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    Allargamento, il Cese: “L’integrazione sia graduale, coinvolgendo la società civile”

    Bruxelles – L’allargamento è un “investimento strategico” per l’Unione, ma la “precondizione” perché funzioni è coinvolgere la società civile. A dirlo è Oliver Röpke, presidente del Comitato economico e sociale europeo (Cese), l’organo consultivo dell’Ue in cui sono rappresentati gli interessi delle organizzazioni dei lavoratori, dei datori di lavoro, del terzo settore e, in generale, le istanze delle organizzazioni della società civile. L’austriaco, che guida il Comitato dall’anno scorso, insiste perché l’integrazione dei Paesi candidati sia “graduale”, permettendo loro di partecipare già prima del loro ingresso formale alla vita comunitaria.La società civile al centroAd un incontro con la stampa martedì (22 ottobre), Röpke ha spiegato l’approccio che la sua istituzione sta seguendo in materia di allargamento, un tema destinato ad assumere un’importanza centrale nei prossimi anni, a partire dal ciclo istituzionale che si è aperto con le europee dello scorso giugno. “Vediamo l’allargamento come un investimento strategico” e una “storia di successo”, ha dichiarato ai giornalisti, specificando che “la precondizione” per realizzarlo correttamente è quella di “avere un coinvolgimento della società civile e dei partner sociali” che sia il più strutturata possibile.“I problemi reali”, ha sottolineato il presidente del Cese, sono da individuarsi nelle “strutture” democratiche dei Paesi candidati: ad esempio quelle “per tutelare lo Stato di diritto, per proteggere lo spazio civico e per avere un robusto dialogo” tra le parti sociali che porti, tra le altre cose, ad una contrattazione collettiva soddisfacente. Dovremmo cioè “cominciare a rafforzare queste strutture nei Paesi candidati già ora”, anche se il loro ingresso nell’Unione avverrà in un secondo momento.L’integrazione graduale dei Paesi candidatiLa soluzione, per Röpke, è quella che ha definito “integrazione graduale”: permettere cioè ai Paesi cui Bruxelles riconosce lo status di candidati di partecipare, in qualità di osservatori, al funzionamento dell’Unione, come avviene già ad esempio con le riunioni informali del Consiglio. Il contributo del Cese a questo movimento di progressiva inclusione si è concretizzato nel progetto pilota ribattezzato Enlargement candidate members (Ecm), tramite cui il Comitato ha coinvolto 146 rappresentanti della società civile dei Paesi candidati nelle proprie attività per contribuire alla stesura di una dozzina di opinioni riguardanti tra le altre cose la politica di coesione, il mercato unico, la sostenibilità, il settore agrifood e lo Stato di diritto. Un’iniziativa che dovrebbe concludersi a fine anno ma che è piaciuta molto ai diretti interessati, come sottolineato dal premier albanese Edi Rama secondo cui questo modello andrebbe esteso anche all’Eurocamera, e che Röpke si è impegnato a trasformare da estemporanea a permanente.Del resto, si tratta della medesima strada indicata dalla presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, nelle lettere d’incarico inviate ai commissari designati: lì “viene menzionato esplicitamente che ogni commissario deve promuovere l’integrazione graduale dei Paesi candidati”, ha sottolineato Röpke, il che coincide appunto con una delle richieste principali del Cese “per vedere cosa ogni istituzione può fare per integrare passo dopo passo gli Stati candidati già prima l’adesione completa all’Ue”.I progressi verso l’adesioneDiverse cancellerie tra le nove in questione (Albania, Bosnia-Erzegovina, Georgia, Macedonia del nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia ed Ucraina) vorrebbero centrare l’obiettivo dell’adesione entro la fine del decennio, ma bisognerà vedere come procederà il loro percorso. Per ora, Röpke ha registrato “non solo il supporto dei partner sociali e della società civile ma anche una grande volontà da parte almeno di alcuni governi di impegnarsi” per “migliorare le proprie strutture” al fine di “soddisfare i criteri” per entrare nel club europeo. Alcuni dei progressi migliori, secondo il presidente del Cese, si sono visti in Albania e in Macedonia del nord (anche se il cammino di Tirana e Skopje verso Bruxelles è stato recentemente spacchettato), mentre ci sono stretti contatti con governo e società civile serbi e con la società civile georgiana.Quanto alla Moldova, un grosso problema – soprattutto in alcune regioni, come la Gagauzia – è la pervasività della disinformazione russa, che è quasi riuscita a far vincere il “no” al referendum popolare celebratosi domenica scorsa che interrogava i cittadini sull’opportunità di includere l’obiettivo dell’adesione all’Ue nella Costituzione nazionale. Alla fine, ha prevalso il fronte del “sì”, il che secondo il capo del Comitato è un “risultato notevole” dati i pronostici, ma nel Paese balcanico c’è “ancora molto da fare” per consolidare le strutture democratiche di cui si parlava.L’incontro di stamattina è servito tra le altre cose a Röpke per presentare alla stampa il Forum di alto livello sull’allargamento che si terrà il prossimo 24 ottobre a Bruxelles sotto il patrocinio del Cese (che sarà in sessione plenaria il 23 e 24 ottobre) e della Commissione, in cui verranno discussi con una serie di politici (sia dei Paesi candidati che degli Stati membri), accademici e rappresentanti della società civile i temi sociali che saranno al centro della prossima stagione di espansione del club europeo. A sua volta, questo evento anticiperà la pubblicazione, da parte dell’esecutivo Ue, del rapporto annuale sull’allargamento (anche noto come enlargement package), che quest’anno cadrà il prossimo 31 ottobre.

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    La società civile dei Paesi candidati all’adesione Ue potrà partecipare presto ai lavori del Cese

    Bruxelles – Inizia un nuovo anno cruciale per l’allargamento Ue che, dopo le decisioni dell’ultimo Consiglio Europeo di dicembre 2023, si appresta ad assumere contorni un po’ più definiti grazie alla prima istituzione comunitaria che aprirà concretamente le sue porte ai nuovi candidati all’adesione all’Unione. Il Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) ha lanciato l’invito alla società civile dei nove Paesi che si trovano su questo cammino a candidarsi per diventare ‘Membri candidati all’allargamento’ e contribuire al lavoro consultivo del Comitato nel 2024.Il presidente del Comitato Economico e Sociale Europeo, Oliver Röpke, e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (31 agosto 2023)“La geopolitica è riemersa come tema esistenziale nell’agenda politica, l’Ue deve essere all’altezza del compito che l’attende: è giunto il momento del suo risveglio geopolitico”, è l’esortazione del presidente del Cese, Oliver Röpke, tratteggiando gli sviluppi di quella che lo scorso anno era stata anticipata come ‘Iniziativa dei Membri onorari dell’allargamento’. L’idea è quella di includere nuovi membri onorari della società civile per ciascun Paese candidato nel processo di stesura dei pareri del Cese: dall’energia ai diritti sociali e del lavoro, dalla transizione digitale e verde alla politica industriale, fino allo sviluppo sostenibile e il Mercato unico. Saranno coinvolti i nove Paesi candidati all’adesione Ue – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina –  mentre per ora non sarebbe incluso il Kosovo (che ha fatto richiesta di adesione nel dicembre 2022). Parlando con Eunews, il presidente Röpke non ha escluso una “collaborazione più stretta” con Pristina, nonostante per l’iniziativa “abbiamo deciso di attenerci alle decisioni del Consiglio sullo status di candidato”.Le organizzazioni della società civile dei nove Paesi candidati possono presentare la propria candidatura fino al 25 gennaio (qui il link). Nel processo di selezione sarà considerato il livello di partecipazione al dialogo civile e sociale nazionale e a reti internazionali, l’adesione ai valori dell’Ue sanciti dall’articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea (dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e rispetto dei diritti umani, compresi quelli delle minoranze), parità di genere, rappresentatività dei giovani e conoscenza di almeno una delle lingue ufficiali dell’Unione. Dopo la selezione del pool di 21 membri per Ucraina e Turchia e di 15 per gli altri Paesi, la partecipazione sarà estesa a tutto il ciclo dei pareri (gruppi di studio, riunioni di sezione e sessioni plenarie), con una plenaria annuale specifica sulle questioni relative all’allargamento. “Questa iniziativa innovativa fa del Cese il primo organo dell’Ue a integrare progressivamente nelle sue attività i rappresentanti dei Paesi dell’allargamento”, ha rivendicato il presidente Röpke, spiegando l’obiettivo del progetto-pilota per tutta la durata di quest’anno (da rivalutare a dicembre).A che punto è l’allargamento UeSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che si trovano sul percorso dell’allargamento Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre 2022 anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione e l’ultimo Consiglio Europeo di dicembre ha deciso che potranno essere avviati i negoziati di adesione “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Di nuovo seguendo la raccomandazione contenuta nel Pacchetto Allargamento Ue, il vertice dei leader Ue del 14-15 dicembre 2023 ha deciso di avviare i negoziati di adesione con Ucraina e Moldova e di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato.I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è stato affrontato in una relazione strategica apposita a Bruxelles.

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    “Membri onorari dell’allargamento”. Il Cese lancia un’iniziativa per avvicinare i Paesi candidati all’adesione Ue

    Bruxelles – Mentre le altre istituzioni comunitarie discutono in maniera abbastanza sterile della data o non-data entro cui si dovrà realizzare il processo di allargamento Ue, il Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) ha iniziato i lavori per mettere a terra un’iniziativa che renderà concreto l’avvicinamento all’Unione per i Paesi candidati all’adesione. Si chiama ‘Iniziativa dei Membri onorari dell’allargamento‘ e – se approvata dall’ufficio di presidenza del Cese nelle prossime settimane – rappresenterà la prima promessa rispettata dal nuovo presidente dell’organo consultivo Ue, Oliver Röpke, sul piano delle relazioni esterne dal momento del suo insediamento lo scorso 26 aprile.
    Il presidente del Comitato Economico e Sociale Europeo, Oliver Röpke, e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (31 agosto 2023)
    “Voglio che il nostro Comitato sostenga efficacemente la società civile nei Paesi candidati all’adesione all’Ue”, ha confermato lo stesso Röpke in un incontro con la stampa europea: “Per questo motivo desidero che partecipino gradualmente al nostro lavoro quotidiano“. Una conferma alle parole d’esordio di poco più di quattro mesi fa, quando il neo-presidente eletto aveva presentato il manifesto Stand up for democracy. Speak up for Europe per le priorità del mandato fino all’autunno del 2025. “Faremo tutto il possibile perché la nostra istituzione apra le porte a questi Paesi, non è sufficiente dare loro solo lo status di candidati“, aveva messo in chiaro allora, sottolineando che “serve un impegno attivo, sfruttando la nostra esperienza per aumentare la rapidità delle riforme” per avvicinarsi all’Unione. Il forum di discussione del Cese con Balcani Occidentali, Moldova, Ucraina e Georgia si sta intensificando, ma con la nuova iniziativa l’obiettivo è quello di fare un passo più concreto. Nei limiti dei suoi poteri e competenze, ma in modo forse anche più prolifico rispetto alle promesse di “essere pronti entro il 2030” per l’allargamento Ue fatte dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel.
    La proposta prevede di includere 3 membri onorari della società civile per ciascun Paese candidato nel processo di stesura dei pareri del Cese: dall’energia ai diritti sociali e del lavoro, dalla transizione digitale e verde alla politica industriale, fino allo sviluppo sostenibile e il Mercato unico. Al momento si tratterebbe di 24 nuovi membri – onorari – da otto Paesi candidati all’adesione Ue: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina. Non sarebbero inclusi per ora Kosovo (che ha fatto richiesta di adesione lo scorso anno) e Georgia (a cui è stata garantita la prospettiva europea ma non ancora lo status di candidato), anche se il presidente Röpke parlando con Eunews non esclude una “collaborazione più stretta” con i due Paesi, nonostante per l’iniziativa “abbiamo deciso di attenerci alle decisioni del Consiglio sullo status di candidato“. La partecipazione sarà estesa a tutto il ciclo dei pareri: gruppi di studio, riunioni di sezione e sessioni plenarie. Nelle intenzioni del Comitato c’è anche quella di organizzare una volta all’anno una sessione plenaria con i membri del Cese provenienti da ciascuno dei Paesi candidati che rappresentano gli interessi dei datori di lavoro, dei sindacati e delle organizzazioni della società civile per discutere delle questioni relative all’allargamento.
    Con la partecipazione ai lavori del Cese, le organizzazioni della società civile di questi Paesi potranno approfondire i principi e il funzionamento del dialogo civile comunitario, per poterli poi applicare a livello nazionale in vista della futura applicazione della legislazione comunitaria. A loro volta, “i nostri pareri rifletteranno anche le sfide e le priorità specifiche che i Paesi candidati devono affrontare nei settori politici per loro importanti“. In collaborazione con il Parlamento Ue – considerato un “partner naturale” da Röpke – il Cese vuole partire dalla società civile come parte integrante del processo di allargamento dell’Unione, fornendo il sostegno necessario per migliorare i sistemi socioeconomici e democratici nazionali e per soddisfare gli standard del Mercato unico, del Green Deal e del Pilastro europeo dei diritti sociali. L’iniziativa dei membri onorari dell’allargamento è “pienamente in linea” con la metodologia di adesione rafforzata della Commissione Ue, in particolare nella parte sulla “più stretta integrazione dei Paesi dell’allargamento con l’Unione Europea e un’adesione graduale alle singole politiche dell’Ue”, mette in chiaro lo stesso Comitato.
    Come funziona il Cese
    Il Comitato Economico e Sociale Europeo è un organo consultivo che rappresenta le organizzazioni dei datori di lavoro, dei lavoratori e di altri gruppi di interesse della società civile, e ha come incarico quello di formulare pareri per la Commissione, il Parlamento e il Consiglio dell’Ue. Fondato nel 1957 con i Trattati di Roma, ha la sua sede a Bruxelles e i suoi 329 membri sono nominati dai governi nazionali e designati dal Consiglio dell’Ue per un mandato quinquennale rinnovabile (la quota per ogni Paese dipende dalla sua popolazione, l’Italia attualmente ne esprime 24). Il Cese è guidato da un presidente e da due vicepresidenti, che vengono rinnovati ogni due anni e mezzo in occasione della revisione di metà mandato.
    I membri appartengono ai tre gruppi istituiti (ciascuno con un suo presidente): Datori di lavoro, Lavoratori e Organizzazioni della società civile. I tre gruppi possono esprimersi formalmente sulle proposte legislative dell’Ue, con tre compiti principali: garantire che la legislazione comunitaria sia adeguata alle condizioni economiche e sociali, promuovere e assicurare il dialogo con tutti i gruppi d’interesse della società civile e promuovere i valori dell’integrazione europea. Da un punto di vista pratico, il Cese può emettere pareri di propria iniziativa o può essere consultato da Commissione, Parlamento e Consiglio dell’Ue. I membri del Comitato lavorano indipendentemente dai rispettivi governi e adottano i propri pareri a maggioranza semplice: le nove riunioni annuali vengono preparate dalle sezioni specializzate e dalla commissione consultiva per le trasformazioni industriali (Ccmi).
    A che punto è l’allargamento Ue
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada, su iniziativa rispettivamente del primo ministro georgiano, Irakli Garibashvili, e della presidente moldava Sandu. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio dell’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.

    Il Comitato Economico e Sociale Europeo ha presentato una proposta (in attesa solo del via libera dall’ufficio di presidenza) che permetterebbe a 3 membri per ciascuno dei più stretti partner dell’Unione di partecipare al processo di stesura dei pareri dell’organo consultivo

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    Oliver Röpke (EESC): Stop the war. Protect workers. Save democracy

    The urgency of the situation in Ukraine, the plight of its people, their courageous and successful defence against a much more powerful enemy – all of this has shaken the foundations of what, until a few months ago, was often assumed the natural order of things in Europe.
    The war itself, on the very borders of the European Union, has reminded us that the world is still out there. The images and news we receive every day remind us of the brutality of war – one that is taking place on our very doorstep – including the recent finding of mass graves and signs of what could be war crimes. It has shaken the EU and has shown, once again, the real face of autocracies. Putin’s forces and rockets hit Kyiv and, even after their partial retreat and the Ukrainian counter-attack, the offensive rages on and civilians keep dying. Having discarded the blitzkrieg of the early days of the war, and after suffering heavy losses, Putin seems to have shifted to a targeted and more progressive attack, devastating each metre of conquered land. Using the massive superiority that Russia enjoys on conventional equipment, and particularly heavy weaponry, Putin keeps making gains, forcing thousands out of their homes and killing many more. The signs of war crimes and the sheer number of refugees suggest that this strategy will leave very few Ukrainians behind the lines to contest the current de facto annexation (including the issuing of Russian passports) of occupied Ukrainian territory. In the EU, the economic consequences are already hitting the most vulnerable people hard and the situation is only likely to worsen as the war lingers on.
    Fortunately, the response, after the initial hesitation, was united and clear: measures to punish Putin and his regime, solidarity with the millions of refugees fleeing the Russian invasion and clear support for the Ukrainian people. The Temporary Protection Directive was a key piece of this response. The first priority is to assist Ukraine and its refugees and host societies. Civil society has done, and will continue doing, an outstanding job, from channelling donations to providing shelter and helping those fleeing. The EESC Workers’ Group, together with the ETUC, condemn the Russian aggression and express solidarity with the people of Ukraine. We are constantly in contact with our Ukrainian counterparts, ensuring that as much help as possible arrives where it is most needed. It is now more important than ever to maintain our efforts and avoid normalising this situation and shifting our attention elsewhere. Continuous support by every means available is the only way to achieve peace, and Ukraine badly needs the resources to stop the invasion: as long as Putin considers a military victory likely, he will only sit at the negotiating table as a masquerade to regroup his troops.
    We must also remember that this war is the latest example of a long trend, from Chechnya and Georgia to Crimea. In case we needed any further reminders, Putin continuously shows us how Ukraine is just another step in a longer imperialist vision where entire parts of Europe should bow to his autocratic regime or be considered aggressors. It is foolish to think this time he will have had enough. Another side to this conflict is the war that Putin is waging against his own people: keeping them afraid and misinformed with propaganda, dividing them through polarisation, equating dissent with treason and directly eliminating those who dare to speak up.
    As with the pandemic, this invasion has found us unprepared, in this case with many countries lacking any diversification from Russian supplies of fossil fuels. This reckless dependency, damaging both the climate and our sovereignty, needs to end. Ukrainians will certainly bear the brunt of this, but others will not be immune. Sanctions and recession will hit Russia’s and the EU’s most vulnerable workers hard. Soaring energy prices, rampant inflation levels, rising costs for basic items – this is just the beginning. Meanwhile, a potential food shortage and starvation crisis is looming in many countries that can no longer count on Ukrainian exports.
    The EU and its Member States need to act, protecting our citizens’ living conditions, ensuring that speculation with energy prices does not force our families even further into energy poverty and our industries to collapse, and supporting the societies hosting millions of refugees. Moreover, long-term reforms are needed in an energy market that has clearly shown how dysfunctional it is and how directly any disturbance spills over to workers and other members of the public. The worsening conditions for Europeans should also serve as a cautionary tale, as autocratic leaders thrive on inequality and poverty. Democracy is threatened by people like Putin, who considers Ukraine his, some other countries also his, and seizes his neighbours’ resources under the cover of protecting certain ethnic identities. It is also under threat by political leaders within the EU who hope to build a similar model and who feed on rising inequality and poverty. The support for Ukraine’s EU candidate status is a strong positive sign: Europe must no longer be a chessboard for superpowers, but rather a united and peaceful Union striving for the freedom and wellbeing of its citizens. However, the candidate status is just the beginning of a long procedure, which is also an opportunity to set EU standards when rebuilding Ukraine after the war. This includes strengthening the autonomy of social partners and social democracy, fully respecting social rights and embedding in the country’s legislation all the rest of the acquis communautaire, ensuring full respect for the rule of law. Notwithstanding this candidate status, it must also be noted that the EU is not yet ready for a further major enlargement: rules are not fit for purpose; this much was clear in the recommendations made during the Conference on the Future of Europe. The European Union must speed up its reforms, making its decision-making procedures more democratic and straightforward and moving its mechanisms away from a system designed for only a few members to a system that can cope with the nearly 30 countries that might make up the EU in the near future.
    From our side, the Workers’ Group will continue to monitor the situation of people fleeing Ukraine as a consequence of the war, specifically the assistance they are receiving in their host countries and their integration into the EU labour market, with a view to implementing measures to avoid precarious employment and labour exploitation. Furthermore, we will continue to assist trade unions’ efforts to channel help towards Ukrainian workers and trade unions.
    Oliver Röpke, President of the Workers’ Group in the European Economic and Social Committee
    (Il testo in italiano seguirà a breve)

    The conflict itself, on the very borders of the European Union, has reminded us that the world is still out there