di fuori dei confini ucraini“.Sicuramente, non si stancano di ripetere i volenterosi, il nucleo di qualunque futura garanzia di sicurezza saranno le forze armate ucraine. “Dobbiamo trasformare l’Ucraina in un porcospino d’acciaio, indigesto per gli aggressori presenti e futuri”, ha ribadito in merito von der Leyen, promettendo che “l’Europa continuerà ad addestrare i soldati ucraini“.Concluso l’incontro, alcuni leader hanno sentito al telefono Donald Trump per aggiornarlo sull’esito dei colloqui. Secondo Macron, il presidente statunitense avrebbe concordato di collaborare più strettamente con gli alleati europei su future sanzioni contro la Russia e, potenzialmente, anche la Cina, puntando a colpire in particolare l’export energetico di Mosca. A sentire Zelensky, il tycoon si sarebbe anche detto “molto scontento” del fatto che Ungheria e Slovacchia stiano continuando ad acquistare combustibili fossili russi (proprio per questo Budapest e Bratislava sono da tempo in collisione diretta con Kiev).Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Nel frattempo, le iniziative diplomatiche per giungere ad una composizione della decennale crisi russo-ucraina sembrano languire su un binario morto. Dopo il faccia a faccia di ferragosto con Vladimir Putin, Trump si era mostrato fiducioso sulle possibilità di mediare un accordo in tempi brevi, da sancire tramite un bilaterale Putin-Zelensky ed eventualmente un trilaterale con lo stesso tycoon. Nelle ultime settimane, tuttavia, le prospettive di una svolta nelle trattative sono sfumate rapidamente e le posizioni dei belligeranti rimangono reciprocamente irricevibili.Lo stesso Trump, che aveva millantato in passato di poter far finire la guerra “in 24 ore”, ha recentemente ammesso che “sembra un po’ più difficile” far cessare le ostilità, mentre la Federazione continua a bombardare pesantemente l’Ucraina. L’inquilino della Casa Bianca non ha mai dato seguito alle minacce di colpire il Cremlino con “pesanti dazi” se lo zar non avesse accettato una tregua, e giusto ieri Putin ha provocato nuovamente Zelensky invitandolo a Mosca per negoziare.

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    La vice presidente della Commissione UE Ribera: A Gaza è “genocidio”

    Bruxelles – Anche per la vice presidente della Commissione europea, la socialista spagnola Teresa Ribera a Gaza è in corso “un genocidio”.“Il genocidio a Gaza mette in luce l’incapacità dell’Europa di agire e parlare con una sola voce“, ha scandito Ribera nel discorso tenuto questa mattina (minuto 8.08) agli studenti della Paris School of International Affairs of Sciences Po.Questa sfida, ha sottolineato la vice presidente, arriva di fonte alle “proteste che si diffondono nelle città europee e 14 membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite chiedono un cessate il fuoco immediato”.

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    Per la prima volta in quasi due anni, l’Eurocamera voterà una risoluzione sul massacro a Gaza

    Bruxelles – Per la prima volta in oltre 22 mesi, il Parlamento europeo ha calendarizzato per la prossima plenaria una risoluzione su Gaza, dopo quasi due anni in cui sul tema, a Strasburgo, si sono tenuti solo dibattiti senza voto. I gruppi della maggioranza centrista stanno lavorando per definire il testo, che potrebbe ottenere il supporto di altre forze progressiste (pur coi distinguo del caso). Il voto seguirà un dibattito con l’Alta rappresentante Kaja Kallas sulla situazione nella Striscia e il ruolo dell’Ue.Non suona particolarmente rivoluzionaria, ma la notizia segna comunque una novità: dopo aver discusso il tema per oltre 22 mesi con accesi dibattiti nell’emiciclo, l’Eurocamera voterà finalmente la sua prima risoluzione sulla mattanza in corso a Gaza. Un cambio di passo politico che arriva con grande ritardo, e che finora era stato bloccato dalle differenze di vedute dei principali gruppi politici dell’Aula.Ma stavolta sembra essersi registrata una convergenza tra i tre pilastri della maggioranza europeista. Socialisti (S&D), Popolari (Ppe) e liberali (Renew) si sono messi al lavoro su un testo comune che andrà al voto giovedì prossimo (11 settembre), nell’ultimo giorno della sessione plenaria di Strasburgo. I negoziati sono tutt’ora in corso, confermano a Eunews fonti parlamentari, ma dovrebbero portare ad un punto di caduta accettabile per tutti.L’eurodeputato del M5s Danilo Della Valle (foto: Jan Van De Vel/Parlamento europeo)Se per il momento i gruppi centristi preferiscono non sbottonarsi, dalle fila dell’opposizione arrivano prese di posizione più nette. L’eurodeputato del Movimento 5 stelle Danilo Della Valle ha esortato l’assemblea a “lanciare un forte messaggio di pace e solidarietà verso il popolo palestinese“, annunciando che la delegazione pentastellata presenterà degli emendamenti “per chiedere l’embargo di armi a Israele, la sospensione dell’accordo di associazione Ue-Israele e la protezione diplomatica degli attivisti della Global Sumud Flotilla che rischiano il carcere solo perché trasportano generi alimentari negati oggi da Israele a Gaza”.Il gruppo cui appartiene il M5s, la Sinistra (The Left), è da tempo il più vocale dell’emiciclo sullo sterminio dei palestinesi nella Striscia perpetrato dallo Stato ebraico. La co-leader Manon Aubry sta raccogliendo le firme per presentare un’altra mozione di censura dell’esecutivo comunitario a guida Ursula von der Leyen, criticando proprio l’immobilismo di Bruxelles sul dossier mediorientale. Anche da altre forze progressiste dell’Aula ci si aspetta un supporto di principio alla risoluzione, in attesa che venga finalizzato il testo. “Il nostro scopo è sottolineare che, oltre alla crisi umanitaria, è a rischio l’esistenza stessa della Palestina“, ci fanno sapere da un gruppo del centro-sinistra.La risoluzione, che non sarà vincolante, seguirà un dibattito con Kaja Kallas martedì (9 settembre) dal titolo “Gaza al punto di rottura: l’azione dell’Ue per combattere la carestia, la necessità urgente di rilasciare gli ostaggi e di muoversi verso una soluzione a due Stati”. L’Alta rappresentante, il cui ruolo la costringe a fare il parafulmine degli Stati membri senza affidarle alcun potere reale, ha condiviso pubblicamente la sua crescente frustrazione personale nei confronti dell’inerzia dimostrata dalle cancellerie.I Ventisette si muovono in ordine sparso sulla Palestina – 11 di loro la riconoscono già, altri hanno annunciato di volerlo fare a breve (l’ultimo in ordine cronologico è il Belgio), altri ancora rischiano la crisi di governo solo per aver scoperchiato questo vaso di Pandora – e un fronte unitario a livello europeo è pura fantascienza, come evidenziato plasticamente dall’impossibilità di concordare persino una misura cosmetica e simbolica come la sospensione parziale dei fondi Horizon+ destinati a Tel Aviv.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Lukasz Kobus/Commissione europea)Intervenendo ieri (3 settembre) ad un evento pubblico, il capo della diplomazia a dodici stelle ha respinto al mittente “l’accusa secondo cui l’Europa sarebbe inattiva” rispetto al genocidio in corso nella Striscia e al regime di apartheid messo in piedi in Cisgiordania. “Siamo i più attivi su questo tema“, ha risposto, rivendicando come l’Ue sia il primo donatore internazionale per l’Autorità nazionale palestinese (Anp). Ma ha riconosciuto che questo “non è sufficiente a cambiare la situazione sul terreno“, ammettendo che questo le provoca “frustrazione“. In Medio Oriente, concede, “non stiamo usando il nostro potere geopolitico perché non siamo uniti”.Il punto, ha proseguito scaricando il barile sull’alleato transatlantico, è che “se l’America sostiene tutto ciò che fa il governo israeliano, allora la leva che hanno è lì”. Forse Kallas dimentica che c’è un gruppo di Paesi membri, capitanati dalla Germania, che continua a bloccare ogni mossa concreta che possa mettere lo Stato ebraico di fronte alle proprie responsabilità. Le opzioni, teoricamente, sarebbero molte: dalla sospensione dell’accordo di associazione alle sanzioni contro il governo di Benjamin Netanyahu (ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità).Nel gabinetto di Tel Aviv, ministri come Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir inneggiano continuamente all’annessione dei territori occupati e all’espulsione forzata dei palestinesi dalla loro terra, suggerendo di trattare alla stregua di “terroristi” gli attivisti della Global Sumud Flotilla, in viaggio verso Gaza nonostante le difficoltà legate al meteo avverso. E proprio sulla missione internazionale di solidarietà si è finalmente espressa ieri la premier italiana Giorgia Meloni, uscendo dal silenzio delle ultime settimane.La premier italiana Giorgia Meloni (foto: Andrea Di Biagio via Imagoeconomica)Rispondendo ad una lettera aperta della segretaria Pd Elly Schlein – a bordo delle navi umanitarie ci sono anche due eletti del suo partito, l’eurodeputata Annalisa Corrado e il senatore Arturo Scotto, oltre a Benedetta Scuderi (Avs) e Marco Croatti (M5s) – la premier garantisce che “il governo italiano assicura che saranno adottate tutte le misure di tutela e di sicurezza dei connazionali all’estero in situazioni analoghe” e suggerisce alla spedizione di considerare “la possibilità di avvalersi di canali alternativi e più efficaci di consegna” degli aiuti ai gazawi.“Avvalersi dei canali umanitari già attivi”, ragiona Meloni, eviterebbe di esporre gli attivisti “ai rischi derivanti dal recarsi in una zona di crisi e al conseguente onere a carico delle diverse autorità statuali coinvolte di garantire tutela e sicurezza”. Insomma, secondo l’inquilina di Palazzo Chigi la Flotilla farebbe meglio a non cacciarsi nella tana del leone, perché andrà a finire che dovranno scomodarsi le cancellerie.Peccato che sia proprio il vuoto lasciato dalle cancellerie di tutto il mondo che i partecipanti all’iniziativa stanno tentando di riempire coi propri corpi, mettendo a repentaglio la propria incolumità. In passato Israele ha fermato le precedenti spedizioni umanitarie con la forza, bloccandole in acque internazionali e addirittura bombardando i natanti coi droni.

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    La Global Sumud Flotilla naviga verso Gaza, Israele prepara una reazione muscolare

    Bruxelles – Il maltempo non ferma la Global Sumud Flotilla. Seppur con qualche ritardo sulla tabella di marcia iniziale, i partecipanti all’iniziativa transnazionale hanno ripreso il mare e stanno navigando verso le coste di Gaza. Nei prossimi giorni altre imbarcazioni si uniranno alla spedizione umanitaria per fornire sollievo ai palestinesi della Striscia, che Israele sta massacrando indiscriminatamente da oltre 22 mesi. Sui ponti della “flotta resistente” anche diversi politici italiani.Continua ad allargarsi il sostegno internazionale alla missione di solidarietà della Global Sumud Flotilla, la più grande mobilitazione della società civile mai messa in piedi nella storia recente appena salpata alla volta di Gaza. Obiettivo: spezzare il blocco illegale imposto da Israele e aprire un corridoio umanitario marittimo, nel tentativo di far entrare nella Striscia gli aiuti di cui la popolazione palestinese ha un disperato bisogno dopo quasi due anni di bombardamenti incessanti e una carestia creata artificialmente da Tel Aviv.Nelle ultime ore si sono “arruolati” volontariamente svariati politici di diversi Paesi, inclusi quattro italiani. Ci sono le europarlamentari Benedetta Scuderi (Avs) e Annalisa Corrado (Pd), il senatore Marco Croatti (M5s) e il deputato Arturo Scotto (Pd). Con loro anche altri due membri del gruppo della Sinistra all’Eurocamera di Strasburgo, la francese Emma Fourreau e l’irlandese Lynn Boylan (quest’ultimo a bordo di una nave indipendente che monitorerà lo svolgimento delle operazioni).L’eurodeputata di Avs Benedetta Scuderi (foto: Andrea Panegrossi via Imagoeconomica)“Questo governo è complice”, ha denunciato Scuderi additando Palazzo Chigi, rinnovando gli appelli per “fare pressioni” su Benjamin Netanyahu – ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità – e “smettere di inviare armi” a Tel Aviv. L’eurodeputata lamenta peraltro il silenzio di Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen sulla Flotilla: né Roma né Bruxelles hanno offerto alcuna copertura politico-istituzionale agli attivisti, che pure stanno cercando di colmare coi loro corpi un vuoto lasciato aperto dalle cancellerie dell’Europa e del mondo.Corrado invoca la “protezione” del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e sottolinea come nella Striscia non siano morti “solo 65mila esseri umani, in gran parte civili e bambini” ma anche “la democrazia, la fiducia nella politica e nelle istituzioni internazionali, tra silenzi e inazione”. “A Gaza stiamo morendo tutte e tutti noi”, osserva, paragonando la Flotilla ad una “arca di Noè del nostro tempo“.La partenza della Flotilla non è stata delle più semplici. A causa delle condizioni meteorologiche avverse, una trentina di navi con oltre 300 attivisti salpate la notte del 31 agosto da Barcellona sono dovute rientrare nel porto catalano poche ore dopo essersi messe in mare, all’alba del primo settembre. Da lì sono ripartite la sera stessa, ma per una seconda volta nella giornata di ieri (2 settembre) cinque piccole imbarcazioni hanno dovuto tornare indietro per riparare i danni.Le altre 24 hanno proseguito, meno sette che hanno fatto tappa alle Baleari per sostenere ulteriori riparazioni e aspettare i natanti che nel frattempo sono ripartiti da Barcellona. Il convoglio si sarebbe dovuto riunire domani (4 settembre) col resto della Flotilla al largo delle coste tunisine, ma a quanto pare l’appuntamento è stato rimandato al 7 settembre. A quel punto si congiungeranno anche i naviganti salpati da Genova, dalla Sicilia e dalla Grecia per veleggiare tutti insieme verso Gaza. L’organizzazione Emergency ha annunciato che si unirà alla missione con la sua nave Life support.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Shaul Golan/Afp)Nel frattempo si intensifica la pressione politica su Israele, anche se continuano a mancare azioni concrete da parte dei governi occidentali per porre fine allo sterminio dei gazawi e assicurare la consegna degli aiuti umanitari nella martoriata exclave costiera. All’Eurocamera di Strasburgo ha raccolto un centinaio di firme la richiesta di interrogazione scritta all’Alta rappresentante Kaja Kallas sulla strage dei cronisti palestinesi a Gaza – oltre 240 dall’ottobre 2023, stando ai dati Onu – avanzata dal dem Sandro Ruotolo, secondo cui “chi colpisce i giornalisti colpisce il diritto a conoscere la verità”.Ieri il Belgio si è aggiunto al novero dei Paesi che si dichiarano pronti a riconoscere lo Stato di Palestina all’imminente Assemblea generale dell’Onu, seguendo le più recenti orme di Francia, Malta e Regno Unito. Solo qualche giorno prima, l’Associazione internazionale degli studiosi di genocidio (Iags) ha certificato che Tel Aviv sta perpetrando il “crimine dei crimini” nella Striscia, come già rilevato dalle stesse ong israeliane.Lo Stato ebraico risponde in maniera muscolare. La marina israeliana ha condotto un’esercitazione nelle acque antistanti Gaza, mentre un numero di droni non identificati sorvola le imbarcazioni della Flotilla, probabilmente per sorvegliarle. Erano senza dubbio israeliani, invece, i droni che hanno colpito le strutture in cui sono stanziati i caschi blu dell’Unifil, così come i velivoli dell’aeronautica di Tel Aviv che nelle scorse ore sono atterrati all’aeroporto militare di Sigonella, dopo aver sorvolato la Sicilia. Quanto agli attivisti della Flotilla, il ministro ultraortodosso della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir li ritiene dei “terroristi” e dice di volerli trattare di conseguenza.

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    Ucraina, i volenterosi a Parigi per definire le garanzie di sicurezza

    Bruxelles – Gli alleati di Kiev continuano a cercare la quadra sulle garanzie di sicurezza. Dopodomani a Parigi la coalizione dei volenterosi discuterà per l’ennesima volta di come sostenere l’Ucraina al termine delle ostilità, anche se le trattative sono in stallo da settimane. Ma rimane da sciogliere il nodo principale: il potenziale dispiegamento di soldati sul campo. Da Berlino sono arrivate parole nette all’indirizzo di Ursula von der Leyen, che gioca a fare il comandante in capo di una forza militare che non c’è.Il menù sul tavolo della trentina di partecipanti alla coalizione dei volenterosi, che si incontreranno giovedì (4 settembre) nella capitale transalpina, è lo stesso da mesi. La portata principale è costituita dalle ormai famigerate garanzie di sicurezza da offrire all’Ucraina una volta cessata la guerra, in corso da più di tre anni e mezzo. Nonostante se ne discuta da tempo, tuttavia, nessuno è ancora in grado di definirle chiaramente, indicando con precisione su quali elementi si baseranno e, soprattutto, chi fornirà cosa.Alla riunione parigina di dopodomani, co-presieduta da Emmanuel Macron e Keir Starmer, dovrebbero partecipare in presenza anche Volodymyr Zelensky, Ursula von der Leyen e il Segretario generale della Nato Mark Rutte. Il presidente ucraino chiederà nuovi aiuti e cercherà di spingere i suoi alleati ad aumentare la pressione su Vladimir Putin, che non sembra minimamente interessato a sedersi al tavolo negoziale nonostante la sceneggiata di ferragosto in Alaska con Donald Trump.Il presidente francese Emmanuel Macron (foto via Imagoeconomica)Il nodo più intricato è quello dell’invio di un contingente multinazionale sul suolo ucraino, che per essere credibile dovrebbe contare almeno 30mila soldati – al netto dell’inquadramento di una tale “forza di rassicurazione“, essenzialmente diversa dalle classiche operazione di peacekeeping (se non altro perché le truppe non monitorerebbero il fronte ma rimarrebbero nelle retrovie, pronte a sostenere l’esercito di Kiev in caso di nuova aggressione russa). Un’opportunità che parrebbe avere un qualche senso dal punto di vista strategico, ma che rimane difficile da digerire sul piano politico.Nessun capo di Stato o di governo occidentale prende alla leggera l’impegno a mandare i propri soldati all’estero, soprattutto al di fuori del cappello Nato. Al momento pare che gli unici disponibili a inviare i proverbiali “stivali sul terreno” siano proprio Macron e Starmer, anche se quest’ultimo in tempi recenti avrebbe raffreddato gli ardori dei mesi scorsi. Contrari, invece, Italia, Germania e soprattutto Stati Uniti. Washington ha accettato di offrire un non meglio specificato backstop ad ucraini ed europei, e le altre cancellerie hanno fatto ampiamente capire che senza il sostegno dello zio Sam non si va da nessuna parte.Le difficoltà su questo fronte sono emerse plasticamente ieri (primo settembre), quando il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius ha criticato aspramente la fuga in avanti di Ursula von der Leyen sulla questione. In una recente intervista al Financial Times, il capo dell’esecutivo comunitario ha sostenuto che i volenterosi avrebbero elaborato “piani piuttosto precisi” rispetto all’impegno nel dopoguerra, compreso un eventuale contingente terrestre.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto: Dati Bendo/Commissione europea)Un passo di troppo per Berlino, dove il governo è alle prese con una complessa riforma della Bundeswehr. Con commenti caustici, Pistorius ha sottolineato che “l’Ue non ha alcuna responsabilità né competenza in materia di dispiegamento di truppe, per nessuno e per nessun motivo”, offrendo un consiglio al vetriolo per la numero uno del Berlaymont: “Mi asterrei dal confermare o commentare in alcun modo tali considerazioni“, ha rincarato, ritenendo “assolutamente sbagliato” discutere pubblicamente dei piani militari prima che i belligeranti abbiano stipulato una tregua. Lo stesso cancelliere federale Friedrich Merz ha ribadito che allo stadio attuale “nessuno sta parlando di truppe di terra“.Una soluzione politicamente politicamente più accettabile per i volenterosi potrebbe essere la fornitura di supporto aereo e logistico, inclusi la condivisione d’intelligence e l’addestramento delle forze armate di Kiev, come ventilato la scorsa settimana dall’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas. Sicuramente, come ripete da tempo von der Leyen, la strategia su cui tutti concordano è quella di fare dell’Ucraina un “porcospino d’acciaio“, rafforzando il suo esercito al punto da renderla “indigesta” per qualunque aggressore.D’altro canto, le iniziative diplomatiche per giungere alla cessazione delle ostilità sembrano giunte ad un binario morto. L’ultimo incontro diretto tra le delegazioni negoziali dei belligeranti si è risolto nell’ennesimo buco nell’acqua e non si vede all’orizzonte alcuna svolta nelle trattative. Mosca continua a bombardare il suo vicino ed è arrivata a colpire anche la sede della delegazione Ue a Kiev.Nello specifico, le posizioni dei belligeranti sulle garanzie di sicurezza sono inconciliabili: per la Russia se ne dovrebbe parlare solo una volta raggiunta l’intesa su una tregua (ma la presenza di truppe Nato è inaccettabile per Mosca), mentre l’Ucraina le ritiene un prerequisito essenziale per sedersi al tavolo. Del resto, lo zar sta infrangendo uno dopo l’altro gli ultimatum lanciati da Trump, senza che la Casa Bianca abbia messo in campo alcuna delle “gravi conseguenze” minacciate negli scorsi mesi.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Nel frattempo, l’inquilino del Cremlino ha sostenuto di non essere mai stato contrario all’adesione dell’Ucraina all’Ue durante un colloquio a Pechino col primo ministro slovacco Robert Fico, uno dei cavalli di Troia di Putin all’interno del club a dodici stelle. Lo zar ha dichiarato di “apprezzare molto” l’autonomia di Bratislava nel seguire una “politica estera indipendente“, mentre il suo interlocutore ha precisato che “l’Ucraina deve soddisfare tutte le condizioni per entrare nell’Ue”, sottolineando che “i criteri politici non possano prevalere sui criteri di preparazione”.Si tratta del terzo faccia a faccia tra Fico e Putin nel giro di un anno, con buona pace della pretesa di Bruxelles di aver mantenuto un fronte unitario nei confronti di Mosca. L’atro sodale di Putin nell’Unione, il premier ungherese Viktor Orbán, sta continuando a bloccare tanto l’apertura dei negoziati di adesione quanto l’esborso degli aiuti per l’Ucraina, puntando sistematicamente i piedi anche sulle sanzioni comunitarie contro il Cremlino (al momento è in preparazione il 19esimo pacchetto, dopo aver disinnescato proprio il veto di Fico). Budapest e Bratislava hanno da tempo ingaggiato un braccio di ferro con Kiev sulle forniture di gas e petrolio russo, lamentando recentemente le interruzioni dovute agli attacchi ucraini all’oleodotto Druzhba.

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    Gaza: 100 eurodeputati firmano interrogazione per commissione d’inchiesta sugli attacchi ai giornalisti promossa da Sandro Ruotolo

    Bruxelles – Cento deputati al Parlamento europeo, appartenenti a i gruppi da laSinistra ai popolari, hanno firmato l’interrogazione scritta presentata da Sandro Ruotolo (S&D – PD) che chiede all’Alto Rappresentante per la politica estera europea Kaja Kallas di fare pressioni per spingere le Nazioni Unite a creare una commissione internazionale d’inchiesta sugli attacchi contro i giornalisti a Gaza e la creazione di meccanismi di protezione internazionale per i reporter che operano nelle zone di conflitto.L’iniziativa è nata dopo i due gravissimi attacchi di agosto: il bombardamento del 10 che ha ucciso sei giornalisti di Al Jazeera presso l’ospedale Al-Shifa, e quello del 25 al complesso medico Al-Nasser di Khan Younis, in cui hanno perso la vita altri cinque cronisti.L’interrogazione, presentata da Ruotolo e co-firmata, come secondo firmatario da Nicola Zingaretti, capo delegazione del PD al Parlamento europeo, è stata consegnata simbolicamente con le 100 firme a Yousef Khader Habache, rappresentante europeo del Sindacato dei giornalisti Palestinesi e a Shuruq As’ad giornalista e membro del sindacato.Dal 7 ottobre 2023, 247 giornalisti e operatori dei media palestinesi sono stati uccisi, pari al 13 pe cento dei giornalisti di Gaza, tra cui 34 donne. Oltre 520 sono rimasti feriti e più di 800 familiari di cronisti hanno perso la vita. Circa 1700 giornalisti della Striscia sono stati costretti a sfollare più volte e 800 di loro vivono e lavorando in tende o ospedali senza elettricità, acqua e internet. Sono stati registrati 206 giornalisti arrestati, di cui 55 ancora detenuti. In Gaza l’esercito israeliano ha distrutto 115 testate e redazioni giornalistiche con bombardamenti e attacchi di carri armati. In Cisgiordania e a Gerusalemme ha chiuso 5 media e distrutto o sigillato 12 tipografie.“L’immobilismo dell’Europa è figlio della scelta di molti governi europei che, a parte i comunicati, bloccano qualsiasi iniziativa. Stiamo lavorando affinché il Parlamento europeo arrivi ad una risoluzione formale chiara, un passaggio fondamentale per affermare il diritto alla verità e alla giustizia del popolo palestinese”, ha dichiarato Nicola Zingaretti.Secondo Ruotolo, “chi colpisce i giornalisti colpisce il diritto a conoscere la verità. Per questo chiediamo all’Unione europea di agire con determinazione: serve una commissione di inchiesta e meccanismi di protezione internazionale per chi rischia la vita ogni giorno pur di raccontare quello che accade. Sostengo con convinzione l’iniziativa del Sindacato dei Giornalisti Palestinesi di organizzare una barca di reporter verso Gaza. È un gesto di coraggio e di verità che merita il nostro appoggio”.

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    Il Belgio riconoscerà la Palestina, e vara sanzioni contro Israele e Hamas

    Bruxelles – “La Palestina sarà riconosciuta dal Belgio durante la sessione dell’ONU!”. E’ l’annuncio fatto su X nella notte dal ministro degli Esteri Belga, Maxime Prevot, dopo giorni di negoziati all’interno della composita maggioranza di governo del regno.Prevot aggiunge che “saranno prese misure severe nei confronti del governo israeliano. Anche qualsiasi forma di antisemitismo o glorificazione del terrorismo da parte dei sostenitori di Hamas sarà denunciata con maggiore forza”.“Considerata la tragedia umanitaria che si sta consumando in Palestina, e in particolare a Gaza, e di fronte alle violenze perpetrate da Israele in violazione del diritto internazionale, tenuto conto dei suoi obblighi internazionali, tra cui il dovere di prevenire qualsiasi rischio di genocidio, il Belgio aveva il dovere di prendere decisioni forti per accentuare la pressione sul governo israeliano e sui terroristi di Hamas”. Scrive il ministro nel suo lungo comunicato stampa.Il governo federale ha previsto dodici decisioni unilaterali. Tra queste, “il Belgio intensificherà i propri sforzi per fornire aiuti umanitari ai palestinesi con ogni mezzo possibile. Inoltre, il ministro della Cooperazione allo sviluppo stanzierà 12,5 milioni di euro che si aggiungeranno ai 7 milioni già stanziati quest’anno per gli aiuti umanitari a Gaza”. Proseguirà anche l’evacuazione dei bambini affetti da malattie gravi.Il governo di Bruxelles chiederà anche che “i coloni violenti e terroristi di Hamas siano inseriti nella lista europea delle personae non grata sul territorio belga. Anche i ministri estremisti Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich,  nonché i leader politici e militari di Hamas, saranno personae non gratae sul territorio belga.Prévot annuncia inoltre che il governo federale chiederà il divieto totale di esportazione e transito di armi verso Israele dal Belgio. E’ anche previsto un divieto di importazione di merci prodotte, sfruttate o trasformate nei territori occupati illegalmente da Israele. Anche i belgi residenti nelle colonie pagheranno un prezzo, poiché vedranno ridotti “al minimo” i servizi consolari della madre patria. I belgi residenti nelle colonie vedranno inoltre ridotti al minimo i servizi consolari forniti dallo Stato belga. Infine saranno respinte le richieste di sorvolo dello spazio aereo belga per voli militari israeliani.La Palestine sera reconnue par la Belgique lors de la session de l’ONU ! Et des sanctions fermes sont prises à l’égard du gouvernement israélien. Tout antisémitisme ou glorification du terrorisme par les partisans du Hamas sera aussi plus fortement dénoncé.Au vu du…— Maxime PREVOT (@prevotmaxime) September 2, 2025

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    Palestina, il Gran Cancelliere dell’Ordine di Malta riceve la Ministra degli Affari Esteri

    Roma – Ribadire il fermo impegno nel sostenere il popolo palestinese e nel preservare le operazioni umanitarie che l’Ordine di Malta porta avanti in Palestina. Questo il messaggio espresso dal Gran Cancelliere dell’Ordine di Malta, Riccardo Paternò di Montecupo, che oggi ha ricevuto la Ministra degli Affari Esteri e degli Espatriati dello Stato di Palestina, Varsen Aghabekian Shaheen, per una visita di lavoro a Roma.Una nota dell’Orine spiega che durante l’incontro, il Gran Cancelliere ha sottolineato l’importanza di continuare a supportare il popolo palestinese, in particolare i cittadini di Gaza City attraverso il progetto di apertura di un centro sanitario, e riaffermato la volontà di tutelare le attività umanitarie dell’Ordine già in corso.Aghabekian Shaheen ha espresso grande apprezzamento da parte del governo palestinese per il contributo dell’Ordine di Malta alla popolazione.Nella fase attuale, le attività umanitarie dell’Ordine di Malta in Palestina sono incentrate sul progetto di aiuti a Gaza City portato avanti in collaborazione con il Patriarcato latino di Gerusalemme e la parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza, recentemente colpita da raid. Da maggio 2024 sono state consegnate 200 tonnellate di cibo a oltre 25.000 civili, ed è appunto allo studio l’apertura di un punto di assistenza sanitaria per la comunità locale. L’Ordine di Malta inoltre continua a supportare gli aspetti logistici della distribuzione di cibo da parte del Patriarcato.Il cuore dell’attività dell’Ordine di Malta in Palestina è l’Holy Family Hospital di Betlemme, struttura sanitaria che dal 1990 offre cure materno-infantili di alta qualità in Cisgiordania. Essendo l’unico centro della regione in grado di assistere nascite premature, grazie a un reparto di terapia intensiva neonatale con 18 posti letto, è un punto di riferimento per tutte le donne in gravidanza dell’area, in particolare per quante necessitano di cure specializzate. Composto da medici, ostetriche e infermieri musulmani e cristiani, il personale garantisce un servizio senza distinzioni di credo o condizione sociale, offrendo assistenza a costi ridotti o in forma completamente gratuita.Sempre in Cisgiordania, l’Ordine di Malta è al fianco della popolazione con cliniche mobili, distribuzione di buoni per beni di prima necessità, iniziative di microcredito e attività di formazione sanitaria.A luglio, il Sovrano Ordine di Malta ha partecipato alla conferenza di alto livello delle Nazioni Unite a New York (28-30 luglio) sulla «Risoluzione pacifica della questione palestinese e l’attuazione della soluzione dei due Stati», promossa da Francia e Arabia Saudita. Nell’occasione, l’Ordine ha riaffermato la necessità di “una cessazione di tutti gli atti di violenza che violano il diritto internazionale e i principi umanitari” e si è detto “pronto a offrire pieno supporto agli sforzi di ricostruzione e sviluppo nei territori palestinesi”.