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    Le province separatiste dell’Ucraina indicono referendum per farsi annettere dalla Russia. L’Ue: “Illegali, nulli e invalidi”

    Bruxelles – Ora la guerra di resistenza contro Mosca potrebbe assumere un nuovo significato per Kiev. Non più solo una controffensiva per riconquistare i territori sottratti dall’esercito russo dall’inizio dell’invasione lo scorso 24 febbraio, ma soprattutto un recupero delle province separatiste annesse alla Russia. Non si parla più esclusivamente della Crimea – da cui tutto è iniziato nel 2014 – perché la novità sono ora i referendum che saranno organizzati tra il 23 e il 27 settembre nelle autoproclamate Repubbliche separatiste filo-russe di Donetsk e Luhansk (nel sud-est dell’Ucraina) per l’annessione alla Russia. Si tratta proprio di quei territori che Putin aveva riconosciuto come entità indipendenti il 21 febbraio, pochi giorni prima di iniziare l’offensiva militare su larga scala che dura ormai da sette mesi.
    La sfida alle autorità di Kiev non si ferma qui. Perché nei prossimi giorni è attesa la stessa decisione sui referendum di annessione alla Russia da parte dei separatisti delle regioni di Kherson, Kharkiv e Zaporizhzhia, con implicazioni cruciali per il proseguo della guerra di Putin in Ucraina. Per comprenderne la portata basta considerare le parole del vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, che ha affermato che “i referendum nel Donbass sono di grande importanza non solo per la protezione sistemica dei residenti” delle Repubbliche separatiste  e “degli altri territori liberati”, ma anche “per il ripristino della giustizia storica”. Il fatto che questo voto “cambierebbe completamente il vettore dello sviluppo della Russia per decenni” non è solo una questione di proclami altisonanti, ma ha una conseguenza tangibile: “Dopo aver incorporato nuovi territori alla Russia, la trasformazione geopolitica nel mondo diventerà irreversibile”, ha aggiunto Medvedev, minacciando l’Ucraina e l’Occidente che “l’invasione del territorio della Russia è un crimine, la cui commissione consente l’uso di tutte le forze di autodifesa“.
    Dichiarazioni che arrivano non solo mentre la controffensiva dell’esercito ucraino sta obbligando la Russia a ritirarsi dall’Oblast di Kharkiv, ma anche in concomitanza della mobilitazione parziale dichiarata da Putin, con il richiamo alle armi dei militari della riserva, e degli emendamenti al Codice Penale russo per il rafforzamento delle pene in caso di “mobilitazione”, “legge marziale”, “tempo di guerra” e “conflitto armato” (la renitenza alla leva sarà punita con una pena fino a dieci anni di reclusione). Si aggiunge poi la minaccia di ricorrere a “ogni mezzo necessario per la difesa della Russia”, compresa l’arma nucleare. Tutti segnali che evidenzierebbero il livello di grave difficoltà dell’autocrate russo nel condurre una guerra che sta diventando sempre più un fallimento su quasi tutta la linea, come sostiene Kiev, ma anche Bruxelles: “Queste decisioni dimostrano la disperazione di Putin e la mancanza di volontà a cercare la pace, vuole solo continuare la sua guerra distruttiva”, ha sottolineato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, nel corso del punto quotidiano con la stampa europea.
    L’autocrate russo, Vladimir Putin, al momento della firma della dichiarazione di riconoscimento d’indipendenza delle autoproclamate Repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk (21 febbraio 2022)
    La condanna delle istituzioni comunitarie si estende anche ai referendum delle autoproclamate Repubbliche separatiste in Ucraina per l’annessione alla Russia. “L’Unione Europea condanna fermamente questi referendum illegali pianificati che vanno contro le autorità ucraine legalmente e democraticamente elette”, è la condanna dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “I risultati di tali azioni saranno nulli e non saranno riconosciuti dall’Ue e dai suoi Stati membri”. Il voto non può essere considerato “in nessun caso” una libera espressione della volontà popolare in queste regioni, per diverse ragioni: la fuga di una “parte significativa della popolazione” dopo l’invasione dell’esercito del Cremlino, la “costante minaccia e intimidazione militare russa”, la “sostituzione con la forza” di funzionari locali e la libertà di espressione “fortemente limitata”. Dal momento in cui Mosca intende modificare con la forza i confini dell’Ucraina, “in chiara violazione della Carta delle Nazioni Unite”, la Russia, la sua leadership politica e tutti i soggetti coinvolti nello svolgimento dei referendum di annessione “saranno ritenuti responsabili”, mentre a Bruxelles saranno prese in considerazione “ulteriori misure restrittive”, ha annunciato Borrell.

    The EU strongly condemns the illegal “referenda” in Luhansk, Kherson & Donetsk, which are in violation of Ukraine’s independence, sovereignty and territorial integrity, and in blatant breach of international law. Results of such actions will be null & void https://t.co/kqOwZYrXwG
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) September 20, 2022

    L’incognita balcanica
    Come se la situazione non fosse sufficientemente calda, dalla Bosnia ed Erzegovina arrivano dichiarazioni incendiarie del membro serbo della presidenza tripartita, Milorad Dodik, a proposito della guerra russa in Ucraina e del parallelismo con la Republika Srpska (una delle due entità in cui è diviso il Paese balcanico, a maggioranza serba). “A 15 milioni di russi in Ucraina le autorità hanno negato il diritto alla propria lingua, ecco perché l’operazione speciale della Russia è giustificata dalla necessità di proteggere il suo popolo“, ha ribadito in un’intervista all’agenzia di stampa russa Tass il suo non-allineamento alla posizione del resto dell’Europa. Nemmeno il presidente serbo, Aleksandar Vučić, che rivendica una posizione di neutralità tra Mosca e l’Occidente e in questo modo giustifica la sua contrarietà alle sanzioni contro la Russia, si è mai spinto a tanto. È proprio alla Serbia che Dodik guarda con speranza, illustrando le similitudini con il Donbass ucraino: “Qui è la stessa cosa, non possiamo condividere le stesse scuole e gli stessi libri di testo con i musulmani“, ha attaccato, con riferimento ai tentativi di secessionismo che sta portando avanti nella Republika Srpska. La volontà del leader serbo-bosniaco, a meno di due settimane dalle elezioni politiche nel Paese, è quella di incontrare personalmente Putin, per confrontarsi su “progetti energetici concreti e del comportamento dell’Occidente”, ha anticipato alla Tass.
    Il membro serbo della presidenza tripartita di Bosnia, Milorad Dodik
    È anche per il rischio di un’escalation della tensione e della destabilizzazione russa nella regione dei Balcani Occidentali che Bruxelles non può permettersi di allentare il rapporto anche con i Paesi più irrequieti. Non a caso l’alto rappresentante Borrell ha incontrato ieri (martedì 20 settembre) i sei leader balcanici per un pranzo informale a New York, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dopo aver ripreso la tradizione delle cene informali a Bruxelles nel maggio dello scorso anno. Come si legge in una nota del Seae, la discussione “si è concentrata sull’impatto globale e regionale della guerra illegale” della Russia in Ucraina, in particolare “sui prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia e sulla stabilità e sicurezza in Europa e nel mondo”. Al pranzo erano presenti il premier montenegrino, Dritan Abazović, gli omologhi albanese, Edi Rama, e macedone, Dimitar Kovačevski, e i presidenti della Serbia, Aleksandar Vučić, del Kosovo, Vjosa Osmani, e della Bosnia ed Erzegovina, Šefik Džaferović (membro bosgnacco della presidenza tripartita). Proprio a sottolineare quanto l’Ue sia un partner irrinunciabile per i Balcani Occidentali, Borrell ha sottolineato il sostegno di Bruxelles per “rafforzare la sicurezza energetica e affrontare le minacce ibride“, comprese l’interferenza informatica e delle informazioni straniere, come ha dimostrato il recente caso di attacco hacker iraniano contro le istituzioni dell’Albania.

    We are living in difficult times. With the #WesternBalkans – our closest partners & future EU members – we will keep joining forces even more to respond to the challenges we all meet as consequences of Russia’s aggression against Ukraine.https://t.co/HTwZsoocJm pic.twitter.com/hffBv5eL9L
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) September 20, 2022

    Sull’esempio della Crimea nel 2014, le province occupate di Donetsk e Luhansk hanno indetto una consultazione popolare tra il 23 e il 27 settembre e presto potrebbe arrivare la stessa decisione a Kharkiv, Kherson e Zaporizhzhia. Intanto Putin annuncia la mobilitazione parziale alle armi

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    La carta dei principi per pace e stabilità in Bosnia ed Erzegovina: i leader del Paese siglano l’accordo di Bruxelles

    Bruxelles – Non si ferma l’iniziativa dell’Unione Europea nei Balcani Occidentali, in particolare quella del presidente del Consiglio UE, Charles Michel. Dopo essere volato a Sarajevo, Tirana e Belgrado tre settimane fa per cercare di spingere la proposta di una comunità geopolitica europea e di una riforma del processo di adesione all’UE, il numero uno del Consiglio si è fatto artefice ieri (domenica 12 giugno) dell’accordo di Bruxelles tra i leader dei partiti e delle istituzioni della Bosnia ed Erzegovina, per far uscire il Paese dalla crisi politico-istituzionale che rischia di avere ripercussioni in tutta la regione balcanica.
    L’incontro tra il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, e l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, con i leader dei partiti e delle istituzioni della Bosnia ed Erzegovina (12 giugno 2022)
    L’accordo politico patrocinato anche dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, è stato il frutto della riunione svoltasi nella sede del Consiglio con 11 leader della Bosnia ed Erzegovina, tra cui i membri della presidenza tripartita Željko Komšić (croato-bosniaco), Šefik Džaferović (bosniaco musulmano) e Milorad Dodik (servo-bosniaco). Proprio all’indirizzo di quest’ultimo sembra indirizzato il monito di “preservare e costruire uno Stato europeo funzionale pacifico, stabile, sovrano e indipendente“, che rispetti non solo gli Accordi di Dayton (siglati il 21 novembre del 1995 per mettere fine alla guerra in Bosnia e sancire la nascita di uno Stato composto dalle tre più consistenti componenti etniche del Paese), ma anche i principi fondanti dell’UE, come lo Stato di diritto, le elezioni libere e le istituzioni democratiche.
    In linea con le 14 priorità-chiave delineate dalla Commissione Europea per l’avvicinamento della Bosnia al conferimento dello status di Paese candidato all’adesione UE, l’accordo di Bruxelles ha definito 19 punti su cui è necessario un impegno da parte di tutti i leader partitici e politici in entrambe le entità territoriali (la Republika Srpska e la Federazione di Bosnia ed Erzegovina), per “rafforzare la fiducia, il dialogo, la costruzione di compromessi”. In questo senso va letto lo sforzo per organizzare in modo “efficiente e ordinato” le elezioni generali previste per l’autunno di quest’anno – il che significa anche una campagna elettorale “priva di retorica divisiva e di odio” – e per la successiva “rapida formazione” delle nuove autorità legislative ed esecutive a tutti i livelli di governo. Subito dopo dovrà essere intrapreso il “costruttivo” percorso di riforme, che in sei mesi dovrà adottare “con urgenza” la legge sul Consiglio superiore della magistratura, della procura e dei tribunali, la legge sulla prevenzione del conflitto di interessi e sugli appalti pubblici, oltre alle riforme elettorali e costituzionali necessarie per garantire la piena conformità con le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e alle misure necessarie perché Sarajevo possa beneficiare dei fondi UE nell’ambito dello Strumento di assistenza preadesione (IPA III).
    A proposito di riforme, i leader bosniaci dovranno garantire il pieno funzionamento delle istituzioni statali, a partire dai settori in cui le competenze sono condivise (e per cui proprio il secessionismo di Dodik sta minacciando la tenuta del tessuto sociale e istituzionale dall’autunno dello scorso anno). Per il rafforzamento dello Stato, è necessario un rafforzamento della prevenzione e della lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata – anche garantendo che le forze dell’ordine e la magistratura possano operare in modo indipendente – e un miglioramento del funzionamento della pubblica amministrazione. Nell’accordo di Bruxelles compare anche il riferimento all’estensione del mandato esecutivo dell’EUFOR Althea “per mantenere un ambiente sicuro e protetto”, considerate soprattutto le minacce di destabilizzazione della Russia in Bosnia ed Erzegovina in particolare e nella penisola balcanica in generale. Un richiamo non solo interno al Paese, ma anche di allineamento alla politica estera e di sicurezza comune dell’UE, visto che la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese balcanico, insieme alla Serbia, a non aver adottato le sanzioni internazionali contro Mosca dopo l’aggressione militare dell’Ucraina.

    L’intesa politica in 19 punti voluta da Charles Michel e Josep Borrell impegna tutti i partiti nazionali a preservare uno Stato “pacifico, stabile, sovrano e indipendente”, in linea con le 14 priorità-chiave dell’Unione Europea su Stato di diritto, elezioni libere e istituzioni democratiche

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    L’UE contro il tentativo della Republika Srpska di separarsi dalla Bosnia ed Erzegovina

    Bruxelles – Con le sanzioni UE che ancora latitano, la Republika Srpska tira dritto nel suo progetto secessionista dalle istituzioni centrali della Bosnia ed Erzegovina. Ieri (giovedì 10 febbraio) l’Assemblea nazionale dell’entità serba di Bosnia ha votato a favore di una legge che istituisce un Consiglio superiore della magistratura (HJPC) separato rispetto a quello del resto del Paese, un evidente tentativo di assumere unilateralmente le responsabilità costituzionali dello Stato.
    La tabella di marcia – che prevede di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario – era stata approvata il 10 dicembre dello scorso anno, dopo due mesi di grandi polemiche internazionali sul secessionismo voluto dal membro serbo-bosniaco della Presidenza tripartita, Milorad Dodik, e sponsorizzato dalla Russia di Vladimir Putin. Nonostante il boicottaggio dei partiti dell’opposizione, la maggioranza di governo ha votato compatta sia per una legge sulle proprietà statali (revocando una decisione del 2005 dell’alto rappresentante per la Bosnia), sia sul progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo, sottraendoli a quello della Bosnia ed Erzegovina che dal 2004 è l’unico organo autorizzato a nominare giudici e procuratori in tutto il Paese.
    Dura la condanna dell’UE sul voto dell’Assemblea nazionale della Republika Srpska: “Costituisce una violazione inaccettabile dell’ordine costituzionale e giuridico“, si legge in una nota del portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), Peter Stano. A Bruxelles si continua a spingere sul tentativo di convincere Dodik e gli altri leader “a porre fine all’escalation e assicurare la ripresa di un dialogo serio all’interno delle istituzioni statali”. Ancora non arrivano indicazioni per sanzioni economiche contro i responsabili del secessionismo serbo in Bosnia, ma l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha messo all’ordine del giorno del prossimo Consiglio Affari Esteri (21 febbraio) la situazione in Bosnia ed Erzegovina e le azioni che ne minano l’unità. “L’UE è pronta a utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione per aiutare il Paese” sia a superare l’attuale crisi, ma anche a riprendere il percorso di adesione all’Unione, “minato seriamente da questa incertezza giuridica e dall’instabilità del sistema giudiziario“.
    La stessa condanna è stata condivisa dal Consiglio per l’attuazione della pace (PIC, l’organismo internazionale incaricato di attuare l’accordo di Dayton del 1995). La decisione di istituire un Consiglio superiore della magistratura separato nella Republika Srpska “rappresenterebbe una violazione della costituzione e dell’ordine giuridico della Bosnia ed Erzegovina“, riporta un comunicato del PIC non sostenuto dalla Russia. L’istituzione nel 2004 di un unico Consiglio superiore a livello statale è stata “una riforma fondamentale per modernizzare il sistema giudiziario in conformità con gli standard europei e internazionali”, per promuovere “un’amministrazione imparziale, indipendente ed efficace della giustizia in tutto il Paese”, conclude la nota.

    L’Assemblea nazionale dell’entità serba della Bosnia ha votato a favore di una legge che istituisce un Consiglio superiore della magistratura (HJPC) separato: “Violazione inaccettabile dell’ordine costituzionale e giuridico”

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    È scontro tra Parlamento e Commissione UE sul ruolo del commissario Várhelyi nella crisi in Bosnia

    Bruxelles – Come se non bastassero la quasi assoluta mancanza di progressi sulla strada delle riforme interne, le dichiarazioni incendiarie del membro serbo-bosniaco della Presidenza tripartita, Milorad Dodik, e le celebrazioni divisive dell’anniversario dalla nascita della Republika Srpska, ora anche le istituzioni UE stanno contribuendo a ingarbugliare una situazione in Bosnia ed Erzegovina già particolarmente tesa.
    Al centro dello scontro tra Parlamento e Commissione UE c’è la figura e il ruolo nella crisi in atto in Bosnia-Erzegovina del commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, l’ungherese Olivér Várhelyi. Il 10 dicembre dello scorso anno l’assemblea nazionale della Republika Srpska (l’entità serba della Bosnia ed Erzegovina) ha adottato una tabella di marcia per sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, seguendo la strada secessionista indicata da Dodik a fine ottobre. L’assemblea di Banja Luka ha stabilito che i progetti di legge che dovranno regolare questa parziale secessione dei serbi di Bosnia saranno redatti entro metà giugno 2022.
    Il commissario UE per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e il membro serbo della presidenza tripartita di Bosnia, Milorad Dodik (Banja Luka, Bosnia ed Erzegovina, 24 novembre 2021)
    Ma quello che a Bruxelles ha davvero accesso la miccia sono alcuni documenti interni della Commissione firmati da Johann Sattler, capo della delegazione UE in Bosnia, che sono trapelati sui media bosniaci e riportati da Euractiv. I leak mostrerebbero che il commissario Várhelyi fosse già a conoscenza di queste decisioni dei legislatori della Republika Srpska e che avrebbe avvertito gli ambasciatori UE in Bosnia sull’annuncio da parte dell’assemblea nazionale di una moratoria per approvare la legislazione sul ritiro unilaterale dalle istituzioni statali per un periodo di sei mesi. Insomma, i piani di secessione sarebbero stati in qualche modo “concordati” con il commissario ungherese nel corso della sua visita a Banja Luka a fine novembre, con un accordo (non rispettato) per una moratoria di sei mesi.
    Fin qui potrebbero sembrare le solite polemiche destinate a spegnersi in poco tempo, come quella dello scorso anno sui presunti piani del premier sloveno (e di lì a qualche mese presidente di turno del Consiglio dell’UE), Janez Janša, di “completare la dissoluzione dell’ex-Jugoslavia” con il definitivo smembramento della Bosnia ed Erzegovina. Tutto questo fino a ieri (mercoledì 12 gennaio), quando un gruppo di 30 eurodeputati ha inviato una lettera all’esecutivo UE proprio per chiarire il ruolo del commissario Várhelyi in questa escalation secessionista.
    “Come parte neutrale con una notevole influenza, la Commissione ha un ruolo-chiave nel garantire che le conclusioni dell’accordo di Dayton [firmato nel 1995 per mettere fine alla guerra in Bosnia, ndr] siano rispettate da entrambe le parti”, si legge nella lettera pubblicata sul profilo Twitter dell’eurodeputata ungherese e vicepresidente del gruppo Renew Europe, Katalin Cseh. Viene definito “inquietante” il fatto che il commissario Várhelyi abbia “apertamente colluso con Dodik nella potenziale rottura della Bosnia ed Erzegovina”. Secondo gli eurodeputati, “se l’imparzialità e la neutralità della Commissione è messa in discussione, il fragile equilibrio geopolitico è minacciato” nei Balcani Occidentali. Per questo motivo i membri dell’Eurocamera hanno chiesto “se il comportamento del commissario è in linea con la politica ufficiale dell’Unione” e se l’esecutivo UE aprirà “un’ispezione interna approfondita per determinare se le sue azioni sono compatibili con il suo ruolo di commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento”, sottolinea la lettera.
    Il commissario UE per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e i membri della presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina: Šefik Džaferović, Milorad Dodik e Željko Komšić (
    Insinuazioni respinte al mittente oggi (giovedì 13 dicembre), nel corso del punto quotidiano con la stampa da parte del portavoce della Commissione, Eric Mamer. “Risponderemo direttamente alla lettera”, ha messo in chiaro Mamer, “ma il commissario Várhelyi è stato estremamente chiaro in occasione della sua visita in Bosnia sugli sforzi da compiere da parte delle autorità bosniache per proseguire nel cammino europeo”. Dichiarazioni che “rispecchiano ovviamente e completamente la posizione dell’UE e della Commissione sul tema”, ha aggiunto Mamer. Il portavoce per il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), Peter Stano, ha poi precisato che “non c’è spazio per la negazione dei genocidi e la glorificazione dei criminali di guerra” e che “la nostra posizione è chiara: ci aspettiamo che la Bosnia prosegua il cammino UE, abbandonando qualsiasi provocazione divisiva”.
    La lettera dei 30 europarlamentari solleva però un’altra questione specifica, che a Bruxelles è ben conosciuta. “È ampiamente risaputo che l’attuale governo ungherese sta sostenendo attivamente la campagna di Dodik per perseguire la sua strategia politica”, come avrebbe evidenziato il “recente sostegno da 100 milioni di euro” offerto dall’Ungheria alla Republika Srpska, a pochi mesi dalle elezioni nel Paese. Várhelyi, prima di essere nominato commissario nel 2019, è stato ambasciatore a Bruxelles per l’Ungheria di Viktor Orbán. Nonostante il ruolo di indipendenza che deve contraddistinguere i membri dell’esecutivo UE rispetto agli interessi nazionali, il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento si trova sotto il fuoco incrociato dei sospetti di aver avallato le posizioni di Dodik e dell’opposizione del suo Paese alle sanzioni economiche contro i responsabili delle tensioni in Bosnia. Il premier Orbán ha portato avanti una politica di strette relazioni diplomatiche non solo con il serbo-bosniaco Dodik, ma anche con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, da sempre vicino alle aspirazioni secessioniste della Republika Srpska.

    Un gruppo di 30 eurodeputati ha inviato una lettera all’esecutivo UE per chiedere conto delle rivelazioni trapelate da documenti interni sull’appoggio del commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento ai piani secessionisti della Republika Srpska

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    L’UE condanna la retorica “divisiva e incendiaria” della Repubblica Serba di Bosnia. Si inizia a discutere di sanzioni

    Bruxelles – Durissime parole, ma ancora non sono state prese misure altrettanto forti. L’UE ha condannato la “retorica divisiva e incendiaria” usata dai leader della Republika Srpska, l’entità serba della Bosnia ed Erzegovina, durante le celebrazioni di domenica (9 gennaio) in occasione del 30esimo anniversario dalla nascita dell’istituzione. Ma sanzioni UE contro i responsabili di queste tensioni in Bosnia ancora non se ne vedono.
    A 30 anni dall’inizio dei quasi quattro anni di guerra etnica in Bosnia, “tale retorica e le conseguenti azioni hanno ulteriormente aumentato le tensioni tra le comunità in tutto il Paese e stanno ulteriormente aggravando la crisi politica in corso“, si legge in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE). Celebrazioni nazionaliste/secessioniste che “mettono in pericolo la stabilità e la prosperità del Paese”, che sono in “completa contraddizione” con la prospettiva UE (“che può essere basata solo su una Bosnia ed Erzegovina unica, unita e sovrana”) e che non rispettano nemmeno la Costituzione nazionale.
    Il membro serbo-bosniaco della Presidenza tripartita, Milorad Dodik
    È da fine novembre che il Parlamento UE invoca sanzioni economiche contro i responsabili di questa “preoccupante tendenza all’odio e all’intolleranza” in Bosnia, compresa la glorificazione dei criminali di guerra o la negazione dei loro crimini. Una decisione che è già stata presa dagli Stati Uniti una settimana fa (mercoledì 5 gennaio), ma che a Bruxelles ancora si cerca di lasciare come ultima sponda.
    “Se la situazione in Bosnia dovesse peggiorare ulteriormente e solo se tutti gli sforzi diplomatici falliranno, allora si procederà con l’ampia gamma di strumenti di cui l’UE dispone, compreso il quadro delle sanzioni già esistente“, ha spiegato ieri (martedì 11 gennaio) durante il punto quotidiano con la stampa il portavoce del SEAE, Peter Stano.
    L’auspicio della Commissione è che si possa ancora risolvere la situazione attraverso il dialogo facilitato dall’UE: “Abbiamo ripetutamente esortato la leadership della Republika Srpska [tra cui il membro serbo-bosniaco della Presidenza tripartita, Milorad Dodik, ndr] a porre fine a inaccettabili passi divisivi e a tornare pienamente al lavoro delle istituzioni statali”.
    Tra le preoccupazioni maggiori dell’esecutivo comunitario c’è l’instabilità politica e i ritardi nel raggiungimento delle riforme, che “stanno rallentando il cammino verso l’UE della Bosnia e peggiorando le condizioni di vita per il popolo bosniaco”.
    È altrettanto vero che, come ricordato dal portavoce Stano, “gli Stati membri hanno già iniziato a discutere della possibilità di imporre misure restrittive” e questo tema sarà uno dei punti in agenda del prossimo Consiglio Affari Esteri (24 gennaio). “Saranno i ministri europei a dover stabilire quando sarà il giusto momento per portare l’azione a un nuovo livello”, ha ribadito con forza Stano. In ogni caso, eventuali sanzioni economiche “saranno dirette solo contro attori interni alla Bosnia“.
    La precisazione è arrivata a seguito di alcune domande dei giornalisti sul riferimento al “deplorevole sostegno portato da altri partner [tra cui Russia e Serbia] a tali manifestazioni, che minacciano la stabilità regionale e incidono sulle relazioni di buon vicinato”. Ma l’UE dovrà anche affrontare possibili divisioni interne, dal momento in cui l’Ungheria di Viktor Orbán sembra essere più che restia a introdurre sanzioni contro l’alleato Dodik e potrebbe porre il proprio veto in seno al Consiglio.
    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    La Commissione UE spera ancora di riportare la leadership dei serbi di Bosnia al tavolo del dialogo, nonostante la “preoccupante tendenza all’odio e all’intolleranza”. Sarà il Consiglio Affari Esteri del 24 gennaio a decidere se è arrivato il tempo di misure restrittive