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    Trump, l’elefante nella stanza del G7. Dazi, sanzioni alla Russia, la crisi Israele-Iran: tutto dipende da lui

    Bruxelles – Qualcuno l’ha già ribattezzato ‘G7 meno uno’: il vertice dei sette grandi del mondo alla prova di Donald Trump. In Canada, a Kananaskis, i leader di Regno Unito, Francia, Italia, Germania, Giappone, Canada ed Unione europea affrontano il presidente degli Stati Uniti in uno dei summit più densi degli ultimi anni. Al nodo delle sanzioni alla Russia si è affiancata la pericolosa escalation tra Israele e Iran. Dietro le quinte, tutti cercano di strappare al tycoon un accordo per mettere fine alla minaccia dei dazi.Sulla linea dura contro Mosca, lo strappo è già consumato. Bruxelles ha messo sul tavolo la misura chiave del diciottesimo pacchetto di sanzioni al Cremlino, la riduzione del tetto massimo del prezzo del petrolio russo da 60 a 45 dollari al barile. L’Ue e il Regno Unito insistono perché la misura sia coordinata con Washington, ma Trump ha finora chiuso la porta: “Le sanzioni ci costano molto denaro”, ha dichiarato durante una conferenza stampa con il premier britannico Keir Starmer, suggerendo che “prima dovrebbero farlo gli europei”. Agli antipodi rispetto agli alleati, Trump ha sostenuto che “buttare fuori” la Russia dal G8 è stato un errore: “Non credo che in questo momento ci sarebbe una guerra, se la Russia fosse stata dentro”, ha spiegato. Dimenticando che Putin venne escluso dalla kermesse proprio in seguito all’invasione e annessione della Crimea nel 2014.Il bilaterale tra Donald Trump e Ursula von der Leyen al G7 a KananaskisDopodiché, il waltzer dei bilaterali per risolvere la questione dei dazi americani. Sorride Starmer, che riesce a finalizzare con Trump un accordo “storico” per limitare la portata delle tariffe reciproche. Poi il presidente americano ha un confronto con Meloni, che gli ribadisce l’importanza di raggiungere un accordo con il blocco Ue, con il cancelliere tedesco Friedrich Merz e con il presidente francese Emmanuel Macron. Incontra anche i leader Ue: Antonio Costa gli regala una maglietta di Cristiano Ronaldo con scritto “Giochiamo per la pace. Come una squadra”, mentre Ursula von der Leyen affronta con il tycoon “questioni critiche, dall’Ucraina al commercio”. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, la presidente della Commissione europea si mostra ottimista in vista della deadline del 9 luglio: “Abbiamo chiesto ai team di accelerare il lavoro per raggiungere un accordo equo e giusto“, afferma in un post su X.Von der Leyen, intervenendo al summit, ha ribadito che “i dazi, indipendentemente da chi li stabilisce, sono in definitiva una tassa pagata da consumatori e imprese in patria”. E “creano incertezza che ostacola gli investimenti e la crescita”. Poi, la leader Ue ammicca a Trump e cerca di individuare un nemico comune. “Quando concentriamo la nostra attenzione sui dazi tra i partner, distogliamo le nostre energie dalla vera sfida, una sfida che ci minaccia tutti”, avverte: la Cina. Von der Leyen ha denunciato la concorrenza sleale di Pechino, sottolineando che “le fonti del più grande problema collettivo che abbiamo hanno origine dall’adesione della Cina al Wto nel 2001”.I leader di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia, Germania, Giappone, Canada ed Unione europea durante i lavori del G7Ammansire Trump, richiamarlo alla compattezza di un tempo – perché il G7 “insieme rappresenta il 45 per cento del Pil mondiale”, prima di sottoporgli una nuova proposta: secondo quanto riportato dal quotidiano tedesco Handelsblatt, la Commissione europea sarebbe pronta ad accettare dazi provvisori del 10 per cento su tutte le esportazioni verso gli Stati Uniti, se non ci saranno tariffe più elevate su automobili, farmaci e prodotti elettronici. L’Ue sarebbe disposta, in cambio, a ridurre i dazi sui veicoli prodotti negli Stati Uniti e a modificare eventuali ostacoli tecnici o giuridici per facilitare la vendita delle automobili statunitensi in Europa.Poi il colpo di scena: Trump lascia il vertice in anticipo, sembrerebbe per dedicarsi con urgenza, e unilateralmente, alla crisi in Medio Oriente. È lui stesso a smentire, attaccando personalmente Macron, reo di aver “erroneamente affermato” che Trump fosse di ritorno a Washington per lavorare a un cessate il fuoco tra Israele e Iran. “Che lo faccia intenzionalmente o meno, Emmanuel sbaglia sempre”, ha scritto l’inquilino della Casa Bianca sulla sua piattaforma social, Truth. Aggiungendo che “si tratta di qualcosa di molto più importante”.Prima di lasciare il Canada, Trump ha firmato una dichiarazione congiunta per la de-escalation in Medio Oriente, che non lascia però dubbi sull’attribuzione delle responsabilità di quanto sta accadendo nella regione: per le democrazie più influenti del mondo “l’Iran è la principale fonte di instabilità e terrorismo nella regione” ed “Israele ha il diritto di difendersi”. Teheran, ribadiscono i leader, “non potrà mai dotarsi di armi nucleari”. Per i partner europei, la preoccupazione maggiore è “salvaguardare la stabilità dei mercati”, come sottolineato nella dichiarazione. Ma anche qui, la strategia di Trump è decisamente più aggressiva. Il tycoon, di ritorno negli Usa, ha lanciato una pericolosa minaccia a Teheran: rinunciare completamente all’arricchimento dell’uranio o “succederà qualcosa”. Nel frattempo, i ministri degli Esteri dei 27 Ue si sono riuniti proprio questa mattina, convocati dall’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, per fare un punto sulla situazione. Senza l’elefante nella stanza.

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    Elezioni in Albania, Edi Rama verso il poker contro il redivivo Berisha. Con l’incognita del voto della diaspora

    Bruxelles – Da un lato, la promessa di ripulire il Paese dalla corruzione e dell’ingresso lampo nell’Unione europea. Dall’altro, una sorta di Make Albania Great Again di chiara ispirazione trumpiana. L’Albania che arriva al voto di domenica 11 maggio è ancora dominata da due volti ultra-noti della politica nazionale: il premier socialista Edi Rama, a caccia del quarto mandato, e Sali Berisha, primo presidente eletto dopo il crollo del regime comunista e leader della coalizione di centro-destra. L’unica vera novità, in grado di sparigliare le carte, è la prima volta del voto della numerosissima diaspora albanese, che conta circa 250 mila elettori registrati.La carta di Rama per assicurarsi il poker di mandati è la promessa dell’adesione all’Ue entro il 2030. Una prospettiva che in Albania gode del sostegno di oltre quattro cittadini su cinque, il più alto dei Paesi dei Balcani occidentali. Tanto che uno dei segni distintivi dei sostenitori di Rama è proprio una maglietta bianca con scritto sopra un gran numero 5 multicolore, ad indicare gli anni che mancano al 2030. Durante i suoi comizi, questa settimana, Rama ha issato le bandiere a dodici stelle e – ai suoi sostenitori nella città di Pogradec – ha dichiarato: “Siamo alle porte dell’Europa e quelle porte ora sono aperte per noi”. Negli ultimi sei mesi, l’Albania ha aperto 16 dei 35 capitoli negoziali per l’adesione al blocco Ue.Edi Rama e il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, a Bruxelles il 14/04/2025Secondo i dati della Banca mondiale, la crescita economica annuale per il periodo 2022-2024 ha superato il 4 per cento, trainata dal commercio con l’Ue, dal boom del turismo e dall’importante produzione di energia idroelettrica. D’altra parte, il basso tenore di vita e l’alto tasso di disoccupazione continuano a nutrire un’emigrazione di massa: tra il 2011 e il 2023, la popolazione albanese è diminuita di circa 420 mila unità.In questo contesto pieno di contraddizioni, il Partito Socialista è ancora il favorito e punta a riconfermare la maggioranza assoluta dei 140 seggi del Parlamento di Tirana. Di fronte a Rama, che negli anni è riuscito a costruire un potere personale che sembra incontrastato, gli avversari di sempre, ma indeboliti: il Partito Democratico, con cui i socialisti hanno dominato il panorama politico dal crollo del regime di Enver Hoxha all’inizio degli anni ’90. L’Alleanza per una Magnifica Albania – a guida democratica – è “la coalizione più forte che l’Albania abbia mai visto in 32 anni”, è convinto Sali Berisha, l’ottantenne ex primo ministro e leader del principale partito d’opposizione a Rama.Socialisti e Democratici, nessuno immune dalla corruzione dilaganteIl redivivo Berisha è tornato al timone del Partito Democratico dopo tre anni di caos, in cui è stato preso di mira dall’amministrazione di Joe Biden per presunta corruzione, espulso dal proprio gruppo parlamentare e posto agli arresti domiciliari dalla magistratura albanese. La sua liberazione ha revitalizzato la base del partito, ma Berisha rimane sotto inchiesta e soggetto a sanzioni sia da parte degli Stati Uniti che del Regno Unito, il che limita decisamente la sua credibilità internazionale.Il leader del Partito Democratico, Sali Berisha, a Tirana il 15/5/25 (Photo by Adnan Beci / AFP)Berisha punta tutto su una rivisitazione in salsa albanese del MAGA trumpiano. Ha assunto come consulente per la campagna elettorale Chris LaCivita, una delle menti dell’ultima campagna presidenziale di Trump, e ha adottato gli slogan tipici dell’universo della destra sovranista: la battaglia contro il woke e Soros e le accuse alla magistratura politicizzata che ha cercato di eliminarlo. Il suo principale alleato, l’ex presidente e leader del Partito della Libertà Ilir Meta, è attualmente in detenzione, arrestato lo scorso ottobre con l’accusa di corruzione e riciclaggio di denaro.Nemmeno Rama è immune alla corruzione endemica nel Paese. In questi dodici anni al potere, diversi scandali hanno lambito il premier e colpito membri dei suoi governi e del partito socialista. Per ultimo, il caso di alcuni contratti a sei zeri per la costruzione di inceneritori assegnati illegalmente, per cui – a seguito delle indagini condotte dalla SPAK, la procura anticorruzione fondata nel 2019 – l’ex ministro dell’Ambiente Lefter Koka è stato incarcerato e l’ex vice di Rama, Arben Ahmetaj, è stato incriminato e ha lasciato il Paese (risiede ora in Svizzera).In cinque anni di attività, la SPAK ha confiscato 200 milioni di euro in casi di corruzione e criminalità organizzata, e diversi rapporti di media e organizzazioni internazionali hanno evidenziato le ambiguità e i torbidi legami tra l’establishment politico albanese e le reti criminali coinvolte nel traffico di droga e nel riciclaggio di denaro. Uno studio pubblicato il mese scorso dalla Global Initiative Against Transnational Organized Crime ha fatto luce sul ruolo della mafia albanese nel traffico globale di cocaina, in particolare attraverso il porto di Durazzo, reso possibile dalla corruzione all’interno delle istituzioni politiche, di polizia e giudiziarie albanesi.Le incognite: la diaspora e i nuovi partiti anti-corruzioneNon è chiaro quale impatto avranno queste vicende sulle elezioni, alla quale parteciperanno per la prima volta circa 250 mila elettori registrati della diaspora albanese. L’impressione è che, in mancanza di un’alternativa valida, Rama centrerà il poker. Ma se il Partito socialista non dovesse raggiungere i 71 seggi necessari per governare da solo (attualmente ne ha 76), il calendario a tappe forzate promesso da Rama per l’adesione all’Ue potrebbe uscirne compromesso.Nel conto dei seggi, potranno giocare un ruolo anche nuove formazioni che sono entrate in corsa per dare un’alternativa ai due partiti dell’establishment percepiti come troppo corrotti: Levizja Bashke (Movimento Insieme), partito di sinistra fondato nel 2022 con radici nell’attivismo civico, Shqiperia behet (Fare l’Albania) e Nisma Thurje (Iniziativa), due partiti centristi anti-corruzione che corrono in una lista unita, e Mundesia (L’Opportunità), guidato Agron Shehaj, imprenditore ed ex deputato del Partito Democratico.

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    L’Ue aggira il veto di Orbán in extremis e rinnova le sanzioni contro individui e entità russi. Ma ne rimuove quattro

    Bruxelles – Il premier ungherese filorusso Viktor Orbán è andato vicinissimo a far saltare il periodico rinnovo delle misure restrittive europee che colpiscono quasi 2 mila individui e circa 500 entità nell’ambito della guerra russa in Ucraina. In extremis, gli altri 26 Paesi membri l’hanno convinto – acconsentendo a rimuovere tre oligarchi e il ministro dello sport di Mosca dalla lista – e hanno raggiunto l’unanimità necessaria per riaffermare le sanzioni. E soprattutto per trattenere i beni privati per un valore di 25 miliardi di euro congelati dall’Ue nel corso dei tre anni di guerra.I nomi dei 1927 individui che Bruxelles ha identificato come responsabili dello sforzo bellico russo e delle violenze commesse in Ucraina – così come delle circa 500 entità – vanno confermati ogni sei mesi. Dopo l’ultimo rinnovo di settembre, la scadenza era fissata a sabato 15 marzo. Ieri, Budapest aveva confermato il suo “no”. Secondo fonti Ue, Orbán aveva posto come condizione per togliere il proprio veto che fossero cancellati 9 nomi. Questa mattina, all’ultima riunione degli ambasciatori dei 27 possibile sul calendario, la presidenza polacca del Consiglio dell’Ue è riuscita a trovare un compromesso: l’Ungheria si è fatta da parte in cambio della cancellazione di 4 persone dalla lista. E di tre recentemente decedute.Fonti diplomatiche confermano che si tratta dell’oligarca Vyacheslav Kantor, dell’uomo d’affari Vladimir Rashevsky, di Gulbakhor Ismailova, sorella dell’uomo d’affari Alisher Usmanov, e del ministro dello sport della Federazione Russa, Mikhail Degtyarev. I tre deceduti rimossi dalla lista sono il veterano politico russo Nikolai Ryzhkov e gli ufficiali militari Andrei Ermishko e Aleksei Bolshakov. Rimangono le misure restrittive contro il  miliardario Mikhail Fridman, oligarca russo nato in Ucraina, che l’Ungheria insisteva per rimuovere dall’elenco.“L’Ue aumenta la pressione sulla Russia. Estendiamo le nostre sanzioni a circa 2400 individui ed entità a causa dell’aggressione in corso da parte della Russia contro l’Ucraina”, ha esultato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in un post su X. In realtà, ciò che salta all’occhio sono le sempre maggiori frequenza e forza con cui Budapest mette in pericolo il supporto dell’Ue all’Ucraina e l’unità dei 27. Non è la prima volta che Orbán mette in discussione le misure restrittive contro la Russia: lo scorso gennaio aveva minacciato a lungo – salvo poi cedere all’ultimo minuto in cambio di una fumosa dichiarazione sulle garanzie di forniture di gas attraverso l’Ucraina – di far saltare tutte le sanzioni settoriali, quelle che hanno permesso a Bruxelles di congelare 200 miliardi di euro di asset russi, di imporre divieti su import ed export e di tagliare fuori Mosca dai circuiti finanziari occidentali. In totale, dal febbraio 2022 a oggi, Bruxelles ha adottato 16 pacchetti di sanzioni contro la Russia e i suoi alleati nell’ambito della guerra in Ucraina.Le misure restrittive Ue contro i responsabili di “minare l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina” si applicano a oltre 2.400 persone ed entità e consistono – per quanto riguarda gli individui – in divieto di viaggio e congelamento dei beni sul territorio Ue, mentre nei confronti delle entità nel congelamento dei beni. L’elenco comprende dal presidente Vladimir Putin al ministro degli Esteri Sergey Lavrov, l’ex presidente ucraino Viktor Yanukovych, i membri della Duma russa, del Consiglio di sicurezza nazionale e del Consiglio della Federazione Russa, ministri, governatori e politici locali, come il sindaco di Mosca, funzionari di alto rango e personale militare, comandanti del gruppo Wagner, imprenditori e oligarchi di spicco. Sono inclusi nell’elenco anche individui provenienti da Iran, Bielorussia e Repubblica Democratica Popolare di Corea. Nella lista nera ci sono poi partiti politici, forze armate e gruppi paramilitari, banche e istituzioni finanziarie, organizzazioni mediatiche responsabili di propaganda e disinformazione, aziende nei settori della difesa, dei trasporti, dell’energia e IT, società coinvolte nell’elusione delle sanzioni. E organizzazioni responsabili dei programmi di rieducazione e deportazione dei bambini ucraini.

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    La saga dell’eurodeputato greco incarcerato in Albania è (forse) giunta alla fine

    Bruxelles – Sembrano infine terminati, o quasi, i guai giudiziari di Fredi Beleri, ex sindaco del comune albanese di Himarë ed eletto come eurodeputato nelle liste greche. Il suo caso era diventato motivo di scontro diplomatico tra i due Paesi, che si sono accusati a vicenda di interferenze nelle indagini e di politicizzazione della giustizia. Dopo oltre un anno dietro le sbarre, il politico albanese di origini elleniche (che ha il doppio passaporto) è stato scarcerato e potrà ora rappresentare i suoi elettori – e la minoranza greca in Albania – al Parlamento europeo. La liberazione di Beleri, festeggiata con un tweet da Manfred Weber, il capo del Partito popolare europeo (Ppe) di cui fa parte Nuova democrazia, è avvenuta nella giornata di lunedì (2 settembre). Come confermato alla stampa dal suo legale, il rilascio è avvenuto con la formula della libertà condizionata, che richiede a Beleri di “mantenere cinque settimane di contatto con il servizio carcerario”. L’ex primo cittadino deve ora scontare altre sei settimane di reclusione prima di estinguere completamente la propria pena, che è stata ridotta dopo la sua elezione a europarlamentare. Beleri è stato incarcerato con l’accusa di compravendita di voti nel maggio 2023, due giorni prima delle elezioni comunali, che poi ha vinto senza però potersi insediare. È stato poi condannato lo scorso giugno con sentenza definitiva a due anni di reclusione, dopo che l’appello ha confermato la condanna in primo grado emessa nel marzo di quest’anno. Una decisione che egli stesso avrebbe intenzione di impugnare di fronte alla Corte europea dei diritti umani (Cedu), con sede a Strasburgo. Per il momento, nella città alsaziana si è già recato in qualità di eurodeputato per la sessione inaugurale della decima legislatura (lo scorso luglio), dopo essere risultato il terzo eletto tra le fila del suo partito per numero di preferenze. Il cinquantaduenne Beleri, dunque, è stato eletto eurodeputato mentre era dietro le sbarre, proprio come successo all’italiana Ilaria Salis che ha ottenuto un seggio da parlamentare europea durante la detenzione a Budapest. Due casi piuttosto inusuali che hanno aperto il giallo relativo alle regole sull’immunità parlamentare dei deputati all’Eurocamera – soprattutto nel caso di Beleri, dato che l’Albania è un Paese extra-Ue. Nel frattempo, ad Himarë sono state ripetute le elezioni comunali lo scorso 4 agosto, vinte da Vengjel Tavo, pure lui di origini greche ed appartenente al partito socialista del premier Edi Rama.Da Atene, il vicepremier Pavlos Marinakis ha commentato la scarcerazione come “sicuramente uno sviluppo positivo”, ma ha aggiunto che “questo non significa che dimenticheremo ciò che è accaduto“. Il governo greco sostiene, come lo stesso Beleri, che il processo intentato dalle autorità albanesi sia politicamente motivato. Accusa respinta al mittente da Tirana, che al contrario critica alla Grecia di interferire nelle sue vicende giudiziarie interne. Ma la disputa diplomatica tra i due Paesi balcanici potrebbe avere conseguenze reali. Il governo conservatore greco, guidato da Kyriakos Mitsotakis (compagno di partito di Beleri), ha infatti minacciato di bloccare i progressi dell’Albania nel suo percorso di adesione all’Ue se Tirana non avesse posto fine a quella che riteneva un’ingiustificata violazione dei diritti politici dell’ex sindaco di Himarë. Per ora, i negoziati per l’ingresso del Paese ex comunista nel blocco non si sono ancora sbloccati.

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    La Commissione Ue vuole chiarezza dall’Ungheria sul nuovo sistema di visti rapidi per russi e bielorussi

    Bruxelles – È passato appena un mese di presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea per l’Ungheria, e già Budapest ha creato non pochi problemi all’unità dell’Unione nei confronti della Russia. Perché dopo la “missione di pace” del premier ungherese, Viktor Orbán, a Mosca dall’autocrate russo, Vladimir Putin, ora Budapest preoccupa Bruxelles per il potenziale buco che può creare nell’area Schengen, da cui potrebbero penetrare spie russe e bielorusse.La commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson“Condivido le preoccupazioni espresse negli ultimi giorni in merito all’estensione del programma ‘Carta Nazionale’ ai cittadini di Russia e Bielorussia, entrato in vigore nei primissimi giorni della vostra presidenza”, è quanto messo nero su bianco dalla commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, in una lettera inviata ieri (primo agosto) al ministro degli Interni ungherese, Sándor Pintér, in cui ha voluto sottolineare come “l’estensione dell’elaborazione agevolata delle domande di permesso di soggiorno e di lavoro dei cittadini di Russia e Bielorussia potrebbe portare a un’elusione di fatto delle restrizioni imposte dall’Unione Europea”. Al centro della nuova contesa tra l’Ungheria di Orbán e la Commissione Ue c’è l’estensione ai cittadini di otto Paesi – prima era disponibile solo per quelli di Serbia e Ucraina – del programma ‘Carta Nazionale’, un sistema di visti rapidi per l’ingresso nel Paese e che consente di lavorare sul territorio nazionale ungherese per un massimo di due anni. Si tratta di un sistema più semplice rispetto al permesso di lavoro o al visto, e consente il ricongiungimento familiare.“Ci sono sempre più segnalazioni di sabotaggi e attacchi alle nostre infrastrutture critiche e altri atti ostili“, ricorda la commissaria Johansson a proposito della messa in campo di “ogni strumento disponibile per garantire la sicurezza dell’area Schengen”, tra cui la sospensione dell’accordo di facilitazione dei visti con la Russia nel settembre di due anni fa e “standard di controllo e vigilanza più elevati” per i cittadini russi in arrivo alle frontiere esterne dell’Unione. È pur sempre vero che gli Stati membri hanno la competenza per il rilascio di visti di lungo soggiorno e permessi di soggiorno, ma l’esecutivo Ue ricorda che i programmi nazionali “devono essere attentamente bilanciati per non mettere a rischio l’integrità del nostro spazio comune senza controlli alle frontiere interne e per considerare debitamente le potenziali implicazioni per la sicurezza“, senza dimenticare l’obbligo di “leale cooperazione” e di non pregiudicare “l’effetto utile delle disposizioni del diritto dell’Unione”, Schengen compreso. In questo quadro l’Ungheria (e tutti i Paesi membri Ue) devono garantire che “i cittadini russi che potrebbero rappresentare spionaggio o altre minacce alla sicurezza siano sottoposti al massimo livello di controllo“.Da sinistra: la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, e il ministro degli Interni ungherese, Sándor PintérÈ per queste ragioni che la commissaria Johansson chiede al ministro ungherese di rispondere alle domande allegate alla lettera “entro e non oltre il 19 agosto”, per fare chiarezza sul programma ‘Carta Nazionale’ e permettere all’esecutivo Ue di verificare se sia compatibile con il diritto dell’Unione o se metta a rischio il funzionamento complessivo dello spazio Schengen. “L’obbligo di valutare se gli individui che attraversano la frontiera esterna rappresentano una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali è un impegno fondamentale di tutti i membri Schengen” – conclude la titolare per gli Affari interni nel gabinetto von der Leyen – e per Russia e Bielorussia include anche “la piena e leale applicazione delle misure restrittive Ue sul divieto di ingresso o transito nei territori degli Stati membri da parte di alcuni dei suoi cittadini”. Come misura estrema la Commissione Ue potrebbe sospendere lo status Schengen di un Paese (membro Ue), ma si tratterebbe di un caso senza precedenti.

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    L’eurodeputato condannato in Albania arriva a Strasburgo. Giallo sull’immunità parlamentare

    dall’inviato a Strasburgo – La partita tra Grecia e Albania si sposta a Strasburgo, nell’Aula del Parlamento Europeo. Alla sessione inaugurale del 16-19 luglio ci sarà anche Fredi Beleri, sindaco di etnia greca del comune albanese di Himarë condannato a due anni di carcere per compravendita di voti alle elezioni comunali del maggio 2023, ma risultato il terzo candidato più votato in Grecia alle elezioni europee del 9 giugno tra le fila del partito al potere Nuova Democrazia. La giustizia albanese gli ha concesso di partecipare ai lavori dell’istituzione Ue di questa settimana, ma richiedendo il suo ritorno in carcere per scontare il resto della pena in Albania subito dopo la fine della sessione plenaria.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos Mitsotakis (credits: Adnan Beci / Afp)Secondo quanto riportano i media greci, Beleri ha lasciato questa mattina (15 luglio) il carcere in Albania grazie a un permesso di cinque giorni, viaggiando per Tirana prima di volare ad Atene e di lì a Strasburgo. Potrà così partecipare alla votazione per l’elezione della presidenza del Parlamento Ue e delle cariche di vertice domani (16 luglio) e per quella sulla conferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Europea giovedì (18 luglio), ma dovrà rimanere in contatto costante con la polizia albanese prima di tornare in carcere già questo fine settimana. “Il rispetto del diritto di voto e di essere eletti è un elemento chiave di qualsiasi Stato di diritto“, ha commentato il vicepresidente (greco) della Commissione Ue responsabile per lo Stile di vita europeo, Margaritis Schinas.Secondo quanto previsto dal regolamento interno del Parlamento Europeo, i suoi membri godono dell’immunità dai procedimenti giudiziari, anche se le accuse riguardano reati commessi prima della loro elezione. Tuttavia il ‘Protocollo 7’ fa esplicito riferimento all’applicazione dell’immunità sul territorio dei Paesi membri dell’Unione e, nel caso di Beleri, non ci sono appigli nonostante l’elezione a eurodeputato, in quanto sta scontando la pena per un reato commesso in Albania, Paese extra-Ue. Il verdetto della Corte d’appello speciale albanese dello scorso 25 giugno ha confermato la condanna di primo grado di marzo e ha tolto a Beleri la carica di sindaco di Himarë (il 4 agosto si terranno nuove elezioni nel paese). Dopo che sarà entrato ufficialmente in carica domani, il neo-eurodeputato molto probabilmente presenterà ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nei prossimi mesi.Il caso Beleri tra Grecia e AlbaniaIl caso Beleri era già emerso come un punto di attrito anche ai tavoli europei nel corso della cena informale tra i vertici delle istituzioni Ue e i leader dei Balcani Occidentali, Ucraina e Moldova andata in scena ad Atene a fine agosto dello scorso anno. A quell’appuntamento mancava solo il premier albanese, Edi Rama, non invitato proprio a causa delle tensioni tra Grecia e Albania per la detenzione del sindaco eletto di Himarë, che non ha mai potuto giurare in quanto detenuto in carcere da due giorni prima delle elezioni del 14 maggio con l’accusa di compravendita di voti (anche lo sfidante e primo cittadino in carica, Jorgo Goro, è finito in carcere per corruzione). Da quel momento è iniziato un braccio di ferro diplomatico tra il governo di Kyriakos Mitsotakis e il governo Rama, il primo accusato da Tirana di voler influenzare un’indagine indipendente su una figura associata all’insurrezione armata della minoranza greca in Albania nel 1994, il secondo sospettato da Atene di “violazione dei diritti umani” e di processo “politicamente motivato”.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenFinora il governo greco non è riuscito a fare pressioni diplomatiche sufficienti per la scarcerazione di Beleri e nemmeno le minacce di conseguenze negative sul percorso di adesione dell’Albania all’Unione Europea (con i negoziati iniziati nel luglio 2022) hanno sortito gli effetti sperati. La Grecia sostiene che il caso Beleri dovrebbe essere considerato un problema europeo e non solo una questione bilaterale – in quanto riguarderebbe il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti delle minoranze in un Paese che aspira a fare ingresso nell’Unione – ma la forzatura ha infastidito alcuni tra i Ventisette più favorevoli all’accelerazione del processo di allargamento, come la Germania. È così che il premier greco ha deciso di percorrere una strada più ‘originale’ e il 15 aprile è arrivata l’ufficialità della nomina di Beleri come 25esimo candidato (su 42) nelle liste elettorali di Nuova Democrazia: “La sua candidatura ha un simbolismo molto forte, tutti coloro che sono realmente interessati ai diritti della minoranza etnica greca in Albania lo capiscono”, aveva affermato Mitsotakis due giorni più tardi a margine del Consiglio Europeo a Bruxelles.Al centro, da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos MitsotakisCon l’elezione al Parlamento Europeo di Beleri, Nuova Democrazia sposta il baricentro del discorso politico sul piano patriottico, facendo leva su quello che è diventato un campo di battaglia retorica per il nazionalismo greco e albanese. Tecnicamente Tirana e Atene sono ancora in stato di guerra – dal 1940 quando l’Albania era un protettorato italiano durante la Seconda Guerra Mondiale – e nonostante sia in vigore dal 1996 il Trattato di amicizia, cooperazione, buon vicinato e sicurezza, i due membri della Nato stanno conoscendo un’escalation di tensione sul piano diplomatico, che coinvolgono da vicino anche le istituzioni Ue e il processo di allargamento.

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    Tra Grecia e Albania scoppia il caso di immunità parlamentare dopo l’elezione di Beleri al Parlamento Ue

    Bruxelles – Se il caso della neo-eletta eurodeputata italiana Ilaria Salis si è chiuso in modo meno traumatico del previsto, tra Grecia e Albania è appena iniziata la partita giudiziaria sull’immunità parlamentare di un nuovo membro greco del Parlamento Europeo, condannato a marzo in primo grado a due anni di carcere per compravendita di voti alle elezioni comunali del maggio 2023. Il sindaco di etnia greca del comune albanese di Himarë, Fredi Beleri, è risultato il terzo candidato più votato in Grecia alle elezioni europee del 9 giugno tra le fila del partito al potere Nuova Democrazia e ora sarà una Corte d’appello speciale a Tirana a prendere la decisione definitiva sulla sua scarcerazione.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos Mitsotakis (credits: Adnan Beci / Afp)Con oltre 238 mila preferenze Beleri si è assicurato un posto tra i 7 eurodeputati conservatori eletti (su 21 totali per la Grecia) e subito dopo la comunicazione dei risultati definitivi ha rivendicato il suo successo in una “lotta per la democrazia, lo Stato di diritto, la libertà e la dignità dei cittadini”. Quella che da mesi è diventata una delle figure politiche più controverse per i rapporti tra Albania e Grecia ha denunciato Tirana sulle “condizioni inimmaginabili per un Paese che vuole entrare a far parte della famiglia europea” e ha ringraziato il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, per “l’opportunità di essere candidato, cosa di cui sarò sempre grato”. A questo punto però sarà una Corte d’appello speciale albanese a prendere martedì prossimo (25 giugno) la decisione definitiva, con lo scenario non improbabile di uno scontro giudiziario con Atene, al punto che Beleri ha anticipato l’intenzione di presentare ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea: “So che il sistema giudiziario in Albania è controllato da Edi Rama“.Il caso Beleri tra Grecia e AlbaniaIl caso Beleri era già emerso come un punto di attrito anche ai tavoli europei nel corso della cena informale tra i vertici delle istituzioni Ue e i leader dei Balcani Occidentali, Ucraina e Moldova andata in scena ad Atene a fine agosto dello scorso anno. A quell’appuntamento mancava solo il premier albanese, Edi Rama, non invitato proprio a causa delle tensioni tra Grecia e Albania per la detenzione del sindaco eletto di Himarë, che non ha mai potuto giurare in quanto detenuto in carcere da due giorni prima delle elezioni del 14 maggio con l’accusa di compravendita di voti (anche lo sfidante e primo cittadino in carica, Jorgo Goro, è finito in carcere per corruzione). Da quel momento è iniziato un braccio di ferro diplomatico tra il governo Mitsotakis e il governo Rama, il primo accusato da Tirana di voler influenzare un’indagine indipendente su una figura associata all’insurrezione armata della minoranza greca in Albania nel 1994, il secondo sospettato da Atene di “violazione dei diritti umani” e di processo “politicamente motivato”.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenFinora il governo greco non è riuscito a fare pressioni diplomatiche sufficienti per la scarcerazione di Beleri e nemmeno le minacce di conseguenze negative sul percorso di adesione dell’Albania all’Unione Europea (con i negoziati iniziati nel luglio 2022) hanno sortito gli effetti sperati. La Grecia sostiene che il caso Beleri dovrebbe essere considerato un problema europeo e non solo una questione bilaterale – in quanto riguarderebbe il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti delle minoranze in un Paese che aspira a fare ingresso nell’Unione – ma la forzatura ha infastidito alcuni tra i Ventisette più favorevoli all’accelerazione del processo di allargamento, come la Germania. È così che il premier greco ha deciso di percorrere una strada più ‘originale’ e il 15 aprile è arrivata l’ufficialità della nomina di Beleri come 25esimo candidato (su 42) nelle liste elettorali di Nuova Democrazia: “La sua candidatura ha un simbolismo molto forte, tutti coloro che sono realmente interessati ai diritti della minoranza etnica greca in Albania lo capiscono”, aveva affermato Mitsotakis due giorni più tardi a margine del Consiglio Europeo a Bruxelles.Al centro, da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos MitsotakisCon l’elezione al Parlamento Europeo di Beleri, Nuova Democrazia sposta il baricentro del discorso politico sul piano patriottico, facendo leva su quello che è diventato un campo di battaglia retorica per il nazionalismo greco e albanese. Tecnicamente Tirana e Atene sono ancora in stato di guerra – dal 1940 quando l’Albania era un protettorato italiano durante la Seconda Guerra Mondiale – e nonostante sia in vigore dal 1996 il Trattato di amicizia, cooperazione, buon vicinato e sicurezza, i due membri della Nato stanno conoscendo un’escalation di tensione sul piano diplomatico, che coinvolgono da vicino anche le istituzioni Ue e il processo di allargamento.

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    La Francia si prepara alle elezioni legislative: a sinistra il Nuovo fronte popolare è realtà, mentre un giudice decide per reintegrare Éric Ciotti come presidente dei repubblicani

    Bruxelles – A due giorni dalla scadenza per la chiusura delle liste (termine ultimo domenica 16 alle 18) per le prossime elezioni dell’Assemblea nazionale (30 giugno e 7 luglio) gli schieramenti politici iniziano a prendere forma. La sinistra ha presentato oggi (14 giugno) la propria lista comune: il Nuovo fronte popolare. Hanno aderito diverse formazioni politiche: La France insoumise, il Partito comunista, gli Ecologisti, il Partito socialista e Place Publique.A destra il Partito repubblicano (Lr) ha trovato l’accordo con il Rassemblement national (Rn) per presentare 70 candidati comuni. Nonostante l’ufficio politico avesse espulso dal partito il proprio presidente, Éric Ciotti, accusato per aver aperto le porte al Rn, un giudice parigino s’è espresso dichiarando l’esclusione del presidente illegittima. I repubblicani però rimangono in subbuglio con molti esponenti che si sono schierati contro l’alleanza con l’estrema destra.Oltre ai due schieramenti ci sarà il partito del presidente della Repubblica Emmanuel Macron, Renaissance, guidato dall’attuale primo ministro Gabriel Attal e Reconquête, il partito d’estrema destra di Éric Zemmour che non ha trovato l’accordo con il Rassemblement national (Rn).La sinistra francese ha scelto l’unione contro l’estremismo di destraIl Nuovo fronte popolare è realtà. Tutti i partiti della sinistra hanno deciso di accordarsi per presentarsi alle prossime elezioni legislative con candidati comuni su tutto il territorio nazionale. La possibilità che l’estrema destra del Rassemblement national possa governare il Paese ha spinto la sinistra a superare le differenze e proporsi agli elettori con un programma di governo comune. I partiti hanno raggiunto un accordo su 150 misure da intraprendere nel caso in cui ottengano la maggioranza. Tra queste ci sono: riconoscimento dello Stato di Palestina, l’aumento del salario minimo (Smic) a 1.600 euro netti, la riforma del sistema di disoccupazione e una lotta contro l’inflazione e l’aumento dei costi energetici.Manuel Bompard sul podio per la presentazione del Nuovo fronte popolare. Nato nel 1986 è deputato e coordinatore per La France Insoumise.Al Nuovo fronte popolare oltre ai partiti hanno aderito anche diverse sigle della società civile, personaggi del mondo della cultura, intellettuali e associazioni come Greenpeace. Nella conferenza stampa di presentazione hanno presa la parola tutti i rappresentanti dei partiti politici che hanno sottolineato come la decisione di unirsi contro l’estrema destra rappresenta un momento storico. Visibilmente emozionata sul palco Marine Tondelier, segretaria degli Ecologisti, che ha dichiarato: “Abbiamo riacceso la fiamma, non quella di Rn (ndr presente nel simbolo del Rassemblement national), ma quella della speranza e ora dobbiamo mantenerla viva”.“Saremo all’altezza delle sfide che ci attendono, abbiamo scelto le migliori candidature possibili per vincere in tutti i collegi” ha sostenuto Manuel Bompard, coordinatore della France insoumise. Il Nuovo fronte popolare s’ispira alla coalizione guidata da Léon Blum, che nel 1936 permise al blocco delle sinistre di sconfiggere la destra fascista. Il concetto proposto da tutti i partiti durante la conferenza stampa è che bisogna unirsi per battere il Rassemblement national e gli unici veramente in grado di poterlo fare sono i membri del Nuovo fronte popolare.Nouveau Front populaire: “Emmanuel Macron n’aura pas de majorité”, assure Marine Tondelier (secrétaire nationale EELV) pic.twitter.com/VjSgGdaAhs— BFMTV (@BFMTV) June 14, 2024Anche Place publique sceglie di aderire al Nuovo fronte popolareSciolte anche le riserve sulla partecipazione di Place publique (partito di centrosinistra) che, con il rieletto europarlamentare Raphaël Glucksmann, annuncia l’adesione al Fronte popolare. Una scelta non semplice, come ha spiegato lo stesso Glucksmann questa mattina ai microfoni di France Inter. Il leader di Place pubblique ha rotto il silenzio dopo giorni di intense trattative con gli altri partiti della sinistra per annunciare il sostegno del suo movimento ai candidati unitari. “Non è stato facile accordarci su dei punti comuni, ma il pericolo di consegnare il Paese all’estrema destra è stato più forte”, ha confessato Glucksmann, aggiungendo: “Ho insistito e ottenuto che la lista si schieri su posizioni europeiste, che il sostegno all’Ucraina non venga messo in discussione e che non ci siano ambiguità nel chiamare terroristi i responsabili del 7 ottobre”.Nella foto Raphaël Glucksmann, leader di Place publique, ha guidato alle europee la lista comune tra il suo partito e quello socialista ottenendo poco meno del 14 per cento.Il leader di Place pubblique ha risposto agli ascoltatori che sono intervenuti durante la trasmissione per porgli delle domane, ribadendo la necessità di unirsi, nonostante le differenze, per superare il grande pericolo d’avere l’estrema destra al potere in Francia: “Oggi ci ricordiamo del Fronte popolare di Léon Blum come un successo, ma la sua creazione non è stata semplice, al suo interno c’erano dai comunisti ai radicali: persone con posizione assai diverse ma con un obbiettivo comune”. Raphaël Glucksmann ha affermato che il leader del Nuovo fronte popolare non può essere Jean-Luc Mélenchon (capo dell’estrema sinistra di La France insoumise) perché troppo radicale e dividerebbe invece che unire. Pur non presentando alcun nome ufficiale per la carica di Primo ministro in caso di vittoria Glucksmann ha fatto i nomi di “alcune persone di valore che sarebbero adatte”: François Ruffin e Valérie Rabault, deputati uscenti eletti da una colazione di sinistra, e soprattutto Laurent Berger, ex segretario generale del sindacato Confédération française démocratique du travail.Per Glucksmann presentarsi agli elettori sostenendo anche i candidati della France insoumise è stata una decisione sofferta ma necessaria. La situazione attuale per l’eurodeputato è grave e la responsabilità è del presidente Emmanuel Macron che ha sciolto l’Assemblea nazionale e convocato elezioni senza concedere il tempo necessario per la campagna elettorale (nella storia della quinta repubblica francese è la chiamata alle urne con meno preavviso). “Questo presidente si comporta con le istituzioni come un giocatore di poker”, ha dichiarato Glucksmann ribadendo che se l’estrema destra andasse per la prima volta al governo la responsabilità sarebbe delle decisioni “scellerate” di Macron.L’unione della destra sancita in tribunaleIl caos all’interno del Partito repubblicano ha trovato una soluzione, almeno giudiziaria: Éric Ciotti è ancora il presidente del partito. Il tribunale di Parigi ha preso la sua decisione, dopo che Ciotti era stato espulso dall’ufficio politico per aver deciso di presentare candidati comuni con il Rassemblement national. Il presidente aveva deciso di ricorre per vie legali contro questa scelta considerata illegittima.Éric Ciotti, classe 1965 è presidente del Partito repubblicano dal 2022 quando ha battuto Bruno Retailleau con il 53 per cento delle preferenzeNonostante la decisione del giudice il Partito repubblicano rimane nella confusione e in alcune zone della Francia, come nell’Hauts-de-Seine (ovest di Parigi) i candidati repubblicani e dei macronisti hanno deciso di non presentarsi l’uno contro l’altro. Più in generale però, nel caso in cui al secondo turno si dovessero affrontano un candidato di Rn e uno del Nuovo fronte popolare i repubblicani sosterranno i primi, perché come ha dichiarato François-Xavier Bellamy, capolista alle Europee e esponente della fazione contro Ciotti: “La France insoumise è il male per il Paese”.Durante un pranzo tra Jordan Bardella, leader di Rn, e Ciotti i due hanno trovato un accordo per presentare agli elettori 70 nomi in altrettanti collegi. Una vicinanza tra Ciotti e Rn, che va oltre alla politica, come dimostrata la scelta dell’avvocato che ha portato le istanze del presidente dei repubblicani davanti al giudice: Philippe Torre, un ex candidato del Rassemblement national.Il pronunciamento del giudice quindi, sancisce la chiusura definitiva dell’accordo tra Rn e Lr. Il partito resta nelle mani di Ciotti che è convinto della bontà della sua scelta per sconfiggere il presidente Macron e il Nuovo fronte popolare.Législatives: Jordan Bardella (RN) évoque l’investiture de 70 candidats en commun avec LR pic.twitter.com/7ppw92jQxo— BFMTV (@BFMTV) June 14, 2024