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    Il Consiglio Europeo di marzo sarà decisivo per i negoziati di adesione Ue della Bosnia ed Erzegovina

    Bruxelles – Dopo un Consiglio Europeo di svolta, si attende un Consiglio Europeo risolutore. Le speranze della Bosnia ed Erzegovina di vedere avviati i negoziati di adesione Ue dipendono tutte dagli esiti del vertice dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri in programma il prossimo 21-22 marzo, sulla base di un report che la Commissione Europea sta stilando sui progressi dello stesso candidato perché questo traguardo cruciale del percorso di adesione possa realizzarsi. “Un Paese unico, unito e sovrano, questa è la nostra visione della Bosnia ed Erzegovina nell’Ue, presenteremo il report entro marzo e il Consiglio Europeo potrà discuterne”, ha messo in chiaro la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, in un punto stampa a Sarajevo nel corso del suo viaggio insieme ai primi ministri della Croazia, Andrej Plenković, e dei Paesi Bassi, Mark Rutte.

    “Abbiamo discusso dei prossimi passi da fare, dobbiamo vedere progressi sui capitoli fondamentali, ha spiegato questa mattina (23 gennaio) la numero uno dell’esecutivo comunitario: “Più lo farete, più mi aiuterete con il report che dovrò presentare sui vostri progressi“. Il riferimento è alla decisione presa durante l’ultimo Consiglio Europeo di dicembre di avviare i negoziati di adesione con Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Parallelamente prosegue anche il lavoro sul Piano di crescita per i Balcani Occidentali e – dopo le minacce velate di von der Leyen durante l’ultimo viaggio a Sarajevo sulla redistribuzione delle risorse agli altri partner balcanici in caso di mancata implementazione delle riforme – oggi è arrivata la rassicurazione che “abbiamo disegnato il Piano perché nessun altro Paese lo possa bloccare, è solo una vostra decisione”.Ritornando alla questione dell’avvio dei negoziati di adesione Ue, la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, ha voluto illustrare l’impegno delle autorità nazionali sia con “un lavoro legislativo in corso su 13 progetti di legge” sia con un “programma di riforme per tutto il 2024”. A Sarajevo “c’è ottimismo” sul fatto che “a marzo ci sarà una data per avviare i negoziati”, ha sottolineato Krišto, ricevendo una conferma dal primo ministro croato Plenković: “Il rapporto ci dovrà aiutare a trovare il consenso su una decisione positiva, usate questa finestra di opportunità per spingere le riforme che saranno incluse nel report“. Il leader croato è finito però al centro delle polemiche nell’opinione pubblica nazionale per aver disertato l’incontro con i tre esponenti della presidenza della Bosnia ed Erzegovina, in polemica per la presenza dell’esponente croato-bosniaco Željko Komšić (non considerato legittimo da Zagabria). Una dimostrazione che nel processo di allargamento Ue la Croazia non è uno dei Paesi membri Ue più trainanti senza interesse, perché sta giocando una parallela partita nazionalistica.

    Da sinistra: il co-presidente bosniaco, Željko Komšić, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il co-presidente bosniaco, Denis Bećirović, il primo ministro dei Paesi Bassi, Mark Rutte, e la co-presidente bosniaca Željka Cvijanović (23 gennaio 2023)In ogni caso dalle parole del premier Plenković in conferenza stampa è emersa una questione particolarmente urgente per tutta l’Unione. “Se perdiamo l’occasione [di avviare i negoziati di adesione Ue, ndr] a marzo, il resto dell’anno andrà perso e si finirà quasi sicuramente a gennaio 2025“, è l’avvertimento a due mesi dall’appuntamento dei 27 leader: “Fra due mesi inizierà la campagna elettorale per le europee e poi si dovranno insediare le nuove istituzioni”. Una previsione non sconfessata da von der Leyen, di cui ancora non si conoscono le intenzioni su una possibile ricandidatura alla presidenza dell’esecutivo comunitario: “Dopo marzo, l’anno sarà pieno di temi come le elezioni e la nuova configurazione del Parlamento e della Commissione“. Senza frenare sulle possibilità di Sarajevo di aspirare all’avvio dei negoziati di adesione quanto prima, il premier olandese Rutte ha voluto comunque ribadire che “tutti i criteri devono essere rispettati, nella situazione corrente bisogna ammettere che c’è ancora molto lavoro da fare, ma siamo tutti disponibili ad aiutarvi”.Il percorso di adesione Ue della Bosnia ed ErzegovinaIl cammino di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea è iniziato il 15 febbraio 2016, con la presentazione ufficiale della domanda di adesione. Per più di sei anni non è arrivata nessuna risposta positiva da parte delle istituzioni comunitarie, proprio per la situazione quasi disastrata del Paese sul fronte delle condizioni-base (i criteri di Copenaghen) per essere considerato un candidato formale. Tuttavia negli ultimi due anni si sono intensificati i segnali di fiducia soprattutto da parte dell’esecutivo comunitario e della sua presidente, anche considerati i rischi di destabilizzazione russa di un Paese e di una regione molto delicati nel cuore dell’Europa.

    È così che in occasione della presentazione del Pacchetto Allargamento 2022 è arrivata la raccomandazione al Consiglio di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione Ue, accompagnata da un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo di von der Leyen durante il viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico di Bruxelles. Dopo aver valutato il parere della Commissione, il vertice dei leader Ue del 15 dicembre 2022 ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione.Dopo essere diventata l’ottavo Paese candidato all’adesione nel processo di allargamento Ue, la Bosnia ed Erzegovina ha continuato a spingere sul percorso di avvicinamento all’Unione. Grazie ai progressi (seppur limitati) registrati da Bruxelles, nel Pacchetto Allargamento 2023 la Commissione Ue ha deciso di includere la raccomandazione al Consiglio Europeo di avviare i negoziati di adesione per Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. In altre parole, la raccomandazione c’è, ma era già scontato che la risposta del vertice dei leader avrebbe aspettato nuove notizie positive sul fronte delle 14 priorità indicate dalla Commissione (di cui solo 2 sono state completate). All’ultimo Consiglio Europeo di dicembre è andata esattamente così, con la decisione di avviare i negoziati con la Bosnia ed Erzegovina ma senza indicare un vero momento di inizio. Ecco perché il vertice del 21-22 marzo è considerato decisivo su questo fronte, anche considerati gli impegni a Bruxelles – elettorali prima e istituzionali poi – nei restanti nove mesi dell’anno.L’ostacolo Republika SrpskaEppure il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione è reso particolarmente ostico dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, che si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.

    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Si chiude in Bosnia ed Erzegovina il tour balcanico di von der Leyen: “Riforme cruciali per adesione Ue e Piano di crescita”

    Bruxelles – Un anno dopo, con un risultato concreto alle spalle e una strada che rimane complicata ma con un nuovo impulso economico. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha chiuso ieri (primo novembre) in Bosnia ed Erzegovina la sua quattro-giorni di tour nei Balcani Occidentali, con un messaggio di incoraggiamento per il cammino del Paese verso l’adesione all’Unione Europea e un avvertimento ad accelerare sulle riforme fondamentali: “Sappiamo tutti che per raggiungere l’obiettivo di progredire abbiamo bisogno che la Bosnia ed Erzegovina parli con una sola voce e proceda unita, non possiamo accettare un arretramento sui nostri valori comuni o divisioni, in nessuna parte del vostro Paese”.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, a Sarajevo (primo novembre 2023)L’ultima tappa dell’annuale tour nella regione da parte della numero uno dell’esecutivo comunitario è stata l’occasione per riconfermare il sostegno di Bruxelles a Sarajevo dopo la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue il 15 dicembre dello scorso anno, “una giornata storica, molto emozionante e molto importante”. Poco più di 365 giorni dopo l’ultima volta nella capitale bosniaca, von der Leyen ha messo in chiaro su quali binari dovrà procedere il cammino del Paese per l’avvio effettivo dei negoziati di adesione e per la messa a terra del nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali presentato proprio dalla presidente della Commissione Ue nel suo viaggio in tutte le capitali della regione: “L’obiettivo dovrebbe essere quello di compiere progressi decisivi sulle 14 priorità-chiave” che riguardano riforme in ambito di Stato di diritto, diritti fondamentali, pubblica amministrazione ed economia.Nonostante le enormi difficoltà di un Paese diviso su molte direttrici – non da ultimo quella tra le due entità della Federazione di Bosnia ed Erzegovina e della Republika Sprska – von der Leyen ha scelto un’impostazione ottimista. “La nomina del governo e il lavoro che avete svolto nel primo anno di mandato dimostrano che il Paese è in grado di ottenere risultati” e ora sarà necessario concretizzare il pacchetto di misure sullo Stato di diritto composto di tre leggi: quella sui tribunali, quella sul conflitto d’interesse e quella sul riciclaggio di denaro sporco. “Sarebbe la prova delle capacità di rafforzare le fondamenta della democrazia”, ha messo in chiaro la leader della Commissione, rassicurata in conferenza stampa dalla presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto: “Siamo a un momento decisivo per trovare un accordo su queste riforme fondamentali”. Perché all’orizzonte non ci sono solo il Pacchetto Allargamento (atteso per l’8 novembre) e il Consiglio Europeo di dicembre, in cui si capirà se ci sono le condizioni per avviare i negoziati di adesione, ma le riforme saranno “cruciali” anche per i futuri stanziamenti economici del Piano di crescita per i Balcani Occidentali: “Se non saranno implementate, le risorse saranno ridistribuite ad altri Paesi che sono in grado di farlo, questo è un forte incentivo ad andare avanti in modo attivo”, ha avvertito von der Leyen.In altre parole, senza progressi sulle riforme rimarranno in stallo – o andranno perduti – i finanziamenti previsti per la Bosnia ed Erzegovina all’interno del pacchetto complessivo da 6 miliardi di euro e fondato su quattro pilastri. Il primo riguarda l’integrazione nelle dimensioni chiave del Mercato unico dell’Ue, il secondo è legato al completamento del Mercato regionale comune, il terzo si basa sul liberare il pieno potenziale economico attraverso riforme fondamentali sia sullo Stato di diritto sia in materia economica. E infine il pilastro del finanziamento da parte di Bruxelles: il pacchetto da 2 miliardi di euro in sovvenzioni e 4 in prestiti. “C’è un grande potenziale non sfruttato”, ha messo in chiaro la leader dell’esecutivo comunitario a Sarajevo, facendo riferimento al fatto che l’economia bosniaca “è pari al 35 per cento della media Ue”. Ecco perché “dobbiamo avvicinare le nostre economie” con l’approccio ‘riforme-investimenti’, al pari del Next Generation Eu per i Ventisette: “Sappiamo quanto sia importante la prosperità economica per il funzionamento di qualsiasi Paese” e per le prospettive di integrazione europea, è stato l’ultimo messaggio di von der Leyen nel suo tour balcanico.Il percorso di adesione Ue della Bosnia ed ErzegovinaIl cammino di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea è iniziato il 15 febbraio 2016, con la presentazione ufficiale della domanda di adesione. Per più di sei anni non è arrivata nessuna risposta positiva da parte delle istituzioni comunitarie, proprio per la situazione quasi disastrata del Paese sul fronte delle condizioni-base (i criteri di Copenaghen) per essere considerato un candidato formale. Tuttavia negli ultimi due anni si sono intensificati i segnali di fiducia soprattutto da parte dell’esecutivo comunitario e della sua presidente, anche considerati i rischi di destabilizzazione russa di un Paese e di una regione molto delicati che si trovano nel cuore dell’Europa.È così che in occasione della presentazione del Pacchetto Allargamento 2022 è arrivata la raccomandazione al Consiglio di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione Ue, condita da un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo di von der Leyen durante il precedente viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico di Bruxelles. Dopo aver valutato il parere della Commissione, il vertice dei leader Ue del 15 dicembre 2022 ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione. Nel processo di allargamento Ue Sarajevo è diventato così l’ottavo candidato all’adesione.L’ostacolo Republika SrpskaEppure il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione è reso particolarmente ostico dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, che si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma da quest’anno le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete. A fine marzo il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Ma parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancato dal 24 febbraio dello scorso anno il non-allineamento alla politica estera dell’Unione e alle sanzioni internazionali contro il Cremlino: insieme alla Serbia la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese europeo a non aver adottato misure restrittive a causa dell’opposizione della componente serba della presidenza tripartita. Già il 20 settembre dello scorso anno Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio di quest’anno con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    In vista del Pacchetto Allargamento e del Consiglio Europeo la presidente della Commissione Ue ha esortato Sarajevo ad attuare tre leggi fondamentali sullo Stato di diritto. Con un avvertimento: “Le risorse economiche saranno redistribuite ad altri Paesi in caso di mancata implementazione”

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    L’Ue contro le sanzioni penali per diffamazione in Republika Srpska: “Non in linea con lo status di candidato della Bosnia”

    Bruxelles – Gli avvertimenti delle istituzioni comunitarie non hanno sortito alcun effetto e ora nella Republika Srpska gli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione sono entrati in vigore. Ma questo non significa che Bruxelles molli la presa per riportare Banja Luka su un percorso più coerente con lo Stato di diritto: “La legge va contro le aspettative che hanno accompagnato la concessione dello status di candidato all’Ue e contro gli interessi di tutti i cittadini della Bosnia ed Erzegovina, compresi quelli residenti nella Republika Srpska”, è la condanna del portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, all’ultima sfida portata dal presidente dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico, Milorad Dodik.
    Il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik (credits: Elvis Barukcic / Afp)
    Secondo l’Ue “queste modifiche legislative impongono restrizioni inutili e sproporzionate ai media indipendenti e alla società civile” e la nuova legge ha “un forte impatto sull’ambiente della società civile”, dal momento in cui “limita la libertà di espressione e dei media nella Repubblica Srpska”. In altre parole, “si tratta di un deplorevole e innegabile passo indietro nella tutela dei diritti fondamentali“, mette in chiaro Stano. Gli emendamenti al Codice Penale in questione erano stati adottati a fine marzo – con 48 voti a favore e 21 contrari all’Assemblea nazionale della Repubblica Srpska – e dopo un periodo di consultazione pubblica di 60 giorni è stato avviato l’iter per l’adozione definitiva. Ora nell’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”.
    Ignorata la richiesta di Bruxelles di ritirare gli emendamenti, a questo punto “l’Ue si aspetta che tutte le autorità lavorino in modo costruttivo” per affrontare le priorità-chiave delineate dalla Commissione Europea perché venga raccomandata al Consiglio l’apertura dei negoziati di adesione con la Bosnia ed Erzegovina. In particolare la priorità numero 12, secondo cui il Paese candidato all’adesione Ue dal 15 dicembre 2022 deve “garantire la libertà di espressione e dei media e la protezione dei giornalisti“. Il tempo scorre e, con la misura adottata dal più controverso partner dell’Ue, sembra essere sempre più difficile che nel Pacchetto Allargamento 2023 (atteso per ottobre) il gabinetto von der Leyen sblocchi la via per i negoziati di adesione di Sarajevo in vista del Consiglio Europeo di dicembre, quando il dossier sarà analizzato dai 27 leader Ue. Ecco perché l’esortazione da Bruxelles non cambia: “Siamo impegnati a sostenere i media e la società civile in Bosnia ed Erzegovina, in particolare nell’entità della Republika Srpska”, ha ribadito il portavoce del Seae.
    La Republika Srpska tra secessionismo, Russia e sanzioni
    È dall’ottobre del 2021 che Dodik è diventato una spina nel fianco dell’Ue, facendosi promotore di un progetto secessionista in Republika Srpska. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche (le stesse che le fonti precisano essere in stallo) e dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme necessarie sul piano elettorale e costituzionale nel Paese balcanico.
    Alle provocazioni secessioniste si è affiancato dal 24 febbraio dello scorso anno il non-allineamento alla politica estera dell’Unione e alle sanzioni internazionali contro il Cremlino: insieme alla Serbia la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese europeo a non aver adottato le misure restrittive Ue a causa dell’opposizione della componente serba della presidenza tripartita. Già il 20 settembre dello scorso anno Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale da parte del Cremlino delle regioni ucraine Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio di quest’anno con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco.
    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 20 settembre 2022 (credits: Alexey Nikolsky)
    Parallelamente sono continuati i tentativi di imporre un sistema di controllo sui media e la libertà di stampa che ricorda molto da vicino quello russo. A fine marzo l’Assemblea nazionale della Repubblica Srpska ha votato a favore di emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per la diffamazione, entrati in vigore cinque mesi più tardi. Allo stesso tempo il governo dell’entità serba della Bosnia ed Erzegovina ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero: il modello è simile a quello adottato a Mosca dal primo dicembre dello scorso anno, che ha ampliato l’utilizzo politico dell’etichetta ‘agente straniero’ già utilizzata dal 2012 per colpire media indipendenti e Ong.

    Da Bruxelles nuove dure critiche dopo l’entrata in vigore degli emendamenti al Codice Penale dell’entità a maggioranza serba: “Restrizioni inutili e sproporzionate ai media indipendenti e alla società civile, è un deplorevole e innegabile passo indietro nella tutela dei diritti fondamentali”

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    L’Ue reagisce alla visita del serbo-bosniaco Dodik a Putin: “I nostri alleati non vanno in Russia”

    Bruxelles – È successo di nuovo. In più di un anno di guerra in Ucraina non era mai successo che un leader europeo facesse visita all’autocrate russo, Vladimir Putin, a Mosca. E invece per due volte in otto mesi a rompere l’unità del continente su questo punto è stato Milorad Dodik, presidente della Repubblica Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina), il più controverso e divisivo politico tra i partner dell’Unione Europea. Un viaggio che rappresenta il culmine di una striscia di provocazioni a Bruxelles, dalle spinte separatiste all’onorificenza a Putin, fino alla legge sugli ‘agenti stranieri’ di ispirazione russa, che rappresenta una sorta di ‘recidiva’ rispetto alla visita al Cremlino del 20 settembre dello scorso anno.
    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)
    “Noi pensiamo che la Federazione Russa, che con insistenza si è battuta per un suo quadro di sicurezza e che ha cercato di ottenere tali garanzie, sia stata semplicemente costretta all’operazione militare in Ucraina“, è quanto riporta il Cremlino in una trascrizione delle parole rivolte da Dodik a Putin, durante il colloquio andato in scena al Cremlino nella giornata di ieri (23 maggio). Proprio sulla guerra in Ucraina l’autocrate russo ha rivolto un ringraziamento al leader serbo-bosniaco per aver mantenuto una “posizione neutrale”, impendendo di fatto alla Bosnia ed Erzegovina di allinearsi alle posizioni dell’Ue e alle sanzioni internazionali contro la Russia.
    Proprio su questo punto Dodik si è lamentato con Putin del fatto che “la Repubblica Srpska è soggetta a pressioni da parte di partner occidentali che ci impediscono di svilupparci normalmente”. Nonostante ciò il commercio bilaterale tra l’entità serba in Bosnia e la Russia nel 2022 sarebbe aumentato del 57 per cento rispetto all’anno precedente, in particolare per quanto riguarda le forniture di gas: come la Serbia, anche la Bosnia ed Erzegovina (e di conseguenza la Republika Srpska) riceve gas dal colosso energetico russo Gazprom attraverso il gasdotto BalkanStream (prolungamento del TurkStream tra Russia e Turchia), che passa dalla Bulgaria. Nonostante Sofia non riceva più gas russo da oltre un anno per essersi rifiutata di pagarlo in rubli, non ha mai impedito il transito del flusso verso i due Paesi balcanici. Duro l’attacco da parte di Bruxelles, che ancora una volta ribadisce come “mantenere stretti legami con la Russia è incompatibile con il percorso dell’Ue“. Il portavoce del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (Seae), Peter Stano, ha fatto leva su quanto messo in chiaro con tutti i Paesi candidati all’adesione all’Unione – come lo sono la Bosnia ed Erzeogovina e le sue due entità costitutive dal 15 dicembre dello scorso anno: “Le relazioni con la Russia non possono essere business as usual con Putin“.
    Distributore Gazprom in Bosnia ed Erzegovina
    Ecco perché l’Ue si aspetta dai partner che aspirano a fare ingresso nell’Unione “affidabilità per principi, valori, sicurezza e prosperità comuni”, come ricordato dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, lunedì (22 maggio) durante la riunione a Bruxelles con ministri degli Esteri di tutti i sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia). Anche il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, al termine di una riunione a Sarajevo la settimana scorsa con la neo-premier bosniaca, Borjana Krišto, aveva condannato il possibile viaggio di Dodik a Mosca: “Gli alleati dell’Ue non vanno in Russia”. Sulla possibilità di imporre sanzioni contro Dodik o la Republika Srpska, fonti Ue rivelano a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma per qualsiasi atto concreto serve l’unanimità ed è l’Ungheria a non permettere il via libera. In altre parole, finché Viktor Orbán “gli coprirà le spalle”, Dodik non sarà inserito nella lista delle sanzioni dell’Unione Europea.
    Le provocazioni di Dodik a Bruxelles
    È dall’ottobre del 2021 – ben prima dell’inizio dell’invasione russa in Ucraina – che Dodik è diventato una spina nel fianco dell’Ue, facendosi promotore di un progetto secessionista in Republika Srpska. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche (le stesse che le fonti precisano essere in stallo) e dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme necessarie sul piano elettorale e costituzionale nel Paese balcanico.
    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 20 settembre 2022 (credits: Alexey Nikolsky)
    Alle provocazioni secessioniste si è affiancato dal 24 febbraio dello scorso anno il non-allineamento alla politica estera dell’Unione e alle sanzioni internazionali contro il Cremlino: insieme alla Serbia la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese europeo a non aver adottato le misure restrittive Ue a causa dell’opposizione della componente serba della presidenza tripartita. Già il 20 settembre dello scorso anno Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale da parte del Cremlino delle regioni ucraine Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio di quest’anno con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco.
    Parallelamente sono continuati i tentativi di imporre un sistema di controllo sui media e la libertà di stampa che ricorda molto da vicino quello russo. A fine marzo l’Assemblea nazionale della Repubblica Srpska ha votato a favore di emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per la diffamazione. Il 22 maggio sono scaduti i 60 giorni di consultazione pubblica per l’entrata in vigore degli emendamenti. Allo stesso tempo il governo dell’entità serba della Bosnia ed Erzegovina ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero: il modello è simile a quello adottato a Mosca dal primo dicembre dello scorso anno, che ha ampliato l’utilizzo politico dell’etichetta ‘agente straniero’ già utilizzata dal 2012 per colpire media indipendenti e Ong.

    Il presidente della Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina, è tornato il primo leader europeo a incontrare a Mosca l’autocrate russo. Fonti Ue riportano a Eunews che a ostacolare l’imposizione di un regime di sanzioni è il veto dell’Ungheria di Viktor Orbán

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    Ancora provocazioni della Republika Srpska all’Ue. Sanzioni penali per diffamazione “raggelanti” sulla libertà dei media

    Bruxelles – La solita settimana di ordinaria follia nella Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina. Dopo l’onorificenza assegnata all’autocrate russo, Vladimir Putin, a inizio gennaio, a Banjka Luka viene presa a modello proprio la limitazione di Mosca alle libertà della stampa e dei media – nazionali e internazionali – con una serie di iniziative legislative chiaramente provocatorie nei confronti dei partner dell’Unione Europea, che da pochi mesi hanno garantito al Paese balcanico lo status di candidato all’adesione.
    “L’Unione Europea si rammarica che l’Assemblea nazionale della Repubblica Srpska abbia votato a favore di emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per la diffamazione“, si legge in una nota particolarmente dura del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), ripresa poi dal commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. Modifiche legislative che “imporrebbero restrizioni inutili e sproporzionate ai media indipendenti e alla società civile”, è la denuncia di Bruxelles contro “un chiaro passo nella direzione sbagliata”, che ha “un effetto raggelante sulla libertà dei media nella Republika Srpska”. Ma non solo: “Mette in discussione l’impegno strategico dei partiti al potere” nell’entità a maggioranza serba “per l’adesione della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea”.
    Dopo l’adozione degli emendamenti con 48 voti a favore e 21 contrari, l’adozione definitiva della legge avverrà a seguito di un periodo di consultazione pubblica di 60 giorni. Saranno previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il 22 maggio scadranno i 60 giorni di consultazione pubblica e per le istituzioni comunitarie è prioritario che gli emendamenti vengano ritirati e sia garantita “piena protezione della libertà di espressione e dei media”.
    Il presupposto è che, nella concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue a metà dicembre dello scorso anno, il Consiglio Europeo aveva stabilito questo principio come uno dei passi da compiere in tutte le entità della Bosnia ed Erzegovina, senza il quale non potranno essere avviati i negoziati di adesione. Al contrario, se la legge entrerà in vigore, “significherà un deplorevole e innegabile passo indietro nella tutela dei diritti fondamentali” e, per quanto riguarda il cammino del Paese verso l’Ue, “avrà un forte impatto sull’ambiente della società civile” e “sulla libertà di espressione e dei media”, rispettivamente i punti 11 e 12 delle 14 priorità-chiave della Bosnia ed Erzegovina.
    La legge sugli ‘agenti stranieri’ nella Republika Srpska
    I progetti politici nella Republika Srpska guidata da Milorad Dodik sembrano però andare in tutt’altra direzione. Nella seduta di giovedì scorso (23 marzo), il governo dell’entità serba della Bosnia ed Erzegovina ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. Nel comunicato pubblicato al termine della seduta, il governo presieduto da Radovan Višković ha reso noto che lo scopo è quello di regolamentare per legge “l’area della pubblicità del lavoro delle organizzazioni non profit, le loro attività politiche, la pubblicazione dei rapporti finanziari, la tenuta dei libri contabili, così come la supervisione della legalità del lavoro e altre disposizioni sul lavoro”. Secondo le autorità di Banja Luka l’assenza di questa legislazione “ha creato i presupposti per il collasso del sistema giuridico e dell’assetto costituzionale della Repubblica Srpska“.
    Cioè che temono le associazione della società civile è che si stia replicando un modello già visto in Russia nell’ultimo decennio. Il progetto di legge ha tratti simili a quello adottato a Mosca dal primo dicembre dello scorso anno, che ha ampliato l’utilizzo politico dell’etichetta ‘agente straniero’ già utilizzata dal 2012 per colpire media indipendenti e Ong. Un’azione simile del governo della Georgia ha scatenato a inizio marzo una durissima reazione della stessa popolazione georgiana, che ha poi costretto il partito al potere a ritirare un progetto di legge in contrasto con i valori dell’Unione Europea sulla libertà di espressione e dei media (anche se, a differenza della Bosnia ed Erzegovina, il Paese del Caucaso meridionale non ha ancora ricevuto lo status di candidato all’adesione Ue). Il rischio è che lo stesso possa replicarsi nei Balcani Occidentali – con l’incertezza di una reazione di piazza – in un Paese dall’instabilità acclarata e in un’entità che non smette di creare problemi ai partner europei.

    Le istituzioni comunitarie attaccano l’Assemblea dell’entità a maggioranza serba in Bosnia ed Erzegovina per gli emendamenti liberticidi al Codice Penale: “Mette in discussione l’adesione del Paese all’Unione”. Ma all’orizzonte c’è anche una legge filo-russa sugli ‘agenti stranieri’

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    Dalla Bosnia un’onorificenza a Putin. La Republika Srpska di Milorad Dodik irrita l’Ue per il rapporto con la Russia

    Bruxelles – Un’onorificenza a Vladimir Putin nel cuore dell’Europa. Il membro serbo-bosniaco della presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina, Milorad Dodik, ha conferito all’autocrate russo l’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico), come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nel confronti delle istanze di Banja Luka. “Questa decisione isola la Republika Srpska in Europa, non c’è spazio per medaglie a politici che invadono Paesi vicini e ne uccidono i cittadini”, ha attaccato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, durante il punto quotidiano con la stampa europea: “È deplorevole, tutto il mondo sa chi è Putin e Dodik è consapevole di cosa ci aspettiamo dalla Bosnia nel suo cammino europeo”.
    Il membro serbo sella presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina, Milorad Dodik (credits: Elvis Barukcic / Afp)
    Nel corso della cerimonia svoltasi ieri (8 gennaio) proprio Dodik ha dichiarato che “Putin è responsabile dello sviluppo e del rafforzamento della cooperazione e delle relazioni politiche e amichevoli tra la Republika Srpska e la Russia”. Un ringraziamento è arrivato anche sul fatto che “con la posizione di Vladimir Putin e la forza della Federazione Russa la voce e la posizione della Repubblica Srpska sono state ascoltate e rispettate“, di fronte all’ambasciatore russo in Bosnia ed Erzegovina, Igor Kalbukhov. Per Mosca “questo premio è un’affermazione della determinazione strategica delle nostre relazioni volte a rafforzare l’amicizia tra i nostri popoli fratelli”, ha aggiunto l’ambasciatore russo. La medaglia dovrebbe essere consegnata direttamente Putin nel corso di un prossimo incontro con Dodik, verosimilmente a Mosca.
    L’evento di premiazione dell’autocrate russo si è svolto per commemorare la Giornata nazionale della Republika Srpska (la cui parata si terrà nella giornata di oggi con oltre duemila poliziotti serbo-bosniaci e una delegazione in arrivo anche dalla Serbia), nonostante la Corte Costituzionale della Bosnia ed Erzegovina abbia da tempo dichiarato incostituzionale la festività. A Banja Luka il 9 gennaio si celebra il giorno in cui i serbo-bosniaci istituirono la propria Assemblea separatista nel 1992, considerato il momento decisivo per lo scoppio del conflitto etnico in Bosnia ed Erzegovina (durato fino al 1995) e della campagna di pulizia etnica contro le altre componenti non-serbe, in particolare i bosniaci musulmani. “La leadership politica deve rispettare le decisioni della Corte Costituzionale ed è ancora più importante dopo la concessione dello status di candidato” all’adesione Ue per la Bosnia ed Erzegovina, ha precisato Stano.
    La Republika Srpska tra secessionismo e sanzioni
    Dall’ottobre del 2021 proprio Dodik si è fatto promotore di un progetto secessionista per sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, per cui il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e su cui la Commissione ha iniziato a ragionare. Dopo la dura condanna da parte dell’Unione dei tentativi secessionisti della Republika Srpska (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno dello scorso anno i leader bosniaci si erano radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme necessarie sul piano elettorale e costituzionale nel Paese balcanico.
    Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e il membro serbo della presidenza tripartita di Bosnia, Milorad Dodik (24 novembre 2021)
    La provocazioni secessioniste mai sopite nella Republika Srpska si accompagnano alla questione della destabilizzazione russa e dell’allineamento alle sanzioni internazionali contro Mosca, dopo l’invasione armata dell’Ucraina. Insieme alla Serbia la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese europeo a non aver adottato le misure restrittive dell’Ue, a causa dell’opposizione della componente serba della presidenza tripartita. Anche considerata la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, per Bruxelles non è ipotizzabile un mancato allineamento ai principi fondanti della Politica estera e di sicurezza comune (Pesc), “incluse le misure restrittive”, come messo in chiaro dal vertice Ue-Balcani Occidentali del 6 dicembre scorso a Tirana.
    Ma Dodik – e le autorità della Republika Srpska in generale – non ha mai nascosto la propria ambiguità non solo sul conflitto in corso in Ucraina, ma anche sull’annessione illegale da parte del Cremlino delle regioni ucraine Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia: “Incontrerò personalmente Putin, per confrontarci su progetti energetici concreti e del comportamento dell’Occidente“, era stata la provocazione di fine settembre dello scorso anno dopo i referendum illegali in Ucraina. Un incontro concretizzatosi lo scorso 20 settembre, a cui dovrebbe seguirne ora quello per la consegna della medaglia all’autocrate russo. Un altro nodo che si stringe sull’asse Banja Luka-Mosca e che allontana l’entità a maggioranza serba in Bosnia dall’Ue.

    L’entità a maggioranza serba ha premiato l’autocrate russo per “la preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti di Banja Luka. È un passo ulteriore di rottura con le richieste Ue: “Non c’è spazio in Europa per medaglie a politici che invadono Paesi vicini e ne uccidono i cittadini”

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    Tra separatismo, rinnovamento e polemiche in Bosnia ed Erzegovina. Chi ha vinto le elezioni più complicate del mondo

    Bruxelles – Si sono svolte ieri (domenica 2 ottobre) in Bosnia ed Erzegovina quelle che sono considerate dall’opinione pubblica internazionale le elezioni più complicate tra i sistemi politici di tutto il mondo. In linea generale ha vinto il rinnovamento tra le etnie croata e musulmana, ma allo stesso tempo non si è nemmeno arrestato il separatismo della componente serba, rendendo ancora più intricata l’analisi del voto politico nel Paese balcanico, che si è appesantita con la decisione dell’alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina (Ohr), Christian Schmidt, di usare i cosiddetti ‘poteri di Bonn’ per imporre modifiche alla legge elettorale e alla Costituzione proprio nel giorno del voto.
    Per capire l’esito delle elezioni, bisogna analizzare il sistema di governo in vigore in Bosnia ed Erzegovina. Il Paese è diviso in due entità, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina e la Republika Srpska: ciascuna ha un Parlamento bicamerale e, a seconda dell’entità in cui vivono, i cittadini eleggono anche un presidente (Republika Srpska) o la rappresentanza politica cantonale (Federazione di Bosnia ed Erzegovina, divisa in 10 cantoni). A livello statale, c’è una presidenza tripartita (composta dai rappresentanti delle etnie croata, musulmana e serba) un Consiglio dei ministri e un Parlamento bicamerale statale: di quest’ultimo è importante la Camera dei popoli – di 15 membri, cinque per ciascuna etnia – che ha il compito di tutelare i rispettivi interessi etnici con un potere di veto sulle leggi approvate dalla Camera dei rappresentanti. Nella pratica, nel giorno delle elezioni in Bosnia ed Erzegovina si vota per cose diverse a seconda della propria entità politica di riferimento e della propria etnia (chi non si identifica in nessuna delle tre maggiori è escluso da alcune votazioni). Chi risiede nella Federazione di Bosnia ed Erzegovina vota per i membri bosgnacco – cioè bosniaco musulmano – e croato della presidenza tripartita, per il Parlamento statale, per il Parlamento della Federazione e per l’Assemblea cantonale. Chi risiede nella Republika Srpska vota per il membro serbo della presidenza tripartita, per il Parlamento statale, per il presidente e per il Parlamento dell’entità serba.
    Su una popolazione di 3,8 milioni di persone, sono stati oltre 7 mila i cittadini che si sono candidati a una qualche carica di rappresentanza nel Paese il 2 ottobre 2022. In palio c’erano tre seggi per la presidenza tripartita, 42 per il Parlamento statale, 98 per l’Assemblea della Federazione, 83 per l’Assemblea e tre per il presidente e i vicepresidenti della Republika Srpska, oltre a tutti quelli delle 10 Assemblee cantonali. Secondo quanto riporta la Commissione elettorale centrale, solo il 50 per cento dei bosniaci ha votato nei 5.904 seggi aperti, confermando il clima di generale sfiducia nel sistema politico nazionale e di estrema complessità di quello elettorale, che è alla base dell’astensionismo cronico dalle prime elezioni dopo la fine della guerra in Bosnia nel 1996.
    Con l’85 per cento delle schede spogliate, per quanto riguarda la presidenza tripartita va segnalato il doppio risultato della socialdemocrazia nella Federazione. Il membro croato uscente, Željko Komšić (Fronte Democratico), si è imposto sulla candidata nazionalista dell’Unione Democratica Croata (Hdz), Borjana Krišto, spingendo verso la visione di uno Stato che si smarchi dalle divisioni etniche, come sostenuto anche dal futuro membro bosgnacco, Denis Bećirović (Partito Socialdemocratico), che ha sconfitto il Partito d’Azione Democratica (Sda), guidato dall’uscente Bakir Izetbegović (in carica dal 2010 a oggi e figlio del primo presidente bosniaco, Alija Izetbegović). L’asse di centro-sinistra moderato che proverà a spingere Sarajevo su una strada meno etno-centrica a riformista è frenato però dall’elezione della serbo-bosniaca Željka Cvijanović (la prima rappresentante donna di sempre in questo ruolo): presidente uscente della Republika Srpska, anche lei sarebbe una socialdemocratica, ma nell’entità a maggioranza serba questo significa che continuerà con ancora più forza il progetto secessionista iniziato dal predecessore, Milorad Dodik.

    This is the new BiH Presidency.
    Bećirović and Komšić are social democrats who will continue advocating for a civic BiH.
    Cvijanović, a Serb nationalist, will keep pushing for the secession of the RS.
    The people of BiH have sent a clear message: We want to live in a civic state. pic.twitter.com/0397EUsRdZ
    — Samir Beharić 🇺🇦 (@SamBeharic) October 3, 2022

    A proposito di Dodik, in Republika Srpska c’è un giallo sulle elezioni del nuovo presidente dell’entità. Dopo la chiusura delle urne, la candidata del Partito del Progresso Democratico (Pdp), Jelena Trivić, ha rivendicato la vittoria, sostenendo di essere sopra di oltre 11 mila voti rispetto al candidato dell’Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti. La Commissione elettorale centrale, invece, ha confermato che è Dodik il più vicino a essere eletto per la terza volta (dopo il doppio mandato tra il 2010 e il 2018) a presidente della Republika Sprska, con uno scarto di circa 30 mila preferenze: gli avversari stanno denunciando brogli elettorali per cui dovrebbe essere invalidato il risultato delle urne. In ogni caso, entrambi i leader serbo-bosniaci spingono sulla strada del secessionismo dell’entità, e nessuno dei due scenari sembra essere più rassicurante per la stabilità del Paese e il rispetto degli impegni sulle riforme istituzionali previsti dal cammino di adesione all’Unione Europea.
    L’alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina (Ohr), Christian Schmidt (2 ottobre 2022)
    In attesa dell’esito del voto per la composizione delle 13 Assemblee parlamentari – locali, statali e delle entità – che potrebbe confermare queste le tendenze generali verso il riformismo nella Federazione e il separatismo nella Republika Srpska, è arrivata con un tempismo alquanto discutibile la decisione dell’alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina di imporre modifiche alla legge elettorale e alla Costituzione, nel pieno del processo di voto. Questa possibilità deriva dai ‘poteri di Bonn’ – previsti dagli Accordi di Dayton del 1995, che misero fine alla guerra in Bosnia iniziata tre anni prima – che consentono all’alto rappresentante di imporre misure legislative o licenziare funzionari che si oppongono all’attuazione degli stessi accordi di pace sulle modifiche alla Costituzione e alla legge elettorale.
    Le misure contenute nel ‘Pacchetto di funzionalità‘ dovrebbero snellire il processo legislativo con l’obbligo di cooperazione per le due Camere del Parlamento statale, aumentare il numero di rappresentanti nella Camera dei popoli e modificare le modalità con cui vengono eletti, oltre a definire scadenze più strette per la formazione del governo dopo le elezioni. Nonostante le dure critiche da parte dei maggiori esperti e analisti della politica bosniaca e di alcuni eurodeputati, la misura è stata sostenuta sia dall’ambasciata statunitense in Bosnia, sia da quella britannica. Più attendista è invece la Commissione Europea, che attraverso la portavoce per la Politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero, ha fatto sapere che “è una decisione dell’alto rappresentante” e ha ricordato che “i poteri di Bonn devono essere usati solo come ultimo mezzo disponibile”, esortando allo stesso tempo i leader bosniaci a “rafforzare gli impegni sanciti a giugno a Bruxelles“. Nella nota della delegazione Ue in Bosnia ed Erzegovina si legge invece che Bruxelles “prende atto” di quanto deciso da Schmidt, senza dare alcun indizio se si respiri ottimismo o irritazione per le modifiche alla Costituzione e alla legge elettorale del Paese nel giorno stesso delle elezioni.

    These results were however overshadowed by the use of the Bonn Powers by the @OHR_BiH to impose a new election law that caters the interests of the ethno-nationalistic HDZ party and its sister party in Zagreb. By doing so, Mr. Schmidt has severely complicated the reform process.
    — Tineke Strik (@Tineke_Strik) October 3, 2022

    “Con questa missione elettorale si rende ancor più evidente l’interesse e l’attenzione dell’Unione Europea, che resta convintamente al fianco del Paese nel suo cammino verso una piena integrazione europea”, scrive in una nota l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle e unico italiano tra gli osservatori elettorali del Parlamento, Fabio Massimo Castaldo, che sottolinea anche “lo speciale legame culturale, storico e commerciale dell’Italia con la Bosnia e con l’intera regione dei Balcani Occidentali”. L’auspicio dell’eurodeputato italiano è che “il nuovo Parlamento possa superare i veti e le tensioni degli ultimi anni e proseguire nel cammino delle riforme” verso l’adesione all’Unione.
    Anche i Socialisti e Democratici (S&D) all’Eurocamera esortano i nuovi leader “a superare le divisioni etniche e a concentrarsi sulle riforme necessarie verso un futuro prospero, democratico ed europeo”. Il nuovo governo, afferma una nota, “deve attuare tutti gli impegni e le riforme, comprese le sentenze dei tribunali nazionali e internazionali, per trasformare la Bosnia ed Erzegovina in uno Stato pienamente funzionante”. Il gruppo S&D è deluso dal fatto che “le campagne elettorali siano state oscurate dalla retorica etnica divisiva dei partiti politici invece di concentrarsi su argomenti riguardanti il benessere dei cittadini come la disoccupazione, la disuguaglianza sociale, la corruzione, l’elevata inflazione e la crisi energetica”.

    Le urne hanno rinnovato la presidenza tripartita, il Parlamento statale, quelli delle due entità e il presidente della Republika Srpska. Si delineano la linea moderata di croati e bosgnacchi e quella separatista serba, mentre l’alto rappresentante impone modifiche alla legge elettorale

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    Le province separatiste dell’Ucraina indicono referendum per farsi annettere dalla Russia. L’Ue: “Illegali, nulli e invalidi”

    Bruxelles – Ora la guerra di resistenza contro Mosca potrebbe assumere un nuovo significato per Kiev. Non più solo una controffensiva per riconquistare i territori sottratti dall’esercito russo dall’inizio dell’invasione lo scorso 24 febbraio, ma soprattutto un recupero delle province separatiste annesse alla Russia. Non si parla più esclusivamente della Crimea – da cui tutto è iniziato nel 2014 – perché la novità sono ora i referendum che saranno organizzati tra il 23 e il 27 settembre nelle autoproclamate Repubbliche separatiste filo-russe di Donetsk e Luhansk (nel sud-est dell’Ucraina) per l’annessione alla Russia. Si tratta proprio di quei territori che Putin aveva riconosciuto come entità indipendenti il 21 febbraio, pochi giorni prima di iniziare l’offensiva militare su larga scala che dura ormai da sette mesi.
    La sfida alle autorità di Kiev non si ferma qui. Perché nei prossimi giorni è attesa la stessa decisione sui referendum di annessione alla Russia da parte dei separatisti delle regioni di Kherson, Kharkiv e Zaporizhzhia, con implicazioni cruciali per il proseguo della guerra di Putin in Ucraina. Per comprenderne la portata basta considerare le parole del vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, che ha affermato che “i referendum nel Donbass sono di grande importanza non solo per la protezione sistemica dei residenti” delle Repubbliche separatiste  e “degli altri territori liberati”, ma anche “per il ripristino della giustizia storica”. Il fatto che questo voto “cambierebbe completamente il vettore dello sviluppo della Russia per decenni” non è solo una questione di proclami altisonanti, ma ha una conseguenza tangibile: “Dopo aver incorporato nuovi territori alla Russia, la trasformazione geopolitica nel mondo diventerà irreversibile”, ha aggiunto Medvedev, minacciando l’Ucraina e l’Occidente che “l’invasione del territorio della Russia è un crimine, la cui commissione consente l’uso di tutte le forze di autodifesa“.
    Dichiarazioni che arrivano non solo mentre la controffensiva dell’esercito ucraino sta obbligando la Russia a ritirarsi dall’Oblast di Kharkiv, ma anche in concomitanza della mobilitazione parziale dichiarata da Putin, con il richiamo alle armi dei militari della riserva, e degli emendamenti al Codice Penale russo per il rafforzamento delle pene in caso di “mobilitazione”, “legge marziale”, “tempo di guerra” e “conflitto armato” (la renitenza alla leva sarà punita con una pena fino a dieci anni di reclusione). Si aggiunge poi la minaccia di ricorrere a “ogni mezzo necessario per la difesa della Russia”, compresa l’arma nucleare. Tutti segnali che evidenzierebbero il livello di grave difficoltà dell’autocrate russo nel condurre una guerra che sta diventando sempre più un fallimento su quasi tutta la linea, come sostiene Kiev, ma anche Bruxelles: “Queste decisioni dimostrano la disperazione di Putin e la mancanza di volontà a cercare la pace, vuole solo continuare la sua guerra distruttiva”, ha sottolineato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, nel corso del punto quotidiano con la stampa europea.
    L’autocrate russo, Vladimir Putin, al momento della firma della dichiarazione di riconoscimento d’indipendenza delle autoproclamate Repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk (21 febbraio 2022)
    La condanna delle istituzioni comunitarie si estende anche ai referendum delle autoproclamate Repubbliche separatiste in Ucraina per l’annessione alla Russia. “L’Unione Europea condanna fermamente questi referendum illegali pianificati che vanno contro le autorità ucraine legalmente e democraticamente elette”, è la condanna dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “I risultati di tali azioni saranno nulli e non saranno riconosciuti dall’Ue e dai suoi Stati membri”. Il voto non può essere considerato “in nessun caso” una libera espressione della volontà popolare in queste regioni, per diverse ragioni: la fuga di una “parte significativa della popolazione” dopo l’invasione dell’esercito del Cremlino, la “costante minaccia e intimidazione militare russa”, la “sostituzione con la forza” di funzionari locali e la libertà di espressione “fortemente limitata”. Dal momento in cui Mosca intende modificare con la forza i confini dell’Ucraina, “in chiara violazione della Carta delle Nazioni Unite”, la Russia, la sua leadership politica e tutti i soggetti coinvolti nello svolgimento dei referendum di annessione “saranno ritenuti responsabili”, mentre a Bruxelles saranno prese in considerazione “ulteriori misure restrittive”, ha annunciato Borrell.

    The EU strongly condemns the illegal “referenda” in Luhansk, Kherson & Donetsk, which are in violation of Ukraine’s independence, sovereignty and territorial integrity, and in blatant breach of international law. Results of such actions will be null & void https://t.co/kqOwZYrXwG
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) September 20, 2022

    L’incognita balcanica
    Come se la situazione non fosse sufficientemente calda, dalla Bosnia ed Erzegovina arrivano dichiarazioni incendiarie del membro serbo della presidenza tripartita, Milorad Dodik, a proposito della guerra russa in Ucraina e del parallelismo con la Republika Srpska (una delle due entità in cui è diviso il Paese balcanico, a maggioranza serba). “A 15 milioni di russi in Ucraina le autorità hanno negato il diritto alla propria lingua, ecco perché l’operazione speciale della Russia è giustificata dalla necessità di proteggere il suo popolo“, ha ribadito in un’intervista all’agenzia di stampa russa Tass il suo non-allineamento alla posizione del resto dell’Europa. Nemmeno il presidente serbo, Aleksandar Vučić, che rivendica una posizione di neutralità tra Mosca e l’Occidente e in questo modo giustifica la sua contrarietà alle sanzioni contro la Russia, si è mai spinto a tanto. È proprio alla Serbia che Dodik guarda con speranza, illustrando le similitudini con il Donbass ucraino: “Qui è la stessa cosa, non possiamo condividere le stesse scuole e gli stessi libri di testo con i musulmani“, ha attaccato, con riferimento ai tentativi di secessionismo che sta portando avanti nella Republika Srpska. La volontà del leader serbo-bosniaco, a meno di due settimane dalle elezioni politiche nel Paese, è quella di incontrare personalmente Putin, per confrontarsi su “progetti energetici concreti e del comportamento dell’Occidente”, ha anticipato alla Tass.
    Il membro serbo della presidenza tripartita di Bosnia, Milorad Dodik
    È anche per il rischio di un’escalation della tensione e della destabilizzazione russa nella regione dei Balcani Occidentali che Bruxelles non può permettersi di allentare il rapporto anche con i Paesi più irrequieti. Non a caso l’alto rappresentante Borrell ha incontrato ieri (martedì 20 settembre) i sei leader balcanici per un pranzo informale a New York, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dopo aver ripreso la tradizione delle cene informali a Bruxelles nel maggio dello scorso anno. Come si legge in una nota del Seae, la discussione “si è concentrata sull’impatto globale e regionale della guerra illegale” della Russia in Ucraina, in particolare “sui prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia e sulla stabilità e sicurezza in Europa e nel mondo”. Al pranzo erano presenti il premier montenegrino, Dritan Abazović, gli omologhi albanese, Edi Rama, e macedone, Dimitar Kovačevski, e i presidenti della Serbia, Aleksandar Vučić, del Kosovo, Vjosa Osmani, e della Bosnia ed Erzegovina, Šefik Džaferović (membro bosgnacco della presidenza tripartita). Proprio a sottolineare quanto l’Ue sia un partner irrinunciabile per i Balcani Occidentali, Borrell ha sottolineato il sostegno di Bruxelles per “rafforzare la sicurezza energetica e affrontare le minacce ibride“, comprese l’interferenza informatica e delle informazioni straniere, come ha dimostrato il recente caso di attacco hacker iraniano contro le istituzioni dell’Albania.

    We are living in difficult times. With the #WesternBalkans – our closest partners & future EU members – we will keep joining forces even more to respond to the challenges we all meet as consequences of Russia’s aggression against Ukraine.https://t.co/HTwZsoocJm pic.twitter.com/hffBv5eL9L
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) September 20, 2022

    Sull’esempio della Crimea nel 2014, le province occupate di Donetsk e Luhansk hanno indetto una consultazione popolare tra il 23 e il 27 settembre e presto potrebbe arrivare la stessa decisione a Kharkiv, Kherson e Zaporizhzhia. Intanto Putin annuncia la mobilitazione parziale alle armi