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    Grandi (UNHCR) al Parlamento europeo: “Sui migranti l’UE ha fatto molto, ma ora deve fare di meglio”

    Bruxelles – Per i 70 anni dalla Convenzione di Ginevra, l’Alto Commissario ONU per i rifugiati Filippo Grandi è intervenuto in apertura della plenaria del Parlamento Europeo. Grandi ha ricordato che “nessuno sceglie di essere un rifugiato”, ma oggi sempre più persone sono costrette a fuggire da Paesi afflitti da condizioni di disagio estreme.
    Il Commissario ha ribadito l’impegno dell’UNHCR “per proteggere i rifugiati, operando sul campo in più di 130 Paesi del mondo”. Un impegno, quello della solidarietà, che Grandi ha chiesto di potenziare e rinnovare a tutti i membri dell’Unione europea: “L’Europa oggi fa già molto, ma ora serve una leadership politica che prevenga le cause”.
    Nel corso dell’intervento è stato tracciato un rapido quadro della situazione dei rifugiati oggi. “Circa il 90 per cento dei rifugiati provengono da Paesi a basso o medio reddito”, ha ricordato Grandi, per poi soffermarsi su alcune situazioni in particolare: “In Libano praticamente un abitante su cinque è un rifugiato, nel caso della Colombia invece stiamo parlando di circa 1,7 milioni di rifugiati venezuelani ospitati sul territorio”.
    Grandi ha poi sottolineato come il cambiamento climatico abbia esasperato situazioni vecchie e nuove: “Nel Sahel il peggioramento delle condizioni climatiche ha prodotto una scarsità di risorse che rischia di distruggere la coesione sociale e dare spazio a nuove migrazioni di massa”.
    Le migrazioni sono oggi una sfida globale, che richiedono una risposta coordinata. Per Grandi il primo passo è “aiutare i Paesi in via di sviluppo per prevenire i movimenti forzati”, ma non solo. Molte delle persone costrette a fuggire sognano un giorno di tornare in patria, ma non possono per problemi di sicurezza o mancanza di servizi. Per l’UNHCR “rimuovere gli ostacoli che impediscono il rientro” è oggi uno dei punti fondamentali per migliorare la condizione di milioni di persone costrette alla fuga.
    In chiusura il Commissario ha ribadito che “le sfide delle migrazioni non possono giustificare i muri, i pestaggi e i respingimenti dei migranti”, con una chiara allusione alla situazione di tensione al confine tra Polonia e Bielorussia. Per Grandi l’UE dovrebbe “fare di meglio” per rispettare lo Stato di diritto e aiutare i Paesi che gestiscono i flussi migratori in prima persona.
    In questo senso il Patto per le migrazioni e l’asilo proposto dalla Commissione europea ha sollevato l’apprezzamento di Grandi, che lo ha definito “un primo passo per fornire ai membri dell’UE un quadro per la gestione dei flussi migratori”.

    L’Alto commissario ONU per i rifugiati è intervenuto in apertura della plenaria dell’Europarlamento in occasione dei 70 anni della Convenzione di Ginevra per i rifugiati, tracciando una serie di punti per la gestione globale delle migrazioni

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    Il ricatto dei migranti

    Dopo Erdogan in Turchia, che da tempo usa i migranti ammassati al suo confine per ricattare l’Europa, e la Libia che si serve dei disperati che arrivano li dopo una estenuante traversata del  deserto per cercare la fuga dai loro paesi di origini, ora ci si mette anche Alexander Lukashenko che dalla Bielorussia forza centinaia di migranti ad ammassarsi ai confini con la Polonia, scatenando una dura reazione del governo di Varsavia.
    Dall’inizio dell’anno, secondo fonti Ue, circa 8 mila migranti sono arrivati in Europa dalla sua Repubblica assolutista, molto  vicina alla Russia di Putin, che sarebbe secondo alcuni uno dei veri  manovratori di questa ardita mossa della Bielorussia, da tempo in aperta polemica con l’Unione europea, che non perde occasione per accusarlo per i suoi comportamenti non proprio democratici.
    In Bielorussia il flusso migratorio è stato creato ad arte, con un ponte aereo. Quella del leader bielorusso sembra una strategia studiata a tavolino, proprio per utilizzare la leva dei migranti come arma di ricatto contro l’Europa. Da mesi in Turchia, Siria, Emirati Arabi, Azerbaigian e forse anche qualche Paese dell’Africa, le ambasciate bielorusse offrono visti turistici a chi è disposto a pagare una fortuna per una finta vacanza nelle steppe: 10/12mila euro. Il governo ha anche ridotto il numero di agenzie turistiche autorizzate, in sostanza Lukashenko starebbe lucrando sui viaggi come un qualsiasi trafficante di uomini. La promessa è di un facile passaggio verso la tanto agognata Europa.
    L’Unione sta pensando a prendere dure contromisure, come quella di impedire  ai voli delle compagnie aeree che trasportano i migranti dai Paesi africani e dal Medio Oriente verso Minsk, capitale bielorussa. E si stanno valutando anche possibili sanzioni economiche che potrebbero persino arrivare al divieto di sorvolare lo spazio aereo europeo per una ventina di compagnie.
    La situazione è resa ancora più delicata dal rapporto conflittuale, del quale anche i migranti rischiano di diventare vittime, instauratosi fra la Commissione europea e il governo polacco, che vorrebbe che la Ue finanziasse la costruzione di un muro ai suoi confini. Il premier Morawiecki ieri è andato a visitare le truppe al confine ed ha ribadito senza messi termini la assoluta urgenza  di prendere adeguate contromisure contro questo rischio: “Chiudere il confine polacco è nostro interesse nazionale. Ma oggi è in gioco la stabilità e la sicurezza di tutta l’UE”.
    Questo episodio mette ancora una volta l’Europa di fronte alle sue responsabilità verso una questione come quella degli immigrati, a cui non è riuscita ancora a a dare risposte adeguate e risolutive, se non quella di farsi ricattare dal dittatore di turno, oppure lasciare i Paesi di primo approdo come Italia, Grecia e Spagna da soli ad affrontare l’emergenza. E alle porte si affaccia l’ennesima emergenza dei profughi afghani, che Erdogan, Lukashenko e Putin stesso sfruttare per mettere in difficoltà un’Unione europea sempre più debole e disunita di fronte ad un problema che la riguarderà  sempre più da vicino.
    Continuando a mantenere questo atteggiamento ondivago da parte delle autorità europee, non si potrà non riconoscere che rispetto allo status quo e al cedere ai ricatti, sia forse meglio quello di prendere iniziative autonome da parte dei singoli Stati, magari non ortodosse come quelle di Polonia ed Ungheria che propongono la costruzione di muri alle frontiere o quelle di chi come Giorgia Meloni in Italia è per il blocco navale al largo delle coste libiche. Perché anche su questo tema a prevalere sembrano essere più gli interessi di parte che quelli della intera comunità.

    Questo contributo è stato pubblicato nell’ambito di “Parliamo di Europa”, un progetto lanciato da
    Eunews per dare spazio, senza pregiudizi, a tutti i suoi lettori e non necessariamente riflette la
    linea editoriale della testata.

    In Bielorussia il flusso migratorio è stato creato ad arte, con un ponte aereo. Quella del leader bielorusso sembra una strategia studiata a tavolino, proprio per utilizzare la leva dei migranti come arma contro l’Europa

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    Accordo tra Italia e Grecia: fissati i confini marittimi, potenziata la cooperazione tra Roma e Atene

    Bruxelles – L’incontro alla Farnesina trai ministri degli Esteri di Italia Grecia ha visto lo scambio degli strumenti di ratifica dell’accordo sui confini marittimi dei due Paesi. Nikos Dendias, in una lettera indirizzata all’omologo italiano Luigi di Maio, ha parlato di “un atto simbolico di eccezionale importanza”.
    L’accordo tra Italia e Grecia e la ZEE
    Un’intesa era stata già trovata nel giugno del 2020, poi pubblicata in Gazzetta ufficiale nel 2021. Adesso l’accordo diventa realtà anche sul piano internazionale. I confini marittimi ricalcano quelli disegnati già nel 1977. All’epoca però non erano state definite le specificità funzionali delle zone disegnate. Adesso Atene e Roma si sono accordate per delimitare le rispettive Zone economiche esclusive (ZEE). 
    Si tratta della prima ZEE formalmente dichiarata dall’Italia. Fino al 2020 la Penisola era uno dei pochi Paesi Mediterranei a non aver esteso il proprio diritto esclusivo su un braccio di mare oltre le 12 miglia di acque territoriali. Tutt’oggi i confini marittimi e di sfruttamento delle risorse italiani sono fonte di controversie con Malta, Algeria e Tunisia, non esistendo una zona definita nel Canale di Sicilia e al largo delle coste sarde.
    Luigi di Maio auspica che l’accordo odierno possa “rappresentare un modello per il futuro”. Le ZEE sono in genere proclamate tramite decisioni unilaterali, ma solo l’accordo con i Paesi confinanti assicura che le delimitazioni vengano realmente rispettate. Un approccio simile a quello tenuto con la Grecia potrebbe ad esempio essere replicato con le nazioni sull’altro lato dell’Adriatico, con cui Roma ha in generale buoni rapporti.

    Non solo confini marittimi
    Ma i ministri non hanno discusso solo di confini marittimi. Come ha dichiarato di Maio, Italia e Grecia hanno affrontato una serie di dossier che spaziano dal “rafforzare il ruolo di hub energetici in Europa” alla “collaborazione sui temi europei, in particolare sulla necessità di un accordo sulle migrazioni”. L’incontro ha confermato che le due diplomazie sono d’accordo per una soluzione promossa dall’UE per evitare l’instabilità nei Balcani occidentali.
    Sul tavolo anche la Libia. Dendias ha ribadito la sua fiducia nella Conferenza internazionale sul futuro del Paese che inizierà a Parigi il 12 novembre. Lo scopo fondamentale per il ministro greco è quello di “favorire l’uscita dei mercenari dal Paese”, insieme a “un impegno di lungo periodo per ricostruire lo Stato”.
    Stando alle dichiarazioni dei funzionari del governo italiano l’accordo è solo una questione tra Roma ed Atene. Ma la lettera scritta dal ministro degli Esteri greco è indirizzata anche ad un altro interlocutore, la Turchia. Nel documento Dendias fa riferimento alle continue “violazioni del diritto internazionale” operate dalla marina turca nel Mediterraneo orientale e alla “ricerca di un casus belli” contro la Grecia.
    Dichiarazioni che fanno pensare che l’accordo con l’Italia, almeno per la Grecia, è una risposta all’intesa che Erdogan ha raggiunto con il governo dell’ex premier libico al-Sarraj nel 2019, per la creazione di un corridoio economico esclusivo tra Turchia e Libia. Questa delimitazione comprende anche alcuni tratti di mare a largo dell’isola di Creta che Atene rivendica come di propria competenza.

    L’accordo sulla delimitazione dei confini marittimi era stato firmato nel giugno del 2020 e riprendeva i confini di un’intesa siglata già nel 1977, ma negli ultimi 45 anni non erano ancora state individuate le rispettive zone di giurisdizione funzionale

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    La Lituania dichiara lo stato di emergenza sul confine bielorusso. Esercito in stato di allerta per la crisi migratoria

    Bruxelles – Dopo la Polonia, anche la Lituania ha dichiarato lo stato di emergenza in risposta alla crisi migratoria scatenata dal presidente bielorusso, Alexander Lukashenko. A partire dalla mezzanotte di oggi (mercoledì 10 novembre) e per i prossimi 30 giorni sarà limitato l’accesso ai non-residenti e il movimento di veicoli non autorizzati in un’area larga cinque chilometri lungo il confine sud-orientale con la Bielorussia.
    La misura promossa dalla ministra dell’Interno, Agnė Bilotaitė, è stata approvata nel tardo pomeriggio di ieri (9 novembre) dal Seimas, il Parlamento nazionale, con 122 voti a favore su 141. È la prima volta che in Lituania entra in vigore lo stato di emergenza, da quando il Paese ha dichiarato l’indipendenza dall’Unione Sovietica l’11 marzo del 1990. Oltre al divieto di ingresso nella zona di frontiera per i civili non autorizzati e la possibilità della guardia di frontiera di fare perquisizioni indiscriminatamente, il pacchetto di misure include l’uso di fondi di riserva del governo per rispondere alla crisi e limitazioni dei diritti dei richiedenti asilo già alloggiati nel Paese: per esempio, restrizioni nella comunicazione per iscritto o telefoniche verso l’estero e ilm divieto di assemblea nelle strutture di accoglienza dei migranti a Kybartai, Medininkai, Pabradė, Rukla e Vilnius.
    La ministra dell’Interno, Agnė Bilotaitė, e la commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson, in vista sul confine tra Lituania e Bielorussia
    “La situazione alla nostra frontiera è stabile e sotto controllo, ma osservando ciò che sta accadendo al confine bielorusso-polacco, dobbiamo essere preparati a diversi scenari“, è stato il commento della ministra dell’Interno. Spiegando la decisione di imporre lo stato di emergenza, Bilotaitė l’ha definita “proporzionata” rispetto alla “minaccia alla sicurezza nazionale e all’ordine pubblico” di un arrivo massiccio di richiedenti asilo dalla Bielorussia. Così come sta accadendo dallo scorso 2 settembre in Polonia, questa misura “ci permetterà di chiudere completamente il confine con la Bielorussia”, ha aggiunto la ministra. L’esercito è stato messo in stato si allerta.
    La scelta della Lituania di dichiarare lo stato di emergenza è arrivata dopo il precipitare della situazione alla frontiera polacca, con l’arrivo di centinaia di migranti (Varsavia parla di oltre 4mila) agevolato dal regime Lukashenko. Da mesi il presidente bielorusso sta utilizzando il flusso irregolare di migranti come “strumento di guerra ibrida” – parole delle istituzioni europee – in risposta alle sanzioni economiche imposte da Bruxelles. Ma nelle ultime settimane la situazione sembra essere sul punto di sfuggire dal controllo delle autorità di frontiera della Polonia. Questa mattina due gruppi di migranti, incalzati dalle forze dell’ordine bielorusse, hanno sfondato la barriera innalzata dall’esercito polacco nei pressi dei villaggi di Krynki e Bialowieza. In risposta, circa 50 persone sono state arrestate per attraversamento illegale del confine.

    A section of the barbed wire fence has been removed. Polish servicemen formed a human shield to cover the hole and are trying to scare migrants off with a helicopter. The crowd is chanting “Germany!” pic.twitter.com/P99Yd9SRdO
    — Tadeusz Giczan (@TadeuszGiczan) November 8, 2021

    È da lunedì (8 novembre) che oltre 12mila militari in assetto antisommossa si stanno opponendo all’ingresso dei richiedenti asilo in arrivo dalla Bielorussia, con scontri in cui sono rimasti feriti anche alcuni bambini. Nei fatti si tratta di pushback, respingimenti di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea: secondo le regole comunitarie, sono pratiche illegali. Nonostante ciò, l’attenzione dell’UE è tutta focalizzata sul sostegno a Varsavia nel proteggere le frontiere (nazionali ed esterne dell’Unione) e sul denunciare “l’aggressione di un regime illegittimo e disperato”, come ha commentato la commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson. Bruxelles vuole “evitare una nuova crisi umanitaria alle frontiere” e la priorità più urgente è “porre fine agli arrivi di migranti all’aeroporto di Minsk“, ha aggiunto la commissaria in audizione alla commissione per le Libertà civili (LIBE) del Parlamento UE. A questo scopo “stiamo intensificando i contatti con i Paesi partner” da dove il regime di Lukashenko organizza voli per richiedenti asilo (Iraq, Iran, Siria e Paesi africani della Costa d’Oro).
    Parallelamente, l’UE sta preparando un nuovo pacchetto di sanzioni (il quinto) contro la Bielorussia, per estenderle a individui e organizzazioni che contribuiscono alla strumentalizzazione della migrazione. La discussione è prevista per oggi al Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri (Coreper), mentre alla mini-sessione plenaria del Parlamento UE che si aprirà questo pomeriggio è stata aggiunta in extremis una discussione sulla crisi migratoria al confine tra Polonia e Lituania. Ieri mattina il Consiglio dell’UE ha invece deciso di sospendere parzialmente l’accordo di facilitazioni per l’ottenimento dei visti sul territorio comunitario per chi proviene dalla Bielorussia.

    Con il precipitare della situazione in Polonia, Vilnius ha deciso di introdurre la misura che vieta l’accesso a un’area di 5 chilometri lungo la frontiera e limita i diritti dei migranti già presenti sul territorio nazionale

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    Crisi dei migranti: Il Consiglio sospende le facilitazioni sui nuovi visti dalla Bielorussia

    Bruxelles – Il Consiglio ha deciso di sospendere parzialmente l’accordo di facilitazioni per l’ottenimento dei visti in UE per chi proviene dalla Bielorussia. Si tratta di una misura presa in risposta alle azioni ostili del governo bielorusso, in particolare “l’aver incoraggiato l’immigrazione irregolare per scopi politici” e la “brutale repressione contro tutti i segmenti della società”.
    La decisione non si applicherà a tutti i cittadini bielorussi, ma solo ai funzionari pubblici. Nel pratico saranno sospese le pratiche facilitate per l’ottenimento del visto, tra cui le riduzioni delle tasse per la domanda.
    Il Consiglio si è pronunciato dopo che nella giornata di ieri migliaia di migranti si sono ammassati presso il confine tra Polonia e Bielorussia, cercando di superare le barriere. Secondo il ministero della Difesa di Varsavia, i migranti sono controllati dalle forze bielorusse, che li stanno utilizzando come “arma asimmetrica” per colpire la Repubblica di Polonia.
    Aleš Hojs, ministro degli Interni della Slovenia e attuale Presidente del consiglio Affari interni, ha attaccato duramente il governo di Lukashenko, ribadendo che “è inaccettabile che la Bielorussia giochi con la vita delle persone per scopi politici” e che l’UE continuerà a “contrastare questo attacco ibrido in corso”.

    La decisione del Consiglio di sospendere le facilitazioni sui visti per chi viene dalla Bielorussia si applicherà solo ai funzionari pubblici del Paese ed è una risposta alla crisi migratoria che il governo di Minsk sta utilizzando come “arma asimmetrica”.

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    Orban scrive a von der Leyen: “UE finanzi le barriere per i migranti. Senza di noi l’Europa al collasso”

    Bruxelles – “Una nuova crisi migratoria sta prendendo forma alle porte dell’Europa”. Inizia così la lettera che il primo ministro ungherese Viktor Orban ha indirizzato alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Secondo Orban la congiuntura della disastrosa ritirata dall’Afghanistan e la crisi in Bielorussia porterà a una nuova ondata di migranti, “ancora peggiore di quella che abbiamo visto nel 2015”.
    Secondo il primo ministro l’Unione non può permettersi che a gestire la crisi siano i soli Paesi frontalieri e preme perchè l’UE “riconosca che la protezione dei confini esterni è una manifestazione indisputabile della solidarietà europea”. E così Orban torna a chiedere il supporto economico di tutti i Paesi membri per costruire e potenziare la rete di barriere che alcuni Stati europei hanno costruito o stanno costruendo a proprie spese. Quando il Paese frontaliero in difficoltà era l’Italia però Orban chiarì bene che lui non avrebbe fatto alcuno sforzo per dare una mano. Ora cambiano i flussi e cambiano anche i principi, evidentemente.
    La richiesta di Orban richiama la lettera firmata da 12 Paesi membri il 7 ottobre scorso. In quell’occasione la destinataria era stata la Commissaria per gli Affari interni Ylva Johansson e si chiedeva che le nuove barriere fossero “finanziate adeguatamente dal budget dell’UE come argomento prioritario”.
    In quell’occasione la Commissaria aveva fatto sapere che, pur comprendendo la volontà dei firmatari di “rafforzare la protezione dei nostri confini esterni”, i costi per le barriere sarebbero stati a carico dei soli Paesi costruttori.
    A preoccupare Orban c’è “l’uso ibrido delle migrazioni proveniente dalla Bielorussia”, colpevole di utilizzare i flussi migratori per colpire i Paesi dell’Unione europea. Di fronte alla possibilità che molti altri decidano di usare l’immigrazione contro l’UE, per Orban bisogna alzare muri, che sono “l’unica misura efficace per tenere al sicuro i cittadini europei contro l’arrivo di massa di migranti illegali”.
    Orban chiede di “rimborsare il costo delle misure di protezione implementate dall’Ungheria”, costate 590 milioni di fiorini (circa 1,7 milioni di euro). Nella conclusione, la lettera richiede esplicitamente di rivedere le precedenti decisioni della Commissione in materia, viziate da “una interpretazione e un’applicazione scorretta di alcune regole rilevanti”.

    Il primo Ministro ungherese rinnova le richieste già espresse nella lettera dello scorso 7 ottobre in cui diversi Stati membri avevano chiesto all’Unione di finanziare con fondi europei la costruzione di barriere ai confini per respingere i migranti

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    Quattro migranti sono morti assiderati sul confine tra Polonia e Bielorussia

    Bruxelles – Sono i primi decessi ufficiali lungo la rotta bielorussa. Con la stagione fredda che è ancora alle porte, quattro migranti sono morti assiderati sul confine tra Polonia e Bielorussia negli ultimi tre giorni. La notizia è stata confermata dalle autorità di Varsavia, le uniche ad avere accesso alla frontiera da quando è stato introdotto lo stato di emergenza lo scorso 2 settembre. Da allora, giornalisti e attivisti per i diritti umani non possono soggiornare, registrare e ottenere informazioni sulle attività svolte in una striscia di terra larga tre chilometri lungo il confine orientale del Paese.
    In una conferenza stampa tenuta dal primo ministro, Mateusz Morawiecki, e dal ministro degli Interni, Mariusz Kamiński, il governo polacco ha reso noto di aver trovato tre persone prive di vita in luoghi diversi sul lato polacco del confine, mentre altre due sono in cura in un ospedale nei pressi del villaggio di Dworczysko, affette da ipotermia. Il quarto corpo è stato invece ritrovato sul lato bielorusso: si tratta di una donna irachena, precedentemente respinta dalle autorità polacche in Bielorussia mentre cercava di attraversare la frontiera con la sua famiglia.
    In particolare la morte della donna solleva sempre più preoccupazioni sui pushback operati dalle guardie di frontiera polacche (respingimenti illegali di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea). Da episodi sporadici potrebbero essere diventate azioni sistematiche, nel quadro di una politica di contrasto alla “guerra ibrida” del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko. Il 17 settembre, il Sejm (la camera bassa del Parlamento polacco) ha adottato un disegno di legge che autorizza i respingimenti: nonostante il progetto legislativo debba ancora essere adottato dal Senato e firmato dal presidente della Repubblica, Andrzej Duda, si tratte di una palese violazione del diritto internazionale.
    Ma il governo di Varsavia sembra essere interessato esclusivamente a dare una risposta forte a Minsk. Il premier polacco ha accusato il regime bielorusso di aver agevolato quasi 4 mila tentativi di attraversamento illegale del confine solo nei primi 20 giorni di settembre – che salgono a 7 mila considerando anche il mese di agosto – come ritorsione alle sanzioni economiche imposte da Bruxelles.
    Dopo la notizia dei quattro migranti morti ritrovati sul confine tra Polonia e Bielorussia, a rincarare la dose contro Lukashenko è stato il portavoce del ministero degli Esteri, Stanisław Żaryn. In una dichiarazione scritta ha denunciato il “tentativo di usare una rotta migratoria artificiale per destabilizzare prima il confine bielorusso-lituano e ora quello bielorusso-polacco”. Da Varsavia arriva l’allarme di una crisi per i mesi che arriveranno: “Sono almeno 10 mila i migranti portati in Bielorussia da Lukashenko, che sta cercando nuove direzioni per inviarli nell’Unione Europea”, ha aggiunto Żaryn.

    Si tratta dei primi decessi lungo la rotta bielorussa confermati dalle autorità di un Paese membro UE. Varsavia punta il dito contro Minsk, ma preoccupano i respingimenti illegali che potrebbero essere autorizzati da un disegno di legge polacco

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    Afghanistan, Borrell: “Serve una presenza UE a Kabul. Non c’è altra possibilità se non impegnarci con i talebani”

    Bruxelles – È passato un mese dall’ingresso dei talebani a Kabul e l’Unione Europea sta iniziando a fare i conti con il nuovo assetto politico e sociale in Afghanistan. “Non abbiamo altra possibilità se non impegnarci con i talebani, parlare, discutere e accordarci qualora possibile”: le parole dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, durante il dibattito di oggi (martedì 14 settembre) alla plenaria del Parlamento Europeo spazzano via ogni dubbio sulle intenzioni dell’Unione.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Bruxelles sta considerando “come impostare una presenza UE a Kabul coordinata dal Servizio europeo per l’azione esterna“, ha specificato Borrell, dal momento in cui “la sede non è mai stata chiusa e la nostra delegazione potrebbe essere sfruttata se le condizioni di sicurezza saranno garantite”. Per i Ventisette sarà cruciale stare sul campo per valutare la natura delle azioni del nuovo governo, “da cui dipenderà il tipo di impegno con i talebani, anche se non significa che li riconosceremo”. Un rapporto che comunque non potrà prescindere dal rispetto di cinque criteri: non diventare terreno di proliferazione del terrorismo, rispetto dei diritti umani, costituzione di un governo inclusivo e rappresentativo, libertà di azione per l’aiuto umanitario e facilitazione dell’uscita dal Paese per chi vuole farlo.
    “Abbiamo visto che il nuovo governo non è inclusivo né partecipativo, ora sappiamo cosa possiamo aspettarci”, ha sottolineato l’alto rappresentante Borrell, e “parlare di diritti umani con i talebani sembra un ossimoro”. Tuttavia, l’Unione dovrà cercare un compromesso per “aiutare gli afghani che non sono riusciti a fuggire e sostenere chi rimarrà nel Paese“. All’orizzonte c’è una situazione umanitaria “drammatica”, un sistema finanziario “in caduta libera” e “un’ondata migratoria che dipenderà dalle evoluzioni nel Paese”.
    È proprio la questione migratoria a scaldare gli animi nelle capitali europee, dove “si teme che la questione del favorire l’uscita dal Paese per chi rischia di essere perseguitato diventi un appello al confluire in massa in Europa”. L’alto rappresentante ha concluso il suo intervento ricordando che “le persone si muoveranno solo quando i talebani lo permetteranno, ma non sarà un’ondata come quella del 2015”. Intanto l’UE dovrà cercare di parlare “con una sola voce, non con 27 diverse” e per questo motivo è stato indicato il Servizio europeo per l’azione esterna come lo strumento per un “impegno coordinato”.
    Il dibattito in Aula
    È stato particolarmente acceso il confronto tra gli eurodeputati, in particolare sul tema della possibile ondata migratoria dall’Afghanistan. L’asse S&D-Verdi ha insistito sulla necessità di garantire la protezione internazionale e di raggiungere un accordo tra i Paesi membri sull’accoglienza per chi fuggirà dal Paese, mentre le destre si sono scagliate contro chi vuole replicare scenari simili a quelli della crisi migratoria del 2015.
    “Tutte le parole di sostegno al popolo afghano non hanno valore se non le traduciamo in fatti e se tutti i Paesi europei non accettano di creare corridoi umanitari, mostrando umanità e solidarietà“, è stato il monito della presidente del gruppo S&D, Iratxe García Pérez. Le ha fatto eco l’eurodeputata olandese Tineke Strik (Verdi/ALE): “Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità con visti umanitari, ricongiungimenti familiari e la piena applicazione della direttiva sulla protezione temporanea“. Spazio anche per lo sviluppo di “una politica estera comune che garantisca sovranità e forza operativa internazionale”, mentre García Pérez ha proposto simbolicamente di “riconoscere la resistenza delle donne afghane con l’assegnazione del Premio Sakharov 2021“.
    L’europarlamentare del Partito Democratico, Simona Bonafè (S&D)
    Anche l’europarlamentare in quota PD Simona Bonafè (S&D) ha ricordato il ruolo delle donne, “a cui abbiamo promesso un futuro migliore” e che ora “non possono essere lasciate sole”. Di qui la necessità di una “strategia per l’accoglienza”, che sia diversa dalle conclusioni “deludenti” dell’ultimo Consiglio Affari Esteri. Il vicepresidente del Parlamento UE Fabio Massimo Castaldo (Movimento 5 Stelle) ha portato in Aula la lettera firmata da 76 eurodeputati per chiedere alla Commissione Europea per chiedere l’apertura di corridoi umanitari con l’Afghanistan, applicando la direttiva del 2001 sulla protezione temporanea. “Serve coerenza, serve coraggio e serve ora, perché il tempo scorre veloce e contro di noi“, ha incalzato Castaldo.
    Il francese Jérôme Rivière (ID) si è invece scagliato contro “le sinistre aperturiste”, ha denunciato il fatto che “ad approfittare della nostra mancanza di coesione saranno Russia e Cina”, mentre “noi come sempre dovremo proteggerci da un’ondata di migrazioni”. Massimiliano Salini (PPE) ha insistito sulla prospettiva di “sviluppare una strategia geopolitica per fare dell’Europa una grande potenza”, mentre il collega tedesco Michael Gahler ha avvertito che “sarà necessario piuttosto appoggiare i Paesi vicini all’Afghanistan per garantire un’accoglienza dignitosa nella regione”.

    L’alto rappresentante UE è intervenuto durante la plenaria del Parlamento Europeo per spiegare l’approccio dell’Unione al nuovo governo afghano. Scontro tra S&D-Verdi e le destre sulla politica di accoglienza dei rifugiati