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    Lo sdegno di Bruxelles alle minacce di Trump sulla Nato: “Se gli alleati non si difendono, tutti a rischio”

    Bruxelles – La corsa per le presidenziali degli Stati Uniti ora inizia a preoccupare seriamente Bruxelles, e non solo l’Unione Europea. Con le ultime minacce dell’ex-presidente Donald Trump – in corsa per diventare il candidato repubblicano alle elezioni 2024 per la Casa Bianca – è tutta la Nato a ritrovarsi in un incubo che negli ultimi anni di presidenza democratica di Joe Biden sembrava essere ormai alle spalle. “Qualsiasi indicazione che gli alleati non si difenderanno a vicenda mina tutta la nostra sicurezza, compresa quella degli Stati Uniti, e mette i soldati americani ed europei a maggior rischio”, ha denunciato il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, rispondendo alle minacce di Trump secondo cui Washington non dovrebbe difendere da un’aggressione russa gli alleati che non spendono abbastanza per la difesa.

    Da sinistra: il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e l’ex-presidente degli Stati Uniti, Donald Trump (14 novembre 2019)Il punto di rottura si è registrato sabato (10 febbraio), quando nel corso di un comizio in South Carolina Trump ha usato parole durissime contro gli altri 30 alleati della Nato, ricordando i suoi anni da presidente degli Stati Uniti: “Uno dei leader di un grosso Paese ha chiesto ‘Se non paghiamo e veniamo attaccati dalla Russia, ci proteggerete?’, e io ho risposto ‘Non avete pagato, non vi proteggeremo. Li incoraggerei [i russi, ndr] a farvi quello che diavolo vogliono”. Una prospettiva inquietante in vista di una eventuale ri-elezione di The Donald alla Casa Bianca e dello scetticismo dilagante dei repubblicani al Congresso nel fornire ulteriore sostegno militare e finanziario a Kiev, alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina dal 24 febbraio 2022 e dei rischi di una futura estensione del conflitto in Europa. È per questo che non si sono fatte attendere le reazioni sdegnate non solo di Stoltenberg, ma anche dei leader delle istituzioni comunitarie e dei Paesi membri Ue, a pochi giorni dal vertice dei ministri della Difesa Nato in programma giovedì (15 febbraio) e dalla Conferenza sulla sicurezza di Monaco tra venerdì e domenica (16-18 febbraio) che vedrà questi temi sul tavolo delle discussioni.

    “L’Alleanza transatlantica ha sostenuto la sicurezza e la prosperità di americani, canadesi ed europei per 75 anni, le dichiarazioni avventate sulla sicurezza della Nato e sulla solidarietà dell’articolo 5 servono solo agli interessi di Putin, non portano maggiore sicurezza o pace al mondo”, è quanto messo in chiaro dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, che invoca allo stesso tempo “la necessità per l’Ue di sviluppare ulteriormente e con urgenza la propria autonomia strategica e di investire nella propria difesa”, mantenendo “forte la nostra Alleanza”. Anche il primo ministro belga e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Alexander De Croo, ha ribadito che “la nostra più grande risorsa di fronte a Putin è la nostra unità, e l’ultima cosa che dovremmo fare è comprometterla”. Secco il commento dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a quella che definisce “una sciocca idea” come “tante ne vedremo e sentiremo durante la campagna elettorale” statunitense: “La Nato non può essere un’alleanza militare à la carte, che dipende dall’umore del presidente degli Stati Uniti“, perché “o esiste o non esiste”. Il ministro della Difesa della Polonia, Władysław Kosiniak-Kamysz, ha avvertito che “nessuna campagna elettorale è una scusa per giocare con la sicurezza dell’Alleanza”, mentre il ministero degli Esteri della Germania ha pubblicato su X il motto “uno per tutti e tutti per uno”, ricordando che “la Nato tiene al sicuro più di 950 milioni di persone, da Anchorage a Erzurum”.“Mi aspetto che, indipendentemente da chi vincerà le elezioni presidenziali, gli Stati Uniti rimarranno un alleato della Nato forte e impegnato“, ha riassunto il segretario generale della Nato Stoltenberg: “Qualsiasi attacco all’Alleanza sarà affrontato con una risposta unita e decisa”. Al centro della questione ci sono due temi: gli investimenti nazionali nella difesa e l’articolo 5 della Nato. Nel 2014 gli alleati hanno concordato l’obiettivo di spendere almeno il 2 per cento del Pil nel settore della difesa e della sicurezza, anche se diversi Paesi membri dell’Alleanza (Italia compresa) non si sono ancora allineati a questo target. L’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico afferma che un attacco contro un alleato è un attacco contro ogni componente dell’Alleanza e che, di conseguenza, ognuno dei 31 Paesi Nato “assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata”. In altre parole si tratta di una clausola di mutua difesa collettiva, che può essere attivata (ma non necessariamente o in modo obbligatorio) nel caso di un’aggressione a un componente della Nato. “Se il mio avversario riuscirà a riconquistare il potere, sta dicendo chiaramente che abbandonerà i nostri alleati in caso di attacco da parte della Russia e permetterà a quest’ultima di ‘fare quello che diavolo vuole’ con loro”, è stato l’affondo dell’attuale presidente Usa e candidato democratico anche per il 2024, Joe Biden.

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    Borrell: “I finanziamenti all’UNRWA non vanno tagliati”

    Bruxelles – “Non vanno tagliati i finanziamenti all’Agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi (UNRWA), perché se tagliamo i finanziamenti all’UNRWA colpiamo l’intero popolo palestinese”. Il capo della diplomazia UE, Josep Borrell, invita alla calma e al pragmatismo. L’eventualità che qualcuno, dall’interno dell’organismo delle Nazioni Unite, abbia potuto aiutare Hamas a colpire Israele il 7 ottobre scorso sono gravi e la Commissione non sottovaluta la cosa, ma l’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza ricorda che cosa c’è in ballo.“Se si eliminano i finanziamenti non si possono aiutare i palestinesi”, aggravando una situazione che, dal punto di vista umanitario, preoccupa sempre più in Europa. “Dobbiamo continuare a lavorare con l’UNRWA“, scandisce Borrell al suo arrivo in Consiglio europeo per il vertice dei capi di Stato e di governo dell’UE. Invita a lasciare che l’inchiesta faccia il suo corso, senza per questo pregiudicare un lavoro che risulta indispensabile. E aggiunge che dal punto di vista europeo non si intende procedere alla linea intransigente. “L’Unione europea non ha deciso di sospendere i finanziamenti all’UNRWA“, mette in chiaro. Ci sono le verifiche del caso, come peraltro annunciato, che è cosa diversa.Borrell sa di poter contare sull’appoggio dei leader dell’UE. Uno di questi è il primo ministro irlandese, Leo Varadkar. “Serve un cessate il fuoco umanitario a Gaza”, scandisce anche lui prima di prendere parte ai lavori del vertice del Consiglio europeo. In questa ottica di cessate il fuoco umanitario l’agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi ha ancora un ruolo da poter svolgere. Su questo Borrel è categorico. “Non c’è alternativa all’UNRWA, come hanno detto chiaramente le Nazioni Unite, se si vuole mantenere in vita queste persone”.

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    L’Ue: “Soluzione a due Stati in Medio Oriente”. Ma solo 9 su 27 riconoscono la Palestina come Stato

    Bruxelles – Soluzione a due Stati in Medio Oriente, con Israele da una parte e Palestina dall’altra . L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Josep Borrell, sta insistendo sul fatto che solo questa sia la soluzione al conflitto arabo-israeliano. Una linea sposata anche dall’Italia e dal governo in carica, ma che appare tutt’altro che semplice. Perché oggi appena un terzo degli Stati membri dell’UE riconosce la Palestina come Stato. Appena nove su Ventisette, più un decimo che si è aggiunto in corso d’opera.Bulgaria, Cipro, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Svezia e Ungheria. Sono loro ad aver riconosciuto la Palestina come Stato secondo i confini del 1967 (Cisgiordania, striscia di Gaza e Gerusalemme est). Solo la Svezia ha riconosciuto uno stato palestinese da membro UE, mentre gli altri l’hanno fatto prima di entrare nel club a dodici stelle. Recentemente, sulla scia dell’operazione lanciata di Hamas su vasta scala innescando il conflitto tutt’ora in corso, il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez ha annunciato di essere pronto a compiere il passo mai compiuto finora, portando così a dieci gli Stati membri dell’Ue a riconoscere la Palestina come Stato.Risultano evidenti dunque cortocircuito e contraddizione dell’UE, che da una parte chiede un qualcosa che non può avvenire finché i singoli governi non nazionali ottengono ciò che serve. Sulla ‘questione Palestina’ c’è un braccio di ferro inter-istituzionale che si trascina da almeno un decennio. Il Parlamento europeo chiede che venga riconosciuto uno stato palestinese almeno dal 2014, sempre sulla base di una situazione a due stati con frontiere del 1967. Adesso torna a spingere anche la Commissione europea, attraverso Borrell, per la stessa cosa, ma il vero nodo è in Consiglio.Tanto è vero che l’europarlamentare spagnola Ana Miranda (Verdi), con tanto di interrogazione urgente, chiede di riconoscere “con urgenza” la Palestina come Stato invitando il consiglio Affari generali, che riunisce i ministri per gli Affari europei dei 27 Stati membri dell’UE, di mettere sul tavolo l’argomento. La richiesta originariamente era indirizzata alla Spagna, presidente di turno fino al 31 dicembre 2023, ma essendo stata presentata il 13 dicembre questa interrogazione ora finirà all’attenzione del Belgio, presidente di turno dal primo gennaio.“L’Unione deve adottare una nuova posizione e riconoscere lo Stato di Palestina“, esorta l’europarlamentare spagnola. Ma perché ciò sia possibile occorre che tutti i 27 Stati membri riconoscano la Palestina come Stato. Altrimenti le dichiarazioni resteranno prive di fondamento e credibilità. Il sostegno all’Autorità nazionale palestinese da solo non basta.

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    Borrell: “Avanti con il rifornimento di munizioni all’Ucraina”. In primavera attesa la svolta

    Bruxelles – Avanti con il rifornimento di munizioni all’Ucraina. L’Unione europea non intende abbandonare l’alleato-partner nel conflitto con la Russia, e il piano per accelerare produzione industriale e forniture non solo non è rimesso in discussione ma dovrebbe iniziare a produrre i propri effetti entro la primavera di quest’anno. E’ la data che fornisce l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, nella risposta fornita ad un’interrogazione parlamentare in materia.Ci sono tre linee d’azione per il potenziamento della produzione industriale di difesa: consegna immediata dalle scorte o ridefinizione delle priorità degli ordini, acquisto congiunto di munizioni calibro 155 mm, e aumento della capacità industriale europea. Per quanto riguarda i primi due rami dell’agenda a dodici stelle, sostiene Borrell, “la consegna di 1 milione di munizioni da artiglieria all’Ucraina continua ad essere un importante obiettivo politico“, anche alla luce della mancata promessa di farle avere a Kiev e alla sue forze armate entro fine 2023. Adesso si conta di farle avere “entro marzo 2024”, dopo aver già consegnato, sottolinea Borrell, “oltre 300mila munizioni terra-terra e 3.200 missili da febbraio 2023”.Anche sul fronte dei proiettili calibro 155 l’obiettivo temporale è quello del cambio di stagione. “Si stima che la capacità produttiva europea sia già aumentata del 20-30 per cento da febbraio 2023, e si prevede che raggiungerà la capacità di 1 milione l’anno nella primavera del 2024″. Un’evoluzione che si collega agli acquisti congiunti per rifornire l’Ucraina. “Secondo le stime attuali – dice sempre l’Alto rappresentante – sarebbero già ordinate circa 180mila munizioni per il periodo 2023-2024″, e inoltre “si prevedono ulteriori ordini nei prossimi mesi”.Al netto di questo, l’impegno dell’Ue è pronto a essere profuso anche in altri ambiti, sempre di difesa e sostegno all’Ucraina. Borrell tiene a precisare, nella sua risposta alle domande sollevate dai banchi del gruppo dei popolari (PPE), che tra Stati membri e di concerto con l’Ucraina “sono attualmente in corso discussioni sui futuri impegni di sicurezza dell’UE nei confronti dell’Ucraina e su come garantire un sostegno militare sostenibile e prevedibile all’Ucraina“. Un messaggio per Mosca. L’UE non cede.

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    L’Ue rilancia la richiesta di rilascio del presidente del Niger Bazoum dopo 5 mesi di prigionia

    Bruxelles – Sono passati cinque mesi, ma il presidente del Niger, Mohamed Bazoum, è ancora prigioniero della giunta militare che ha preso il potere a fine luglio con le armi. “Come l’Ecowas, l’Unione Europea continua a chiedere il suo rilascio e quello della sua famiglia“, è la costante esortazione dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in un quadro diplomatico nel Sahel altamente problematico e senza sviluppi positivi.L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, dopo un incontro con il presidente del Niger, Mohamed Bazoum, a Niamey (5 luglio 2023)Dopo il golpe del 26 luglio scorso non c’è stato alcuno spazio per una mediazione diplomatica nell’ultimo dei Paesi della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas) che hanno visto una presa di potere armata da parte della giunta militare. Al punto che la Francia, il maggiore attore europeo e occidentale a Niamey, è pronta ad abbandonare il Paese. Così come riportato dall’agenzia di stampa Afp, l’ambasciatore francese in Niger, Sylvain Itté, ha inviato una lettera al suo staff per annunciare che sarà chiusa presto l’ambasciata, dal momento in cui “non è più in grado di funzionare normalmente né di svolgere i suoi compiti” a causa del clima ostile esercitato dalla giunta militare. Da quando è stato deposto il presidente Bazoum, i golpisti si sono avvicinati esplicitamente alla Russia di Vladimir Putin e hanno ordinato l’espulsione dei 1.500 militari francesi impegnati sul suolo nigerino in operazioni di contrasto ai gruppi estremisti islamici affiliati allo Stato Islamico e ad Al-Qaeda. L’evacuazione si è conclusa venerdì scorso (22 dicembre), mentre per il momento i soldati statunitensi, italiani e tedeschi potranno rimanere in Niger.Ma il clima diplomatico rimane tesissimo anche per l’Unione Europea, in particolare dopo l’adozione del quadro di sanzioni autonomo contro la giunta militare in Niger (che si affianca a quello dell’Ecowas) di fine ottobre. “L’Ue si rammarica della decisione della giunta di denunciare l’accordo che stabilisce la base giuridica per il dispiegamento della missione Eucap Sahel Niger e della missione di cooperazione militare Eumpm”, è quanto denunciato a inizio mese dall’alto rappresentante Ue Borrell, avvertendo che Bruxelles “trarrà le necessarie conclusioni operative“. In 11 anni di presenza nel Paese, Eucap Sahel Niger ha sostenuto e formato le forze di sicurezza interne nella lotta contro il terrorismo, la criminalità organizzata e la migrazione irregolare su richiesta delle autorità nazionali con il dispiegamento di 130 soldati dei Paesi membri Ue. La missione Eumpm Niger – lanciata sempre su invito delle autorità nigerine – è stata invece progettata per sostenere l’esercito nazionale nella lotta contro il terrorismo.Il colpo di Stato in NigerLo scorso 26 luglio la Guardia presidenziale del Niger ha circondato il palazzo presidenziale e gli edifici di diversi ministeri a Niamey, arrestando il presidente Bazoum (in carica dal 2021), la sua famiglia e i membri dell’entourage. Lo stesso capo di quello che poi si è ribattezzato Consiglio nazionale per la salvaguardia del Paese (Cnsp), Abdourahmane Tchiani, si è autoproclamato nuovo leader del Paese: i golpisti hanno ordinato la sospensione di tutte le istituzioni, la chiusura delle frontiere aeree e terrestri e il coprifuoco notturno. Anche l’esercito del Niger – addestrato dall’Ue attraverso il partenariato militare Eumpm Niger – si è unito alla Guardia Presidenziale per “preservare l’unità” nazionale. Con un decreto annunciato il 7 agosto la giunta ha nominato l’ex-ministro delle Finanze, Ali Mahamane Lamine Zeine, come primo ministro di transizione e tre giorni più tardi la giunta militare ha formato un governo composto da 21 ministri.Negli ultimi due anni si sono susseguiti diversi colpi di Stato nei Paesi dell’Africa occidentali – in Mali, Guinea e Burkina Faso – le cui rispettive giunte militari oggi al potere hanno minacciato di difendere i golpisti in Niger in caso di un attacco armato da parte dell’Ecowas. Per l’Unione Europea Niamey era considerato un alleato-chiave soprattutto per la lotta contro il terrorismo di matrice islamista e in ottica di partenariato sulla migrazione. “La nostra partnership con il Niger è solida e non smette di rinforzarsi in tutti i settori: sicurezza, sviluppo, educazione, transizione energetica”, aveva dichiarato il 5 luglio scorso l’alto rappresentante Borrell dopo un incontro con Bazoum a Niamey. Dal 26 luglio tutti i fondi comunitari per la cooperazione con Niamey sono stati sospesi, compresi quelli mobilitati attraverso l’European Peace Facility per “rafforzare le capacità militari delle forze armate nigerine al fine di difendere l’integrità territoriale e la sovranità del Niger”.

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    A Gaza riprendono le ostilità e i bombardamenti israeliani. L’Ue chiede all’Iran un “lavoro attivo” per la de-escalation

    Bruxelles – Nove giorni, e la tregua nella Striscia di Gaza è già finita. “Le ostilità sono riprese a Gaza e vediamo che il bilancio delle vittime civili, già molto alto, continua ad aumentare“, si è rammaricato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, commentando gli intensi bombardamenti israeliani ricominciati venerdì scorso (primo dicembre) e che da ieri (3 dicembre) si sono estesi anche alla parte meridionale della Striscia, dove sono entrati per la prima volta i carri armati di Tel Aviv.Il capo della diplomazia Ue esprime forte preoccupazione per quanto in atto negli ultimi tre giorni nella Striscia di Gaza, conscio dei rischi a cui si sta andando incontro. “Dobbiamo evitare qualsiasi ricaduta regionale, la soluzione può essere solo politica incentrata su due Stati“, ha sottolineato Borrell nel corso di uno scambio telefonico con il ministro degli Affari esteri dell’Iran, Hossein Amir-Abdollahian, esortando Teheran a “usare la sua influenza e a lavorare attivamente per evitare un’ulteriore escalation nella regione”. Parole che arrivano a pochi giorni dal vertice ministeriale della Nato, in cui proprio l’Iran è stato avvertito di “tenere a freno” i suoi delegati di Hamas e Hezbollah che operano nella regione contro Israele.Ancora più duro è stato poi lo stesso alto rappresentante Ue nel suo intervento al 25esimo Forum Ue-Ong per i diritti umani: “Quella di Hamas è stata una carneficina, ma quella a cui stiamo assistendo ora è un’altra carneficina“. Alcuni partecipanti hanno iniziato a lasciare la sala dopo le parole di Borrell, che non ha però fatto alcun passo indietro: “Probabilmente ho detto qualcosa di scomodo, ma le Nazioni Unite hanno affermato chiaramente che quanto successo è stato riconosciuto come tale, mentre quello che sta succedendo ne è un altro caso”. La motivazione è semplice e parte dal numero di vittime: “Nessuno sa quante siano, qualche stima dice 15mila, ma temo che sotto le macerie delle case distrutte ce ne siano molte di più, con un alto numero di bambini”, e la comunità internazionale “non può accettarlo”. In altre parole, “un orrore non può giustificare un altro orrore“.La fine della tregua a GazaDa sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, a Ramallah il 17 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)Nel corso della tregua iniziata nella notte tra il 21 e il 22 novembre e andata in frantumi dopo nemmeno dieci giorni, Hamas ha rilasciato 110 ostaggi detenuti a Gaza in cambio di 240 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Ma ora si tornano a contare non più i prigionieri liberati ma solo le persone uccise dai bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza. Dall’inizio della guerra il bilanci è salito a circa 15 mila vittime palestinesi, prevalentemente nella parte settentrionale della lingua di terra di 40 chilometri per 9. Da ieri però l’esercito israeliano ha intensificato i bombardamenti e lanciato un’operazione di terra a nord di Khan Younis, città palestinese con annesso campo profughi nella parte meridionale della Striscia. L’incursione è stata preceduta da ordini di evacuazione alla popolazione palestinese in diversi distretti della città, dove già centinaia di migliaia di persone si erano rifugiate dopo essere fuggite dai combattimenti nel nord della Striscia nelle prime fasi della guerra.“Il modo in cui Israele esercita il suo diritto all’autodifesa è importante, è imperativo che rispetti il diritto internazionale umanitario e le leggi di guerra“, ha ribadito con forza l’alto rappresentante Borrell, richiamandosi a quanto già affermato a più riprese sulla necessità di non violare il diritto internazionale: “Questo non è solo un obbligo morale, ma anche legale”. Così come fatto nel corso della missione nella regione a pochi giorni dall’inizio della tregua, il capo della diplomazia dell’Unione ha fatto riferimento anche alla “crescente violenza in Cisgiordania, dove secondo le Nazioni Unite dal 7 ottobre sono stati uccisi 271 palestinesi“, più del doppio di tutti quelli uccisi dai coloni o dall’esercito israeliano dall’inizio dell’anno. Tornando al conflitto a Gaza, Borrell ha poi ricordato che la tregua che ha permesso il rilascio degli ostaggi ma anche la consegna di aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza “non è sufficiente” da sola, dal momento in cui “le pause umanitarie dovrebbero essere riprese, ma lavorando contemporaneamente per una soluzione politica globale per tutti i territori palestinesi”. Quella soluzione per “due popoli, due Stati” che per l’Unione Europea è ormai un caposaldo e su cui ha elaborato una base di  sei condizioni – “tre sì e tre no” – su cui provare a impostare il dialogo nella regione.
    Dal primo dicembre è finita la tregua temporanea, con le operazioni miliari che si sono estese anche nel sud della Striscia. L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell: “Quella di Hamas è stata una carneficina, ma quella a cui stiamo assistendo ora è un’altra carneficina”

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    È stato pubblicato il nuovo report Ue-Turchia per un riavvicinamento “progressivo, proporzionato e reversibile”

    Bruxelles – È arrivata la nuova relazione strategica sui rapporti Ue-Turchia e ora i Ventisette avranno una base più aggiornata su cui impostare il confronto sulle prospettive di cooperazione con uno dei vicini più complessi di gestire, perché stretto partner ma spesso anche elemento di instabilità sulla scena internazionale. Il report richiesto dai 27 leader Ue al Consiglio Europeo di fine giugno è stato presentato oggi (29 novembre) dalla Commissione e dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, dopo il via libera al Collegio dei commissari: “La Turchia è un partner importante, siamo partiti dalla valutazione già fornita nella primavera del 2021 e abbiamo considerato lo sviluppo delle relazioni” politiche, economiche e commerciali “negli ultimi due turbolenti anni”.Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenL’ultima volta che il Consiglio Affari Esteri si era riunito per discutere della questione dei rapporti con Ankara era il 20 luglio e da allora è stato serrato il lavoro dell’esecutivo comunitario per valutare lo stato dell’arte e le direttrici di una possibile maggiore cooperazione con il padre-padrone della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan. “Vediamo uno spirito costruttivo, ma ora dobbiamo affrontare insieme i problemi a partire dalla questione cipriota”, ha subito messo in chiaro l’alto rappresentante Borrell, facendo riferimento alla controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord e dal 2017 sono fermi i tentativi di compromesso. Ma nel confronto ci deve essere anche la questione della delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, dal momento in cui Ankara dal 2019 continua a mettere in discussione i confini greci (e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione) a sud dell’isola di Creta: “Abbiamo chiare le nostre priorità” – con le condizioni tracciate già nel 2021 dai Ventisette – “dobbiamo rafforzare la nostra sicurezza, e questo ha un impatto sui rapporti con la Turchia”.L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (29 novembre 2023)È per questo che si sta iniziando a pensare ai “prossimi passi” per una serie di opzioni di un processo “progressivo, proporzionato e reversibile” di riavvicinamento tra Unione Europea e Turchia, ha spiegato il capo della diplomazia Ue. E in questo senso non si può prescindere dal passare “da una dinamica conflittuale a una più cooperativa”. Da Ankara l’Unione si aspetta che “affronti i contrasti commerciali, cooperi contro l’aggiramento delle sanzioni contro la Russia e crei un clima che favorisca la ripresa dei negoziati per risolvere la questione cipriota”, ha precisato Borrell, ponendo forte attenzione alla cooperazione per isolare la Russia fino a quando non metterà fine all’invasione dell’Ucraina. Parallelamente si punta a stringere i rapporti anche sull’altro fronte caldo di conflitto, ovvero quello della guerra tra Israele e Hamas: “La Turchia può svolgere un ruolo attivo e positivo nel processo di pace, entrambi sostentiamo la necessità di arrivare a un negoziato politico per la soluzione a due Stati” (Israele e Palestina).La relazione, che ora sarà presentata al Consiglio Europeo (verosimilmente a quello in programma il 14-15 dicembre) per l’esame e la definizione degli orientamenti, punta anche alla ripresa del dialogo di alto livello del Consiglio di associazione Ue-Turchia sospeso nel 2019 e al lancio dei negoziati per modernizzare l’Unione doganale, anche se vanno considerate le difficoltà nella poca preparazione sul “corretto funzionamento dell’economia di mercato turca”, l’inflazione alle stelle e le “ampie deviazioni dagli obblighi assunti” che “ostacolano gli scambi bilaterali”. Infine si vuole sviluppare un “partenariato di mutuo beneficio” con un vicino che è anche candidato all’adesione all’Unione Europea dal 1999 (i negoziati sono stati avviati nel 2005). Nella relazione apposita all’interno del Pacchetto Allargamento Ue 2023 pubblicato lo scorso 8 novembre è però emerso chiaramente che “il Paese non ha invertito la tendenza negativa ad allontanarsi dall’Unione Europea e ha portato avanti le riforme legate all’adesione in misura limitata”. Anche questo dovrà essere tenuto in considerazione dai Ventisette nel definire i prossimi passi del rapporto con il vicino più ingombrante.
    La Commissione Ue ha fornito al Consiglio la relazione strategica sullo stato sui rapporti tra Bruxelles e Ankara. Si punta alla ripresa del Consiglio di associazione (fermo dal 2019), negoziati sull’Unione doganale e cooperazione su Mediterraneo orientale, Russia e Gaza

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    “Un orrore non giustifica un altro orrore”. La visita in Israele e Palestina di Borrell per portare solidarietà e spingere la pace

    Bruxelles – Un viaggio in Israele e Palestina nel pieno della guerra tra Gerusalemme e Hamas nella Striscia di Gaza, per mettere in chiaro “le stesse cose” in entrambi i posti: “Un orrore non giustifica un altro orrore, l’attacco terroristico di Hamas ha cambiato il paradigma di una situazione fragile, ma ogni perdita di vita civile è deplorevole”. Si è presentato così l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nella sua doppia visita tra ieri e oggi (16-17 novembre) a Gerusalemme e Ramallah per spingere il messaggio dell’Ue di ricerca della pace quanto prima e di ricostruire la regione su basi nuove.Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, a Ramallah il 17 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)“Stiamo assistendo a una tragedia, mi riferisco a ciò che sta succedendo a Gaza e in Israele”, ha messo in chiaro Borrell, aprendo oggi la conferenza stampa congiunta con il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh. Con oltre 11 mila vittime nella Striscia di Gaza per i bombardamenti israeliani e gli ospedali “al collasso”, secondo il capo della diplomazia Ue “Hamas ha attaccato anche la causa palestinese” il 7 ottobre. Se l’organizzazione definita terroristica dall’Unione “deve liberare immediatamente gli ostaggi” israeliani, allo stesso tempo “abbiamo anche sottolineato che il modo in cui Israele si difende è importante, perché deve rispettare le leggi umanitarie e il principio di proporzionalità“. Come spiegato ieri senza troppi giri di parole a Gerusalemme nel punto stampa con il presidente israeliano, Isaac Herzog, “gli amici di Israele sono quelli che vi chiedono di non commettere una tragedia”.Portando nella regione il messaggio condiviso dai Ventisette al Consiglio Affari Esteri di lunedì (13 novembre) di mettere in campo “pause umanitarie immediate, perché l’assistenza raggiunga i civili” della Striscia di Gaza, l’alto rappresentante Borrell a Gerusalemme si è detto “sconvolto dalla sofferenza umana del popolo israeliano, ma anche preoccupato per la sofferenza della popolazione di Gaza”. Nel “non farsi accecare dall’odio” per quanto accaduto il 7 ottobre nei kibbutz, la richiesta è quella di “fare il possibile per diminuire il livello di sofferenza dei civili”. Ma senza nascondere il mea culpa che coinvolge tutta la comunità internazionale: “È stato un fallimento politico e morale, e includo anche l’Unione Europea, perché non abbiamo preso abbastanza in considerazione la pace tra Palestina e Israele”. Ma come ricordato a Ramallah, “ora questi tragici eventi hanno portato la questione palestinese fuori dal limbo” ed è necessario uno sforzo da tutte le parti per raggiungere la pace e la stabilità futura.Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente di Israele, Isaac Herzog, a Gerusalemme il 16 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)“Solo una soluzione politica può mettere fine a questo interminabile ciclo di violenza” che, nonostante stia passando sotto silenzio di fronte alla tragedia di Gaza, riguarda anche la Cisgiordania sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp). L’alto rappresentante Borrell non ha taciuto “l’aumento del terrorismo dei coloni” israeliani post-attacco di Hamas: “Da inizio anno 421 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania, ma dal 7 ottobre sono stati 202, cioè in un mese lo stesso numero dei dieci mesi precedenti”. Di fronte a una situazione di “occupazione illegale” del territorio palestinese, il capo della diplomazia Ue ha chiesto “a livello più alto possibile a Israele di affrontare la questione, per evitare il rischio di scoppio delle ostilità anche in Cisgiordania”.Il piano Ue per la Palestina post-guerraLo scopo della visita in Israele e Palestina – che continuerà nei prossimi giorni in Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania – è stata però anche l’occasione per iniziare a far sentire la presenza diplomatica europea, dopo un mese di polemiche e divisioni sul messaggio veicolato dai leader delle rispettive istituzioni (e anche all’interno delle stesse istituzioni). “La questione palestinese non può rimanere irrisolta“, ha messo in chiaro oggi Borrell di fronte al premier Shtayyeh, parlando della soluzione a due Stati “che è rimasta dimenticata per troppo tempo, è arrivato il momento per definire i passi concreti per implementarla”.La proposta di piano dell’Unione Europea – ancora in fase di definizione – portata nella regione è quella concordata a inizio settimana dai 27 ministri Ue degli Esteri. Si tratta di quello “schema mentale” presentato dall’alto rappresentante Borrell che passa da sei condizioni, “tre sì e tre no”. Per quanto riguarda i tre ‘no’, si parte dal fatto che “non ci potrà essere un’espulsione forzata dei palestinesi“, che “il territorio di Gaza non si può ridurre, non può esserci rioccupazione da parte di Israele a livello permanente” e che la questione dei bombardamenti in atto a Gaza “non può essere dissociata dalla questione palestinese“. E le stesse condizioni sono state ribadite anche a Gerusalemme.I tre ‘sì’ fanno invece parte dell’impostazione per una pace strutturale e stabile. “A Gaza deve tornare un’autorità palestinese, la cui legittimità deve essere definita e riconosciuta”, ma questa volta a Ramallah – a differenza di lunedì – Borrell ha fatto esplicitamente riferimento all’Autorità Nazionale Palestinese: “Avete la capacità di continuare questo lavoro, vi supporteremo”. La soluzione deve essere “appoggiata con un forte coinvolgimento degli Stati arabi” a livello finanziario e politico. E infine servirà “più coinvolgimento dell’Ue nella regione, in particolare nella costruzione dello Stato palestinese“. Dopo la definizione delle sei condizioni del piano per il post-guerra, l’alto rappresentante Borrell ha incassato un primo successo, il “pieno sostegno” del governo palestinese. Tutto tace invece sul fronte israeliano.
    L’alto rappresentante Ue ha esortato Gerusalemme a “fare il possibile per diminuire il livello di sofferenza dei civili” a Gaza e a garantire “pause umanitarie immediate”. Presentato a Ramallah il piano dell’Unione per il post-guerra con “pieno supporto” dall’Autorità Nazionale Palestinese