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    “Aumenti significativi” della Nato nella difesa collettiva in risposta a Trump: “Non minare la deterrenza”

    Bruxelles – Dopo la prima reazione sdegnata, la risposta della Nato alle minacce di Donald Trump di non voler difendere gli alleati che non spendono abbastanza nella difesa è tutta nei dati. “Oggi posso annunciare gli ultimi dati sugli investimenti nella difesa, da quando abbiamo preso l’impegno nel 2014 gli alleati europei e il Canada hanno investito più di 600 miliardi di dollari aggiuntivi“, ha reso noto il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, durante la conferenza stampa pre-ministeriale Difesa a Bruxelles: “La Nato è stata in grado di prevenire attacchi agli alleati per oltre 70 anni, e questo perché è sempre stato comunicato in ogni momento e in modo chiaro che siamo pronti a difenderci”, è l’avvertimento a chiunque diventerà il nuovo presidente degli Stati Uniti, ribandendo che “l’idea che un attacco a un alleato provocherà la risposta di tutta l’Alleanza è una deterrenza credibile“.

    Il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergUna deterrenza che – seguendo le parole di Stoltenberg – si traduce in un “aumento senza precedenti” degli investimenti in questo settore (lo scorso anno “pari all’11 per cento”) da parte dei Paesi membri dell’Alleanza, in attesa dei dati del 2024: “Quest’anno mi aspetto che 18 alleati spenderanno il 2 per cento del Pil nella difesa, nel 2014 erano solo 3“, ha anticipato il segretario generale della Nato. Per quanto riguarda più specificamente i 29 Paesi membri europei, sempre quest’anno sono previsti “380 miliardi di dollari spesi nella difesa“, che complessivamente parlando raggiungono “per la prima volta”” il famoso target del 2 per cento del Pil. Stoltenberg non ha fornito la lista degli alleati che si allineeranno all’obiettivo concordato nel 2014, ma ha esortato a continuare il lavoro: “Molti di loro hanno ancora strada da fare, perché a Vilnius [all’ultimo vertice Nato del 2023, ndr] abbiamo concordato che tutti dobbiamo farlo, e questa è la soglia minima“.Se i dati sono la maniera più concreta per rispondere alle minacce di Trump – secondo cui Washington potrebbe disinteressarsi da un’eventuale aggressione russa – Stoltenberg non ha evitato di approfondire il tema di fronte alle insistenti domande della stampa prima dell’inizio del vertice dei ministri della Difesa Nato in programma oggi (15 febbraio). “Non dobbiamo minare la deterrenza della Nato su cui stiamo investendo, anche nel modo in cui comunichiamo“, anche per “non lasciare spazio a Mosca per errori di calcolo e malintesi sulla nostra risolutezza nel difenderci”, ha spiegato il segretario generale dell’Alleanza: “Fino a quando saremo uniti dietro questo messaggio, preverremo attacchi a ogni alleato e manterremo la pace”, ma al contrario “ogni suggerimento che non ci proteggeremo, ci mette tutti a rischio“. Una questione di non secondaria importanza nemmeno per Washington: “Gli Stati Uniti non hanno mai combattuto una guerra da soli senza gli alleati Nato, dalla Corea all’Afghanistan, e l’unica volta in cui siamo ricorsi al’articolo 5 è stato per un attacco agli Stati Uniti“, non ha risparmiato una stoccata al membro più importante dell’Alleanza Stoltenberg, ricordando che “più sono preoccupati dalla Cina, più hanno bisogno di una Nato forte”.Le parole di Trump sulla NatoA scatenare il polverone di polemiche sono state le parole durissime di Trump contro gli altri 30 alleati della Nato, quando sabato (10 febbraio) nel corso di un comizio in South Carolina ha ricordato i suoi anni da presidente degli Stati Uniti: “Uno dei leader di un grosso Paese ha chiesto ‘Se non paghiamo e veniamo attaccati dalla Russia, ci proteggerete?’, e io ho risposto ‘Non avete pagato, non vi proteggeremo. Li incoraggerei [i russi, ndr] a farvi quello che diavolo vogliono”. Una prospettiva inquietante in vista di una eventuale ri-elezione di The Donald alla Casa Bianca e dello scetticismo dilagante dei repubblicani al Congresso nel fornire ulteriore sostegno militare e finanziario a Kiev, alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina dal 24 febbraio 2022 e dei rischi di una futura estensione del conflitto in Europa. È per questo che non si sono fatte attendere le reazioni dei leader delle istituzioni comunitarie e dei Paesi membri Ue.

    “L’Alleanza transatlantica ha sostenuto la sicurezza e la prosperità di americani, canadesi ed europei per 75 anni, le dichiarazioni avventate sulla sicurezza della Nato e sulla solidarietà dell’articolo 5 servono solo agli interessi di Putin, non portano maggiore sicurezza o pace al mondo”, è quanto messo in chiaro dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, che invoca allo stesso tempo “la necessità per l’Ue di sviluppare ulteriormente e con urgenza la propria autonomia strategica e di investire nella propria difesa”, mantenendo “forte la nostra Alleanza”. Anche il primo ministro belga e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Alexander De Croo, ha ribadito che “la nostra più grande risorsa di fronte a Putin è la nostra unità, e l’ultima cosa che dovremmo fare è comprometterla”. Secco il commento dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a quella che definisce “una sciocca idea” come “tante ne vedremo e sentiremo durante la campagna elettorale” statunitense: “La Nato non può essere un’alleanza militare à la carte, che dipende dall’umore del presidente degli Stati Uniti“, perché “o esiste o non esiste”. Il ministro della Difesa della Polonia, Władysław Kosiniak-Kamysz, ha avvertito che “nessuna campagna elettorale è una scusa per giocare con la sicurezza dell’Alleanza”, mentre il ministero degli Esteri della Germania ha pubblicato su X il motto “uno per tutti e tutti per uno”, ricordando che “la Nato tiene al sicuro più di 950 milioni di persone, da Anchorage a Erzurum”.

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    Lo sdegno di Bruxelles alle minacce di Trump sulla Nato: “Se gli alleati non si difendono, tutti a rischio”

    Bruxelles – La corsa per le presidenziali degli Stati Uniti ora inizia a preoccupare seriamente Bruxelles, e non solo l’Unione Europea. Con le ultime minacce dell’ex-presidente Donald Trump – in corsa per diventare il candidato repubblicano alle elezioni 2024 per la Casa Bianca – è tutta la Nato a ritrovarsi in un incubo che negli ultimi anni di presidenza democratica di Joe Biden sembrava essere ormai alle spalle. “Qualsiasi indicazione che gli alleati non si difenderanno a vicenda mina tutta la nostra sicurezza, compresa quella degli Stati Uniti, e mette i soldati americani ed europei a maggior rischio”, ha denunciato il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, rispondendo alle minacce di Trump secondo cui Washington non dovrebbe difendere da un’aggressione russa gli alleati che non spendono abbastanza per la difesa.

    Da sinistra: il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e l’ex-presidente degli Stati Uniti, Donald Trump (14 novembre 2019)Il punto di rottura si è registrato sabato (10 febbraio), quando nel corso di un comizio in South Carolina Trump ha usato parole durissime contro gli altri 30 alleati della Nato, ricordando i suoi anni da presidente degli Stati Uniti: “Uno dei leader di un grosso Paese ha chiesto ‘Se non paghiamo e veniamo attaccati dalla Russia, ci proteggerete?’, e io ho risposto ‘Non avete pagato, non vi proteggeremo. Li incoraggerei [i russi, ndr] a farvi quello che diavolo vogliono”. Una prospettiva inquietante in vista di una eventuale ri-elezione di The Donald alla Casa Bianca e dello scetticismo dilagante dei repubblicani al Congresso nel fornire ulteriore sostegno militare e finanziario a Kiev, alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina dal 24 febbraio 2022 e dei rischi di una futura estensione del conflitto in Europa. È per questo che non si sono fatte attendere le reazioni sdegnate non solo di Stoltenberg, ma anche dei leader delle istituzioni comunitarie e dei Paesi membri Ue, a pochi giorni dal vertice dei ministri della Difesa Nato in programma giovedì (15 febbraio) e dalla Conferenza sulla sicurezza di Monaco tra venerdì e domenica (16-18 febbraio) che vedrà questi temi sul tavolo delle discussioni.

    “L’Alleanza transatlantica ha sostenuto la sicurezza e la prosperità di americani, canadesi ed europei per 75 anni, le dichiarazioni avventate sulla sicurezza della Nato e sulla solidarietà dell’articolo 5 servono solo agli interessi di Putin, non portano maggiore sicurezza o pace al mondo”, è quanto messo in chiaro dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, che invoca allo stesso tempo “la necessità per l’Ue di sviluppare ulteriormente e con urgenza la propria autonomia strategica e di investire nella propria difesa”, mantenendo “forte la nostra Alleanza”. Anche il primo ministro belga e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Alexander De Croo, ha ribadito che “la nostra più grande risorsa di fronte a Putin è la nostra unità, e l’ultima cosa che dovremmo fare è comprometterla”. Secco il commento dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a quella che definisce “una sciocca idea” come “tante ne vedremo e sentiremo durante la campagna elettorale” statunitense: “La Nato non può essere un’alleanza militare à la carte, che dipende dall’umore del presidente degli Stati Uniti“, perché “o esiste o non esiste”. Il ministro della Difesa della Polonia, Władysław Kosiniak-Kamysz, ha avvertito che “nessuna campagna elettorale è una scusa per giocare con la sicurezza dell’Alleanza”, mentre il ministero degli Esteri della Germania ha pubblicato su X il motto “uno per tutti e tutti per uno”, ricordando che “la Nato tiene al sicuro più di 950 milioni di persone, da Anchorage a Erzurum”.“Mi aspetto che, indipendentemente da chi vincerà le elezioni presidenziali, gli Stati Uniti rimarranno un alleato della Nato forte e impegnato“, ha riassunto il segretario generale della Nato Stoltenberg: “Qualsiasi attacco all’Alleanza sarà affrontato con una risposta unita e decisa”. Al centro della questione ci sono due temi: gli investimenti nazionali nella difesa e l’articolo 5 della Nato. Nel 2014 gli alleati hanno concordato l’obiettivo di spendere almeno il 2 per cento del Pil nel settore della difesa e della sicurezza, anche se diversi Paesi membri dell’Alleanza (Italia compresa) non si sono ancora allineati a questo target. L’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico afferma che un attacco contro un alleato è un attacco contro ogni componente dell’Alleanza e che, di conseguenza, ognuno dei 31 Paesi Nato “assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata”. In altre parole si tratta di una clausola di mutua difesa collettiva, che può essere attivata (ma non necessariamente o in modo obbligatorio) nel caso di un’aggressione a un componente della Nato. “Se il mio avversario riuscirà a riconquistare il potere, sta dicendo chiaramente che abbandonerà i nostri alleati in caso di attacco da parte della Russia e permetterà a quest’ultima di ‘fare quello che diavolo vuole’ con loro”, è stato l’affondo dell’attuale presidente Usa e candidato democratico anche per il 2024, Joe Biden.

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    Crolla la resistenza dell’Ungheria di Orbán alla ratifica del protocollo di adesione della Svezia alla Nato

    Bruxelles – Non è durato nemmeno 24 ore l’ostruzionismo aperto del premier ungherese, Viktor Orbán, alla ratifica del protocollo di adesione della Svezia alla Nato, dopo lo sblocco dello stallo con il voto favorevole della Grande Assemblea Nazionale Turca arrivato nella serata di ieri (23 gennaio). Rimasta l’unico Paese membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord a non aver approvato in modo formale l’ingresso di Stoccolma come 32esimo membro dell’Alleanza Atlantica, l’Ungheria ha subito le pressioni degli altri alleati della Nato – incluso il segretario generale Jens Stoltenberg – e già oggi (24 gennaio) il premier Orbán ha reso noto che “alla prima occasione possibile” arriverà il voto dell’Assemblea Nazionale di Budapest per la ratifica del protocollo di adesione di Stoccolma.

    Da sinistra: il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson (credits: Jonathan Nackstrand / Afp)“Ho ribadito che il governo ungherese sostiene l’adesione della Svezia alla Nato, ho anche sottolineato che continueremo a sollecitare l’Assemblea nazionale ungherese a votare a favore dell’adesione della Svezia”, ha scritto il leader ungherese su X a seguito della telefonata con il segretario generale della Nato. Lo stesso Stoltenberg ha “accolto con favore il chiaro sostegno” di Orbán e del governo ungherese, esortando la ratifica del protocollo di adesione della Svezia “non appena il Parlamento tornerà a riunirsi”. La fine delle velleità di Orbán di tenere in ostaggio l’ingresso del nuovo membro nell’Alleanza è arrivata con il secco rifiuto del governo di Stoccolma a partecipare a un incontro a Budapest per “negoziare l’adesione della Svezia alla Nato“, come recitava l’invito recapitato ieri dal primo ministro Orbán all’omologo svedese, Ulf Kristersson.Mentre nell’ultimo anno e mezzo l’attenzione era tutta rivolta ad Ankara e alle minacce esplicite del presidente Recep Tayyip Erdoǧan di bloccare il processo in caso di non rispetto delle condizioni richieste, a Budapest il dossier della ratifica del protocollo di adesione della Svezia alla Nato non è mai avanzato soprattutto per il contrasto diplomatico tra i due Paesi membri Ue. Proprio durante il semestre di presidenza svedese del Consiglio dell’Ue (tra gennaio e luglio 2023), il premier Kristersson è stato particolarmente duro nelle sue critiche all’erosione dello Stato di diritto determinato dal governo Orbán e tutt’ora è uno dei leader più intransigenti sui ricatti del premier ungherese al tavolo del Consiglio Europeo (in particolare sulle questioni dei fondi Ue e del sostegno all’Ucraina).I passi della Svezia per entrare nella NatoPer diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.

    La procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

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    La Turchia pronta a ratificare il protocollo di adesione Nato della Svezia. Ma manca ancora l’Ungheria

    Bruxelles – Si sta per chiudere uno dei capitoli più spinosi degli ultimi due anni all’interno della Nato: lo stallo turco sulla ratifica del protocollo di adesione della Svezia all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, ma un altro rischia di diventare ancora più imbarazzante. Mentre la Grande Assemblea Nazionale Turca è pronta a ratificare in settimana (tra oggi e giovedì) il protocollo di adesione di Stoccolma sei mesi dopo l’intesa decisiva tra i leader dei due Paesi al vertice Nato di Vilnius, il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, ha reso noto di aver invitato il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, a Budapest per “negoziare l’adesione della Svezia alla Nato“.

    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, a Vilnius (10 luglio 2023)Quello turco sembrava l’ostacolo più arduo da superare per le aspirazioni della Svezia di diventare il 32esimo membro dell’Alleanza Atlantica, considerato il continuo rinvio imposto dal presidente Recep Tayyip Erdoǧan per una serie di criteri a suo avviso non rispettati secondo il memorandum d’intesa firmato alla vigilia del vertice di Madrid del 2022. Tra queste in particolare le richieste di estradare i membri del movimento politico-militare curdo del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan). La posizione irremovibile del leader turco ha portato al punto più basso dei rapporti con gli altri alleati in occasione del via libera alla richiesta della Finlandia, quando è stato invece ribadito lo stop a Stoccolma: in questo modo è sfumato l’ingresso congiunto dei due Paesi scandinavi nell’Alleanza Atlantica nello stesso giorno (il 4 aprile 2023). Appena prima dell’inizio del vertice di Vilnius nel luglio dello scorso anno – e dopo aver minacciato di voler legare il percorso di allargamento della Nato a quello di adesione della Turchia all’Unione Europea – lo stesso Erdoǧan ha dato il via libera all’ingresso della Svezia in un trilaterale risolutorio con il premier Kristersson e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. A distanza di sei mesi il Parlamento turco è pronto a rispettare l’impegno di ratificare il protocollo di adesione di Stoccolma, mettendo fine al suo ostruzionismo.

    Il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán (credits: Javier Soriano / Afp)Ma ora tutti gli occhi sono puntati sull’Ungheria di Orbán, che si sta distinguendo in senso negativo a Bruxelles per i suoi continui ricatti non solo all’interno dell’Unione Europea (in particolare sulle questioni dei fondi Ue e del sostegno all’Ucraina) ma anche della Nato. Mentre l’attenzione era tutta rivolta ad Ankara e alle minacce esplicite di Erdoǧan di bloccare il processo in caso di non rispetto delle condizioni richieste, a Budapest il dossier della ratifica del protocollo di adesione della Svezia alla Nato non è mai avanzato soprattutto per il contrasto diplomatico tra i due Paesi membri Ue. Proprio durante il semestre di presidenza svedese del Consiglio dell’Ue (tra gennaio e luglio 2023), il premier Kristersson è stato particolarmente duro nelle sue critiche all’erosione dello Stato di diritto determinato dal governo Orbán e tutt’ora è uno dei leader più intransigenti sui ricatti del premier ungherese al tavolo del Consiglio Europeo. Il messaggio di Orbán sul “negoziare l’adesione della Svezia alla Nato” è anche un chiaro segnale di subordinazione del Parlamento ungherese alle decisioni del premier (così come successo in Turchia), considerato anche il fatto che a oggi non è in agenda un voto per la ratifica del protocollo di adesione di Stoccolma.I passi della Svezia per entrare nella NatoPer diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.

    La procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

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    UE e NATO ora preoccupati: “Dobbiamo essere pronti a un attacco della Russia”

    Bruxelles – La Russia minaccia sempre più reale e probabile, in grado di tramutarsi in un vero e proprio attacco alla NATO. In Europa iniziano a farsi ricorrenti gli allarmi e gli avvertimenti di possibili se non addirittura probabili aggressioni russe. Non da ultima quella del ministro delle difesa tedesco, Boris Pistorius, che considera lo scenario possa verificarsi tra 5-8 anni. Per la prima ministra dell’Estonia, Kaja Kallas, invece, potrebbe materializzarsi anche prima, nel giro di tre anni. Tre anni, esattamente quanto sostenuto da Eirik Kristoffersen, ministro della difesa della Norvegia.Una preoccupazione tutta interno ai membri UE della NATO, che plana prepotentemente sui tavoli di confronto, e non solo quelli politici. Perché l’ammiraglio Rob Bauer, capo del consiglio militare della NATO, ha messo in chiaro al termine dell’ultima riunione dell’organismo, giovedì scorso (18 gennaio), che “consideriamo la Russia una minaccia, e dobbiamo essere pronti per un attacco“. In questo contesto serve “un’industria che produca armi e munizioni più velocemente” rispetto a capacità e ritmi avuti prima dell’invasione dell’Ucraina.Dichiarazioni figlie di un mutato contesto, che vede la guerra allungarsi senza che se ne riesca ad immaginare il momento della fine, e la necessità che i Paesi dell’Unione tengano fede alle loro promesse ad esempio sulle munizioni all’Ucraina. Il sospetto che si voglia alzare la tensione per accelerare la produzione militare, come in realtà Bauer dice in maniera esplicita, c’è.Kallas vorrebbe sostituire Jens Stoltenberg alla guida dell’Alleanza atlantica e l’Estonia è attaccata alla Russia, dalla quale si sente da sempre minacciata, dunque è possibile che la premier sia guidata un po’ da preoccupazioni difensive e un po’ dalla volontà ri rinforzarsi come candidata alla Nato. D’altra parte è vero che dalla Russia ci sono continue azioni di disturbo sui confini estoni e finlandesi, ad esempio spingendovi dei migranti e molte sono anche le azioni realizzate con attacchi cibernetici.Il capo del comitato militare della Nato, nella stessa conferenza stampa, ha anche affermato che “non cerchiamo la guerra, ma dobbiamo essere pronti per la guerra“. Affermazione comprensibile. Eppure, a rileggere il discorso di Monaco pronunciato dal presidente russo Vladimir Putin alla conferenza sulla sicurezza globale del 2007, sembra che Europa e occidente abbiano colpevolmente ignorato le minacce di una Russia che chiedeva più meno NATO vicina ai suoi confini, annunciando passo passo le cose che poi ha fatto. Putin non ha mai fatto mistero di voler riprendere gli spazi di quello che fu l’impero russo e molti dei Paesi oggi confinanti ne erano parte.Dopo il discorso di Monaco del 2007 l’UE ha intensificato rapporti con Georgia, Ucraina, Kazakistan. La risposta russa, più o meno diretta, è stata l’intervento a fianco degli indipendentisti dell’Ossezia del sud, in chiave anti-georgiana (2008), l’annessione della Crimea (2014), l’aiuto militare per sedare proteste di piazza in Kazakistan, su richiesta del presidente kazako (gennaio 2022, poco prima dell’avvio delle operazioni in Ucraina). Tutti modi per ribadire che Mosca ha scelto una sua sfera d’influenza, sulla quali non vuole intromissioni. Neanche da parte dei governi legittimi di quei Paesi.La destabilizzazione è un’altra arma che Mosca ha usato spesso, armando e favorendo forze secessioniste quando ce ne sono, o esaltando fenomeni, esecrabili ma piccoli, come i partiti che si richiamano direttamente al nazismo o al fascismo indicando dunque quei Paesi come pericolosi.Di recente un drone russo è precipitato in Romania, ma si è deciso di tenere un profilo basso, di evitare di poter dare pretesti per un acuirsi del confronto.Non preoccuparsi di cosa potrebbe fare la Russia dunque, visti i precedenti, sarebbe, secondo molti osservatori “da sconsiderati”. Non c’è bisogno di invadere militarmente l’Estonia per creare un problema alla Nato, ci sono molte altre azioni che possono essere compiute, e che Mosca ha compiuto che possono essere viste come un attacco all’Alleanza, che difficilmente può essere un’invasione con i carri armati, anche perché la Russia si rende conto che un’azione del genere creerebbe una situazione di debolezza per il Cremlino. Almeno finché non arriva magari un Trump che negozia una sua pace con Mosca e abbandona la Nato e l’Europa a sé stesse.

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    Nato e Ucraina a colloquio dopo l’intensificarsi degli attacchi russi. Kiev: “Più armi per la difesa aerea”

    Bruxelles – Nato e Ucraina cercano di serrare le fila in uno dei momenti più difficili dopo l’inizio dell’invasione russa del Paese. Mentre Kiev affronta le conseguenze del più vasto bombardamento da quando l’esercito russo ha dato il via all’invasione del Paese quasi due anni fa, a Bruxelles si è riunito oggi pomeriggio (10 gennaio) in via straordinaria il Consiglio Nato-Ucraina a livello di di ambasciatori per discutere del rafforzamento della difesa aerea ucraina contro i bombardamenti missilistici e con droni. La richiesta del governo ucraino ai partner è quella di aumentare l’invio di armi, mettendo pressione alle capitali europee per incrementare il supporto alla difesa contro nuovi attacchi russi nel corso dell’inverno.Da sinistra: il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, e il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba (29 novembre 2023)La riunione del Consiglio ad hoc convocata dal segretario generale della Nato, Jens Stoltonberg, è stata richiesta proprio dall’Ucraina, a seguito del recente attacco con 158 tra missili nordcoreani e droni Shahed di fabbricazione iraniana per colpire tutte le maggiori città del Paese, da Kiev a Leopoli, da Odessa a Kharkiv. Dei 158 droni e missili lanciati la mattina del 29 dicembre, 114 sono stati abbattuti dalla contraerea ucraina ma i restanti 44 hanno colpito edifici civili e ucciso oltre 30 persone. Ecco perché sul tavolo degli ambasciatori non poteva non essere centrale il dossier sul rafforzamento delle difese aeree di Kiev, nonostante i 31 alleati abbiano già fornito “quantità significative” di sistemi antiaerei, ha sottolineato il portavoce della Nato, Dylan White. “Ci aspettiamo che si accelerino le decisioni sull’ulteriore rafforzamento delle capacità di difesa aerea sia in termini di sistemi moderni sia di munizioni”, è stata l’esortazione del ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, parlando con Politico.(credits: Nikolay Doychinov / Afp)Solo due giorni fa il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, aveva esortato gli altri partner europei a fornire maggiori aiuti militari all’Ucraina, anche.se Berlino ancora non ha dato il via libera all’invio dei tanto richiesti missili da crociera Taurus. La Germania è diventata il secondo Paese donatore di armi al mondo dopo gli Stati Uniti e da questa posizione sta cercando di trainare gli altri 26 governi per un impegno più deciso. “Maggiore è il successo della difesa aerea ucraina, minore è la probabilità che un missile o un drone russo voli accidentalmente nello spazio aereo della Nato”, ha aggiunto Kuleba, facendo riferimento all’attraversamento dello spazio aereo polacco di un missile russo diretto in Ucraina, così come riportato da Varsavia a fine dicembre. Nel frattempo dall’Italia è arrivato un nuovo via libera proprio all’invio di una nuova tranche di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari, grazie all’approvazione da parte del Parlamento della risoluzione che impegna il governo a proseguire con il sostegno a Kiev “in linea con gli impegni assunti e con quanto sarà ulteriormente concordato in ambito Ue e Nato”. Compatta la maggioranza, favorevoli anche +Europa, Italia Viva e Azione, astensione del Partito Democratico, contrari Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra.

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    Un altro inverno di guerra alle porte dell’Ucraina. La Nato non sottovaluta la Russia, “ma dipende da Iran e Corea del Nord”

    Bruxelles – Dopo il confronto serrato sullo scenario di guerra a Gaza, le discussioni dei 31 ministri degli Esteri della Nato si sono spostate oggi (29 novembre) sull’altro versante di guerra caldo. “L’Ucraina ha prevalso ed è progredita come nazione sovrana, indipendente e democratica, mentre la Russia ha subito una regressione e ora è più debole politicamente, militarmente ed economicamente“, è il riassunto fornito dal segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, nel corso della conferenza stampa che ha chiuso la due-giorni di vertice ministeriale.Il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg“L’Ucraina ha riconquistato il 50 per cento del territorio originario, nel Mar Nero ha respinto la flotta russa e stabilito rotte per le esportazioni di grano, rafforzando la sicurezza alimentare globale”, è il punto dei successi militari di Kiev in un anno e mezzo di guerra. Al contempo vanno sottolineate le difficoltà di Mosca. “Militarmente la Russia ha perso una parte sostanziale delle sue forze convenzionali“, vale a dire “centinaia di aerei, migliaia di carri armati e più di 300 mila soldati”, ha fatto notare Stoltenberg, ricordando inoltre la pressione economica: “I ricavi del petrolio e del gas stanno diminuendo, gli asset bancari sono soggetti a sanzioni, oltre mille aziende straniere hanno interrotto o ridotto le proprie attività nel Paese e l’anno scorso 1,3 milioni di persone hanno lasciato la Russia”. Sul piano politico “la Russia sta perdendo influenza nei Paesi vicini, anche nel Caucaso e in Asia Centrale” e il Paese è sempre più dipendente dalla Cina e non solo.(credits: Anatolii Stepanov / Afp)È proprio su questo punto che il segretario generale della Nato si è soffermato maggiormente, riferendosi alla Russia come un Paese che “ha ipotecato il suo futuro alla Cina anno dopo anno“. Lo sta facendo per il “finanziamento delle materie prime e anche di materie prime chiave per l’industria della difesa” – una dimostrazione che “è diventata sempre più debole” come risultato dell’invasione dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022 – quanto in precedenza “l’Europa era il mercato principale e più importante, non ultimo per il gas naturale”. A questo si aggiunge il fatto che per continuare la propria guerra il Cremlino è “sempre più dipendente da Paesi come Iran e Corea del Nord per la fornitura di armi“, come dimostrato dal “notevole sostegno” di quest’ultima sia per l’invio di munizioni sia per il lavoro “a stretto contatto” che ha portato anche al lancio di un satellite militare.Da sinistra: il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, e il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba (29 novembre 2023)Di qui però scaturisce una riflessione in seno all’Alleanza Atlantica. “La Russia ha accumulato una grande riserva missilistica in vista dell’inverno“, è l’avvertimento lanciato dal segretario generale Stoltenberg, che invita a “non sottostimare” le forze di Mosca: “L’economia russa è sul piede di guerra e Vladimir Putin ha un’alta tolleranza per le vittime”. Ecco perché sia l’Ucraina sia gli alleati si stanno preparando a un nuovo inverno di guerra alle porte, con “nuovi attacchi aerei e missilistici”. Gli obiettivi russi in Ucraina “non sono cambiati” e lo dimostra proprio l’accumulo della riserva missilistica dell’esercito invasore: “Assistiamo a nuovi tentativi di colpire la rete elettrica e le infrastrutture energetiche, per lasciare gli ucraini al buio e al freddo”. Il supporto dell’Alleanza Atlantica sarà portato avanti con “8 miliardi di euro dalla Germania, 2 miliardi e mezzo dai Paesi Bassi, una coalizione per la difesa aerea formata da 20 alleati e un centro di addestramento per i piloti F-16 in Romania”. Perché, secondo Stoltenberg, “è anche nel nostro interesse in termini di sicurezza che l’Ucraina prevalga“.E infine c’è la spinosa questione dell’adesione dell’Ucraina alla Nato. “Abbiamo discusso il percorso, gli alleati concordano che diventerà un membro” dell’Alleanza, ha ricordato Stoltenberg, che ha reso noto il fatto che durante il primo Consiglio Nato-Ucraina in formato ministeriale Esteri sono state fornite le raccomandazioni “sulle riforme prioritarie” da mettere in campo, “compresa la lotta alla corruzione, il rafforzamento dello Stato di diritto e il sostegno dei diritti umani e delle minoranze”. Se è vero che l’adesione di Kiev “è più vicina che mai”, c’è da fare i conti con una guerra che non accenna a finire e per questo dal quartier generale della Nato a Bruxelles c’è “unanime sostegno alla lotta dell’Ucraina per la libertà”.
    Si chiude il vertice del ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord con un confronto in sede di Consiglio Nato-Ucraina sui rischi della “grande riserva missilistica” accumulata da Mosca. Che però con l’invasione “ha ipotecato il suo futuro alla Cina”

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    Una Nato “preoccupata” per l’escalation in Medio Oriente accoglie la tregua temporanea a Gaza e avverte l’Iran

    Bruxelles – Per la prima volta dallo scoppio delle ostilità tra Israele e Hamas, i ministri degli Esteri della Nato hanno fatto il punto della situazione a Gaza e più in generale nel contesto della regione, considerate le “preoccupazioni per l’escalation di tensione in Medio Oriente” dei 31 Paesi membri. Così ha riassunto lo stato delle discussioni del vertice ministeriale a Bruxelles il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, parlando alla stampa al termine della prima giornata di lavori (28 novembre): “È essenziale che quello in corso non si trasformi in un conflitto regionale più grande”.Il vertice dei ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, 28 novembre 2023 (credits: Nato)“Gli alleati accolgono con favore l’estensione delle pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi“, sono state le parole di speranza di Stoltenberg, dopo il via libera delle due parti in guerra al proseguo della tregua temporanea nella Striscia di Gaza in atto da quasi una settimana consecutiva: “C’è sollievo per la popolazione civile e anche per il fatto che gli aiuti umanitari possano essere consegnati, auspichiamo ulteriori proroghe“. Le notizie positive finiscono qui, anche perché il segretario generale della Nato ha un’idea precisa sull’origine di potenziali ulteriori minacce nel prossimo futuro: “L’Iran non deve complicare la crisi in Medio Oriente e deve tenere a freno i suoi delegati“, ovvero Hamas (in Palestina) e Hezbollah (in Libano).In ogni caso, come fatto notare dallo stesso Stoltenberg di fronte alle domande pressanti dei giornalisti internazionali, “è importante riconoscere che la Nato come alleanza non svolge un ruolo attivo nel conflitto israelo-palestinese“. È vero che alcuni dei 31 alleati sono attivi “in modi diversi” e soprattutto su fronti diversi – come Stati Uniti e Turchia – ma strettamente parlando di Alleanza Atlantica non si può affermare che ci sia un coinvolgimento diretto. Le preoccupazioni sorgono soprattutto per il fatto che esiste una presenza di ormai lunga data della Nato “nella più ampia regione del Medio Oriente“: attualmente è in corso una missione di addestramento in Iraq per aiutare l’esercito nazionale a combattere l’Isis, una “stretta collaborazione” con diversi Stati arabi del Golfo, del Nord Africa e del Medio Oriente, “inclusa un partenariato con la Giordania, dove svolgiamo alcune attività di rafforzamento delle capacità di difesa”, ha precisato Stoltenberg. Ecco perché una polveriera in Palestina non può lasciare l’Alleanza Atlantica indifferente.Il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg (credits: Nato)Eppure le discussioni tra i 31 ministri hanno anche riguardato il modo in cui Israele sta conducendo la guerra contro Hamas. “Il diritto internazionale e il diritto umanitario devono essere rispettati in tutte le guerre e la vita dei civili deve essere sempre tutelata ovunque nel mondo, a prescindere dal tipo di conflitto e dei rapporti con gli alleati”, ha messo in chiaro il segretario generale dell’Alleanza Atlantica. Interrogato a proposito del rapporto tra la situazione a Gaza e quella in Ucraina – altro tema caldo sul tavolo dei ministri – lo stesso Stoltenberg ha voluto sottolineare che “è diversa in molti modi, l’Ucraina non ha mai né provocato né attaccato la Russia, l’invasione russa non è stata provocata” da Kiev ed è stata “su larga scala contro un altro Paese” sovrano e indipendente. Ecco perché, passando ad analizzare anche il ruolo di supporto armato e operativo della Nato a Kiev, “gli ucraini hanno diritto di difendersi contro un attacco non provocato e per mantenere la propria integrità territoriale”, ha precisato Stoltenberg. “Sostenere l’Ucraina è qualcosa su cui tutti gli alleati concordano, non solo perché il diritto all’autodifesa è garantito dalla Carta delle Nazioni Unite”, ma anche per il fatto che “il diritto umanitario internazionale si applica in tutti gli scenari e noi abbiamo il dovere di proteggerlo”.
    Al vertice del ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord sono state accolte con favore “l’estensione delle pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi”. Il segretario generale, Jens Stoltenberg a Teheran: “Tenga a freno i suoi delegati” Hamas ed Hezbollah