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    Ue e Corea del Sud siglano un accordo sulla difesa. E Borrell chiede a Seoul di intensificare il supporto all’Ucraina

    Bruxelles – Dopo l’uscita allo scoperto della Corea del Nord sul supporto a Mosca, Bruxelles chiede a Seoul un salto di qualità nel supporto all’Ucraina. L’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, si è recato nella penisola e ha inaugurato il primo dialogo strategico Ue-Corea del Sud. Facendo leva sulle tensioni storiche – e in crescita – tra Pyongyang e Seoul, Borrell ha incoraggiato il partner sud-est asiatico a “intensificare” il proprio sostegno alla resistenza di Kiev.Insieme al ministro degli Esteri della Corea del Sud, Cho Tae-yul, Borrell ha annunciato il Partenariato per la sicurezza e la difesa tra l’Ue e la Repubblica di Corea, una sorta di quadro politico che individua le coordinate per una cooperazione rafforzata tra Bruxelles e Seoul in settori chiave quali la sicurezza marittima e la difesa spaziale, le questioni informatiche, il contrasto alle minacce ibride, alla manipolazione dell’informazione e all’interferenza straniera, la lotta al terrorismo, la formazione e l’istruzione, la non proliferazione nucleare e il disarmo.Josep Borrell Fontelles e Cho Tae-Yul a Seoul, 4/11/24Le tempistiche scelte per siglare il partenariato non sono una mera coincidenza: in una dichiarazione congiunta, Borrell e l’omologo coreano hanno condannato “con la massima fermezza i continui trasferimenti illegali di armi” dalla Corea del Nord alla Russia e “il dispiegamento di forze speciali in Russia, a sostegno della guerra di aggressione illegale in Ucraina”. La cooperazione tra Kim Jong-un e Vladimir Putin “non solo è una flagrante violazione di molteplici risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”, ma “minaccia la sicurezza del mondo, compresa quella della Repubblica di Corea e dell’Europa”, sottolineano Borrell e Cho Tae-yul.Proprio oggi (4 novembre) il Consiglio nazionale di sicurezza e difesa dell’Ucraina ha riferito dei primi scontri a fuoco tra le forze di Kiev e le truppe nordcoreane nella regione russa di Kursk. Dal punto di vista di Seoul, i dieci mila soldati di Pyongyang al fronte a fianco dei russi significano soprattutto qualcosa in cambio da parte di Mosca: “Stiamo monitorando attentamente ciò che la Russia fornisce alla Rpdc in cambio della fornitura di armi e personale militare, compresa la possibile fornitura di materiali e tecnologie a sostegno degli obiettivi militari di Pyongyang“, prosegue la dichiarazione congiunta. “Profonda preoccupazione” in particolare per  “l’eventualità di un trasferimento di tecnologia nucleare o legata ai missili balistici”. Il do ut des tra i due autocrati non fa altro che alimentare l’aggressività del regime di Kim Jong-un, come dimostrato dal test missilistico balistico della scorsa settimana, il più potente mai condotto dal Paese. Nelle parole del leader coreano, “un’azione militare appropriata che soddisfa pienamente lo scopo di informare i rivali della nostra capacità di contrattaccare”. Un notiziario sudcoreano dà la notizia del lancio di un missile balistico da parte di Pyongyang (Photo by JUNG YEON-JE / AFP)In un bilaterale con il ministro della Difesa della Corea del Sud, Kim Yong Hyun, Borrell ha paragonato la “minaccia esistenziale” russa contro l’Ucraina al rapporto tra le due Coree: “La Repubblica di Corea è nella posizione migliore per capirlo”, ha dichiarato il capo della diplomazia Ue. Già la scorsa settimana, durante la visita del presidente polacco Andrzej Duda a Seoul, il presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol si era impegnato a rispondere al coinvolgimento della Corea del Nord in Ucraina, anche fornendo potenzialmente armi a Kiev.“Se la Corea del Nord invia forze speciali nella guerra in Ucraina come parte della cooperazione tra Russia e Corea del Nord, noi sosterremo l’Ucraina per gradi e rivedremo e implementeremo le misure necessarie per la sicurezza nella penisola coreana”, aveva dichiarato. Finora, la Corea del Sud ha fornito a Kiev aiuti umanitari, e contribuito solo indirettamente all’assistenza militare, attraverso la fornitura di armi a diversi Paesi membri dell’Ue e della Nato.

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    Allargamento Ue 3/ Quando Mosca è troppo vicina: gli ostacoli all’adesione di Georgia, Serbia e Turchia

    Bruxelles – Tra i Paesi candidati ad entrare in Unione europea, tre sembrano al momento piuttosto lontani. Si tratta di Georgia, Serbia e Turchia. Ognuno di loro presenta varie criticità su diversi livelli, ma un elemento che accomuna Tbilisi, Belgrado e Ankara è lo scollamento da Bruxelles su un punto fondamentale: la politica estera e di sicurezza. Che, a partire dall’aggressione dell’Ucraina di due anni e mezzo fa, comprende l’imperativo di non allinearsi alla Russia di Vladimir Putin.La Serbia, tallone d’Achille dei BalcaniTra i sei Paesi candidati della regione balcanica, la Serbia (che ha avanzato la sua domanda di adesione nel 2012) è decisamente la più problematica dal punto di vista del disallineamento rispetto alle priorità strategiche della politica estera comunitaria. Nella sua relazione annuale sul progresso del processo di adesione (chiamata anche “pacchetto sull’allargamento“), presentata mercoledì (30 ottobre) dall’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell e dal commissario all’Allargamento e al vicinato Olivér Várhelyi, si legge che “il ritmo dei negoziati” per l’ingresso di Belgrado nel club europeo “continuerà a dipendere dalle riforme sullo Stato di diritto e dalla normalizzazione delle relazioni della Serbia con il Kosovo”.Per quanto riguarda il primo punto, le riforme su cui il Paese balcanico deve concentrare i propri sforzi hanno a che fare soprattutto con la libertà della società civile e dei media e la lotta contro la disinformazione e le interferenze dall’estero. Tradotto: va ridotta l’esposizione alle campagne ibride del Cremlino, che fanno presa in questo Stato più che negli altri della regione.Ma è soprattutto sul difficile rapporto con il Kosovo che si stanno giocando le prospettive europee della Serbia. Belgrado non ha mai riconosciuto l’indipendenza di Pristina (proclamata unilateralmente nel 2008 e riconosciuta da oltre metà degli Stati membri dell’Onu), e il dialogo tra le due nazioni – facilitato dall’Ue – non sta compiendo progressi significativi. Il che è un eufemismo, considerati i momenti di crisi acuta negli ultimi tempi (ad esempio la disputa sulle targhe albanesi sfociata poi nell’episodio di sangue presso il monastero di Banjska nel settembre 2023). Del resto, il governo serbo guidato da Miloš Vučević ha ribadito che intende continuare sulla linea del non-riconoscimento di quella che considera una parte del territorio nazionale.A preoccupare Bruxelles è parallelamente anche la vicinanza di Belgrado a Mosca, un altro problema dell’esecutivo di Vučević (ma anche di quelli precedenti), di cui fanno parte due politici sanzionati dagli Stati Uniti per il loro legame alla Russia di Vladimir Putin: l’ex capo dell’intelligence Aleksandar Vulin e l’imprenditore Nenand Popović. L’esecutivo comunitario sottolinea che la Serbia “non è ancora allineata alle misure restrittive” adottate dall’Ue “contro la Federazione Russa” e altri Paesi come Bielorussia, Corea del Nord e Iran e “non si è allineata alla maggior parte delle dichiarazioni dell’Alto rappresentante” rivolte al Cremlino. Oltre a ciò, continua il rapporto, Belgrado “ha mantenuto relazioni di alto livello” con Mosca e “intensificato” quelle con Pechino, “sollevando dubbi circa la direzione strategica della Serbia”.La Georgia, un Paese in bilicoUn altro Stato candidato che sta pericolosamente pendendo verso Mosca è la Georgia. Nonostante la sua popolazione sia fortemente filo-occidentale, il governo – dal 2012 saldamente nelle mani di Sogno georgiano, il partito-macchina dell’oligarca Bidzina Ivanishvili – ha assunto nel corso dell’ultimo anno posizioni sempre più marcatamente filorusse, forzando peraltro l’approvazione parlamentare di due provvedimenti liberticidi (una legge sugli “agenti stranieri” e una sulla famiglia che discrimina i membri della comunità Lgbtq+) modellati sull’esempio di analoghe norme russe, che sono costati a Tbilisi il congelamento del percorso di avvicinamento all’Ue (avviato nel 2022) e la sospensione dell’erogazione dei fondi comunitari.La situazione non è affatto migliorata con l’ultima tornata elettorale dello scorso sabato (26 ottobre), durante la quale gli osservatori locali e internazionali hanno denunciato una lunga serie di irregolarità e violazioni e che le opposizioni si sono impegnate a non riconoscere, rifiutandosi di insediarsi nel nuovo Parlamento. Secondo la presidente della Repubblica, Salomé Zourabichvili, le elezioni sono state “rubate” ai georgiani da “un’operazione dei servizi segreti russi” e anche a Bruxelles si teme che l’esito del voto possa spingere il piccolo Stato caucasico verso l’orbita di Mosca in maniera irrimediabile.Secondo l’analisi della Commissione europea, “il tasso di allineamento con la politica estera e di sicurezza dell’Ue rimane considerevolmente basso”, anche se Tbilisi ha “cooperato con l’Ue per prevenire la circonvenzione delle sanzioni” comminate alla Federazione Russa. Una cooperazione che potrebbe venir meno nell’immediato futuro.Il limbo eterno della TurchiaRimangono decisamente esigue anche le speranze della Turchia di entrare in Ue: il Paese anatolico ha fatto domanda di adesione nel lontano 1999 ma, per una lunga serie di motivi, non ha mai avuto una prospettiva concreta di far parte del club a dodici stelle e ora la sua pratica è bloccata dal 2018. Tra i maggiori ostacoli ci sono la questione cipriota, le dispute con la Grecia per il controllo di alcuni tratti di mare (e dei sottostanti giacimenti di idrocarburi) nel Mediterraneo orientale, il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali (inclusi quelli delle minoranze e delle donne) e, pure in questo caso, il disallineamento in politica estera tra Ankara e Bruxelles.Sotto la presidenza di Recep Tayyip Erdoğan, la Turchia si è mossa con relativa disinvoltura (i critici direbbero con spregiudicatezza) sulla scena internazionale, instaurando un rapporto ambivalente con la Russia di Putin. Su alcuni fronti di crisi, come quello siriano, i due leader si sono trovati su posizioni opposte, ma i due Paesi sono in realtà strettamente legati da una crescente relazione che investe il piano politico (Ankara starebbe ambendo ad entrare nei Brics, che l’uomo forte di Mosca definisce l’alternativa globale all’Occidente), strategico (dall’Africa all’Ucraina passando per il Caucaso), economico (con uno scambio commerciale in continuo aumento) ed energetico (la Turchia sembra puntare a diventare l’hub per far entrare il gas russo in Europa nell’epoca in cui le sanzioni impediscono agli Stati Ue di rifornirsi direttamente dalla Federazione).L’esecutivo comunitario ribadisce che Ankara “si è rifiutata di allinearsi alle misure restrittive dell’Ue contro la Russia riguardo all’aggressione russa dell’Ucraina”, e suggerisce che la Turchia dovrebbe impegnarsi maggiormente per ridurre la circonvenzione delle sanzioni dei beni diretti verso la Federazione impedendo il “falso transito” di articoli particolarmente sensibili attraverso il proprio territorio. La repubblica anatolica dovrebbe inoltre “cooperare più attivamente con le autorità inquirenti dell’Ue sui casi di falsificazione dell’origine dei beni sanzionati provenienti dalla Russia che entrano illegalmente nel mercato unico” dei Ventisette. Nelle parole di Borrell, l’allineamento tra la politica estera comunitaria e quella turca è “particolarmente basso e in diminuzione”.

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    Israele bandirà l’Unrwa dal proprio territorio. Critiche da Ue e Stati Uniti: “È insostituibile”

    Bruxelles – A testa bassa, il governo israeliano continua a prendere a picconate il diritto internazionale e le sue istituzioni. Dopo aver rigettato le raccomandazioni della Corte di giustizia internazionale, bollato il segretario generale dell’Onu come “persona non gradita” sul territorio nazionale, Tel Aviv chiude il cerchio e si prepara, entro tre mesi, a bandire definitivamente l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi (Unrwa) da Israele e dai territori palestinesi occupati.Ieri sera (28 ottobre) la Knesset, il Parlamento israeliano, ha approvato a larghissima maggioranza due leggi con cui definisce l’Unrwa un’organizzazione terroristica e vieta all’Agenzia dell’Onu di condurre “qualsiasi attività” all’interno di Israele, a Gerusalemme Est e nella Cisgiordania occupata. Tra 90 giorni, nessun funzionario israeliano dovrà più mantenere alcun contatto con i dipendenti dell’Unrwa, rendendo di fatto impossibile il lavoro all’Agenzia anche a Gaza. Perché la cooperazione con l’esercito israeliano – che controlla tutti gli ingressi all’enclave palestinese – è essenziale per trasferire gli aiuti nel territorio.Proprio mentre nel nord della Striscia aumenta di giorno in giorno il rischio di pulizia etnica da parte di Israele: secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr) “il modo in cui l’esercito israeliano sta conducendo le ostilità nel nord di Gaza, insieme all’interferenza illegale con l’assistenza umanitaria e agli ordini che stanno portando allo sfollamento forzato” potrebbero causare “la distruzione della popolazione palestinese nel governatorato più settentrionale di Gaza”.Dipendenti dell’Unrwa in una scuola delle Nazioni Unite convertita a rifugio per gli sfollati palestinesi a Khan Yunis (Photo by Mahmud HAMS / AFP)Ma la campagna di Tel Aviv per delegittimare l’Unrwa va avanti dallo scorso gennaio, quando accusò l’Agenzia di “collusione con Hamas” e 12 dei suoi membri di aver partecipato agli attacchi terroristici del 7 ottobre 2023. Inizialmente, la maggior parte dei Paesi occidentali sulle cui donazioni si regge il lavoro dell’Unrwa congelarono i finanziamenti, salvo poi sbloccarli per la mancanza di prove a sostegno delle accuse israeliane. Fallita l’opzione della delegittimazione internazionale, il governo di Benjamin Netanyahu ha scelto di fare da sé per mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’Agenzia.Netanyahu ha ribadito che “i lavoratori dell’Unrwa coinvolti in attività terroristiche contro Israele devono essere ritenuti responsabili”, aggiungendo tuttavia che “aiuti umanitari sostenuti devono rimanere disponibili a Gaza”. Non esattamente quel che sta succedendo, stando a quanto riportato dall’Ufficio di coordinamento dell’Onu per gli Affari umanitari (Ocha). Nelle prime tre settimane di ottobre sarebbero stati autorizzati a entrare nella Striscia dal valico meridionale di Kerem Shalom una media di 28 camion umanitari al giorno, “tra le più basse dall’ottobre 2023” e “ben al di sotto della media di 500 camion per giorno lavorativo” precedente al 7 ottobre. Ancora peggio nello stesso periodo al checkpoint di Al Rashid, snodo per raggiungere da sud i governatorati settentrionali di Gaza: secondo Ocha le autorità israeliane avrebbero facilitato il passaggio solo del 6 per cento – 4 su 70 – dei convogli umanitari.Già prima della votazione alla Knesset, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, aveva espresso “grave preoccupazione” per due leggi che avranno “conseguenze di vasta portata, rendendo di fatto impossibili le operazioni vitali dell’Unrwa a Gaza”. Nel tentativo di richiamare i partner israeliani e esortarli “a riconsiderare la questione”, Borrell aveva definito le leggi “in netta contraddizione con il diritto internazionale e con il principio umanitario fondamentale dell’umanità“. Allo stesso modo, il portavoce del dipartimento di Stato americano, Matthew Miller, ha invitato Israele a riconsiderare il divieto, affermando che l’Unrwa è “insostituibile” in questo momento per la fornitura di aiuti umanitari a Gaza.Il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)In una nota, il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, ha affermato che il voto del Parlamento israeliano “costituisce un pericoloso precedente” e non è che “l’ultimo atto della campagna in corso per screditare l’Unrwa e delegittimare il suo ruolo nel fornire assistenza e servizi di sviluppo umano ai rifugiati palestinesi”. Dall’Agenzia dell’Onu dipendono non solo i quasi 2 milioni di sfollati interni nella Striscia di Gaza, ma circa 6 milioni di profughi palestinesi in tutta la regione.Per il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, l’attuazione delle leggi “è inaccettabile”. Guterres ha richiamato Israele “ad agire in modo coerente con i suoi obblighi previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e con gli altri obblighi previsti dal diritto internazionale”. Un richiamo destinato a cadere nel vuoto, pronunciato da un uomo trattato da Israele alla stregua di un terrorista, che non può più nemmeno mettere piede sul territorio israeliano.Secondo Nicola Zingaretti, capodelegazione del Pd al Parlamento europeo, “la legge voluta dalla destra israeliana contro l’Unrwa è un altro ennesimo errore di Benjamin Netanyahu. Una scelta disumana e in piena violazione del diritto internazionale”.

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    Truppe nord-coreane in Russia, l’Ue “profondamente allarmata”. E Putin non nega le immagini satellitari

    Bruxelles – L’hanno rivelato gli Stati Uniti attraverso delle immagini satellitari, lo confermano da giorni da Kiev. E nemmeno Vladimir Putin lo nega: in Russia ci sarebbero circa tre mila soldati dispiegati dalla Corea del Nord (Rpdc), pronti a un intervento in Ucraina. “Profondamente allarmata” l’Unione europea, che lo definisce “un atto ostile unilaterale da parte della Rpdc” e una “grave violazione del diritto internazionale”.In una nota a nome dei 27 Paesi membri, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ha esortato per l’ennesima volta il leader autoritario Kim Jong-un a “cessare di sostenere gli sforzi bellici illegali della Russia” e ha “condannato fermamente” l’intensificarsi della cooperazione militare tra Pyongyang e Mosca. Con il dispiegamento di truppe sul suolo russo – come rivelato dal segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin -, si arriva a un punto di non ritorno.Secondo Washington i soldati nordcoreani sarebbero sbarcati via nave nella prima metà di ottobre dalla regione nordcoreana di Wonsan alla città russa di Vladivostok, prima di essere portati in tre siti di addestramento militare nella Russia orientale. “Se si schierano per combattere contro l’Ucraina, sono bersagli giusti e le forze armate ucraine si difenderanno dai soldati nordcoreani nello stesso modo in cui si difendono dai soldati russi”, ha avvertito il portavoce della Casa Bianca, John Kirby. Secondo l’intelligence ucraina, “il 23 ottobre è stata registrata la loro presenza nella regione di Kursk“, territorio russo dove le forze ucraine sono penetrate quest’estate. In un post sul suo account X, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato che – secondo le informazioni in possesso di Kiev – “i primi soldati nordcoreani dovrebbero essere schierati dalla Russia nelle zone di combattimento già dal 27-28 ottobre“.Zelensky ha lanciato un appello per “una risposta forte e di principio da parte dei leader mondiali”. Per i 27 Ue, “l’intensificarsi della cooperazione militare della Russia con la Rpdc invia un chiaro messaggio: nonostante la dichiarata disponibilità a negoziare, la Russia non è sinceramente interessata a una pace giusta, globale e duratura“. Al contrario, prosegue la nota di Bruxelles, il Cremlino starebbe “intensificando e cercando disperatamente qualsiasi aiuto per la sua guerra”.Il vertice dei Brics a Kazan, in Russia (Photo by MAXIM SHIPENKOV / POOL / AFP)Per uscire dall’isolamento diplomatico, Vladimir Putin ha riunito per tre giorni a Kazan, in Russia, i leader dei Brics. Al vertice hanno partecipato 36 Paesi, risultato che ha permesso a Mosca di definirlo “il più grande evento di politica estera mai organizzato” dalla Russia. In una conferenza stampa a margine del summit, Putin ha accusato l’Occidente di aver inasprito la guerra in Ucraina e – come riportato dal The Guardian – alla domanda di un giornalista sulle immagini satellitari che apparentemente mostrano i movimenti delle truppe nordcoreane, Putin ha risposto: “Le immagini sono una cosa seria. Se ci sono immagini, allora riflettono qualcosa”. Il presidente russo ha poi contrattaccato, accusando gli ufficiali e istruttori della Nato direttamente coinvolti nell’addestramento delle truppe in Ucraina.La lettura dell’Unione europea è che, in cambio del supporto sempre maggiore al suo sforzo bellico, la Russia abbia cambiato posizione sulla denuclearizzazione della Corea del Nord. “In questo modo, la Russia compromette le sue responsabilità come membro permanente del Consiglio di Sicurezza e come Stato membro delle Nazioni Unite”, sottolinea Borrell, che annuncia che Bruxelles “si coordinerà con i partner internazionali per quanto riguarda le risposte”.

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    Alla conferenza sul Libano raccolto un miliardo per aiuti umanitari e militari. Borrell: “Rafforziamo Unifil e l’esercito regolare”

    Bruxelles – L’appello delle Nazioni Unite a raccogliere 426 milioni di dollari per assistere la popolazione civile libanese è stato raccolto. Più che raddoppiato: Parigi ha annunciato che la conferenza internazionale sul Libano tenutasi oggi (24 ottobre) nella capitale francese ha permesso di mettere insieme più di 800 milioni di aiuti umanitari e 200 milioni per sostenere l’esercito regolare. La comunità internazionale “è stata all’altezza della sfida”, ha esultato il ministro per gli Affari esteri Jean-Noel Barrot. Il capo della diplomazia Ue, Josep Borrell, ha promesso 80 milioni da Bruxelles per l’assistenza ai civili e 60 milioni per l’esercito entro il 2025.A dare il buon esempio il padrone di casa, Emmanuel Macron, che aprendo i lavori ha annunciato un pacchetto “massiccio” da 100 milioni di euro per Beirut. A cui ha fatto seguito il governo tedesco, che si è impegnato a “fornire un totale di 96 milioni di euro aggiuntivi per far fronte alla crisi in Libano”. Alla conferenza di Parigi hanno partecipato ministri e diplomatici da oltre 70 Paesi e una quindicina di organizzazioni internazionali. Per l’Italia era presente il Sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli, su delega del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato oggi a Pescara per il G7 Sviluppo a guida italiana.Il primo ministro libanese, Najib Mikati, e Emmanuel Macron (Photo by ALAIN JOCARD / POOL / AFP)Macron ha inaugurato la conferenza ribadendo l’appello per un cessate il fuoco “il prima possibile”, perché “più, bombe, devastazione e vittime non permetteranno di sconfiggere il terrorismo e di assicurare la sicurezza di nessuno”. Il presidente francese ha attaccato il premier israeliano Benjamin Netanyahu, affermando che “si parla molto di guerra di civiltà”, ma “non sono sicuro che si difenda una civiltà seminando la barbarie“. Al suo fianco, il primo ministro libanese Najib Mikati ha snocciolato i tristi numeri del conflitto tra Hezbollah e Israele: 2400 vittime libanesi e 1,2 milioni di sfollati, di cui 500 mila minori. Ma anche “gravi danni alle infrastrutture” ed attacchi mirati a “presidi medici che mostrano una chiara violazione della Convenzioni di Ginevra”.L’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, ha ribadito il “pieno sostegno alla nazione libanese per ripristinare la sua sovranità” e sottolineato la totale assenza di proporzionalità nell’azione militare di Israele. Alla conferenza, Borrell ha presentato i punti per un effettivo sostegno a Beirut. Prima di tutto il cessate il fuoco, per il quale serve “combattere l’impunità” e far sì che “tutti gli attori rispettino il diritto internazionale”. Fondamentale che la leadership politica libanese “si assuma le proprie responsabilità ed elegga il presidente della Repubblica”, dal momento che il mandato di Michel Aoun è scaduto da più di due anni.Parallelamente, Borrell è determinato a rafforzare l’esercito libanese, che “dopo il cessate il fuoco dovrà essere dispiegato nel sud del Paese”. Per realizzare il piano annunciato da Beirut e aumentare di 6 mila unità le proprie truppe, l’Ue è pronta a mettere sul piatto 20 milioni di euro già entro la fine dell’anno e 40 milioni per il 2025. Il capo della diplomazia Ue è convinto che bisogna allo stesso tempo rafforzare la missione delle Nazioni Unite Unifil, vittima di continue provocazioni e attacchi da parte delle forze israeliane. “Alla frontiera abbiamo dieci mila uomini – ha affermato Borrell -, ma potremmo averne fino a 15 mila, il numero autorizzato da Unifil”.Alla conferenza è intervenuto da remoto anche il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che ha chiarito un’altra volta che “gli attacchi contro i caschi blu sono totalmente inaccettabili” e “possono costituire un crimine di guerra”. D’altra parte, Guterres ha invitato “i leader libanesi ad adottare misure risolute per garantire il corretto funzionamento delle istituzioni statali al fine di affrontare le urgenti sfide politiche e di sicurezza del Paese”.

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    Borrell apre a una revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele. I Paesi membri ne discuteranno senza Tel Aviv

    Bruxelles – L’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, ha deciso di procedere ad una valutazione del rispetto dei diritti umani da parte di Israele, primo passo di un’eventuale sospensione dell’accordo di associazione in vigore tra Bruxelles e Tel Aviv. I 27 ministri degli Esteri Ue ne discuteranno il prossimo 18 novembre, con o senza il governo israeliano.Il prossimo Consiglio Affari Esteri sarà l’ultimo presieduto da Borrell. Anche per questo probabilmente il leader Ue che più di tutti ha cercato di richiamare Israele al rispetto del diritto internazionale nell’offensiva a Gaza e in Libano ha deciso di rompere finalmente gli indugi. La richiesta di Spagna e Irlanda di rivedere l’accordo di associazione Ue-Israele era stata depositata sulla scrivania dell’Alto rappresentante lo scorso febbraio: a maggio i 27 avevano deciso all’unanimità di convocare un Consiglio di Associazione per chiedere conto a Tel Aviv della strage in corso a Gaza, ma Israele ha di fatto messo da parte l’invito, rifiutando il focus sui diritti umani proposto dall’Ue per il vertice.Di fronte ai nuovi appelli di Pedro Sanchez e del primo ministro irlandese, Simon Harris, Borrell ha cambiato strategia. “Ho proposto di assumerci la responsabilità di valutare la situazione in seno al Consiglio Affari Esteri, perché abbiamo prove sufficienti per discutere del rispetto del diritto umanitario“, ha annunciato il capo della diplomazia Ue a margine dell’incontro con i ministri dei 27 tenutosi oggi (14 ottobre) a Lussemburgo. Secondo Borrell, “Il diritto umanitario è sepolto sotto le macerie di Gaza”.I recenti attacchi a dell’esercito israeliano alle basi di Unifil, la missione di peace-keeping delle Nazioni Unite al confine tra Israele e Libano, hanno esacerbato ulteriormente l’irritazione dei Paesi membri nei confronti del governo di Benjamin Netanyahu, che da un anno agisce in Medio Oriente con totale impunità, sordo ai richiami dei massimi organismi internazionali sul mancato rispetto del diritto umanitario. “In Libano un’altra linea rossa è stata pericolosamente oltrepassata dall’esercito israeliano”, ha avvertito ancora Borrell, ribadendo il pieno sostegno di tutti i ministri alla missione dell’Onu – a cui dal 1979 a oggi hanno partecipato 16 stati membri – e all’Agenzia per i rifugiati palestinesi (Unrwa), su cui Israele sta varando una legge per classificarla come organizzazione terroristica. E su cui invece i ministri Ue hanno chiesto alla Commissione europea di rendere “immediatamente disponibile la prossima tranche di aiuti”.Le fratture tra Bruxelles e Tel Aviv aumentano: i ministri hanno confermato “l’urgenza di rafforzare il sostegno all’Autorità Nazionale Palestinese” e hanno discusso l’adozione di ulteriori sanzioni contro i coloni israeliani estremisti e “coloro che ne permettono le attività”. Sul tavolo, c’è la proposta da parte di Borrell di adottare misure restrittive anche contro due ministri del governo di Netanyahu, i sionisti di estrema destra Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir.Pieno sostegno dei 27 anche ad Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, divenuto bersaglio della propaganda israeliana e addirittura “persona non gradita” sul suolo di Israele. “Quando le autorità israeliane incolpano Guterres, a quanto pare non sanno che è il Consiglio di Sicurezza dell’Onu che decide se l’Unifil deve andarsene”, ha sottolineato Borrell.

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    L’Ue annuncia altri 30 milioni di aiuti umanitari in Libano. E Borrell condanna i nuovi raid israeliani sugli operatori sanitari

    Bruxelles – La Commissione europea stanzierà ulteriori 30 milioni di euro per gli aiuti umanitari in Libano, che si aggiungono ai 10 milioni già annunciati il 29 settembre. Secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Iom), sono già più di 130 mila i nuovi sfollati interni a causa dei bombardamenti israeliani dell’ultima settimana. Da ottobre 2023, circa 350 mila, di cui il 35 per cento bambini.Nel solo settembre 2024, le vittime causate dai raid di Israele sarebbero già più di mille. Ed oltre 8 mila i feriti. L’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, ha condannato l’uccisione, la scorsa notte, di sette persone nel centro di Beirut, tra cui alcuni paramedici. “Le Forze di difesa israeliane hanno nuovamente preso di mira gli operatori sanitari durante la notte”, ha denunciato il capo della diplomazia Ue. In “violazione del diritto internazionale umanitario”.Secondo quanto riferito dal direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, nelle ultime 24 ore sarebbero stati uccisi ventotto operatori sanitari in Libano. I pacchetti di emergenza stanziati dall’Ue – che nel corso del 2024 hanno raggiunto il valore di 104 milioni di euro – sono destinati a fornire “assistenza alimentare urgente, alloggi e assistenza sanitaria, oltre ad altri aiuti essenziali”. Il Libano ha inoltre richiesto l’attivazione del Meccanismo di protezione civile dell’Ue, attraverso il quale la Commissione sta facilitando l’invio di ulteriore assistenza dai Paesi membri. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è detta “estremamente preoccupata per la costante escalation di tensioni in Medio Oriente”.Tel Aviv strappa con l’Onu: Guterres “non è degno” di entrare in IsraeleNel frattempo lo Stato ebraico ha dichiarato “persona non grata” il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. “Un segretario generale che odia Israele, che dà sostegno a terroristi, stupratori e assassini. Guterres sarà ricordato come una macchia nella storia delle Nazioni Unite”, è la gravissima accusa del ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, al segretario dell’Onu. Reo secondo Israele di non aver “condannato inequivocabilmente l’attacco criminale dell’Iran contro Israele”. Guterres non potrà più mettere piede sul territorio di Israele.Un altro strappo durissimo – l’ennesimo, dal 7 ottobre scorso – da parte di Tel Aviv nei confronti della comunità internazionale. Borrell è immediatamente accorso in supporto a Guterres: “Sosteniamo il Segretario generale delle Nazioni Uniti nei suoi instancabili sforzi per raggiungere la pace in tutti i conflitti e in particolare in Medio Oriente. Deploriamo gli attacchi ingiustificati contro di lui, nonché il numero inaccettabile di vittime tra gli operatori umanitari delle Nazioni Unite”, ha commentato con un post su X.

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    Dall’Ue la “ferma condanna” all’attacco missilistico dell’Iran in Israele. Tel Aviv sposta nuove truppe in Libano

    Bruxelles – “Ferma condanna” per un’azione che “minaccia la stabilità regionale”. I leader Ue scelgono le loro parole in fotocopia e puntano il dito contro l’attacco missilistico lanciato ieri sera (1 ottobre) dall’Iran contro Israele. Questa volta, nessun Paese membro si mette di traverso – come accaduto l’altra sera per l’azione militare israeliana in Libano – e l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, può dichiarare a nome dei 27 che “l’Ue ribadisce il suo impegno per la sicurezza di Israele“.Il regime di Teheran ha scagliato circa 200 missili balistici verso il territorio israeliano, un attacco minacciato diverse volte dagli ayatollah iraniani nei giorni scorsi, e che l’intelligence americana aveva preventivato con qualche ora di anticipo. Con il supporto di Washington e Londra, Israele ha intercettato la maggior parte dei missili lanciati nell’attacco, che non sembra aver causato danni rilevanti a cose e persone. Ma che innesca inevitabilmente una nuova escalation tra Tel Aviv e Teheran.“L’Iran ha commesso un grave errore questa notte e ne pagherà il prezzo. Rispetteremo ciò che abbiamo stabilito, chiunque ci attacchi, noi attaccheremo”, ha immediatamente annunciato il premier israeliano Benjamin Netanyahu. D’altra parte, Teheran ha risposto che reagirà “con maggiore intensità” attaccando “tutte le infrastrutture israeliano” in caso di una rappresaglia militare da parte di Israele. Secondo lo Stato maggiore iraniano, il “90 per cento dei missili” avrebbe raggiunto gli obiettivi. In un post su X, il neo-presidente Masoud Pezeshkian ha dichiarato che “la risposta decisiva all’aggressione del regime sionista” è stata lanciata “sulla base dei diritti legittimi e con l’obiettivo della pace e della sicurezza per l’Iran e per la regione”. E ha poi avvertito: “Non entrate in conflitto con l’Iran”.Questa mattina, le forze di difesa israeliano hanno annunciato che ulteriori truppe si stanno dirigendo nel sud del Libano per ampliare l’invasione di terra e hanno ripreso a bombardare il sud di Beirut. Secondo il Times of Israel, dal Libano sono stati lanciati oltre cento razzi verso il nord di Israele. Ad ogni dimostrazione militare ne segue una nuova, più pesante di quelle precedenti, in un vortice di distruzione che ormai colpisce tutta la regione. Dal punto di vista iraniano, Israele ha violato la sovranità della Repubblica islamica già in aprile, quando bombardò l’ambasciata di Teheran a Damasco, e quella del Libano, invadendo il sud del Paese e lanciando l’offensiva contro Hezbollah, la cui ala militare è foraggiata proprio dall’Iran. Secondo la logica di Israele, tutto è cominciato il 7 ottobre, con gli attacchi terroristici perpetrati da Hamas e i lanci di razzi da parte di Hezbollah, e non fa altro che esercitare il proprio diritto alla legittima difesa.I pesi massimi dell’Ue hanno “condannato fermamente” l’attacco dell’Iran. Ursula von der Leyen ha “esortato tutte le parti a proteggere la vita di civili innocenti”, ribadendo la richiesta di “un cessate il fuoco al confine con il Libano e a Gaza e il rilascio di tutti gli ostaggi detenuti da quasi un anno”. Charles Michel ha parlato di una “spirale mortale di escalation in Medio Oriente”, di “una guerra regionale che non è nell’interesse di nessuno”. Per Borrell, in una nota a nome dei 27 Paesi Ue, siamo di fronte “ancora una volta” a “un pericoloso ciclo di attacchi e ritorsioni” che “rischia di alimentare un’incontrollabile escalation regionale che non è nell’interesse di nessuno”.Lo scorso 30 settembre, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il ministro degli Esteri della Giordania, Ayman Safadi, ha dichiarato: “Il primo ministro Netanyahu sostiene che Israele è circondato da nemici che vogliono distruggerlo. Con il mandato di 57 Paesi arabi e musulmani, posso dire in modo inequivocabile che tutti noi vogliamo garantire la sicurezza di Israele, se Israele porrà fine all’occupazione e permetterà la creazione di uno Stato palestinese indipendente“. Ma – com’è ben noto – il governo israeliano si oppone fermamente alla soluzione dei due Stati. Safadi ha incalzato la comunità internazionale: “Riuscite a chiedere a Netanyahu qual è la loro soluzione? A parte nuove guerre e nuova distruzione?”.Per ora, gli Stati Uniti hanno supportato incondizionatamente – al di là del già dimenticato piano Biden per il cessate il fuoco a Gaza – l’azione militare israeliana. L’Ue è immobile, ingabbiata nelle diverse sensibilità e convinzioni politiche dei 27 su un conflitto che è anche altamente ideologico. Sull’indifendibile regime iraniano, Bruxelles conta decine di pacchetti di sanzioni, per le violazioni dei diritti umani, per il suo programma nucleare e per il supporto militare alla Russia e ai gruppi estremisti in Medio Oriente. Ma sul governo di Netanyahu, che accusa di antisemitismo chiunque faccia presente le palesi violazioni del diritto internazionale da parte di Israele, a Gaza come in Cisgiordania e in Libano, l’Ue è ferma al palo. Alla richiesta, messa in un cassetto da Tel Aviv, di convocare un Consiglio di Associazione per discutere il rispetto dei diritti umani previsto dall’Accordo Ue-Israele.