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    Tragedia dei migranti in Calabria, il giorno dopo: l’Ue si interroga sul sistema di ricerca e salvataggio

    Bruxelles – Il giorno dopo la tragedia di Steccato di Cutro, in cui hanno perso la vita almeno 63 persone migranti, a Bruxelles per l’ennesima volta è tempo di interrogarsi sul mancato soccorso all’imbarcazione che trasportava tra i 180 e 250 passeggeri provenienti da Turchia, Siria, Pakistan e Afghanistan. Perché il caicco, partito da Smirne, prima di schiantarsi sulle coste di Crotone, in acque territoriali italiane, ha attraversato tutto il Mar Egeo e lo Ionio senza che le venisse prestato soccorso. Nonostante, come dichiarato dalla Guardia di Finanza di Vibo Valentia, nella serata di sabato un velivolo dell’Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera (Frontex) avesse avvisato le autorità italiane della presenza dell’imbarcazione a circa 40 miglia dalle coste crotonesi.
    (Photo by Alessandro SERRANO / AFP)
    Come sempre in questi casi arrivano le dichiarazioni di “profondo dolore e rammarico” dei leader Ue per un fenomeno tornato di stretta attualità. Complice un anno di arrivi da record alle frontiere europee, da mesi a Bruxelles è tornato in auge il “dossier migrazioni”, con la Commissione europea che lo scorso 21 novembre ha presentato un Piano d’azione specifico per il Mediterraneo centrale, in cui si ribadiva la necessità di “una cooperazione più stretta tra tutti gli attori coinvolti nelle operazioni di ricerca e soccorso”. E con le conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo, tre settimane fa, che mettevano il sigillo sul principio che “la migrazione è una sfida europea e come tale va affrontata con una risposta europea”.
    Oggi la portavoce dell’esecutivo Ue per gli affari interni, le migrazioni e la sicurezza, Anitta Hipper, ha ammesso che “la situazione rimane molto complessa” e che “le operazioni di salvataggio avvengono spesso senza interazioni tra gli attori coinvolti”. Il problema di fondo, ribadisce da mesi la Commissione europea, è che le attività di ricerca e salvataggio in mare sono di competenza esclusiva degli Stati membri. E quindi, al di là degli innumerevoli richiami all’obbligo legale di soccorrere vite in mare, lo spazio di manovra dell’Ue rimane fortemente limitato.
    Il tentativo di rispolverare il Gruppo di contatto europeo di ricerca e soccorso, che si è riunito dopo un interruzione di un anno e mezzo lo scorso 31 gennaio, va nella direzione di “scambiare pratiche comuni e informazioni” tra i Paesi membri, niente di più. Ma, dopo quest’ultima tragedia, l‘invito a fare di più è arrivato direttamente dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), secondo cui “il tragico naufragio al largo della costa crotonese conferma l’urgenza di rafforzare il sistema di soccorso in mare, che resta insufficiente”.
    In passato, Frontex ha lanciato due programmi specifici per l’Italia e la Grecia, l’operazione “Triton” nel 2014 e l‘operazione “Poseidon” nel 2016, con le quali forniva personale e imbarcazioni per sorvegliare le acque territoriali dei due Paesi mediterranei. Quella italiana è stata poi sostituita nel 2018 dalla nuova operazione “Themis“, in cui “la ricerca e il salvataggio continuano a costituire un elemento fondamentale dell’operazione”. Secondo Anitta Hipper, solo l’anno scorso gli aerei e le navi di Frontex “hanno contribuito al salvataggio di 24 mila persone” nel Mediterraneo. Ma, ancora una volta, Hipper sottolinea che “non sta a Frontex il coordinamento delle missioni, che rimane competenza degli Stati membri”.
    Per questo sul tavolo delle istituzioni Ue, che si guardi al piano legislativo del Nuovo patto per le migrazioni e l’asilo o a quello operativo del Piano d’azione per il Mediterraneo centrale, “non ci sono proposte per missioni navali europee di salvataggio“. Anche perché i governi nazionali hanno scelto di prediligere gli sforzi per evitare che le imbarcazioni si mettano in moto. Una priorità anche di questo governo. La linea è adoperarsi per fare in modo che non ci siano navi cariche di migranti in acqua.

    Sono 63 per ora le vittime accertate dell’imbarcazione che si è schiantata sulla costa crotonese, più di 100 i dispersi. Sul tavolo “nessuna proposta per missioni navali europee di salvataggio”, nonostante l’invito a rafforzare il sistema di soccorso in mare pervenuto dall’Oim e dall’Unhcr

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    Un anno di guerre e insicurezza economica, nel 2022 un milione di richieste d’asilo in Ue

    Bruxelles – Quasi un milione di richieste d’asilo in Ue in un solo anno non si vedevano dal 2016, l’anno dei record degli arrivi alle frontiere europee. Secondo l’ultima analisi pubblicata dall’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (Euaa), nel 2022 nei Paesi membri, più Svizzera e Norvegia, sono state presentate 966 mila domande di protezione internazionale, con un aumento di oltre il 50 per cento rispetto al 2021.
    Se a queste si aggiungono i 4 milioni di profughi ucraini in fuga dalla guerra, per i quali l’Unione europea ha attivato tempestivamente lo status di protezione temporanea, i numeri complessivi sono per distacco i più alti mai registrati sul continente. L’aumento significativo sarebbe dovuto non tanto ai famosi “pull factor” evocati da diversi Paesi Ue quando a Bruxelles si discute di gestione dei flussi migratori , ma al contrario da diversi “push factor“, fattori di spinta, come i conflitti logoranti e l’insicurezza economica e alimentare in molte regioni di origine. Sono infatti ancora cittadini siriani (132 mila) e afghani (129 mila) di gran lunga i richiedenti più numerosi, con aumenti rispettivamente del 24 e del 29 per cento rispetto all’anno precedente. E poi, in ordine, 55 mila turchi, 51 mila venezuelani e 43 mila colombiani. Anche dal Nord Africa, regione colpita duramente dalle conseguenze economiche e alimentari della guerra in Ucraina, i richiedenti asilo sono aumentati significativamente, con 59 mila domande provenienti da Marocco, Egitto e Tunisia.

    Due richiedenti asilo su cinque hanno ricevuto una decisione positiva dalle autorità Ue: il tasso di riconoscimento delle richieste d’asilo è stato del 40 per cento nel 2022, con un aumento di cinque punti percentuali rispetto al 2021 e il massimo negli ultimi cinque anni. Tassi particolarmente alti per siriani, bielorussi, ucraini, eritrei, yemeniti e maliani. Non è andata altrettanto bene ai cittadini di India, Macedonia del Nord, Moldavia, Vietnam, Tunisia, Bosnia-Erzegovina, Serbia e Nepal, con tassi di riconoscimento delle domande di protezione internazionale inferiori al 4 per cento.
    Secondo l’Euaa, i sistemi di asilo europei hanno evitato il collasso grazie alla scelta di “offrire un canale dedicato che non richiedesse un esame individuale” per i cittadini ucraini. Tuttavia, rimarca l’Agenzia europea per l’asilo, “i cinque milioni di persone in cerca di protezione in Europa hanno sottoposto i sistemi di accoglienza nazionali a una notevole pressione“.

    Aumentate di oltre il 50 per cento le domande di protezione internazionale rispetto al 2021: Siria, Afghanistan e Turchia i tre Paesi con più richiedenti. Dall’Ucraina 4 milioni di profughi, a cui l’Ue ha però concesso lo status di protezione temporanea

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    330 mila ingressi irregolari alle frontiere Ue in un anno, mai così tanti dal 2016

    Bruxelles – Nell’anno appena concluso sono quasi raddoppiati gli attraversamenti irregolari alle frontiere esterne del territorio Ue: 330 mila gli ingressi registrati, in aumento del 64 per cento rispetto al 2021, il numero più alto dalla prima grande crisi del 2015-16. Dopo il minimo indotto dalla pandemia nel 2020, per il secondo anno di fila l’Agenzia europea di guardia frontiera e costiera (Frontex) ha rilevato un forte aumento del numero di ingressi. Soprattutto di persone di nazionalità siriana, afgana e tunisina, che hanno rappresentato ben il 47 per cento del totale dei rilevamenti del 2022.
    È la rotta dei Balcani occidentali la porta d’ingresso più attraversata da chi cerca rifugio sul territorio comunitario senza essere riuscito ad ottenere un permesso d’asilo: 145 600 attraversamenti di frontiera, quasi la metà del totale, il 136 per cento in più rispetto all’anno scorso. Sono in maggior parte afgani che fuggono dal regime dei Talebani insediatosi a Kabul nell’agosto del 2021, siriani (il cui numero, 94 mila, è quasi raddoppiato in un anno) e turchi.
    102 mila gli sbarchi irregolari di egiziani, tunisini e bengalesi dal Mediterraneo centrale, in aumento del 51 per cento dall’anno precedente. Balcani e Mediterraneo centrale, le due rotte più percorse dalle persone migranti, sono sotto stretta sorveglianza della Commissione Ue, che ha presentato tra novembre e dicembre 2022 due Piani d’azione per gestire in maniera più coordinata i flussi sui due percorsi. Ma anche più a est, sulle coste di Cipro e Grecia, gli ingressi hanno subito una decisa impennata: 42 800, quasi il doppio del 2021. A invertire la tendenza la rotta del Mediterraneo Occidentale, che ha visto una diminuzione della pressione migratoria nel 2022 di circa un quinto in meno rispetto all’anno precedente. 15 460 arrivi, il 31 per cento in meno rispetto al 2021. C’è anche chi cerca di lasciare l’Unione europea: nel Canale della Manica sono stati rilevati oltre 71 000 attraversamenti irregolari delle frontiere all’uscita, tra tentativi e riusciti.
    Dei 330 mila ingressi, meno di un rilevamento su dieci era relativo a donne, mentre la percentuale di minori segnalati è leggermente diminuita, a circa il 9 per cento di tutti gli attraversamenti registrati. Separatamente, tra il 24 febbraio 2022 e la fine dell’anno Frontex ha contato quasi 13 milioni di rifugiati ucraini all’ingresso alle frontiere esterne dell’Ue dall’Ucraina e dalla Moldavia, che non sono inclusi in queste cifre. Nello stesso periodo, 10 milioni di cittadini ucraini sono stati segnalati in uscita dalle stesse sezioni di frontiera.

    Secondo i dati preliminari di Frontex, gli attraversamenti alle frontiere esterne esterne sono aumentati del 64 per cento rispetto al 2021. Quasi la metà rilevati lungo la rotta dei Balcani Occidentali, ma in forte aumento anche dal Mediterraneo Centrale e Orientale

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    Migranti, Team Europe avvia due iniziative per gestire flussi nel Mediterraneo

    Bruxelles – Investire in Africa per eliminare le condizioni alla base delle partenze, e poi cooperazione nei rimpatri e nelle riammissioni. L’Unione europea lancia nuove iniziative mirate per la dimensione esterna dell’immigrazione. Due iniziative del Team Europe, l’insieme degli Stati membri dell’Ue e le sue istituzioni per rispondere in modo unitario alle sfide globali, inclusa quella dei flussi. “L’Africa nel 2050 conterà quasi tre miliardi di persone, e se non affrontiamo le problematiche economiche e legate al clima c’è il rischio di migrazioni di massa” verso l’Europa, sottolinea Antonio Tajani, ministro degli Esteri dell’Italia. Insieme a Francia e Spagna, l’Italia è al centro di questa iniziativa che l’esecutivo comunitario avvia oggi (12 dicembre).
    Mediterraneo centrale, quella che interessa da vicini l’Italia, e Mediterraneo occidentale. E’ qui che si intende intervenire con rinnovato slancio. “Stiamo lavorando intensamente perché il tema dell’immigrazione sia affrontato con una strategia di breve, medio e lungo termine”, continua il titolare della Farnesina.
    Per quanto riguarda la parte squisitamente migratoria dell’iniziativa,  si riuniscono dei Paesi africani ed europei di origine, transito e destinazione. Si vogliono creare nuove opportunità di coordinamento con i paesi partner, i partner internazionali e le pertinenti agenzie delle Nazioni Unite.
    Nel Mediterraneo centrale, più specificatamente, l’iniziativa  sosterrà l’attuazione di azioni operative per gestire la migrazione in cooperazione e coordinamento con Burkina Faso, Ciad, Egitto, Libia, Niger, Etiopia, Eritrea, Somalia, Sudan, Tunisia, Costa d’Avorio, Guinea e Nigeria. Per gli interventi lungo la rotta che invece interessa più da vicino la Spagna, quella del Mediterraneo centrale, i Paesi africani partner principali sono Algeria, Mauritania, Senegal, Marocco, Gambia, Ghana e Mali.
    Per quanto riguarda la migrazione regolare, si vuole puntare sull’ingresso di richiedenti asilo qualificati. “Stiamo lavorando per accelerare l’attuazione di questi partenariati su misura a partire da Marocco, Tunisia ed Egitto”, fa sapere la Commissione europea. “Una gestione efficace della migrazione può avvenire solo quando si stabiliscono solidi partenariati tra paesi di origine, transito e destinazione”, sostiene l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell. “Questo è ciò che fanno le due Iniziative Team Europa, offrendo una piattaforma strategica per coordinare meglio il nostro lavoro insieme ai partner africani”.
    Le iniziative insistono su ritorni, riammissioni, e cooperazione economica. “Dobbiamo agevolare estrazione e lavorazione della materie prime in Africa, in cooperazione” con autorità e aziende locali, insiste il ministro degli Esteri italiano. Che precisa: “Bisogna agire non con una nuova colonizzazione ma favorire la crescita del continente italiano”.

    L’alleanza Ue avvia partenariati con Paese africani per ritorni, rimpatri e cooperazione economica. Tajani: “Rischio migrazioni di massa, occorre risolvere i problemi di base”

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    Un nuovo piano Ue per un’altra rotta migratoria. Le 5 linee d’azione per i Balcani Occidentali secondo la Commissione

    Bruxelles – Come promesso lo scorso 25 novembre, nel giorno della presentazione ai 27 ministri Ue degli Interni del piano d’azione per il Mediterraneo centrale, la Commissione ha presentato una nuova strategia operativa per affrontare l’aumento degli arrivi di persone migranti lungo la rotta balcanica, in tempo per il vertice Ue-Balcani Occidentali di domani (martedì 6 dicembre) a Tirana. “Ci basiamo sulla buona cooperazione con i partner e forniamo un percorso per continuare a lavorare a stretto contatto” con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, ha spiegato in conferenza stampa oggi (lunedì 5 dicembre) la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson.
    La commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson
    Per il gabinetto von der Leyen l’obiettivo del piano d’azione per la rotta balcanica è quello di definire una serie di misure per rafforzare il sostegno dell’Unione verso gli Stati membri e i partner extra-Ue “che si trovano ad affrontare una maggiore pressione migratoria lungo le rotte” che attraversano la penisola. La ragione principale che ha reso necessario questa strategia è l’aumento “significativo” dei movimenti di persone migranti nel corso del 2022 “a causa di diversi fattori, tra cui le pressioni economiche e l’insicurezza derivante dai conflitti in corso”, sottolinea la Commissione. Secondo i dati recentemente pubblicati da Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), tra gennaio e ottobre 2022 si sono verificati 281 mila attraversamenti irregolari attraverso la rotta balcanica, per un aumento del 77 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021 e il totale più alto dal 2016 (oltre 130 mila). A oggi, la rotta balcanica rappresenta il movimento migratorio di più ampia portata alle frontiere esterne dell’Unione, maggiore – in termini di ingressi irregolari – anche di quello del Mediterraneo centrale.
    Tra i problemi maggiori riscontrati da Bruxelles c’è in particolare quello del mancato allineamento del regime di esenzione dei visti con la politica dell’Unione, che “contribuisce ad aumentare il numero di persone che arrivano direttamente in aereo nei Paesi dei Balcani Occidentali e proseguono verso l’Ue”. La commissaria Johansson ha avvertito che “tutti i partner balcanici presentano carenze sulla politica dei visti liberi, ma i problemi principali sono registrati con Belgrado“, ed è per questo che – in concomitanza con il vertice di Tirana – “domani una missione Ue si recherà in Serbia per capire come proteggere le frontiere con l’Ungheria, anche attraverso Frontex”. Ma, più in generale, la Commissione spinge per affrontare tutte le questioni aperte all’interno di un quadro più ampio, proprio attraverso il piano d’azione per la rotta balcanica, che individua 20 misure operative strutturate su 5 pilastri: dal rafforzamento della gestione delle frontiere alla velocizzazione delle procedure di asilo e il sostegno alle capacità di accoglienza, dalla lotta contro il traffico di esseri umani al miglioramento della cooperazione per riammissioni e rimpatri, fino all’allineamento – appunto – della politica dei visti.
    Cosa prevede il Piano d’azione per la rotta balcanica
    Il piano d’azione per la rotta balcanica prevede come prima strategia operativa il rafforzamento della gestione delle frontiere, non solo quelle esterne dell’Ue, ma anche quelle tra i sei Paesi balcanici. Per questo motivo l’esecutivo comunitario punta su dispiegamenti congiunti di Frontex, attraverso accordi come quello firmato con la Macedonia del Nord lo scorso 26 ottobre a Skopje, e spingendo sui negoziati con altri quattro Paesi (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia) dopo l’autorizzazione del Consiglio. A questo si aggiunge la fornitura di attrezzature per la gestione e la sorveglianza delle frontiere attraverso i 40 milioni di euro previsti dallo strumento di assistenza pre-adesione (Ipa), “concentrandosi su Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Montenegro e Serbia”, ma anche la possibilità di “aumentare il sostegno di Frontex agli Stati membri alle frontiere esterne dell’Ue“.
    Campo di Lipa dopo l’incendio del 23 dicembre 2021 (credits: S&D)
    Il secondo pilastro del piano d’azione per la rotta balcanica si focalizza sul garantire procedure di asilo più rapide e sul sostegno alle capacità di accoglienza. Per Bruxelles è prioritaria l’attuazione della tabella di marcia dell’Agenzia Ue per l’Asilo, ma anche azioni mirate attraverso lo strumento Ipa per “alloggi ed esigenze di base” per le persone migranti, sul modello del centro di accoglienza multifunzionale di Lipa in Bosnia ed Erzegovina (dopo l’incendio che lo aveva distrutto nel dicembre 2021). Sul fronte interno dell’Ue – punto di arrivo delle persone lungo la rotta balcanica – si punta invece sulla registrazione “accurata” in Eurodac (il database europeo delle impronte digitali per coloro che richiedono l’asilo), su progetti-pilota per procedure più rapide “in particolare applicando la procedura di frontiera, i concetti di Paese terzo sicuro e Paese d’origine sicuro”, sui trasferimenti Dublino per affrontare i movimenti secondari e sulla possibilità di istituire gruppi di gestione della migrazione a partire da quello esistente in Grecia.
    Rimane centrale la lotta al traffico di esseri umani lungo la rotta balcanica, attraverso la task-force operativa di Europol al confine Serbia-Ungheria e il programma regionale Ipa da 30 milioni di euro, per aumentare indagini, procedimenti giudiziari e condanne da parte delle autorità giudiziarie dei Paesi balcanici, in collaborazione con agenzie Ue e organizzazioni internazionali. I Paesi membri dell’Unione dovranno invece “riprendere e concludere” i negoziati sulla proposta della Commissione di sanzionare gli operatori dei trasporti coinvolti nell’agevolazione del traffico di migranti e della tratta di esseri umani.
    Il rafforzamento della cooperazione per la riammissione e i rimpatri è il quarto pilastro del piano d’azione per la rotta balcanica, che prevede uno sforzo più intenso da parte dell’Unione nell’aumentare i ritorni di persone direttamente dai Paesi dei Balcani Occidentali. A questo proposito la Commissione intende sviluppare nel 2023 un nuovo programma che copra i rimpatri volontari e non volontari dalla regione, incentrato sul rafforzamento della cooperazione tra l’Ue, i sei partner balcanici e i Paesi di origine e sul sostegno di Frontex attraverso il dispiegamento di specialisti e la formazione alle autorità nazionali.
    L’ultimo punto del piano d’azione per la rotta balcanica ritorna invece sull’allineamento della politica di esenzione dei visti, a partire dal “ripristino e attuazione efficace” dell’obbligo per Paesi terzi “in linea con la politica dei visti dell’Ue”. A questa azione richiesta (e non solo supportata, come negli altri quattro pilastri) ai partner dei Balcani Occidentali, si accompagnano gli sforzi dei Ventisette sulle “attività di sensibilizzazione e di monitoraggio” degli sviluppi operativi sul campo e delle azioni legislative dei Sei balcanici, con iniziative congiunte delle delegazioni Ue e delle ambasciate nazionali e nel contesto del meccanismo di sospensione dei visti.

    Alla vigilia del vertice di Tirana, l’esecutivo Ue presenta la strategia per affrontare l’aumento degli arrivi dalla rotta balcanica. Dal rafforzamento della gestione delle frontiere all’allineamento della politica dei visti, fino alla cooperazione per procedure di asilo, riammissioni e rimpatri

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    La Commissione presenterà prima del vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana un piano d’azione sulla rotta balcanica

    Bruxelles – Dopo il Piano per il Mediterraneo centrale la Commissione Europea è pronta a presentare una linea d’azione anche per la rotta balcanica, per affrontare l’aumento di arrivi di persone migranti lungo quello che rimane sempre il movimento migratorio più ampio alle frontiere dell’Unione. “Annuncerò che siamo pronti a preparare velocemente un Piano d’azione per affrontare le sfide sulla rotta balcanica“, ha reso noto alla stampa europea la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, facendo ingresso al vertice straordinario con i 27 ministri Ue questo pomeriggio (25 novembre).
    A confermare la notizia, aggiungendo dettagli, è stato il vicepresidente della Commissione Ue, Margaritis Schinas, sempre a margine del Consiglio Affari Interni straordinario a Bruxelles: “Oggi il focus sarà sulla rotta mediterranea centrale e sul Piano d’azione che abbiamo presentato questa settimana, ma questo non significa che non discuteremo delle altre rotte migratorie” e, nello specifico, “stiamo pianificando di presentare un Piano sulla rotta balcanica, che sarà pronto prima del vertice Ue-Balcani Occidentali a Tirana il 6 dicembre“. Secondo il vicepresidente Schinas, “dobbiamo sempre tenere a mente che il nostro obiettivo è lavorare come degli architetti per un quadro Ue comprensivo e strutturale sulla migrazione e l’asilo”, attraverso l’adozione del Patto presentato dalla Commissione nel settembre 2020.
    Era stata la stessa commissaria Johansson ad anticipare a Politico che “è giunto il momento di presentare un Piano d’azione adeguato anche per la rotta dei Balcani Occidentali”, mettendo in evidenza che “l’Austria è molto colpita” dall’aumento di persone in arrivo alle frontiere dell’Unione. I lavori dell’esecutivo comunitario sono già in corso e ai 27 ministri degli Interni la notifica dell’imminente proposta – da discutere verosimilmente al Consiglio ordinario dell’8 dicembre – arriverà proprio nel vertice straordinario di oggi. A preoccupare la Commissione è la possibilità di farsi trovare impreparati come nel biennio 2015-2016: “È importante affrontare in modo più efficiente la rotta balcanica rispetto a quanto abbiamo fatto finora“, ha avvertito Johansson parlando con la stampa. Secondo i dati recentemente pubblicati da Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), tra gennaio e ottobre 2022 si sono verificati 281 mila attraversamenti irregolari attraverso la rotta balcanica, per un aumento del 77 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021 e il totale più alto dal 2016 (oltre 130 mila).
    Le preoccupazioni di Bruxelles sulla rotta balcanica
    È da ottobre che il gabinetto guidato da Ursula von der Leyen – e più precisamente la commissaria Johansson – parla insistentemente dell’aumento del numero di arrivi di persone migranti lungo la rotta balcanica, mettendo in risalto il fatto che “molti arrivano da Paesi per cui non riconosciamo la protezione internazionale“, come India, Tunisia e Burundi, sfruttando la possibilità di viaggiare senza visto in Paesi balcanici e di lì tentare di entrare nell’Ue in modo irregolare.
    Proprio per questo motivo “all’ultimo Consiglio ho proposto quattro pilastri di azione“, ha ricordato la commissaria titolare degli Affari interni. Il primo è un “partenariato anti-trafficanti con i Paesi dei Balcani Occidentali“. In secondo luogo “ho firmato un nuovo accordo Frontex con la Macedonia del Nord” lo scorso 26 ottobre a Skopje, che permetterà all’Agenzia Ue di dispiegare squadre sia alle frontiere con l’Unione (Grecia e Bulgaria) sia con gli altri Paesi balcanici extra-Ue (Serbia, Kosovo e Albania). “E ho ricevuto l’autorizzazione dal Consiglio ad avviare i negoziati con altri quattro Paesi“, ovvero Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia.
    Il terzo punto coinvolge l’erogazione di “finanziamenti contro il traffico di esseri umani in questa rotta” e infine, “lavoriamo sull’allineamento della Serbia alla politica dei visti” dell’Unione Europea. È questo uno dei temi più urgenti per la Commissione Ue, dal momento in cui una parte delle persone migranti – prima di presentarsi alle frontiere dell’Unione – può arrivare in aereo in alcuni Paesi che si trovano sulla rotta balcanica e a cui l’Ue ha riconosciuto un regime di esenzione (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, mentre il Kosovo attende dal 2018 una decisione del Consiglio sulla liberalizzazione dei visti per i propri cittadini). “Non è giusto che l’Unione Europea abbia concesso l’esenzione dei visti ai Paesi dei Balcani Occidentali e che questi abbiano accordi di esenzione con Paesi terzi a cui noi non la riconosciamo“, aveva attaccato il vicepresidente Schinas dopo il suo viaggio in Serbia a inizio ottobre. Pochi giorni dopo Belgrado ha annunciato di aver reintrodotto l’obbligo dei visti per i cittadini del Burundi e della Tunisia (in vigore dal 20 novembre).

    Arriverà entro il 6 dicembre, come confermato dal vicepresidente Margaritis Schinas. La commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, ha reso noto che lo annuncerà oggi ai 27 ministri Ue durante la riunione straordinaria, sottolineando che “dobbiamo essere più efficienti”

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    INTERVISTA / Pisapia: “La stabilità in Libia è interesse anche dell’Ue, dal clima all’energia, fino ai fenomeni migratori”

    dall’inviato a Strasburgo – Cambiare l’approccio con la Libia per imprimere una svolta in un Paese travolto da un’instabilità ormai cronica, i cui riflessi si avvertono anche nell’Unione Europea, dalla questione migratoria a quella energetica e climatica. In un’intervista rilasciata a Eunews a ridosso del voto in sessione plenaria sulla raccomandazione del Parlamento Europeo (approvata con 454 voti a favore, 130 contrari e 54 astenuti) il relatore Giuliano Pisapia (S&D) traccia le linee di un auspicato rinnovo dell’impegno da parte dell’Ue e dei Ventisette a sostegno dello Stato di diritto e dei diritti nel Paese nordafricano, per sorvegliare un altrettanto atteso processo di formazione di un governo centrale legittimo e responsabile.
    Quale quadro esce dalla Libia degli ultimi 3 anni?
    “Il vuoto lasciato dalla caduta di Gheddafi è stato negli anni riempito da milizie locali e straniere che, supportate da alcuni attori internazionali, si macchiano di violenti crimini. Le interferenze straniere sono oggi uno dei maggiori problemi della Libia perché impediscono un vero processo di riconciliazione nazionale che garantisca alla Libia un futuro pacifico e democratico”.
    Come uscire allora dall’impasse?
    “Il tema dei diritti è ovviamente al centro della discussione sulla Libia. Le violazioni dei diritti umani sono sistemiche e l’impunità regna sovrana. Per questo motivo serve assolutamente un’autorità centrale che si assuma la responsabilità di garantire i diritti – e i doveri – di tutti. Il futuro governo dovrà trarre legittimità dallo stesso popolo libico. Per questo è fondamentale rinvigorire i negoziati tra i vari attori libici mediati dall’Onu con l’obiettivo di elaborare una nuova tabella di marcia che porti finalmente ad elezioni credibili, inclusive e democratiche”.
    Quali sono state le carenze europee sul file libico?
    “Purtroppo negli anni gli Stati membri non sono stati in grado di trovare una posizione comune sul futuro della Libia o, ancor peggio, non l’hanno considerata prioritaria. Eppure la Libia condivide con noi tantissime sfide. Basti pensare alla questione climatica, la crisi energetica e la gestione dei fenomeni migratori. La stabilità della Libia è interesse non solo del popolo libico ma anche dell’Unione europea e dei singoli Paesi Ue”.
    Cosa raccomanda il Parlamento al Consiglio, alla Commissione e all’alto rappresentante Ue?
    “Prima di tutto chiediamo la nomina di un Rappresentante speciale dell’Ue per la Libia che ci permetta di svolgere un ruolo di supporto più attivo al processo di riconciliazione nazionale. Dobbiamo inoltre inviare una missione di osservazione elettorale dell’Ue che monitori il processo elettorale e offra il supporto tecnico necessario. Abbiamo infine la possibilità di utilizzare i nostri fondi Ue per finanziare progetti volti, per esempio, a rafforzare lo Stato di diritto, sostenere la società civile, rafforzare l’inclusione sociale e l’uguaglianza di genere”.
    Sul fronte energetico, può il petrolio diventare mezzo di ricatto politico?
    “Lo è già stato. Troppe volte diversi attori libici – governativi e non – hanno chiuso gli impianti e bloccato la produzione di petrolio per finalità politiche. Questi blocchi hanno avuto ripercussioni non solo sull’economia locale – che, ricordo, è fortemente dipendente dal settore petrolifero – ma anche su scala mondiale”.
    L’Ue cosa può fare a riguardo?
    “Sul tema energetico l’Ue può certamente dare un grande contributo alla Libia. Da una parte dobbiamo fare pressioni sulle autorità libiche affinché garantiscano che i proventi del petrolio portino benefici all’intera popolazione libica. Dall’altra, non si può dimenticare che i cambiamenti climatici affliggono pesantemente la Libia e perciò è indispensabile incentivare il Paese ad intraprendere un percorso di transizione ecologica in linea con gli impegni di Parigi”.
    Alla luce del voto in plenaria, come valuta il piano presentato dalla Commissaria Johansson lunedì 21 novembre sul rafforzamento delle azioni congiunte sulla politica comune di migrazione e asilo?
     “Vi sono alcuni aspetti positivi che la Raccomandazione sulla Libia già conteneva. Penso al supporto delle Ong che operano in Libia, all’aumento della solidarietà tra Stati membri sul tema dei ricollocamenti o al rafforzamento del cosiddetto Meccanismo di Transito d’emergenza gestito da Unhcr che ha permesso di evacuare numerose persone vulnerabili dalla Libia”.
    E vede criticità?
    “Come al solito ci si chiede quanto effettivamente questi aspetti positivi verranno realmente attuati e quanto invece il focus si sposterà sul prevenire l’arrivo dei migranti in Europa. Dobbiamo fare molta attenzione: oltre agli obblighi internazionali che siamo tenuti a rispettare, è in ballo la nostra credibilità. Per troppo tempo la Libia nell’immaginario delle nostre cittadine e dei nostri cittadini ha rappresentato, non a torto, il luogo per eccellenza delle violazioni dei diritti umani. Dobbiamo ribaltare questo immagine e per far questo serve un impegno europeo maggiore sullo Stato di diritto e sui diritti in Libia. La panacea di tutti i mali in Libia è la lotta all’impunità. Ripartiamo da qui. Ce lo chiede il popolo libico”.

    Di questo e di tanti altri temi di attualità nelle politiche europee si discuterà nel nono appuntamento annuale di Eunews How Can We Govern Europe?, in programma a Roma il 29 e 30 novembre negli spazi delle rappresentanze di Commissione e Parlamento europei, in piazza Venezia.

    Il relatore della raccomandazione del Parlamento Ue (approvata in sessione plenaria) traccia le direttrici di un rinnovato impegno europeo sullo Stato di diritto e sui diritti nel Paese: “Per troppo tempo ha rappresentato il luogo delle violazioni dei diritti umani, la panacea di tutti i mali è la lotta all’impunità”

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    I Ventisette hanno autorizzato la Commissione ad avviare i negoziati per dispiegare Frontex nei Balcani Occidentali

    Bruxelles – Il dispiegamento degli agenti Frontex su tutte le frontiere dei Balcani Occidentali si avvicina sempre di più. Dopo la raccomandazione della Commissione Europea dello scorso 26 ottobre, il Consiglio dell’Ue ha deciso oggi (venerdì 18 novembre) di autorizzare i negoziati con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia per ampliare gli accordi sulla cooperazione dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera.
    Gli accordi negoziati nell’ambito del nuovo mandato di Frontex consentiranno all’agenzia di assistere i quattro Paesi balcanici nella gestione delle persone migranti in arrivo, nel contrastare l’immigrazione irregolare e nell’affrontare la criminalità trans-frontaliera. I nuovi accordi consentiranno al personale Frontex di esercitare poteri esecutivi, come i controlli di frontiera e la registrazione delle persone.
    In altre parole, se il nuovo quadro giuridico sarà negoziato secondo i termini di Bruxelles, i corpi permanenti dell’Agenzia Ue potranno essere dispiegati in tutta regione: non più solo alle frontiere esterne dell’Ue ma anche alle frontiere interne tra Paesi terzi. In questo scenario, Frontex potrà operare con pieni poteri esecutivi anche alle frontiere tra Macedonia del Nord-Albania, Macedonia del Nord-Serbia, Albania-Montenegro, Montenegro-Serbia, Montenegro-Bosnia ed Erzegovina e Serbia-Bosnia ed Erzegovina. Rimane anche sul fronte della gestione congiunta delle frontiere il buco nero del Kosovo, dal momento in cui non c’è ancora l’unanimità tra i Ventisette sul riconoscimento della sua sovranità (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia si oppongono).
    A oggi, il dispiegamento degli agenti può avvenire solo alle frontiere degli Stati membri dell’Unione (e senza poteri esecutivi). “Le sfide migratorie nella rotta dei Balcani Occidentali non iniziano alle frontiere dell’Unione”, ha commentato il ministro dell’Interno della Repubblica Ceca e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Vít Rakušan: “La cooperazione con i nostri partner, anche attraverso l’invio di personale Frontex, è essenziale per individuare e bloccare tempestivamente i movimenti migratori irregolari“. Secondo il ministro ceco, questo accordo “migliorerà la protezione delle frontiere esterne dell’Unione”, contribuendo allo stesso tempo “agli sforzi dei Paesi dei Balcani Occidentali per impedire ai contrabbandieri di utilizzare i loro territori come tappe di transito“.
    Lo stato dell’arte degli accordi Frontex con i Balcani Occidentali
    Gli accordi sullo status di Frontex nell’ambito del precedente mandato dell’Agenzia europea sono stati conclusi con l’Albania nell’ottobre 2018, con il Montenegro nell’ottobre 2019 e con la Serbia un mese più tardi, mentre dal 2017 è in stallo quello con la Bosnia ed Erzegovina, mai firmato dal momento dell’entrata in vigore del regolamento rivisto. È per questo motivo che per la Commissione era considerato cruciale il via libera alle raccomandazioni dal Consiglio dell’Ue, per autorizzare lo stesso esecutivo ad avviare i negoziati con Tirana, Podgorica, Belgrado e Sarajevo.
    Nel corso del tappa a Skopje dello scorso 26 ottobre (nel contesto del suo viaggio nei Balcani Occidentali), la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha messo il cappello sulla firma del secondo accordo con la Macedonia del Nord, che permetterà a Frontex di dispiegare squadre di gestione delle frontiere, sia alle frontiere con l’Unione (Grecia e Bulgaria) sia con gli altri Paesi balcanici extra-Ue (Serbia, Kosovo e Albania). Si tratta del primo documento ufficiale firmato dal momento dell’avvio dei negoziati di adesione all’Ue della Macedonia del Nord, in cui ha rivestito un ruolo significativo la traduzione anche in lingua macedone, “senza note, senza asterischi, su un piano di parità con tutte le 24 lingue dell’Unione Europea”, ha sottolineato von der Leyen.
    A questo si aggiunge un nuovo pacchetto di assistenza da 39,2 milioni di euro nell’ambito dello strumento di assistenza pre-adesione (IPA III) per rafforzare la gestione delle frontiere nei Balcani Occidentali. I finanziamenti di Bruxelles – arrivati a 171,7 milioni di euro – serviranno principalmente per l’acquisto di attrezzature specializzate, come sistemi di sorveglianza mobile, droni, dispositivi biometrici, formazione e sostegno ai Centri nazionali di coordinamento e creazione di strutture per “accoglienza e detenzione”, specifica l’esecutivo Ue.

    Con il via libera del Consiglio dell’Ue, l’esecutivo comunitario potrà negoziare con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia l’operatività dei corpi permanenti non più solo alle frontiere esterne dell’Unione ma anche alle frontiere interne tra Paesi terzi, garantendo poteri esecutivi