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    Un progetto geopolitico minato dall’interno. Perché l’Ue deve cambiare passo sull’allargamento

    Bruxelles – Il futuro è un passo, ma in mezzo c’è l’ostacolo di un Consiglio Europeo a oggi ostaggio delle decisioni di un solo leader, il premier ungherese Viktor Orbán. La situazione evidenzia non solo l’importanza dell’allargamento Ue sul piano geostrategico – in particolare dopo lo scoppio della guerra russa in Ucraina – ma soprattutto le difficoltà attuali dell’Unione di portare a compimento le promesse decennali ai Paesi candidati realizzando contemporaneamente una riforma interna per non snaturare l’Unione con il potenziale ingresso di 10 nuovi Stati membri nel futuro a medio/lungo termine.La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (8 novembre 2023)La necessità di focalizzarsi con più serietà sulla questione dell’allargamento Ue è emersa con urgenza dopo i fatti del 24 febbraio 2022 e con le richieste di Ucraina, Moldova e Georgia di aderire all’Unione. L’offensiva russa ha dimostrato i rischi di un continente in balia di un progetto imperialista da parte del Cremlino, che sarebbe interessato sia all’annessione degli ex-Paesi sovietici, sia alla destabilizzazione con una guerra ibrida a quello che rappresenta da sempre il buco nero dell’integrazione europea: i sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), che in varie forme e a diversi stadi si sono tutti già incamminati da anni sulla strada dell’adesione all’Ue. In altre parole, il progetto di “pace, democrazia e stabilità sul continente” rappresentato dall’Unione Europea – come continuano a ripetere tutti i leader delle istituzioni comunitarie – non può concretizzarsi se i Paesi che hanno fatto richiesta di aderire continueranno a essere ignorati, dal momento in cui la frustrazione di politici e cittadini (a stragrande maggioranza europeisti) li spingerà a cercare supporto in regimi autocratici come quello russo. Il mancato allineamento della Serbia alle misure restrittive contro Mosca e il secessionismo serbo-bosniaco contro Sarajevo sono stati un chiaro campanello d’allarme.C’è da riconoscere che la spinta all’allargamento Ue non è solo una questione di rispetto delle promesse o anti-Russia, ma è diventata anche una vera e propria priorità dell’Unione sul piano politico ed economico. Lo dimostra in primis la serie di pacchetti da miliardi di euro in investimenti diretti e indiretti a sostegno di tutti i partner più stretti – da quelli per la sopravvivenza finanziaria dell’Ucraina a quello di crescita economica per i Balcani Occidentali, oltre al supporto contro la crisi energetica. E poi non va dimenticato il nuovo obiettivo al 2030 annunciato a fine agosto dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, che ha fornito (anche in modo controverso) una data entro cui tutti siano pronti per l’allargamento Ue, dentro e fuori l’Unione. Seppur contestando implicitamente la definizione di un obiettivo temporale in un processo “basato sul merito”, anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha fatto un passo in avanti nel suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione a settembre, collegando in modo esplicito il processo di allargamento Ue alla riforma dei Trattati su cui si fonda l’Ue.Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel (28 agosto 2023)È qui che si entra nel ventre molle dell’Unione, quello di un processo che rigeneri l’Unione rendendola all’altezza delle sfide future. Sulla base di una proposta franco-tedesca particolarmente articolata, i 27 leader Ue hanno iniziato al Consiglio informale di Granada a discutere di un’agenda strategica in tre punti – priorità future, sistema decisionale e modalità di finanziamento comune – che inevitabilmente tiene insieme allargamento Ue e riforma del Trattati. Oltre alle discussioni servirebbe ora un’azione urgente, perché le richieste di adesione sono già sul tavolo e richiedono una risposta immediata. Tra le altre cose, la riforma interna non potrebbe prescindere dall’abbandono dell’unanimità e del diritto di veto in Consiglio, perché non è immaginabile un’Unione a 32 (con i candidati che hanno già avviato i negoziati di adesione), a 35 (con anche quelli che hanno ricevuto lo status di Paese candidato) o 37 (con tutti dentro, compresi Kosovo e Georgia), in cui un solo Paese può tenere in stallo tutto il sistema decisionale comune.La riforma dovrà però essere concordata da tutti gli attuali membri dell’Unione ed è questo il punto in cui al momento tutto il palco rischia di cadere. Per questioni di fondi da redistribuire tra più Paesi (soprattutto quelli di coesione e dell’agricoltura) e consapevolezza che senza il diritto di veto il peso di ogni singola capitale vale meno (in altri termini, verrebbe meno la possibilità di ‘ricattare’ Bruxelles per ottenere qualcosa in cambio dell’unanimità), alcuni tra i Ventisette non mostrano alcun interesse ad allinearsi a questa ambizione comunitaria, da cui dipende lo stesso processo di allargamento Ue. In particolare l’Ungheria di Orbán ha scelto una posizione apertamente ostruzionista nei confronti dell’avvio dei negoziati di adesione all’Ucraina e al proseguo del finanziamento a Kiev, come una sorta di vendetta per il congelamento di quasi 30 miliardi di euro in fondi Ue per il mancato rispetto dello Stato di diritto. Il rischio concreto ora è che non solo non arrivi il via libera del Consiglio Europeo in programma domani e dopodomani (14-15 dicembre) ai negoziati con l’Ucraina, ma che tutto il processo di allargamento Ue si incagli nella settimana più decisiva degli ultimi anni.A che punto è l’allargamento UeSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Nel Pacchetto Allargamento Ue 2023 la Commissione ha raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina e Moldova – anche con la Bosnia ed Erzegovina quando sarà raggiunta la conformità ai criteri di adesione – e di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato.I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è stato affrontato in una relazione strategica apposita a Bruxelles.Come si aderisce all’Unione EuropeaIl processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.Per i Balcani Occidentali è previsto un processo parallelo – e separato – ai negoziati di adesione all’Unione, che ha comunque un impatto sull’allargamento Ue. Il processo di stabilizzazione e associazione è finalizzato ad aiutare i partner balcanici per un’eventuale adesione, attraverso obiettivi politici ed economici che stabilizzino la regione e creino un’area di libero scambio. Dopo la definizione di un quadro generale delle relazioni bilaterali tra l’Unione Europea e il Paese partner, la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione offre la prospettiva futura di adesione.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    9th Western Balkans Civil Society Forum: A clear need for a realistic final date for EU membership

    By Andrej Zorko*The 9th Western Balkans Civil Society Forum 2023 was held in a year full of significant milestones for the EU, notably the 50th anniversary of the first enlargement. Since the foundation of the European Community, seven enlargements have taken place, helping the EU to grow to the present number of 27 Member States.During the time after the last enlargement in 2013, with Croatia being the last country to join the Union, a growing awareness on both sides has confirmed that the future of Western Balkans lies with the EU, especially now in the face of current global events.As the EESC noted in its 2021 opinion, the Western Balkans are an integral part of Europe and a geostrategic priority for the EU.The experience of each successive EU enlargement has shown the importance of involving social partners and civil society organisations, recognising their significant role. In the case of the Western Balkan countries, civil society has been promoting the shared European values of peace, security, economic and social prosperity, as well as the need for reforms for a successful enlargement process.There is undoubtedly still much to be done in the field of promoting sustainable development, the rule of law, transparency and fight against corruption. There is still a strong need to solve the problems that affect the younger population. The inclusion of the mentioned stakeholders in the integration process is sure to provide the solutions and policies that will have a high degree of legitimacy and effectiveness and will provide a smoother transition to full EU membership for the Western Balkan countries. For this reason, all the actors must ensure that the involvement of the region in the EU’s existing programmes and the reforms being carried out have a meaningful impact on the quality of people’s lives.Being aware of many challenges still awaiting stakeholders on the path to accession, it is important to also recognise that much has already been accomplished and that the Final Declaration[2] of the 9th Western Balkans Civil Society Forum reaffirms the clear commitment of civil society and the EESC to a common European future. The Declaration’s call for a clear and realistic timeline, in which the region should be ready for accession is a welcome driver in the process. As the EESC has already pointed out, it is also important to set out clear and strict conditions in a tangible way, so that the countries of the region can make progress on the path of reform and progress can be effectively monitored.The inclusion of representatives of the trade unions, employers’ organisations, and civil society organisations of the candidate countries in the work of the EESC in an advisory capacity, has been met with strong approval by all parties. This will not only improve the work of the EESC in taking into account the views of soon-to-be Member State stakeholders, but will also spread first-hand knowledge of the inner workings and processes of social dialogue at EU level across the Western Balkan region, which will speed up the accession process.The 9th Western Balkans Civil Society Forum and its Final Declaration can be considered a success and a stepping stone towards the region successfully joining the EU. There is a clear need for a realistic timeline and a date on which the candidate countries should be ready for accession. A final date would provide a further impetus on the path of integration for both the EU and the governments of the regions to implement the necessary reforms.Even a possible staged accession is a solution to the concerns of some Western Balkan states which are sceptical about 2030 as a target date, announced by the president of the European Parliament at the Bled Strategic Forum.Despite the challenges still to come, and despite the scepticism of some, there is no doubt that the 8th enlargement of the EU is closer than ever. There is also a clear recognition on all sides, about the crucial role the social partners and civil society organisations can play in the process. Setting a target date, which should be realistic for all sides, is essential.There is still some way to go in addressing the problems of young people in the Western Balkans and implementing the necessary policies to meet the Copenhagen criteria of democracy, the rule of law, human rights, and respect for minorities, but with the strong commitments and inclusion of all stakeholders, perhaps the end of that path is finally in sight.*Andrej Zorko, EESC member, President of the Follow-up Committee on Western BalkansExecutive secretary to the presidency of the Association of Free Trade Unions of Slovenia (ZSSS)

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    Perché l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile è fondamentale per la prossima Commissione Europea

    Bruxelles – Per l’avanzamento nella realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg), questi sono giorni cruciali, dato che il vertice che si tiene a New York è volto a segnare l’inizio di una nuova fase di accelerazione con orientamenti politici di alto livello.
    (credits: Timothy A. Clary / Afp)
    Nel settembre 2015, i leader mondiali, riuniti alle Nazioni Unite per adottare l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, articolata in 17 obiettivi, hanno cercato di affrontare sfide globali urgenti tenendo conto della dimensione economica al pari di quella sociale e di quella ambientale. Oggi, a metà del cammino verso il 2030, è essenziale fare il punto sui progressi compiuti, sulle sfide affrontate e sul percorso che rimane da compiere per raggiungere questi ambiziosi obiettivi. La realtà è che siamo in ritardo sulla tabella di marcia, e sembra che, anche se disponiamo di tutte le risorse e le tecnologie necessarie, ci manchi la determinazione politica di andare avanti a un ritmo adeguato.
    Durante il Forum politico di alto livello che si è svolto a New York in luglio è stato ricordato che dall’edizione speciale del rapporto delle Nazioni Unite sui progressi degli obiettivi di sviluppo sostenibile è emerso che solo il 12 per cento degli obiettivi è a buon punto a livello mondiale. L’Europa è in una situazione migliore rispetto ad altri continenti, dato che ha compiuto progressi per alcuni degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Tuttavia, non tutti stanno avanzando su questa strada e non così velocemente come dovrebbero. Inoltre, tra uno Stato membro e l’altro e tra una regione e l’altra dell’Ue vi sono disparità, e abbiamo ancora molta strada da fare dal momento che crisi multiple e consecutive, come la pandemia e la guerra in Ucraina, stanno destabilizzando il mondo e i nostri sforzi.
    La strada dinanzi a noi
    La mancanza di un riferimento esplicito all’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile nel discorso sullo Stato dell’Unione tenuto dalla presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, il 13 settembre dimostra che gli obiettivi di sviluppo sostenibile non costituiscono l’elemento propulsore nel cambiamento delle politiche dell’Ue. Quella a cui assistiamo nell’integrazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile è in certa misura un’operazione di facciata. Invece di considerarli come un quadro generale che definisce le nostre azioni per il cambiamento sistemico, ci limitiamo a prendere decisioni disorganiche e a esprimere una valutazione dei relativi effetti sull’attuazione di obiettivi specifici.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen (13 settembre 2023)
    La prossima Commissione Europea dovrebbe prendere sul serio l’impegno politico a favore dell’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile. La realizzazione dell’Agenda 2030 richiede cambiamenti strutturali, soluzioni innovative e la collaborazione tra governi, società civile, imprese e organizzazioni internazionali. Abbiamo bisogno di un piano di trasformazione a lungo termine che vada oltre il 2030. Il Cese e altre organizzazioni della società civile hanno chiesto fin dall’inizio una strategia globale per l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile. E questo richiede coraggio politico e impegno non solo per incanalare adeguatamente le risorse finanziarie e umane disponibili, ma anche per ristrutturare il modo di funzionare dell’amministrazione e per superare le compartimentazioni.
    Stiamo assistendo a inondazioni, siccità e incendi senza precedenti, all’aumento delle disuguaglianze sociali e, con esse, a disordini sociali e a un sentimento di disprezzo verso i nostri attuali rappresentanti politici e i nostri decisori. Vediamo come i grandi attori economici stiano migliorando la loro posizione sul mercato e come stia diventando invece sempre più difficile per i piccoli sopravvivere. L’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile è l’unica soluzione valida per tutti. La loro realizzazione richiede un’azione collettiva, soluzioni innovative e una rinnovata volontà a costruire un mondo migliore per le generazioni attuali e future. Non possiamo permettere che il nostro futuro sia dominato dall’incertezza.

    Maria Nikolopoulou, membro del Cese, rappresentante della Confederazione sindacale spagnola delle commissioni operaie, membro delle sezioni Agricoltura, Sviluppo rurale e ambiente (Nat) e Trasporti, energia, infrastrutture e società dell’informazione (Ten)

    Maria Nikolopoulou, membro del Comitato economico e sociale europeo (Cese), mette in luce la necessità dell’Ue di spingere sull’Agenda 2030: “Richiede coraggio politico e impegno per ristrutturare il modo di funzionare dell’amministrazione e per superare le compartimentazioni”

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    Why is the implementation of the Sustainable Development Goals key for the next European Commission?

    Brussels – These days are critical for the advancement of the Sustainable Development Goals (SDGs), as the 2023 SDG Summit taking place in New York aims to mark the beginning of a new phase in accelerating the implementation of the SDGs with high-level political guidance.
    (credits: Timothy A. Clary / Afp)
    In September 2015, world leaders, gathered at the United Nations to adopt the 2030 Agenda for Sustainable Development, which included 17 Sustainable Development Goals (SDGs), sought to address pressing global challenges by taking into account, on an equal footing, the economic, social and environmental dimensions. Now, half way to 2030, it is essential to take stock of the progress made, the challenges faced, and the path forward towards achieving these ambitious goals. The reality is that we are currently falling behind schedule, and it appears that even if we have all the required resources and technology, we are lacking the political determination to move forward at an adequate pace.
    During the High-Level Political Forum in July in New York, it was mentioned that the UN special edition of the SDGs Progress Report made clear that only 12 percent of the Sustainable Development Goals are on track globally. Europe is in better shape than other continents as there has been progress in some of the SDGs. Nevertheless, not all of them are progressing and not as fast as they should. In addition to this, there are disparities among EU Member States and regions and we still have a long way to go as multiple and consecutive crisis such as the pandemic and the war in Ukraine are destabilising the world and our efforts.
    The Road Ahead
    The lack of explicit mention of the implementation of the Sustainable Development Goals in President Ursula Von der Leyen‘s State of the Union speech on 13 September, shows that the SDGs are not the driving force of change of the EU policies. There is a certain “SDG washing”. Instead of considering them as an umbrella that defines our actions for systemic change, we just take fragmented decisions and state how it affects the implementation of specific goals.
    The president of the European Commission, Ursula Von der Leyen (13 September 2023)
    The incoming EU Commission should take the political commitment to implementing the Sustainable Development Goals seriously. Achieving the 2030 Agenda requires structural changes, innovative solutions, and collaboration among governments, civil society, businesses, and international organisations. We need a long-term transformative plan that will go beyond 2030. The European Economic and Social Committee (Eesc) and other civil society organisations have been calling for an overarching strategy to implement the SDGs since the beginning. And this requires political courage and commitment not only to adequately channel the available financial and human resources but also to restructure the way the administration works and to break silos.
    We are experiencing unprecedented floods, drought and wildfires. We are witnessing how social inequalities are rising and with them social unrest and disdain for our current politicians and policy-makers. We are seeing how the big economic players are improving their market position and how it’s getting harder and harder for the small ones to survive.  The implementation of the SDGs is the only reliable solution for all. Achieving the Sustainable Development Goals demands collective action, innovative solutions, and a renewed dedication to building a better world for current and future generations. We can’t allow the uncertainty to govern our future.

    Maria Nikolopoulou, is a member of the European Economic and Social Committee (Eesc) and a member of the Spanish Trade Union Confederation Comisiones Obreras

    Maria Nikolopoulou, member of the European Economic and Social Committee (Eesc), points out the need for the EU to achieve the 2030 Agenda: “This requires political courage and commitment to restructure the way the administration works and to break silos”

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    Green Deal, adesso la sfida geopolitica dell’Ue è con gli Stati Uniti

    Bruxelles – Alla fine il Green Deal si scontra con la realpolitik. L’enfasi, sia pur giustificata e comprensibile, su una trasformazione dell’economia in senso nuovo e più sostenibile, ora fa i conti con il mondo reale. L’Unione europea ha deciso di essere leader, di dare il buon esempio. Nel fare da apri-pista, però, si è improvvisamente schiacciata da un partner deciso a superarla, gli Stati Uniti, e il mondo orientale – Paesi del golfo, Cina e India su tutti – ancora legata a quei vecchi sistemi produttivi che invece l’Ue vorrebbe superare. Il blocco a dodici stelle può rivendicare una svolta ‘green’ oltre Atlantico, che però rischia di tradursi in una sfida Ue-Stati Uniti tutta nuova.
    Le ripercussioni a livello globale della guerra tra Russia e Ucraina hanno indotto l’amministrazione Biden al varo dell’Inflation reduction act. Il provvedimento, varato per frenare l’inflazione, finisce per favorire quel settore in cui l’Ue vorrebbe tanto essere all’avanguardia. Credito d’imposta per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili per i progetti che iniziano la costruzione prima dell’1 gennaio 2025, 250 milioni di dollari in sovvenzioni per la produzione domestica di pompe di calore disponibili fino a settembre 2024, sovvenzioni per 5,8 miliardi di dollari per l’industria ad alta intensità energetica per l’installazione di tecnologie avanzate per ridurre le emissioni di gas serra delle strutture. Ancora, credito d’imposta sulla produzione per la produzione nazionale di componenti per l’energia solare ed eolica, inverter, componenti per batterie e minerali critici, programma di sovvenzioni da 2 miliardi di dollari per la produzione nazionale di veicoli puliti (ibridi, ibridi elettrici plug-in, elettrici plug-in e a celle a combustibile a idrogeno).
    L’Unione europea si vede ‘aggredita’ su quel terreno di sviluppo industriale dove cercava di ricostruire una competitività persa. A oriente l’Europa degli Stati l‘Ue dipende dalla Russia per una quota significativa delle sue importazioni per tre materie prime critiche, platino, palladio e titanio, materiali indispensabili per lo sviluppo della tecnologia dell’idrogeno. Ancora più a est l’Ue dipende fortemente dalla Cina da tutte le materie prime utilizzate per la produzione di batterie, ad eccezione del litio. L’Ue non ciò di cui ha bisogno per le sue transizioni, e al contempo deve rispondere al dilemma statunitense.
    C’è il rischio che il massiccio piano degli Stati Uniti possa mettere questi in una posizione di vantaggio a scapito dell’Europa delle verdi ambizioni. L‘industria europea teme di perdere la corsa globale per la competitività, con l’impatto maggiore delle industrie automobilistiche e delle tecnologie pulite dell’Ue, come i produttori di batterie o di apparecchiature per l’energia solare o eolica. Timori aggravati dalla prospettiva che i prezzi dell’energia in Europa rimangano più alti che negli Stati Uniti e in altre parti del mondo nel medio termine, come conseguenza della guerra della Russia in Ucraina e dell’allontanamento dal gasdotto russo.
    Non è un caso se la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato il piano industriale per il Green Deal. Ma servirà prudenza. Se da una parte non agire di fronte all’Inflation Reduction Act potrebbe avere conseguenze negative sull’industria dell’Ue, dall’altra parte una guerra commerciale in piena regola con gli Stati Uniti minerebbe l’unità transatlantica in tempo di guerra e trasmetterebbe l’immagine di un Occidente diviso sia alla Russia che alla Cina. “L’Ue si trova di fronte alla sfida di impostare una reazione coerente agli Stati Uniti“, mettono in rilievo gli analisti del centro ricerche del Parlamento.
    L’Ue deve fare i conti con la realtà, e la realtà è che il conflitto in Ucraina rischia di far saltare tutta la strategie a dodici stelle. La situazione che si è creata – azzeramento delle relazioni con la Russia, aumento dei prezzi, crisi energetica, dipendenza dalla Cina – è “aggravata dal limitato spazio di manovra dell’amministrazione Biden che rende altamente improbabili modifiche legislative all’Inflation Reduction Act“. Servirà una capacità negoziale nell’auspicio che il partner transatlantico non spinga troppo sull’acceleratore di un svolta green che potrebbe spazzare via le velleità europee.

    L’Inflation Reduction Act rischia di vedere l’Ue inseguire il progresso Usa anziché essere leader. Gli analisti avvertono: “Altamente improbabili modifiche legislative, una guerra commerciale non aiuterebbe”

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    La strategia russa di lasciare l’Ucraina al buio e al freddo è un crimine contro l’umanità

    Impotente ad avanzare sul campo, anzi dovendo subire l’umiliazione della ripresa di Kherson sotto controllo ucraino, gli obiettivi dell’”operazione speciale” di Putin sono diventati le principali città e infrastrutture strategiche del paese, costringendo al freddo e al buio milioni e milioni di civili.
     Una sorta di vendetta, insomma, per gli smacchi subiti che, con l’aiuto del “generale Inverno” può mettere seriamente in difficoltà la forte fibra degli ucraini attraverso un metodo che non può che qualificarsi di crimine contro l’umanità, come giustamente rivendica Volodymyr Zelenski, tanto colpisce trasversalmente tutte le fasce della popolazione, comprese le più deboli e inermi, bambini, malati, anziani eccetera.
     Si tratta di un ulteriore escalation di una guerra abbietta e spietata al cuore dell’Europa, che non può che suscitare ulteriore sdegno per il carattere indiscriminato dei raid, a prescindere dalla natura militare o strategica dei target da colpire.
    La guerra, insomma, non è più tesa alla presunta “denazificazione” del paese, o  debellare le sue forze armate, ma è condotta virtualmente contro l’intero popolo ucraino col risultato paradossale, peraltro, che i russi bombardano la stessa Kherson, di cui avevano solo poche settimane fa decretano l’annessione.
    Bene ha fatto il Parlamento europeo a dichiarare, a larga maggioranza, che la Russia è “uno stato sponsor del terrorismo” che “utilizza mezzi terroristici”, invitando le istituzioni europee e i suoi Paesi a creare un quadro giuridico adeguato e considerare di aggiungere la Russia a tale lista.
    Nel mirino anche i mercenari della famigerata “Brigata Wagner” e altri gruppi e milizie armate, Ciò farebbe scattare una serie ulteriore di misure nei confronti della Russia, tanto che si sta lavorando ad un nono pacchetto di sanzioni, a partire dal famoso “price cap” sulle forniture energetiche russe.
    Il Parlamento chiede inoltre all’Unione europea di isolare ulteriormente la Russia a livello internazionale, anche per quanto riguarda l’adesione ad organizzazioni e organismi internazionali, di ridurre i legami diplomatici con la Russia e di limitare i contatti dell’UE con rappresentanti russi al minimo indispensabile.
    A far saltare i nervi al leader del Cremlino c’è stato anche il mezzo fallimento del vertice di Erevan, in Armenia, con i capi di alcune delle ex repubbliche sovietiche che non hanno particolarmente sostenuto Putin nella sua strategia dominatrice – dal loro punto di vista in modo del tutto comprensibile, tanto che i russi non sono nemmeno riusciti a ottenere un comunicato congiunto finale.
    Siamo, insomma, ad una fase forse cruciale del conflitto. E non ci si illuda eccessivamente: nella visione di Putin non c’è il pareggio, non sta giocando un campionato mondiale.
    Sta giocando la finale, o vince o perde la partita della sua vita.

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    Aborto, gli Stati Uniti ricordano all’UE che i valori non sono solidi come pietre

    Bruxelles – L’Europa reagisce, per niente compatta, al  diritto all’aborto negato da una sentenza della Corte suprema che riporta indietro l’America indietro di 50 anni.
    Una decisione arrivata mentre a Bruxelles i leader dell’Ue erano impegnati nei lavori del vertice del Consiglio europeo, ma che non sembra incontrato particolare resistenze. La Commissione resta silente. Solo l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue dice: “Le donne e le ragazze devono avere il diritto illimitato di decidere sul proprio corpo e sul proprio futuro”. Fine del commento di Josep Borrell, per quella che si materializza come una critica ‘light’. Silenzio della presidente von der Leyen, con il commissario Paolo Gentiloni che si limita a ritwittare un messaggio di Barack Obama in cui l’ex presidente democratico si rammarica per la scelta di “attaccare le libertà essenziali di milioni di americani”.

    Today, the Supreme Court not only reversed nearly 50 years of precedent, it relegated the most intensely personal decision someone can make to the whims of politicians and ideologues—attacking the essential freedoms of millions of Americans.
    — Barack Obama (@BarackObama) June 24, 2022

    Dove ferve il dibattito è in Parlamento europeo. Non a livello di massime cariche, viste le posizioni personali anti-abortiste dell’attuale presidente. Il presidente della commissione Diritti delle donne, il socialdemocratico Robert Biedroń , pubblica una nota ufficiale in cui si dichiara “sconvolto” e ricordare come l’Eurocamera “ha fermamente condannato il regresso dei diritti delle donne e della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi in ​​atto a livello globale, compresi gli Stati Uniti e in alcuni Stati membri dell’UE”. Per questo “continueremo a stare con le donne e le ragazze negli Stati Uniti”. Questo sì che è prendere le distanze. Dal Parlamento una lezione alla Commissione.
    Indignati i Verdi (“Un duro colpo per il diritto all’aborto“, il commento del gruppo), di “grave regressione dei diritti e la messa in pericolo di milioni di donne” parla il PPE attraverso Frances Fitzgerald, membro delle commissioni Affari economici e Diritti delle donne.
    I liberali non ci vanno giù teneri. “Trump ha nominato non solo tre giudici della Corte Suprema, ma anche circa 200 giudici federali negli Stati Uniti per  portare a termine l’agenda repubblicana reazionaria”, l’analisi di Sophie in ‘t Veld, che vede una ‘polonizzazione’ degli Stati Uniti. L’indignazione di un’Europa che fa sempre più fatica a vedere riconosciuti i diritti e i valori ancora validi nel territorio dell’UE, fa i conti con un partner chiave che sceglie altre strade, un partner con cui malgrado tutto l’Ue deve continuare a fare i conti.
    Emmanuel Macron e Kyriakos Mitsotakis condannano. A differenza di altri, impegnati come loro nei lavori del Consiglio europeo prima e del G7 poi, i leader di Francia e Grecia, un liberale e un cristiano-democratico, si sfilano. “L’aborto è un diritto fondamentale per tutte le donne”, sostiene l’inquilino dell’Eliseo. “Deve essere protetto. Desidero esprimere la mia solidarietà alle donne le cui libertà sono state minate dalla Corte Suprema degli Stati Uniti”. Mentre il leader ellenico si dice “turbato” per ciò che considera “un importante passo indietro nella lotta per i diritti delle donne”.
    Intanto però l’UE si ritrova con un partner considerato democratico per antonomasia che ora rischia di esserlo un po’ meno, se l’amministrazione Biden, come ha promesso di fare, non riuscirà a recuperare. Un nuovo problema, per l’Europa dei valori. 

    Reazioni tra il tiepido e il distaccato in Commissione, indignazione del Parlamento, leader del Consiglio in ordine sparso. La sentenza che elimina il diritto di interrompere la gravidanza ora mette alla prova la credibilità dell’Ue sui principi

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    Oliver Röpke (CESE): Fermiamo la guerra. Tuteliamo i lavoratori. Salviamo la democrazia

    L’urgenza della situazione in Ucraina, il dramma del popolo ucraino, il fatto che tenga testa, con coraggio e successo, a un nemico molto più potente – tutto questo ha scosso fin nelle fondamenta quello che, solo pochi mesi fa, era spesso considerato l’ordine naturale delle cose in Europa.
    La guerra stessa, che si svolge alle porte dell’Unione europea, ci ha ricordato che esiste un mondo al di là dei nostri confini. Le immagini e le notizie da cui siamo bersagliati quotidianamente ci rammentano la brutalità della guerra – un conflitto che è in corso sulla soglia di casa nostra -, compresa la recente scoperta di fosse comuni e di indizi di quelli che potrebbero essere veri e propri crimini di guerra. . Le forze armate e i razzi di Putin hanno colpito Kyiv e, anche dopo il parziale ritiro delle truppe russe e il contrattacco degli ucraini, l’offensiva prosegue con immutata violenza e i civili continuano a morire. Dopo aver rinunciato a un Blitzkrieg nei primi giorni di guerra e aver subito gravi perdite, Putin sembra essere passato alla strategia di un attacco mirato e più graduale, devastando ogni metro di terreno conquistato. Sfruttando l’enorme superiorità della Russia negli equipaggiamenti convenzionali, e in particolare nelle armi pesanti, Putin continua ad avanzare, costringendo migliaia di persone ad abbandonare le loro case e uccidendone molte altre. Gli indizi che siano stati effettivamente perpetrati dei crimini di guerra e l’altissimo numero di profughi suggeriscono che l’obiettivo della strategia è fare in modo che quasi nessun ucraino rimanga nelle retrovie per contestare l’annessione di fatto (anche con il rilascio di passaporti russi) dei territori ucraini occupati. Nell’UE le conseguenze economiche del conflitto stanno già colpendo duramente i più vulnerabili, e se la guerra perdura la situazione probabilmente non farà che peggiorare.
    Per fortuna la risposta, dopo un’iniziale esitazione, è stata unitaria e netta: un pacchetto di misure per sanzionare Putin e il suo regime, la solidarietà con i milioni di profughi in fuga dinanzi all’invasione russa e un chiaro sostegno al popolo ucraino. La direttiva sulla protezione temporanea è stata un elemento fondamentale di questa risposta. La priorità assoluta è assistere l’Ucraina e prestare aiuto e soccorso ai profughi ucraini e alle società che li accolgono. La società civile ha svolto e continuerà a svolgere un lavoro straordinario, dalla raccolta e l’invio di donazioni all’offerta di un tetto e di assistenza alle persone in fuga. Il gruppo Lavoratori del CESE, unitamente alla Confederazione europea dei sindacati (CES/ETUC), condanna l’aggressione russa ed esprime la sua solidarietà al popolo ucraino. Siamo in contatto permanente con i nostri omologhi ucraini per garantire che il maggior numero possibile di aiuti giunga là dove è più necessario. Ora è più importante che mai mantenere i nostri sforzi a questo stesso ritmo, evitando che la situazione si “normalizzi” e di rivolgere altrove la nostra attenzione. Un sostegno continuo con tutti i mezzi disponibili è l’unico modo per conseguire la pace, e l’Ucraina ha un gran bisogno delle risorse necessarie per fermare l’invasione: fintantoché Putin considererà probabile una vittoria militare, si siederà al tavolo dei negoziati solo per inscenare una finzione utile a serrare i ranghi del suo esercito.
    Dobbiamo inoltre ricordare che questa guerra è solo l’ultimo anello di una lunga catena, a partire dalla Cecenia fino alla Georgia e alla Crimea. Qualora ci fosse ancora bisogno che ci venisse ricordato, Putin ci fornisce continuamente la prova di come l’Ucraina sia solo un ulteriore tassello di una visione imperialista di più ampio respiro, secondo la quale intere regioni d’Europa dovrebbero piegarsi al suo regime autocratico o essere considerate degli aggressori. È da ingenui pensare che questa volta il presidente russo si potrà accontentare di quello che ha già ottenuto. Un altro aspetto di questo conflitto è la guerra che Putin sta combattendo contro il suo stesso popolo: mantenuto in stato di terrore, disinformato dalla propaganda, diviso dalla polarizzazione delle opinioni, in un paese in cui il dissenso equivale al tradimento e chi osa parlare chiaro e forte viene direttamente eliminato.
    Come è avvenuto per la pandemia di coronavirus, anche l’invasione dell’Ucraina ci ha colto impreparati: in questo caso, sono molti i paesi che non hanno provveduto a diversificare le loro forniture di energia rispetto alle importazioni di combustibili fossili dalla Russia. Questa dipendenza incauta e sconsiderata, dannosa sia per il clima che per la nostra sovranità, deve cessare. Sicuramente le conseguenze della guerra graveranno molto di più sugli ucraini, ma anche altri non ne rimarranno indenni: le sanzioni e la recessione colpiranno duramente i lavoratori più vulnerabili della Russia e dell’UE. L’impennata dei prezzi dell’energia, il tasso di inflazione galoppante, l’aumento dei costi dei prodotti di base… siamo solo all’inizio. Nel frattempo, su molti paesi che non possono più contare sulle esportazioni ucraine incombe una potenziale penuria di derrate alimentari e una crisi dovuta a carestia e fame.
    L’UE e i suoi Stati membri devono agire, salvaguardando il tenore di vita dei cittadini europei, garantendo che la speculazione sui prezzi dell’energia non spinga ancora di più le nostre famiglie verso la precarietà energetica e le nostre industrie verso il collasso, e anche sostenendo le società che accolgono milioni di profughi. Servono inoltre riforme a lungo termine in un mercato dell’energia che ha chiaramente mostrato di star funzionando male e come qualsiasi perturbazione abbia ripercussioni dirette sui lavoratori e sui cittadini in generale. Il peggioramento della situazione attuale degli europei dovrebbe anche servire loro da ammonimento, dato che i leader autocratici prosperano sul terreno delle disuguaglianze e della povertà. La democrazia è minacciata da autocrati come Putin, che considera l’Ucraina – e anche altri paesi – territorio russo, e si impadronisce delle risorse dei suoi vicini con il pretesto di voler tutelare determinate identità etniche.
    La democrazia è minacciata anche da alcuni leader politici nella stessa UE che vorrebbero costruire un modello simile e che traggono alimento dalla crescita delle disuguaglianze e della povertà. Il sostegno alla concessione all’Ucraina dello status di paese candidato è un segnale positivo forte: l’Europa non deve più essere un terreno di gioco delle superpotenze, ma deve invece formare un’Unione coesa e pacifica che si batte per la libertà e il benessere dei suoi cittadini. Tuttavia, lo status di paese candidato è solo la prima tappa di un lungo percorso, ed è anche un’opportunità per fissare standard dell’UE per il processo di ricostruzione postbellica dell’Ucraina. Tra questi standard europei figurano il rafforzamento dell’autonomia delle parti sociali e della democrazia sociale, il rispetto integrale dei diritti sociali e il recepimento nella legislazione nazionale di tutto il rimanente acquis comunitario, nonché la garanzia del pieno rispetto dello Stato di diritto.
    Sebbene all’Ucraina sia stato concesso lo status di paese candidato, va detto che l’UE non è ancora pronta per un nuovo e importante allargamento: le norme attuali non sono adeguate; è questo il chiaro messaggio emerso dalle raccomandazioni formulate durante la Conferenza sul futuro dell’Europa. L’Unione europea deve accelerare le sue riforme, semplificando e rendendo più democratici i suoi processi decisionali e modificando i suoi meccanismi affinché da un sistema concepito per pochi Stati membri si passi a un sistema in grado di tenere insieme i quasi 30 paesi che potrebbero costituire l’UE nel prossimo futuro.
    Il gruppo Lavoratori, per parte sua, continuerà a monitorare la situazione delle persone in fuga dall’Ucraina a causa della guerra, e in particolare l’assistenza che ricevono nei paesi di accoglienza e la loro integrazione nel mercato del lavoro dell’UE, per poter mettere in campo misure volte a scongiurare il lavoro precario e lo sfruttamento della manodopera. Continueremo inoltre ad essere a fianco dei sindacati nei loro sforzi per raccogliere e far pervenire gli aiuti ai lavoratori e ai sindacati ucraini.
    *Oliver Röpke, presidente del gruppo Lavoratori del Comitato economico e sociale europeo

    L’attacco ha scosso l’UE tutta intera e svelato, ancora una volta, l’autentico volto delle autocrazie. Continueremo ad essere a fianco dei sindacati nei loro sforzi per raccogliere e far pervenire gli aiuti ai lavoratori e ai sindacati ucraini