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    Uscire dalla tragedia ucraina. Resistenza di popolo e diplomazia

    Non voglio ergermi ad esperto di geopolitica ma la mia (ahimè) lunga esperienza internazionale mi consente di riflettere sulla tragedia odierna con occhi allo stesso tempo appassionati verso la nazione e il popolo ucraini e freddi per cercare di capire cosa può succedere nei prossimi giorni e settimane.
    Il nostro gruppo, la Duferco, ha avuto l’avventura di avere tra gli altri partner americani, russi, cinesi e ucraini. Conosco quei paesi e quelle culture e ciò mi aiuta a riflettere sulla situazione e a ragionare sui suoi possibili sbocchi, convinto come sono che questa vicenda cambierà la storia del mondo e dell’occidente.
    In particolare mi ha molto colpito l’incontro di pochi giorni fa in Italia tra americani e cinesi.
    Sette lunghissime ore di colloqui a Roma, scelta come località equidistante tra Washington e Pechino, tra Jake Sullivan (nella foto in alto), consigliere per la sicurezza Usa, e Yang Jiechi, figura di primissimo piano nel sistema di potere di Xi Jinping, tanto da sedere con lui nel politburo cinese. L’americano e il cinese si sono incontrati per parlare di Ucraina.
    Al di là delle dichiarazioni ufficiali (peraltro scarsissime: gli americani avrebbero diffidato i cinesi dall’aiutare militarmente Putin) il senso dell’incontro sta nel fatto che le due superpotenze si stanno occupando direttamente del tragico conflitto russo-ucraino, e che probabilmente passano anche per questo dialogo l’auspicata fine delle ostilità e un accordo che consenta all’Ucraina di esistere ancora come nazione indipendente.
    L’eroica resistenza delle forze armate e del popolo ucraini è servita finora a dimostrare che la ‘passeggiata’ ipotizzata da Putin (fuga di Zelensky, due giorni per prendere Kiev, con la popolazione che appoggia gli invasori) non si è realizzata, e che i russi stanno subendo durissime perdite sul campo: quattro generali molto importanti e migliaia di poveri giovani soldati di leva mandati al macello con la storiella che si trattava di un’esercitazione.
    Putin, che sente solo il rapporto di forza, nonostante le soverchianti forze in campo dopo venti giorni di guerra non ha raggiunto il suo obiettivo, scoprendo così quanto è duro combattere contro un popolo in armi motivato dall’amore per la propria patria e per la libertà.
    Ciò, insieme al peso delle sanzioni internazionali, mai così dure contro la Russia, apre gravi problemi all’interno del sistema di potere putiniano, come confermato dall’arresto di alcuni capi dei servizi segreti e dalla notizia di divisioni che incominciano ad affiorare nella cerchia più ristretta dell’autocrate del Cremlino.
    Questa situazione, se da un lato rischia di spingere il capo del Cremlino a rendere ancor più brutale l’aggressione, dall’altro potrebbe indurlo ad accettare un accordo di pace che gli dia una via di uscita.
    Il coinvolgimento della Cina nella vicenda potrebbe essere fondamentale.
    Si è molto discusso di ciò negli ultimi giorni, e vi sono al riguardo riflessioni molto interessanti che vanno in diverse direzioni. Taluni temono un’alleanza stretta tra Russia e Cina contro l’Occidente, altri pensano invece che la Cina giocherà un ruolo positivo da mediatore che potrebbe ulteriormente accrescere la sua reputazione internazionale, prevenire un suo isolamento e consentirle un’opportunità per migliorare le sue relazioni sia con gli Stati Uniti che con l’Europa.
    Come giustamente ricordato recentemente proprio da un politologo cinese, una legge della politica internazionale dice che non ci sono “alleati eterni né nemici perpetui” ma solo “gli interessi nazionali sono eterni e perpetui”.
    Condivido in maniera assoluta questo assunto; e anche noi italiani, restii dopo il fascismo a parlare di interessi nazionali, capiremo presto l’importanza di questa affermazione.
    Se partiamo da qui, e cioè dalla centralità degli interessi che muovono nel medio e lungo periodo la traiettoria delle nazioni, a me sembra che la Cina in questa vicenda abbia due interessi da tenere in equilibrio.
    Il primo, da ormai principale sostenitrice di un’economia globalizzata, è fare in modo che una guerra prolungata non determini una recessione mondiale di cui anche l’economia cinese pagherebbe un prezzo altissimo.
    La Cina ha un export annuale che vale 1400 miliardi di dollari Usa. La maggior parte di queste esportazioni sono indirizzate verso gli Stati Uniti d’America e l’Europa. La sola idea, non dico di sanzioni, ma di un irrigidimento delle politiche protezionistiche americane o europee sarebbe drammatica per l’industria cinese e per le politiche di quel governo, sempre particolarmente attente alla situazione occupazionale e sociale.
    In Cina non esistono ammortizzatori sociali: la disoccupazione in quel paese è gestita come un problema di ordine pubblico. Il che significa che da parte dello Stato e della politica c’è un’attenzione esasperata e una concentrazione totale sul mantenimento di tassi di crescita e di sviluppo alti che consentono il pieno impiego.
    Il secondo interesse da tenere in considerazione, e le politiche di espansione di influenza internazionale cinesi degli ultimi anni, specie in Africa, lo confermano, è che la Cina ha un immenso bisogno, per sostenere i suoi alti tassi di sviluppo, di energia e materie prime di tutti i tipi.
    Una Russia indebolita dalla guerra e dalle sanzioni, impedita di vendere la sua energia e le sue materie prime all’Occidente, che oggi ne è il principale acquirente, non potrebbe che rivolgersi alla Cina. Si potrebbe dire di più: la Cina potrebbe avere un enorme interesse ad avere nel suo retrogiardino un ‘vassallo’ debole e ossessionato dal bisogno di trovare nuovi sbocchi di mercato asiatici. Ovviamente per il venditore non c’è peggior incubo che avere un solo compratore, ma a questo probabilmente condurranno la follia e gli errori di Putin.
    Mettere in equilibrio questi due interessi significa per la Cina da un lato salvare Putin dal disastro attraverso un accordo di pace onorevole. Solo un Putin sanzionato e indebolito può subire una forte ‘cinesizzazione’ della Russia. Contemporaneamente un onorevole accordo di pace che salvasse l’esistenza dell’Ucraina come stato indipendente e che vedesse come protagonista la Cina migliorerebbe i suoi rapporti con tutto il resto del mondo e in particolare con l’Occidente, consolidando i suoi flussi commerciali e le sue esportazioni.
    Ma qui mi sorge spontanea un’altra riflessione.
    Ho avuto modo di conoscere bene, in una nostra joint-venture industriale durata più di sei anni con la seconda più importante siderurgia russa, il gruppo Nlmk, il livello e la cultura delle giovani leve del management russo. Si tratta in gran parte di persone colte, totalmente occidentalizzate, che spesso hanno fatto studi in Gran Bretagna o negli Stati Uniti d’America. Nlmk è tra l’altro il gruppo di proprietà di Vladimir Lisin, uno dei pochi oligarchi non ‘blacklistati’, anche perché ormai da oltre dieci anni distante dal Cremlino, il quale nei giorni scorsi ha denunciato con grande coraggio l’orrore della guerra chiedendo a Putin di cessare immediatamente le operazioni.
    Ritengo che quei giovani manager che ho conosciuto rispecchino il sentiment di un’intera élite russa che guarda all’Occidente, agli Stati Uniti e all’Europa come punto di riferimento. Questa élite interpreta in senso moderno lo storico attaccamento russo nella letteratura, nell’arte, nella musica all’Europa e ha una prospettiva che è tutto meno che asiatica. San Pietroburgo e Mosca sono molto più vicino a Berlino che a Pechino. Se allo sconcerto di questi gruppi dirigenti aggiungiamo il dissenso che cresce sempre di più nei media e la disperazione dei millenial russi privati di Instagram e Facebook mi chiedo se sia veramente concepibile una ‘cinesizzazione’ della Russia e se queste classi dirigenti non troveranno il coraggio e la forza per impedire che la Russia stessa non diventi uno stato canaglia.
    Anche nei confronti di questa parte della società russa noi occidentali abbiamo un grande dovere, come l’abbiamo nei confronti del popolo e della nazione ucraina che dobbiamo sostenere in ogni modo perché, dopo gli orrori dell’invasione russa, si giunga a una pace onorevole.
    Ha ragione Tony Blair: come occidentali “dobbiamo riscoprire la convinzione nei nostri valori democratici e nel modo di vivere che rappresentano. Dobbiamo smetterla di demonizzare le nostre istituzioni o la nostra storia. Accettare i nostri limiti e correggerli, ma non permettere che vengano usati per insinuare che non esiste differenza tra i valori che rappresentiamo e quelli di dittature ostili. La tragedia dell’Ucraina è stata una scossa per noi. Ci siamo svegliati. Ora dobbiamo agire”.
    Leggi l’intervento anche su Piazza Levante.

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    La tragedia dell’Ucraina e le responsabilità dell’Occidente e dell’Europa

    Conosco abbastanza bene l’Ucraina per aver avuto per anni rapporti di lavoro e di collaborazione con gruppi siderurgici locali, e per essere stato nominato dal Governo Berlusconi, nel 2005, presidente del Comitato di collaborazione economica Italia-Ucraina.
    Conosco bene il Donbass, la parte più orientale del Paese, dove si concentra la maggior parte dell’industria dell’acciaio. Mi sono recato più volte in quella zona, in fabbriche del gruppo industriale con il quale intrattenevamo i rapporti più stretti, tanto da stabilire con esso una vera e propria joint venture, l’Industrial Union of Donbass. Tale gruppo industriale, ormai da tempo passato totalmente in mani russe, aveva e ha stabilimenti a Alchevsk e Dniprovskyi.
    Sono stato più volte a Mariupol e a Odessa, i porti più importanti, da dove caricavamo navi di prodotti di acciaio destinati all’esportazione.
    Ho molto amato Kiev, città dove avevamo uffici e in cui mi sono recato più volte per incontri e riunioni, e che mi è sempre apparsa una bellissima e storica capitale.
    Ho smesso di frequentare l’Ucraina dal 2014 e cioè da quando le milizie filorusse, appoggiate dagli “uomini verdi senza mostrine”, mercenari al soldo di Mosca, hanno iniziato una guerra separatista durata fino ad oggi, distruggendo quasi completamente Donetsk, la capitale del Donbass, e provocando decine di migliaia di morti.
    Quei viaggi e quelle frequentazioni mi avevano fatto capire la complessità e per certi versi la tragicità del contesto ucraino, diviso tra una parte del Paese, quella più grande centrale e occidentale, decisamente a favore di legami sempre più stretti con l’Unione Europea, e la parte orientale russofona tradizionalmente legata alla Russia e alla sua influenza.
    La tragicità stava e sta nel fatto che la maggior parte della popolazione e la maggior parte dei governi che si sono succeduti a Kiev dopo la caduta dell’Unione Sovietica hanno rimproverato gli europei di scarsa empatia e di disinteresse nei confronti della giovane nazione ucraina, alle prese con le pressioni e l’influenza russa e desiderosa di affrancarsi da queste grazie al legame sempre più forte con l’Occidente. Ma contemporaneamente vi è una minoranza della popolazione (che nell’est del paese è una maggioranza) che parla russo, che non ne vuol sapere dell’Occidente, che ha ottenuto di farsi stampare sul passaporto ucraino la dizione ‘Russian Citizen’.
    L’Europa ha balbettato dinanzi a questa situazione. Preoccupata di non disturbare più di tanto l’orso russo, fornitore principale di gas di molte nazioni europee come Austria, Germania, Olanda e Italia, e forse impegnata da promesse fatte ai russi dopo la caduta del muro di Berlino, ma mai ufficializzate, di non espansione della Nato a Est, non ha mai affrontato con chiarezza la questione ucraina, riempiendo di buone parole e forse anche qui di qualche promessa non ufficiale la giovane nazione, ma alla fine lasciandola sempre nel limbo tra Occidente e Oriente.
    L’ambiguità ha riguardato anche il rapporto con la Russia, grande partner economico, ma anche ingombrante attore sulla scena internazionale, specie negli ultimi anni in cui Mosca ha provato a rilanciare un suo ruolo e un suo espansionismo.
    Tale ambiguità europea ha favorito la convinzione a Mosca che si potessero fare dei colpi di mano senza colpo ferire e senza gravi conseguenze, come la conquista della Crimea e l’appoggio ai separatisti del Donbass.
    Il delirio solitario di Putin, avvolto nella narrazione di una grande madre Russia ossessionata da problemi di sicurezza e bisognosa di confermare protezioni all’intorno mediante stati cuscinetto atti ad allontanare il più possibile i missili nucleari della Nato da Mosca, ha generato mostri; in particolare ha generato l’aggressione premeditata all’Ucraina, alla sua integrità territoriale, alla sua capacità/libertà di avere delle forze armate e di autodeterminarsi, e la minaccia, rivolta all’Occidente, di usare l’arma nucleare per ritorsione alle sanzioni economiche.
    La tragedia è sotto gli occhi di tutti: una guerra che nelle intenzioni dell’aggressore doveva durare due giorni e che invece si protrae da più di una settimana, vittime civili che ormai hanno raggiunto numeri importanti anche per l’inizio dei bombardamenti sulle città, Kiev circondata dalle truppe russe, che però incontrano una feroce resistenza da parte delle forze armate ucraine, che sembrano discretamente armate e ben preparate a contenere un’invasione, e di una popolazione civile che non vuole arrendersi.
    Una guerra nel cuore dell’Europa con il rischio di un’escalation drammatica dagli esiti imprevedibili.
    L’Europa sembra finalmente aver ritrovato una sua unità di intenti: sanzioni mai così dure nei confronti della Russia, aiuti militari probabilmente tardivi, un crescendo di prese di posizione al fianco dell’Ucraina che probabilmente non serviranno a salvare il Paese.
    Una giovane nazione diventata tale a pieno titolo proprio in questa guerra, dove giovani e anziani non arretrano e vogliono combattere per la libertà della Patria fino alla fine; dove un presidente su cui si è sempre ironizzato per il suo mestiere precedente, il comico, all’offerta americana di una sua evacuazione protetta e finalizzata a creare un governo in esilio, magari in Polonia, ha risposto ‘no grazie il mio posto è qui, è qui che si fa la storia dell’Ucraina libera, fino in fondo fino alla fine’.
    Truppe speciali russe lo stanno cercando e braccando per farlo fuori ma lui, in maglietta militare e tuta mimetica, riesce ancora a parlare con il mondo chiedendo aiuto e incitando il popolo ucraino alla resistenza.
    Putin nel suo delirio ha affermato pubblicamente, come spesso fanno molti russi in colloqui privati, che l’Ucraina è un paese che non esiste e che non ha diritto di esistere. La risposta è venuta dal popolo ucraino e dalla sua resistenza sul terreno. Il solco di odio verso i russi da parte della popolazione ucraina generato da questa follia resterà indelebile per secoli, a prescindere da come vada a finire la guerra.
    Una tragedia immane, un cambio epocale della storia del mondo i cui effetti ancora non comprendiamo completamente, la necessità di una riflessione radicale sul nostro futuro di europei.
    Comodo vivere come abbiamo fatto per decenni sotto la protezione dell’ombrello Usa; comodo non avere giovani e figli impegnati in azioni e interventi militari dove si rischia la vita; comodo, e anche un po’ stupido, pensare che la libertà e la democrazia di cui godiamo siano per sempre.
    La tragedia ucraina ci dice che quel mondo è finito e che non basta fare manifestazioni con le bandiere della pace per scongiurare la guerra.
    I dittatori alla Putin valutano continuamente i rapporti di forza e spingono la baionetta fino a dove questa può affondare in un terreno morbido e senza contrasti.
    In questi ultimi trent’anni non siamo riusciti come occidentali a declinare il vecchio motto: o l’avversario lo abbracci e lo porti dalla tua parte o lo contrasti duramente con tutte le tue forze. Ambiguità, debolezze, mezze misure non servono a niente e le conseguenze purtroppo sono sotto gli occhi di tutti.

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    Cosa ci mostra della strategia di Putin l’articolo (pubblicato per errore?) sulla vittoria russa in Ucraina

    Bruxelles – La risoluzione della questione Ucraina. È questo il titolo di un articolo pubblicato dall’agenzia di stampa russa RIA Novosti che ha fatto scalpore per due ragioni. La prima, la più immediata: l’articolo che celebra la vittoria russa nella guerra in Ucraina è datato 26 febbraio, giorno nel quale è uscito, cioè due giorni dopo l’inizio dell’invasione del Paese da parte dell’esercito di Vladimir Putin. Si è trattato (apparentemente) di un errore di pubblicazione, da cui si può dedurre quanto la disinformazione e la propaganda di regime pervadano i media statali russi, visto che con l’invasione ancora in atto venivano tratteggiati a tavolino la strategia vincente del Cremlino e il nuovo ordine dell’Est Europa. Ma è il secondo aspetto quello più rilevante: il contenuto, ancora consultabile nell’archivio online dell’agenzia, che offre una panoramica abbastanza netta della strategia di Putin. O di quello che vuole far sapere (e non sapere) al mondo l’uomo forte di Mosca.
    Come evidenziato da Thomas de Waal, analista del think tank Carnagie Europe, quello che si sviluppa nell’articolo sulla vittoria russa (anticipata) in Ucraina è a tutti gli effetti un pensiero neo-imperialista. L’operazione russa viene identificata come “una sconfitta per il progetto dell’Occidente di sottomettere la Russia”, che fa partire “una nuova era” nel portare l’unità dei popoli slavi dell’Est, cioè Russia, Ucraina e Bielorussia. Il passaggio in cui si chiarisce al meglio questo concetto afferma che “la tragedia del 1991, quella terribile catastrofe della nostra storia, quell’aberrazione innaturale, è stata superata”.
    Anche se tra il 2014 e il 2022 si è verificata – con diverse intensità – una guerra civile, “ora non ci sarà più un’Ucraina anti-Russia“. Questo tipo di analisi era stata rifiutata dalla fine dell’URSS nel 1991, ma è tornato in auge sotto governi e presidenze Putin, in particolare dopo l’invasione della Crimea otto anni fa. L’uomo forte di Mosca si sarebbe preso “una responsabilità storica, decidendo di non lasciare la risoluzione della questione ucraina alle generazioni future“. Una maniera edulcorata per sostenere l’inammissibilità dell’autodeterminazione degli ucraini e il rispetto di ogni principio di sovranità statale secondo il diritto internazionale. Si fa esplicito riferimento a un “complesso di umiliazione nazionale“, la cui unica soluzione risiede nel “liquidare, ristrutturare, ristabilire e restituire la statualità ucraina al mondo russo”.
    Spostando poi l’attenzione sull’Occidente, l’articolo sulla vittoria russa denuncia l’intenzione delle potenze europee – Francia e Germania in particolare – di “scommettere sul crollo” di Mosca per “mantenere l’Ucraina nella sfera d’influenza dell’Europa”. Con toni quasi apocalittici (“in un grande scontro geopolitico”), il destino di Mosca sarebbe senza dubbio apparente la sopravvivenza, “non importa la quantità di pressione occidentale”. Uno scenario quantomeno ottimistico, considerate le successive – ma non previste dall’autore dell’articolo – evoluzioni nella risposta occidentale e nel quasi totale isolamento internazionale della Russia. Ma risulta completamente infondata l’analisi stessa sulle divisioni interne al mondo occidentale: “Francia e Germania sono fondamentalmente diverse dagli anglosassoni, Regno Unito e Stati Uniti, che stanno cercando di affermare l’egemonia anche su di loro”. A dire il vero, con la guerra in Ucraina, tutto l’Occidente, dentro e fuori l’Europa, si è riscoperto unito come forse mai prima d’ora.
    Per non parlare del “completo disinteresse degli europei a costruire una nuova cortina di ferro sui loro confini orientali”. Se c’è una cosa che si è capita in questa settimana di invasione russa dell’Ucraina, è proprio che l’Unione Europea si è praticamente rivoluzionata per sostenere in tutti i modi la resistenza di Kiev. Si conclude con un’analisi geopolitica di ampio respiro, che inquadra questo conflitto in “una risposta all’espansione geopolitica degli atlantisti, un recupero del nostro spazio storico e nel mondo”. In nessun modo una violazione del diritto internazionale. Tutto il resto del mondo – dalla Cina all’India, dall’America Latina all’Africa, fino al mondo islamico e il sud-est asiatico – “non crede che l’Occidente guidi l’ordine mondiale”, con la Russia che “ha dimostrato che l’era del dominio globale occidentale può essere considerata pienamente e definitivamente finita“. Se Cina e India rimangono ancora ambigue nella condanna, per tornaconti geostrategici (e forse in pochi sperano davvero che isolino la Russia), non si vedono nemmeno segni di appoggio esterno all’invasione dell’Ucraina.
    Non c’è nulla da salvare in questo articolo propagandistico sulla vittoria russa in Ucraina, pubblicato prima del tempo e con molti dubbi sull’accidentalità del gesto. Ma si può avere un primo sguardo parziale sul pensiero dell’uomo che dal Cremlino sta guidando un’aggressione militare senza pretesti contro un Paese indipendente e sovrano. “Non lo farà mai, non si addice a Vladimir Putin”, ha scritto in un tweet il corrispondente della BBC da Mosca, Steve Rosenberg. Ora sappiamo però cosa avrebbe voluto fare e cosa con tutta probabilità farà se la resistenza ucraina dovesse soccombere.

    A due giorni dall’inizio dell’invasione e dei bombardamenti di Kiev, un articolo dell’agenzia russa RIA Novosti già celebrava la conquista del Paese e il nuovo ordine nell’Est Europa. È ancora consultabile e offre un’analisi del conflitto in atto

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    L’Europa risponderà unita. E la società civile?

    Il contrasto tra il movimento al rallentatore dell’Europa e la rapida e completa invasione dell’Ucraina da parte del presidente russo Vladimir Putin non potrebbe essere più netto. Fino a due giorni fa, gli europei discutevano di quale azione russa avrebbe innescato quali sanzioni, mentre l’esercito russo stava già accerchiando l’Ucraina.
    Ma anche se lo hanno fatto al rallentatore, gli europei si sono preparati e si uniranno attorno a questa crisi.
    Rosa Balfour
    Gli enormi sforzi compiuti nelle ultime settimane hanno consentito l’approvazione di un forte pacchetto di sanzioni a meno di ventiquattro ore dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Questa risposta veniva giustamente preparata mentre venivano perseguite tutte le vie diplomatiche per ridurre l’escalation della crisi. Ma gli europei devono fare di più, perché il revisionismo di Putin sull’ordine del dopo Guerra Fredda continuerà, a prescindere dall’esito militare dell’invasione dell’Ucraina. Questa crisi è un passo in un lungo gioco.
    Il pacchetto di sanzioni dell’UE sarà la prima fase, non l’ultima, di un’escalation. Anche se l’impegno militare è stato escluso, i cittadini europei non sono preparati alle conseguenze della guerra sull’approvvigionamento energetico o sull’economia, né sono pronti ad accogliere i rifugiati. Al contrario, flussi di disinformazione hanno disseminato i media tradizionali e sociali europei. Gli europei devono essere mobilitati attraverso spiegazioni basate sulle evidenze e il contatto con i russi dovrebbe essere un altro pilastro di una diversa strategia di comunicazione.
    Oltre al pacchetto da 1,2 miliardi di euro che l’UE ha adottato il 21 febbraio per sostenere l’Ucraina, gli altri Paesi in una regione già destabilizzata dalla Russia avranno bisogno di più energia politica e risorse finanziarie, mentre la NATO rafforza il suo fianco orientale in caso di allargamento del conflitto.
    Infine, gli europei devono rivolgersi alla società civile nell’Europa orientale e in Russia per dare energia a quelle reti che sono state i motori di un cambiamento positivo in tutta l’ex Unione Sovietica in nome dei diritti umani, della libertà e dell’autodeterminazione.
    Rosa Balfour è direttrice di Carnegie Europe, leggi questo intervento su Strategic Europe.

    Dare energia a quelle reti che sono state i motori di un cambiamento positivo in tutta l’ex Unione Sovietica in nome dei diritti umani, della libertà e dell’autodeterminazione

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    L’Italia alla guida del G20 con lungimiranza: i passi da compiere per una risposta economica vincente, globale ed inclusiva

    CarloCalenda In altre parole la lealtà al partito viene prima di quella verso i cittadini elettori? Ancora, rispetto a Renzi, so… https://t.co/038cCE538lRebHarms Big brother reloaded. #Orban #Hungary https://t.co/9Qthi81PVRCarloCalenda Hai ragione. Bisogna intendersi sul concetto di trasformismo. È trasformismo fare una campagna elettorale dicendo “… https://t.co/AfvnwUpFCEEU_EESC 🇪🇺 Save the date!

    @EESC_TEN, @EESC_NAT & @EESC_SOC organise a major online conference on:

    #EnergyPoverty at the c… https://t.co/Ym3iKTNgYLEU_ENV RT @IPBES: 🍄@IPBES assessment of the #SustainableUse of wild #species🌿🍏

    ✍️The 2nd external review of the chapters & the 1st external revie…EU_ENV RT @UNBiodiversity: The @IPBES #PandemicsReport shows that the same human activities driving #biodiversity loss and #ClimateChange are also…guyverhofstadt Scandalous… Any excuses Orbán ever had on Central European University have now been shown to be just that: excuse… https://t.co/C1bwtsVqNJEU_opendata RT @ICES_ASC: Please RT! 👉We have a VACANCY for a #data programmer in our Secretariat team in Copenhagen supporting a number of key develop…RebHarms Guten Morgen. Und zurück auf Los.
    @selcuksalih https://t.co/5jfhUqk3fzCSpillmann RT @Le_Figaro: Les réseaux sociaux se déchaînent sur la crasse et l’enlaidissement de Paris https://t.co/lV0XArD4Q8CSpillmann RT @AbasAslani: #Iran has produced 55 kg of 20% enriched uranium, says spokesman of Atomic Energy Organization of Iran adding “we have almo…helenadalli Discrimination on the basis of personal characteristics or other factors can severely impact access to #healthcare.… https://t.co/nC1O4NnXM4US2EU Today is #WorldHealthDay! #COVID-19 has hit all countries hard, but its impact has been harshest on those communit… https://t.co/zhEFDQkbFMeu_eeas Health for all is the only way forward. We’re committed to #BuildBackBetter towards a more healthy and equal world… https://t.co/aF3unvY5tZRenewEurope The #COVID19 crisis has revealed the fragility of the EU in terms of public health.

    On today’s #WorldHealthDay, we… https://t.co/k3arbYJeO1CSpillmann L’hiver s’est installé a #Bruxelles et les piafs en perdent leur latin https://t.co/Hr7yQdBgJnCSpillmann Goujat, mufle ? @vonderleyen a été soufflée par le coup du sofa de @RTErdogan et @eucopresident n’a pas bronché.… https://t.co/28rPjuTavDCarloCalenda Perché l’unico programma che hanno è il settarismo che nasce da moralismo. Tradotto “noi siamo i buoni, anche quand… https://t.co/oVOCbuKlGxCarloCalenda Salvatore ho appena risposto a un elettore di Sgarbi che esordiva come te. In fondo puoi dichiararti di destra o di… https://t.co/skl9lOSFsN