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    Israele e Hamas hanno raggiunto l’accordo per un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi a Gaza

    Bruxelles – Per la prima volta da gennaio 2025, la popolazione di Gaza si risveglia per festeggiare tra le macerie. Israele e Hamas hanno concordato la fase iniziale del piano proposto da Donald Trump. È proprio il presidente americano a darne l’annuncio, nella notte tra l’8 e il 9 ottobre: tutti gli ostaggi detenuti da Hamas saranno rilasciati “molto presto” e Israele ritirerà le truppe a una “linea concordata“.Hamas ha confermato di aver accettato i termini del piano negoziati negli ultimi tre giorni a Sharm el-Sheikh, sottolineando che l’accordo prevede il ritiro israeliano dalla Striscia e lo scambio di ostaggi e prigionieri. Il gabinetto di sicurezza di Tel Aviv si riunirà oggi per dare il proprio via libera: i suoi ministri più estremisti si oppongono, il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, ha scritto su X che “subito dopo il ritorno a casa degli ostaggi” lo Stato ebraico dovrebbe “continuare a impegnarsi con tutte le sue forza per la vera eradicazione di Hamas”. Ma sembra comunque improbabile che, con le famiglie degli ostaggi che festeggiano l’annuncio, il gabinetto respinga l’accordo.Cessate il fuoco, rilascio degli ostaggi israeliani e di prigionieri palestinesi, ritiro parziale dell’esercito israeliano da Gaza. Si tratta della prima fase del piano in 20 punti messo a punto da Trump e dall’ex primo ministro britannico Tony Blair. Sulle questione più spinose – il disarmo di Hamas, la governance della Striscia e le tempistiche per il passaggio di consegne con l’Autorità palestinese -, non è chiaro se siano stati fatti progressi.Intanto, i 20 ostaggi israeliani che si ritiene siano ancora vivi potrebbero essere riconsegnati già questo fine settimana, in cambio del rilascio di circa 1.700 prigionieri palestinesi. Trump ha indicato lunedì 13 ottobre come possibile giorno del ritorno in Israele degli ostaggi. Il premier Benjamin Netanyahu ha salutato l’accordo come “un grande giorno per Israele”. Hamas ha invitato Trump e gli Stati garanti dell’accordo – Egitto, Qatar e Turchia – ad assicurarsi che Israele attui pienamente il cessate il fuoco.Con i quattro Paesi che hanno mediato i negoziati, si è immediatamente congratulata l’Unione europea, esclusa dal tavolo delle trattative per la pace fin dall’inizio del conflitto. “Mi congratulo con gli Stati Uniti, il Qatar, l’Egitto e la Turchia per gli sforzi diplomatici compiuti al fine di raggiungere questo importante risultato”, ha dichiarato Ursula von der Leyen in una nota, a cui ha fatto eco il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa. Nemmeno una parola, ancora una volta, sul nuovo abbordaggio da parte di Israele alle imbarcazioni civili della Thousands Madleen to Gaza in acque internazionali.La leader Ue ha garantito che “l’UE continuerà a sostenere la consegna rapida e sicura degli aiuti umanitari a Gaza” e sottolineato che “quando sarà il momento, saremo pronti ad aiutare nella ripresa e nella ricostruzione“. Un altro punto del piano decisamente ambiguo, che prevede l’ingente intervento di investitori stranieri per ricostruire la Striscia sull’impronta delle “più fiorenti città moderne del Medio Oriente”. L’Alta rappresentante per gli Affari esteri, Kaja Kallas, ha ribadito che “l’UE farà tutto il possibile per sostenere l’attuazione” del piano di Trump. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha esortato entrambe le parti a “rispettare pienamente” i termini dell’accordo.“I am very proud to announce that Israel and Hamas have both signed off on the first Phase of our Peace Plan… BLESSED ARE THE PEACEMAKERS!” – President Donald J. Trump pic.twitter.com/lAUxi1UPYh— The White House (@WhiteHouse) October 8, 2025

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    Von der Leyen: “Global Gateway meglio delle attese, ora la piattaforma per le imprese”

    Bruxelles – Il Global Gateway funziona. La strategia lanciata nel 2021 dalla Commissione europea per una cooperazione mondiale volta a promuovere la doppia transizione energetica e digitale ha prodotto anche più di quello che ci si era prefissato. “Il nostro obiettivo iniziale era di mobilitare 300 miliardi di euro in cinque anni. Ma oggi abbiamo già raggiunto questo obiettivo“, annuncia la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, aprendo i lavori dell’edizione 2025 del Global Gateway Forum. “In quattro anni, abbiamo già mobilitato oltre 306 miliardi di euro. E sono fiduciosa che supereremo i 400 miliardi di euro entro il 2027“. Buone notizie, in un mondo meno prevedibile e in cui l’Unione europea fa fatica a posizionarsi. Il Global Gateway nasce per rispondere innanzitutto alla penetrazione e all’avanzata commerciale cinese, ma torna di maggiore utilità soprattutto oggi, scandisce von der Leyen, in un momento in cui “dazi e barriere commerciali tornano a essere uno strumento di geopolitica e geoeconomia”. Ogni riferimento agli Stati Uniti di Donald Trump non è casuale, visto che l’accordo UE-USA sui dazi sembra non considerare quella green economy, mentre con il Global Gateway “stiamo cercando di rafforzare la nostra autonomia in settori strategici, dall’energia pulita all’intelligenza artificiale“. Avanti con la doppia transizione, dunque, a vele spiegate e anche di più. L’entusiasmo per i risultati ottenuti induce von der Leyen ad annunciare il Global Gateway Investment Hub, “una piattaforma unica per le aziende che vogliono proporre investimenti” alla politica. Questo ‘hub’ intende essere “un luogo in cui Stati membri, banche di sviluppo, agenzie di credito all’esportazione e aziende si incontrano per elaborare offerte coordinate”. Perché, insiste, la presidente della Commissione europea, “insieme possiamo offrire solidi rendimenti per gli investitori, valore strategico per l’Europa e benefici duraturi per i nostri partner”.João Manuel Gonçalves Lourenço, presidente dell’Angola e dell’Unione Africana, al Global Gateway Forum 2025 [Bruxelles, 9 ottobre 2025]“La cooperazione tra Unione europea e Africa attraverso il Global Gateway ha un potenziale enorme“, riconosce Joao Manual Gonçalves Lourenço, presidente dell’Angola e dell’Unione africana. “In un momento di profonde interconnessioni questioni come sicurezza energetica, inclusione sociale e resistenza ai cambiamenti climatici diventano di vitale importanza”, ammette, promettendo di “dare più valore alla materie prime che abbiamo in Africa” e che sono fondamentali per la doppia transizione.Commissione europea ed Europa degli Stati trovano il sostegno e la sponda anche del Sudafrica, membro del G20 e dei BRICS, e dunque partner strategico in quanto attore ‘amico’ di Paesi quali Cina, Russia, India, tutti competitor dell’UE sullo scenario globale. “I dazi non dovrebbero essere usati come arma, ma regolamentati secondo le regole dell’Organizzazione mondiale per il commercio (WTO)”, sottolinea Cyril Ramaphosa, presidente del Sudafrica, Paese che del G20 detiene la presidenza di turno. “Siamo pronti a collaborare con l’UE”, su questo punto come su altri. “Dobbiamo usare il commercio come strumento per rafforzare economia e industrializzazione e il Global Gateway rappresenta un buon modo per farlo”.Il mondo e la situazione globale visti dal sud America appaiono in modo diverso, tanto che Gustavo Francisco  Petro Urrego, presidente della Colombia e della comunità dei Paesi dell’America latina e dei Caraibi (CELAC), invita l’UE e i partner mondiali a riconsiderare le relazioni con Mosca, al centro di una guerra contro l’Ucraina che bisognerà imparare a superare. “Se vogliamo connetterci con l’est dobbiamo includere Cina, Giappone, e magari anche la Russia“, scandisce. Questo perché “gli Stati Uniti vogliono isolarsi, oggi la realtà è questa” e bisogna farci i conti. Mentre a livello di agenda politica Urrego guarda al Global Gateway per rilanciare fibra ottica, sostenibilità e lotta ai cambiamenti climatici.

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    Groenlandia, il primo ministro Nielsen parla all’Eurocamera: “L’Unione è un’amica leale”

    Dall’inviato a Strasburgo – Dall’estremo nord al Parlamento europeo di Strasburgo. Jens-Frederik Nielsen, 34 anni, primo ministro della Groenlandia. La prima volta di un discorso alle istituzioni europee per un politico groenlandese è un successo. “La Groenlandia ha bisogno dell’Unione Europea, e l’Unione Europea ha bisogno della Groenlandia” ricorda il premier tra gli applausi dell’aula.Dallo scranno principale, Nielsen parla senza giacca né cravatta. Addosso una felpa, o meglio un anorak tipico delle popolazioni inuit. L’indumento è di colore blu sulle stesse tonalità della bandiera dell’Unione. La scelta cromatica non è solo simbolica. Davanti ai 720 europarlamentari le sue parole hanno una linea chiara: collaborazione. Un’apertura, però, solo verso chi – ricorda il primo ministro – “condivide i nostri valori”.Gli amici europeiLa Groenlandia è formalmente parte del Regno di Danimarca, ma dal 2009 gode di autonomia ampliata e non fa parte della Comunità Europea. Questo, però, non toglie nulla alle buone relazioni tra le due entità. “L’Unione è stata un’amica leale e ci è rimasta accanto nei momenti in cui ne avevamo più bisogno”, ricorda Nielsen. Il futuro non può essere da meno: “Possiamo sviluppare partenariati in settori decisivi che porteranno benefici sia a noi che a voi”, afferma il primo ministro.Al di là della fraterna amicizia che esiste tra la popolazione artica e gli europei, la sua presenza a Strasburgo ha ragioni strategiche. “Siamo molto felici che nel prossimo piano economico quinquennale presentato dalla Commissione – continua il groenlandese – siano presenti fondi per 530 milioni dedicati alla nostra terra”. La proposta è quella, per stessa ammissione di Nielsen, di “sostenere lo sviluppo delle risorse minerarie in Groenlandia, creando al contempo catene di valore per la transizione verde nell’UE”.L’accordo è possibile perché sotto il suolo inuit si trovano materie prime preziose. L’isola artica, infatti, possiede 24 delle 34 terre rare critiche individuate dall’UE. Questi minerali sono perfetti per la creazione di batterie a ioni di litio, componenti elettronici e magneti, tutti elementi fondamentali per l’economia green.Greenland has vast, untapped mineral resources, including rare earth elements and other critical minerals. pic.twitter.com/tlRmiV40Dg— Civixplorer (@Civixplorer) September 14, 2025Soldi, foche e mineraliL’occasione per l’Unione Europea è interessante. Sotto questi auspici, la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, in conferenza stampa ribadisce: “Spero che incontri come questo non avvengano soltanto durante la Presidenza (del Consiglio Europeo, ndr) danese. Vorremmo più spesso la Groenlandia ai nostri tavoli”.La partnership sembra vantaggiosa per tutti. Il primo ministro non vuole però svendere le sue terre e, per questo, tra le righe chiede qualcosa in cambio. Sicuro delle sue ragioni, suggerisce davanti ai 720 eurodeputati di modificare le norme del regolamento sulla commercializzazione di prodotti derivati da foche. “Il divieto generale di immettere sul mercato dell’UE prodotti derivati da foche – ha lamentato Nielsen – ha avuto gravi conseguenze negative, causando un forte calo nella produzione interna e nelle esportazioni delle nostre pelli di foca. Questa pesca fa parte della nostra cultura e del nostro sostentamento”.Jens-Frederik Nielsen e Roberta MetsolaL’intrigo articoIn un discorso che parla di amicizia e fratellanza rimane sullo sfondo la questione americana. Le minacce di Trump di annessione risalgono solo a pochi mesi fa. Nielsen non ne parla e liquida la questione: «Abbiamo ottime relazioni da tantissimi anni con loro».Gli interessi a stelle e strisce sull’isola non si possono però ignorare. Per fare un esempio, l’azienda Critical Metals si è insediata nel giacimento minerario di Qaqortoq nel sud del Paese, uno dei più significativi al mondo. All’epoca dell’assegnazione dell’area, il 2024, la pressione danese e statunitense è stata decisiva. La Cina, nonostante il manifesto interesse, è stata esclusa.L’intrigo artico, insomma, è solo all’inizio. Tra riscaldamento globale, che aumenta i terreni sfruttabili, e rotte artiche per navi cargo, gli occhi delle superpotenze guardano verso nord. Nielsen, con il suo anorak blu, strizza l’occhio a tutti, cercando di fare gli interessi del, sempre meno solitario, popolo inuit.

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    A due anni dal 7 ottobre l’Europa ricorda le vittime israeliane. Ma non tutti condannano il genocidio dei palestinesi

    Bruxelles – Col resto del mondo, l’Europa ricorda oggi (7 ottobre) il secondo anniversario degli attacchi di Hamas contro Israele. “Non dimenticheremo mai l’orrore” di quel giorno, scrivono in un post congiunto su X la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e quello del Consiglio europeo, António Costa, né “il dolore causato alle vittime innocenti, alle loro famiglie e all’intero popolo israeliano”. “Onoriamo la loro memoria lavorando instancabilmente per la pace“, aggiungono riferendosi ai negoziati in corso in Egitto tra gli emissari dello Stato ebraico e dell’organizzazione palestinese.Al ricordo degli attacchi di Hamas si aggiungono il ricordo delle 1.195 vittime (più 251 ostaggi), condanna degli attentati, e sostegno agli sforzi per pervenire ad una soluzione politica al conflitto che infuria da due anni nella martoriata Striscia di Gaza, mediati dagli Stati Uniti sulla base del piano in 20 punti proposto da Donald Trump.Da Strasburgo, dov’è iniziata ieri la plenaria dell’Eurocamera, la presidente dell’emiciclo Roberta Metsola ha definito il 7 ottobre 2023 “un giorno che rimarrà per sempre impresso nella storia del nostro tempo come un giorno d’infamia“. La popolare maltese deplora il “ciclo di guerra e violenza che ha causato la morte di decine di migliaia di persone” – le stime aggiornate parlano di oltre 67mila vittime tra la popolazione gazawi, in larghissima parte civili – ma non arriva a condannare fermamente la risposta militare sproporzionata di Tel Aviv, che ha avviato nell’exclave costiera, descritta dalle Nazioni Unite e dalle stesse ong israeliane come un genocidio in piena regola.La commissaria Ue al Mediterraneo, Dubravka Šuica (foto: Philippe Stirnweiss/Parlamento europeo)Intervenendo al dibattito in Aula sul tema, la commissaria al Mediterraneo Dubravka Šuica ha concesso che “la situazione a Gaza è diventata intollerabile” e che il massacro condotto da Israele nella Striscia ha “scosso le coscienze del mondo”, come evidenziato plasticamente dal moltiplicarsi delle manifestazioni oceaniche esplose a tutte le latitudini e longitudini nelle ultime settimane, anche e soprattutto in Italia.Bruxelles, continua, considera il piano di Trump “un quadro credibile per la pace” e ne condivide i punti cardine: “Nessun ruolo per Hamas (nel dopoguerra, ndr), nessuno spostamento forzato della popolazione, nessuna annessione, incluso in Cisgiordania, nessuna minaccia da Gaza verso i vicini e nessuna operazione militare” nella Striscia. L’obiettivo, conclude Šuica, è garantire “la sicurezza reale di Israele e un futuro sicuro per tutti i palestinesi“.Di “attacco terroristico brutale” ha parlato anche la capogruppo socialista in Aula, Iratxe García Pérez, che però non si nasconde e condanna anche “la reazione di Israele col genocidio a Gaza“. In merito alle partecipatissime proteste di piazza, l’eurodeputata spagnola osserva che “il nostro compito è ascoltare la voce dei milioni di cittadini” che sono scesi in strada poiché “il nostro silenzio è complice“. “Dobbiamo chiedere alla Commissione di agire per fermare la strage“, conclude.Dai Socialisti e democratici (S&D), il capodelegazione Pd Nicola Zingaretti ricorda che “la sicurezza non si costruisce con la forza ma con la pace” e che “violenza infinita chiama terrorismo infinito“. Il suo compagno di partito Sandro Ruotolo ribadisce che oggi “è il popolo palestinese a pagare il prezzo più alto“, sottolineando che per avvicinarsi alla pace è necessario interrompere le ostilità e “riprendere un processo politico vero, che riconosca finalmente ai palestinesi il diritto a uno Stato libero e sovrano accanto a Israele“. Un ragionamento che, planisfero alla mano, parrebbe condiviso da un numero sempre maggiore di governi nel mondo.La manifestazione nazionale per la Palestina a Roma, il 4 ottobre 2025 (foto: Alessandro Amoruso via Imagoeconomica)Più incisivi gli interventi di due eurodeputate italiane che si erano imbarcate con la Global Sumud Flotilla. La dem Annalisa Corrado rimarca che il “genocidio in corso” nella Striscia è “il frutto di scelte politiche criminali” prese dal gabinetto di Benjamin Netanyahu (sul cui capo, del resto, pende un mandato di cattura per crimini di guerra e contro l’umanità spiccato dalla Corte penale internazionale) e che “le responsabilità del governo israeliano non possono essere coperte da un silenzio complice” come quello che, sempre più assordante, si leva dalle cancellerie dei Ventisette.Ma, ammonisce Corrado, bisogna approcciare anche le trattative in corso con realismo ed evitare i diktat tra le parti belligeranti (e i rispettivi alleati): “La pace non si costruisce imponendo condizioni dall’alto, negando la voce e la dignità del popolo palestinese”, ragiona. E rimarca che “senza il riconoscimento della Palestina, senza un processo politico che ponga fine alle occupazioni illegali, ogni accordo resterà fragile e non si estirperanno le radici dell’odio”. “L’Europa deve smettere di oscillare tra ipocrisie e connivenze“, conclude.Dai banchi dei Verdi, anche Benedetta Scuderi (Avs) si chiede “perché dopo due anni di genocidio palestinese e pulizia etnica ancora non facciamo niente per fermare Israele“, e interroga i colleghi sul loro rifiuto di “parlare della Flotilla“, riferendosi alla bocciatura da parte dell’emiciclo di due mozioni sul tema proposte dal suo gruppo e dalla Sinistra all’inizio dei lavori dell’intera sessione plenaria. “Se non avete a cuore nemmeno i diritti degli europei che rappresentate, delle nostre colleghe, mai quest’Aula potrà supportare il popolo palestinese“, il suo j’accuse.L’eurodeputata di Avs Benedetta Scuderi (foto: Philippe Stirnweiss/Parlamento europeo)Sulle imbarcazioni della missione di solidarietà transnazionale – intercettata con metodi pirateschi da Tel Aviv tra il 2 e il 3 ottobre – c’era anche l’eurodeputata franco-palestinese Rima Hassan, della Sinistra. Gli attivisti hanno raccontato di aver subìto aggressioni e violenze fisiche e psicologiche da parte delle autorità israeliane. Scuderi sostiene che “l’Europa sta morendo nel silenzio e nella complicità delle sue istituzioni” ma nota anche che “c’è un’altra Europa, viva nelle milioni di persone che riempiono le strade gridando ‘non nel nostro nome’, un’Europa che crede nella giustizia, nel diritto e nella pace, che non vuole ripetere gli errori del passato e che si oppone davvero al genocidio”.Gli aggiornamenti che arrivano da Sharm el Sheikh, dove sono in contatto indiretto le due squadre negoziali, sono solo parzialmente incoraggianti. Si tratta senza dubbio dello slancio diplomatico più solido mai messo in campo finora, ma le posizioni rimangono distanti su diversi punti cruciali nonostante la disponibilità dichiarata in linea di principio da entrambi i belligeranti. Soprattutto, Hamas chiede la cessazione completa della campagna israeliana e il ritiro totale dell’esercito di Tel Aviv dalla Striscia, mentre lo Stato ebraico pretende il disarmo del gruppo palestinese. Un’altra questione per il momento irrisolta è quella della ricostruzione post-bellica di Gaza. In mancanza di un accordo, intanto, le operazioni militari continuano.

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    Palestina, una nuova Flotilla veleggia verso Gaza. Le piazze di tutto il mondo chiedono la fine del genocidio

    Bruxelles – C’è una nuova flotilla che veleggia verso Gaza. Mentre gli attivisti rapiti e deportati da Israele nei giorni scorsi stanno rientrando nei rispettivi Paesi, una spedizione più piccola sta navigando nel Mediterraneo orientale per raccogliere il testimone lasciato dai velieri intercettati in questa staffetta di solidarietà transnazionale. L’obiettivo rimane lo stesso: raggiungere le coste dell’exclave palestinese, rompere il blocco navale illegale imposto da Tel Aviv nel 2009 e consegnare nella Striscia gli aiuti umanitari per offrire sollievo alla popolazione stremata dallo sterminio sistematico che va avanti, nella sua versione più eclatante, da quasi due anni.Le nove imbarcazioni, che si trovano attualmente (6 ottobre) al largo dell’Egitto, sono state messe in mare dall’iniziativa Thousand Madleens, affiliata alla Global Sumud Flotilla, la missione della società civile internazionale che nelle ultime settimane ha contribuito in maniera determinante a mantenere alta l’attenzione mediatica e politica del mondo intero sul genocidio dei palestinesi perpetrato dallo Stato ebraico a Gaza (come documentato dalle Nazioni Unite e dalle stesse ong israeliane).La prima spedizione ospitava a bordo delle oltre 40 navi, fermate con metodi pirateschi da Israele in acque internazionali tra il 2 e il 3 ottobre, un buon numero di figure pubbliche (su tutti, gli attivisti Greta Thunberg e Thiago Ávila) e politici di varie nazionalità, inclusi quattro italiani: i parlamentari Marco Croatti (senatore M5s), Arturo Scotto (deputato Pd), Benedetta Scuderi (eurodeputata Avs) e Annalisa Corrado (eurodeputata Pd). Stavolta, gli equipaggi sono più ridotti e non annoverano nomi famosi. Il che non lascia ben sperare per il trattamento che verrà riservato ai naviganti, considerato quello usato dagli apparati di sicurezza israeliani fin qui.L’attivista svedese Greta Thunberg arriva all’aeroporto di Atene dopo la detenzione in Israele, il 6 ottobre 2025 (foto: Aris Messinis/Afp)Stando alle testimonianze di diversi attivisti rilasciati da Tel Aviv nelle ultime ore, incluso il giornalista italiano Saverio Tommasi, le autorità dello Stato ebraico avrebbero praticato contro di loro atti di tortura sin dall’intercettazione delle navi e fino alla fine della detenzione. I resoconti menzionano violenze fisiche, verbali e psicologiche per umiliarli, ricorrendo a trattamenti inumani e degradanti soprattutto durante la permanenza nelle strutture detentive. Thunberg, ad esempio, sarebbe stata avvolta in una bandiera israeliana e portata in trionfo dai militari di Tel Aviv come un trofeo di caccia, per poi finire in una cella infestata di cimici da letto. Lo stesso Tommasi ha dichiarato di essere stato percosso ripetutamente ed esposto al pubblico ludibrio dei soldati.La Farnesina ha annunciato nel pomeriggio il ritorno in patria degli ultimi 15 italiani ancora detenuti in Israele. Secondo il ministro degli Esteri Antonio Tajani sono tutti “in ottime condizioni fisiche”. Tel Aviv ha detto di aver espulso oggi 171 cittadini europei (tra cui Thunberg e i nostri connazionali) verso la Grecia e la Slovacchia, mentre almeno altri 138 si troverebbero ancora in custodia. Lo scorso 3 ottobre erano già rientrati in Italia i quattro parlamentari che avevano preso parte alle missione, mentre durante il weekend è toccato ad altri 26 cittadini della Repubblica.Le azioni di Tel Aviv, del resto, hanno scatenato una risposta trasversale della società civile globale dalle proporzioni inaspettate. Negli ultimi giorni, milioni di persone si sono riversate in strada in Europa e in tutto il mondo, occupando coi propri corpi lo spazio pubblico attraverso partecipatissime proteste che portavano un doppio messaggio di solidarietà: sia verso il popolo palestinese, massacrato in diretta nell’assordante silenzio dei governi mondiali, sia verso gli attivisti della Flotilla. Da Berlino a Città del Messico, da Madrid a Montreal, da Istanbul a Melbourne, da Stoccolma a Buenos Aires, da Amsterdam a Kuala Lumpur.La manifestazione nazionale per la Palestina a Roma, il 4 ottobre 2025 (foto: Alessandro Amoruso via Imagoeconomica)In un inedito storico, l’epicentro di questo movimento transnazionale spontaneo è stato proprio il Belpaese. L’apice della mobilitazione nazionale si è registrato a Roma sabato scorso (4 ottobre), quando centinaia di migliaia di manifestanti – gli organizzatori parlano di oltre un milione di presenze – hanno letteralmente inondato le strade della capitale sfilando in un immenso corteo, colorato e plurale, per chiedere pacificamente la fine del genocidio a Gaza, il riconoscimento incondizionato della Palestina, la protezione diplomatica per gli attivisti della Flotilla e la fine della complicità del governo italiano coi crimini di guerra commessi da Tel Aviv nella più totale impunità e in sfregio assoluto del diritto internazionale.Il capodelegazione del Partito democratico all’Eurocamera, Nicola Zingaretti, ha espresso il suo sostegno per le manifestazioni del weekend definendole “un segnale straordinario di vitalità della nostra democrazia“. Al netto dei posizionamenti dei partiti, sembra proprio che la società civile stia cominciando a prendersi in carico, con una spinta intergenerazionale dal basso come non se ne vedevano dal G8 di Genova del 2001, la difesa di quel diritto internazionale considerato valido “fino a un certo punto” proprio da chi – come lo stesso Tajani – dovrebbe invece, almeno teoricamente, sostenerlo e tenerlo al riparo da violazioni e abusi, anche se questi ultimi vengono commessi da potenze alleate.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (sinistra) e il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Intanto a Strasburgo, dov’è appena iniziata la plenaria dell’Europarlamento, sono state bocciate due mozioni presentate da altrettanti gruppi dell’emiciclo (i Verdi e la Sinistra) per inserire nel calendario odierno un dibattito sulle sorti della Flotilla. Ad ogni modo, una discussione su Gaza (incluso sugli sforzi diplomatici per pervenire ad una soluzione negoziata del conflitto) è fissata per domani, nel giorno del secondo anniversario dall’attacco di Hamas del 2023.In queste stesse ore, in Egitto, si stanno incontrando gli emissari di Israele e di Hamas per negoziare indirettamente i termini del piano di pace in 20 punti stilato da Donald Trump con l’ausilio dell’ex premier britannico Tony Blair e reso pubblico a fine settembre dal presidente statunitense durante la visita del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a Washington. In linea di massima entrambe le parti avrebbero accettato la bozza di accordo, ma rimane da definire una serie di dettagli cruciali come, tra gli altri, il ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia, il disarmo dell’organizzazione palestinese, il rilascio degli ostaggi e la distribuzione degli aiuti umanitari nell’exclave costiera.

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    Come l’UE vuole utilizzare 175 miliardi di asset russi congelati per finanziare l’Ucraina

    Bruxelles – La questione di cosa fare degli asset statali russi congelati sul territorio europeo tiene banco da tempo a Bruxelles. È un tema decisamente politico, ma con forti implicazioni legali ed economiche. Ora però, di fronte alle ingenti necessità dell’Ucraina – si parla di 52 miliardi di euro in sostegno al bilancio e 80 miliardi di assistenza militare fino al 2027 – e al progressivo disimpegno statunitense, la Commissione europea ha deciso di rompere gli indugi.Al vertice informale di Copenaghen, ha ricevuto un primo endorsement di massima dai capi di stato e di governo dei 27 per lavorare su una proposta legislativa. L’obiettivo è utilizzare i 175 miliardi di euro di proprietà della Banca Centrale Russa, ma custoditi per la maggior parte da Euroclear a Bruxelles, senza che dal punto di vista legale si configuri alcuna confisca. Il terreno è spinoso, ma – sostiene un alto funzionario della Commissione europea – “crediamo di aver trovato il modo per farlo senza violare il diritto internazionale”.Alla base del ragionamento, Bruxelles pone le conclusioni del Consiglio europeo di un anno fa, che scrivono nero su bianco che “i beni della Russia dovrebbero rimanere bloccati fino a quando la Russia non avrà cessato la sua guerra di aggressione nei confronti dell’Ucraina e non l’avrà risarcita per i danni causati da tale guerra”. Questo principio è in sostanza la garanzia di sicurezza su cui poggia il complesso escamotage in cantiere. Insieme al fatto che – spiega un alto funzionario – l’Ue non toccherebbe il credito che Mosca detiene sulla società belga di servizi finanziari, ma il corrispettivo contante accumulatosi negli ultimi tre anni e mezzo. “Il contante appartiene a Euroclear”, sostiene Bruxelles.Ursula von der Leyen al vertice informale di Copenaghen, 1/10/2025L’idea è allora far sì che Euroclear investa tale contante in un contratto di debito dedicato all’Unione, e che quest’ultima possa prestarlo all’Ucraina a tasso zero e in diverse tranche “a seconda delle necessità”. Kiev rimborserebbe il prestito solo una volta che la guerra sarà finita e che la Russia avrà pagato le riparazioni. A quel punto, Bruxelles rimborserebbe a sua volta Euroclear. Un “prestito per le riparazioni”, come l’aveva definito Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo stato dell’Unione, lo scorso 10 dicembre.Affinché la costruzione regga, “avremo bisogno di garanzie da parte degli Stati membri”, illustra ancora un alto funzionario. Garanzie emesse bilateralmente, fino all’intero ammontare dei fondi, con una struttura simile a quella implementata con il fondo SURE da 100 miliardi attivato nel 2020 durante la pandemia di Covid-19. Secondo la Commissione il rischio di tali garanzie rimarrebbe “limitato” e “sotto il controllo degli Stati membri”. Ovvero, si materializzerebbe solo nel caso in cui i 27 decidessero di revocare le sanzioni all Russia – e dunque scongelarne gli asset statali – senza che Mosca abbia risarcito l’Ucraina.Ecco perché, insieme alla proposta per l’utilizzo degli asset, “è importante modificare il regime di sanzioni per evitarne il rilascio accidentale”. Qui sta forse il passaggio più delicato. In sostanza, per ridurre al minimo i rischi per gli Stati membri, la Commissione europea sta pensando di eliminare il voto all’unanimità per la proroga delle sanzioni che si tiene ogni sei mesi. “Non lo proporremmo se non pensassimo che sia possibile”, garantisce la fonte. La possibilità è ammessa dall’articolo 31 del Trattato sull’Unione europea, che al punto 2 prevede che il Consiglio dell’Unione europea possa deliberare a maggioranza qualificata in politica estera e dunque anche in materia di sanzioni. La valutazione dell’esecutivo Ue è che lo stesso regime di sanzioni può essere modificato aggirando l’unanimità.Tra i 27, che a Copenaghen hanno dato un timido supporto di principio alla Commissione, il scetticismo non manca. Il primo a frenare è il premier belga, Bart de Wever, preoccupato per via della parte consistente delle risorse russe ferme nel suo Paese. Anche la Francia invita alla calma. “L’Europa deve restare un posto attrattivo e affidabile”, le preoccupazioni del presidente Emmanuel Macron, che proprio al vertice informale ha sottolineato l’importanza di fare le cose per bene. “Se ci sono regole, vanno rispettate“. Danimarca e Lettonia hanno ricordato il nodo giuridico della questione, ma espresso fiducia sul fatto che la Commissione possa trovare la quadra, e attendono la proposta dall’esecutivo comunitario.Di rischi, ne esistono altri: Putin ha già firmato un decreto che gli permetterebbe di confiscare beni stranieri in Russia, e non è da sottovalutare inoltre un problema di credibilità finanziaria e di fiducia nei mercati e nell’euro. Per ora, la Commissione europea ha intenzione di procedere. I capi di stato e di governo riapriranno la questione già al prossimo Consiglio europeo, il 23-24 ottobre. Se effettivamente daranno un mandato all’esecutivo per presentare una proposta legislativa, l’obiettivo di Bruxelles è procedere spediti per azionare il prestito “all’inizio del secondo trimestre del prossimo anno“. Intorno al quarto anniversario dell’aggressione della Russia in Ucraina.

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    UE-Balcani occidentali a ‘roaming zero’, Bruxelles lavora al quadro giuridico che ancora non c’è

    Bruxelles – Integrazione telefonica e allargamento, il roaming adesso fa discutere e costringe la Commissione europea a spingere sull’acceleratore, soprattutto per creare il quadro giuridico necessario del caso. I Paesi dei Balcani occidentali – Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia del nord, Montenegro, Serbia – sono indietro in un processo per cui l’impegno dell’esecutivo comunitario appare svanito, e di cui si chiede conto.Sono i sovranisti di Patriots for Europe (PfE) a chiedere che ne è di quella dichiarazione del 2022 che annunciava l’abbattimento dei sovra-costi per telefonate e utilizzo di internet entro il 2027. Denunciano con tanto di interrogazione parlamentare il rischio di “doppio standard”, visto come il team von der Leyen abbia accelerato per eliminare i costi aggiuntivi con l’Ucraina.La questione al centro della richiesta di spiegazioni non è logica delle parti, con l’opposizione che prova a mettere pressioni sulla maggioranza. La questione in realtà si pone, perché come ammette la commissaria per l’Allargamento, Marta Kos, c’è un nodo di diritto da dover risolvere.Gli accordi di associazione che l’UE ha stipulato con Ucraina e Moldavia, ricorda Kos, “includono una zona di libero scambio globale e approfondita, che fornisce il quadro giuridico necessario per consentire alle parti di aprire reciprocamente i propri mercati di roaming, consentendo a sua volta all’UE di estendere l’area UE del ‘Roam Like at Home’” (vale a dire utilizzare il proprio telefono all’estero alle stesse condizioni del proprio Paese di residenza). “Gli accordi di stabilizzazione e associazione UE-Balcani occidentali sono privi di tale quadro giuridico“, e questo produce situazioni diverse con la necessità di lavorio maggiore.E’ vero che esiste la Dichiarazione sul roaming, con l’obiettivo di ridurre gradualmente, fino all’abbattimento completo, i costi aggiuntivi per telefonare e navigare su internet quando ci si trova all’estero, ma si tratta di un documento più politico che tecnico-giuridico, da quello che spiega la commissaria europea per l’Allargamento. Per questo “i servizi della Commissione stanno lavorando a una soluzione volta a integrare gli attuali accordi di stabilizzazione e associazione” tra l’Unione europea e i Paesi del Balcani occidentali al fine di “fornire il quadro giuridico necessario per estendere l’area UE del Roam Like at Home anche ai Balcani occidentali”. Il piano di crescita per i Balcani occidentali del 2023 serve proprio a questo, assicura Kos, a integrare i partner dei Balcani occidentali nel mercato unico dell’UE, “compreso il mercato unico digitale”.

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    Orban chiude (di nuovo) all’Ucraina: “Nessuna adesione all’UE, rispettare le regole per avviare negoziati”

    Bruxelles – L’Ucraina Stato membro dell’Unione europea è qualcosa che non si può fare. L’Ungheria di Viktor Orban si oppone con rinnovata forza all’ipotesi di un ingresso nell’UE, che il primo ministro ungherese respinge in modo categorico: “Per l’Ucraina chiediamo un accordo strategico, è giusto sostenerla, ma la membership è troppo“, taglia corto al suo arrivo a Copenhagen per il vertice informale del Consiglio europeo. E’ solo la premessa, peraltro nota, a quello che ne segue subito dopo: la chiusura ad ipotesi di scorciatoie per l’avvio dei capitoli negoziali. “C’è un procedimento giuridico molto rigido e dobbiamo attenerci a quello”, sostiene ancora Orban, che sfida tutti i partner.La riunione informale dei capi di Stato e di governo vuole essere per il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, l’occasione per provare ad aprire i primi capitoli negoziali per l’adesione all’UE aggirando il vincolo dell’unanimità, questione a cui nessuno ufficialmente si oppone in linea di principio, eccezione fatta per l’Ungheria e il suo primo ministro Orban. Quando questi fa riferimento al rispetto delle regole, peraltro non proprio chiarissime, lascia intendere di essere pronto anche a ricorsi in caso di soluzioni considerate dal governo di Budapest come contro le stesse regole.Al di là degli aspetti giuridici c’è una chiusura netta da parte di Orban, che non lo nasconde né si nasconde: “L’Ucraina non ha i soldi per potersi mantenere, dobbiamo aiutarla noi. E’ un fatto finanziario”, ricorda alla stampa al suo arrivo per i lavori. Un eventuale ingresso di Kiev nell’UE “porterebbe la guerra nell’Unione europea e i soldi degli europei in Ucraina”. Niente da fare, dunque.Le posizioni di Orban si scontrano con quelle degli altri leader, riassunte dalla premier lettone, Evika Silina, convinta del fatto che “dobbiamo integrare Moldova e Ucraina, e aprire il cluster 1“, l’insieme dei capitoli che riguardano i diritti fondamentali (giustizia, magistratura, appalti, controllo finanziario, statistiche). E’ esattamente il lavoro su cui si concentra parte del vertice dei leader, chiamati a fare i conti con Orban, che con la testa è però a Praga. Il 3 e 4 ottobre si tengono le elezioni politiche, e il capo di governo ungherese attende con impazienza il voto. “Spero che i patrioti cechi vincano, spero che Babis possa tornare” al governo, dice riferendosi al leader di Ano, Andrej Babis, contrario al sostegno militare a Kiev e all’avvio accelerato dell’adesione dell’Ucraina.