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    Gaza, la Spagna chiede sanzioni contro Israele: “Fermi la sua guerra ingiusta e disumana”

    Bruxelles – La Spagna torna all’attacco e chiede sanzioni internazionali contro Israele se Tel Aviv non interromperà immediatamente la sua offensiva nella Striscia di Gaza e non permetterà agli aiuti umanitari di raggiungere la popolazione palestinese. La richiesta arriva direttamente da Madrid, dove ieri (25 maggio) un gruppo di Paesi europei e arabi si è riunito per cercare un approccio comune e aumentare la pressione su Benjamin Netanyahu affinché ponga fine alla catastrofe in corso e restituisca la parola alla diplomazia.Erano 20 gli Stati rappresentati nella capitale spagnola per discutere di una via d’uscita diplomatica alla devastante guerra che lo Stato ebraico sta portando avanti da oltre un anno e mezzo nell’enclave palestinese. Oltre alla Spagna, c’erano diversi Paesi Ue (Francia, Germania, Irlanda, Italia e Slovenia) ed europei (Norvegia, Islanda e Regno Unito), più gli arabi (Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Marocco e Turchia, cui si aggiungevano gli emissari della Lega araba e dell’Organizzazione della cooperazione islamica).La campagna militare israeliana a Gaza sta conoscendo una sanguinosa recrudescenza nelle ultime settimane, mentre gli aiuti umanitari per i civili della Striscia vengono sistematicamente bloccati da quasi tre mesi dall’esercito dello Stato ebraico (Idf) e, quando riescono a entrare, rischiano di venire attaccati.Per il padrone di casa, il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares, quella che Israele sta conducendo a Gaza è una “guerra ingiusta, crudele e disumana”. Secondo lui, la Striscia è una “ferita aperta dell’umanità” e il silenzio del mondo è “complice di questo massacro”. I camion con gli aiuti per la popolazione civile devono entrare “massicciamente, senza condizioni e senza limiti”, ha aggiunto, specificando che la gestione dell’intero processo “non dovrebbe essere controllata da Israele”.A fare le veci dell’Alta rappresentante Ue, Kaja Kallas, c’era a Madrid anche l’inviato speciale di Bruxelles per il Golfo, Luigi Di Maio, che momentaneamente detiene la delega al processo di pace mediorientale. Stando al resoconto dei portavoce della Commissione, l’ex ministro italiano ha ribadito “la necessità di un cessate il fuoco immediato a Gaza, il rilascio di tutti gli ostaggi e la ripresa completa degli aiuti a Gaza, immediatamente”.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas, e il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares (foto: European Council)La Spagna, ha sostenuto Albares, solleciterà i suoi partner a imporre un embargo sulla vendita di armi a Tel Aviv – metà delle bombe che vengono sganciate sulla Striscia sono europee, ha rivelato l’ex capo della diplomazia a dodici stelle Josep Borrell – e spingerà per “considerare le sanzioni” poiché, dice, occorre “considerare tutto per fermare questa guerra“. Ma, fanno notare dal Berlaymont, la questione delle sanzioni è spinosa perché richiede l’unanimità dei Ventisette.Non è una novità che Madrid assuma posizioni intransigenti nei confronti di Tel Aviv, soprattutto da quando Benjamin Netanyahu è tornato al potere. Il premier spagnolo Pedro Sánchez ha bollato Israele come “Stato genocida” in un discorso al Parlamento nazionale la settimana scorsa, scoperchiando un ginepraio di polemiche e critiche.Del resto, osserva Albares, non sono da escludere nemmeno sanzioni individuali contro coloro che “intendono rovinare per sempre la soluzione dei due Stati“. Quest’ultimo è uno dei temi al centro dei lavori del cosiddetto Gruppo di Madrid (noto anche come G5+). Ma ora come ora si tratta sostanzialmente di una chimera, vista la netta opposizione del primo ministro israeliano e dei suoi partner di governo dell’ultradestra messianica alla creazione di un’entità statale palestinese.L’incontro di ieri è servito anche come preparazione alla conferenza di alto livello dell’Onu dedicata specificamente alla soluzione a due Stati, in calendario per il 17 giugno a New York e organizzata da Francia e Arabia Saudita. Albares si augura che il summit del mese prossimo possa aprire la strada ad un riconoscimento della Palestina come nazione indipendente da parte del numero maggiore possibile di Paesi.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Ohad Zwigenberg/Afp)Il primo ministro palestinese Mohammad Mustafa spera che il presidente Usa Donald Trump possa giocare un ruolo chiave per sbloccare questa difficilissima partita. Gli sforzi di Washington per un cessate il fuoco nella Striscia “sono apprezzati”, ha dichiarato, e l’auspicio è che “un impegno concreto, un impegno positivo da parte degli Stati Uniti contribuisca a portare la pace e la stabilità nella regione“.All’Onu, 147 Paesi su 193 riconoscono ufficialmente lo Stato di Palestina. Tra questi ci sono 10 membri dell’Ue, ma nel Vecchio continente mancano ancora all’appello Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi e Regno Unito, più Canada e Usa da oltreoceano. Teoricamente, il futuro Stato palestinese dovrebbe esercitare la propria sovranità su quelli che sono oggi i territori occupati: Gaza e Cisgiordania. Ma sul terreno la situazione appare impossibile.La Striscia è il teatro delle più sanguinose operazioni militari della storia recente (almeno 54mila morti, stando ai dati del ministero della Sanità guidato da Hamas) e Israele sta pianificando di occuparla militarmente una volta terminata la guerra, facendo marcia indietro sullo storico ritiro dall’enclave nel 2005. Quanto alla West Bank, continuano a espandersi sia gli insediamenti illegali dei coloni israeliani sia la violenza contro le comunità locali. Che è recentemente tracimata nell’aggressione ad una delegazione diplomatica in visita al campo profughi di Jenin, denunciata da Kallas come “inaccettabile”.Infine, Albares ha ribadito la richiesta dell’esecutivo di Madrid di sospendere l’accordo di associazione Ue-Israele, anche se si tratta probabilmente di una battaglia contro i mulini a vento. Per metterlo in pausa serve, anche qui, l’unanimità degli Stati membri. Tuttavia, il Consiglio Ue ha recentemente aperto alla revisione dell’accordo, una mossa che evidenzia l’isolamento politico crescente di Netanyahu.

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    Israele, l’ex Alto rappresentante Borrell attacca l’Ue: “La metà delle bombe sganciate su Gaza sono europee”

    Bruxelles – Ora che l’Ue, con colpevole ritardo, ha deciso che procederà ad una revisione dell’accordo di associazione con Israele, l’ex Alto rappresentante per gli Affari esteri, Josep Borrell – che già sei mesi fa cercò di insistere per la sospensione del dialogo politico con Tel Aviv -, può togliersi qualche sassolino dalle scarpe. In un’intervista alla radio spagnola Cadena Ser, ha affermato che “la metà delle bombe che cadono su Gaza sono fabbricate in Europa” e che, “se l’Europa volesse, avrebbe una grande capacità di influenzare Israele“.Il socialista catalano, ora presidente del Barcelona Centre for International Affairs, è stato l’unico, tra i vertici delle istituzioni europee, a denunciare apertamente le violazioni del diritto internazionale commesse da Israele dopo il 7 ottobre 2023 e i doppi standard di Bruxelles. Di fronte al silenzio di Ursula von der Leyen – che “ha dimostrato pochissima empatia per le sofferenze dei palestinesi” – ha cercato di dare seguito alla richiesta di revisione dell’Accordo di associazione con Tel Aviv che Spagna e Irlanda avevano inoltrato alla Commissione europea già nel febbraio del 2024. Un tentativo fallito a causa dell’allora opposizione della maggior parte dei Paesi membri. La situazione ora si è ribaltata e 17 capitali Ue (ma non Roma) hanno sostenuto la nuova richiesta messa sul tavolo dal governo olandese.“Meglio tardi che mai”, ha commentato amaramente Borrell, sottolineando che, da quando Madrid e Dublino sollevarono la questione per la prima volta, “sono passati 15 mesi e quasi 30 mila morti in più“. La verifica del rispetto degli obblighi sui diritti umani da parte di Israele, prevista dall’articolo 2 dell’accordo Ue-Israele, è stata infine paradossalmente lanciata dal suo successore, la liberale estone Kaja Kallas, molto più cauta finora nelle critiche a Tel Aviv, e sarà condotta dai servizi interni della Commissione europea in cooperazione con il Servizio Europeo di Azione Esterna (Eeas). Questo perché il vasto accordo che lega Bruxelles a Tel Aviv copre diverse dimensioni: per la parte politica, ne è competente l’Alto rappresentante e in definitiva il Consiglio dell’Ue, mentre l’area economica è coperta dalla Commissione.Il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, con l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, il 20 febbraio 2025E mentre eventuali modifiche dei termini politici dell’accordo vanno approvate all’unanimità dai Paesi membri, basterebbe la maggioranza qualificata per decidere ad esempio di limitare gli scambi commerciali con Israele. “La Commissione può proporlo – ha spiegato Borrell -. Se l’Europa volesse, avrebbe una grande capacità di influenzare Israele”.L’ex capo della diplomazia europea ha sollevato dubbi sulla possibilità che Benjamin Netanyahu possa essere processato per crimini di guerra e contro l’umanità, sottolineando al contempo “la delusione di vedere che in Europa qualche Paese lo accoglie con grandi onori”. Il premier israeliano si è recato recentemente in Ungheria, su invito di Viktor Orban, che ha contemporaneamente avviato il processo per la fuoriuscita di Budapest dalla Corte Penale Internazionale. “Genocidio è una definizione giuridica che dovrà essere determinata da un tribunale, ma non ho nessun dubbio che ci sia un’intenzione genocida“, ha aggiunto Borrell, definendo l’esecutivo guidato da Netanyahu come “il più religioso e fanatico che ci sia mai stato in Israele”.Di chi sono le armi utilizzate da Israele a GazaBorrell ha affermato, nel corso dell’intervista, che “la metà delle bombe che cadono su Gaza sono fabbricate in Europa”. Israele, dal 7 ottobre a oggi, ha sganciato oltre 100 mila tonnellate di esplosivo sull’enclave palestinese. Già a novembre 2024, in un anno di bombardamenti, aveva superato la quantità di esplosivo utilizzato durante tutta la seconda guerra mondiale.A livello militare, Israele dipende fortemente dai rifornimenti che arrivano da Washington. Secondo i dati dello Stockholm International Peace Research Institute, nel periodo 2020-2024 i due terzi delle importazioni di armi di Israele sono giunte dagli Stati Uniti (66 per cento). Per la guerra a Gaza, spiega il SIPRI, Israele “ha fatto ampio ricorso alle armi ricevute in aiuto dagli Stati Uniti prima del 7 ottobre 2023, in particolare agli aerei da combattimento”. Ma ha continuato a ricevere nel corso del 2024 “ingenti aiuti militari” dalla Casa Bianca, tra cui “missili, bombe guidate e veicoli blindati”.Gli altri due grandi fornitori di armi a Israele sono la Germania, al 33 per cento delle importazioni, e l’Italia, all’1 per cento. Berlino consegna a Tel Aviv soprattutto armamenti destinati alle forze navali israeliane, ma anche motori per i veicoli blindati che vengono utilizzati nella guerra di Gaza. La maggior parte di ciò che arriva da Roma, secondo quanto tracciato dal SIPRI, sono elicotteri leggeri e cannoni navali. L’Italia produce anche componenti per gli F-35 americani su cui volano le forze di difesa israeliane.

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    Sdegno internazionale per gli spari israeliani sui diplomatici a Jenin. Kallas: “Inaccettabile, Tel Aviv faccia chiarezza”

    Bruxelles – Roma, Parigi, Madrid. E Bruxelles. Immediate le condanne delle cancellerie europee per l’episodio di Jenin, dove le forze di difesa israeliane hanno sparato dei colpi d’avvertimento nei confronti di una delegazione diplomatica in visita nella Cisgiordania occupata. “È inaccettabile“, ha dichiarato l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, che ha chiesto a Tel Aviv di indagare sull’incidente e di portare davanti alla giustizia i responsabili. Il governo italiano, il cui vice console è stato coinvolto nell’incidente, ha convocato l’ambasciatore israeliano a Roma.L’esercito israeliano ha rilasciato a stretto giro una dichiarazione di scuse, annunciando accertamenti e spiegando che “la delegazione ha deviato dal percorso approvato ed è entrata in un’area dove non era permesso stare”, motivo per cui “i soldati che operano nell’area hanno sparato colpi di avvertimento per tenerli lontani”. Resta il fatto che “le minacce contro i diplomatici sono inaccettabili”, ha dichiarato il vicepremier italiano, Antonio Tajani, e che – come ricordato dal capo della diplomazia Ue – Israele è firmatario della Convenzione di Vienna e “ha l’obbligo di garantire la sicurezza di tutti i diplomatici stranieri”.La notizia dello spiacevole “incidente” – va ricordato che a Gaza, dall’ottobre del 2023, sono stati uccisi centinaia di operatori umanitari, alcuni volontariamente presi di mira dai bombardamenti israeliani, nonostante il diritto internazionale umanitario preveda la protezione degli operatori umanitari negli scenari di guerra – è giunta a Bruxelles proprio nel giorno in cui, al Parlamento europeo, si è tornato a parlare con urgenza della risposta dell’Ue al piano del governo israeliano di occupare la Striscia di Gaza.Socialisti, verdi e sinistra chiedono a gran voce azioni decisive. “La decisione presa ieri dall’Ue di rivedere l’accordo di associazione non è sufficiente. Avrebbe dovuto essere presa molto tempo fa. Ora è il momento di sospenderlo. Una revisione non è sufficiente. Sospendiamo l’accordo di associazione, imponiamo un embargo totale sulle armi a Israele e sanzioni individuali ai membri di spicco del governo Netanyahu”, ha dichiarato in plenaria la leader socialista Iratxe Garcia Perez. Sulla stessa linea i Verdi, secondo cui “il governo e l’esercito israeliani sono responsabili delle più gravi violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani, non possiamo restare a guardare”.La protesta di The Left, Verdi e S&d davanti al Parlamento europeo [Ph: Account X The LEft]Per Benedetta Scuderi, eurodeputata dei Verdi rientrata dalla ‘Carovana solidale’ a Rafah con l’Intergruppo per la pace, “a Gaza è piu’ facile morire che sopravvivere”. E “a volte è meglio morire”, le avrebbe detto una cittadina di Gaza che è riuscita a scappare. “Siamo stanche dei dibattiti in plenaria mentre la gente muore. Cosa ancora deve accadere per sanzionare Israele, per interrompere l’accordo di commercio, porre un embargo totale sulle armi?”, ha attaccato Scuderi.Prima del dibattito, i deputati europei della sinistra, dei Verdi e dei Socialisti, insieme a attivisti e funzionari dell’Ue, si sono sdraiati a terra davanti al Parlamento di Bruxelles, rappresentando le decine di migliaia di persone uccise a Gaza dall’Idf negli ultimi 20 mesi. Per il gruppo The Left “è evidente che l’articolo 2 dell’accordo di associazione UE-Israele è stato sistematicamente violato da Israele, che ha perpetrato un genocidio a Gaza. Il processo di revisione annunciato questa settimana dall’Ue è solo una manovra dilatoria”.Nella giornata di ieri (20 maggio), il Consiglio dell’Ue ha deciso che procederà ad un esercizio di revisione dell’articolo 2 dell’Accordo di associazione con Israele, che impone alle parti il rispetto dei diritti umani. Per la prima volta dopo più di un anno e mezzo di guerra e 53 mila vittime palestinesi, una maggioranza di 17 Paesi membri si è detta a favore della revisione. Italia e Germania si sono opposte.

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    L’Ue ha aperto alla revisione dell’accordo di associazione con Israele. Ma saltano le sanzioni ai coloni

    Bruxelles – Gli alleati di Israele – dall’Unione europea al Regno Unito, fino ad un “frustrato” Donald Trump – sono sempre più in difficoltà di fronte ai deliberati crimini di Tel Aviv contro la popolazione civile a Gaza. Ieri, la durissima dichiarazione congiunta di Francia, Regno Unito e Canada contro le “azioni scandalose portate avanti dal governo” di Benjamin Netanyahu. Oggi (20 maggio), a più di un anno e mezzo da quando è stato messo sul tavolo la prima volta, l’Unione europea ha deciso che procederà a una revisione dell’accordo di associazione con Israele.L’ha annunciato Kaja Kallas, l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, a margine della riunione con i ministri degli Esteri dei 27. “Una forte maggioranza dei Paesi membri è a favore della revisione dell’articolo 2 del nostro accordo di associazione” con Israele – quello che prevede che i rapporti tra Bruxelles e Tel Aviv siano basati sul rispetto dei diritti umani -, ha dichiarato il capo della diplomazia europea. Ci aveva provato il suo predecessore, Josep Borrell, dando seguito alla richiesta di Spagna e Irlanda di fronte al silenzio della Commissione europea, salvo poi sbattere sulle resistenze delle altre capitali.Gaza City, il 4 maggio 2025 (Photo by Omar AL-QATTAA / AFP)L’estone, molto più cauta nel criticare le operazioni militari israeliane a Gaza, ha preferito in un primo momento convocare un Consiglio di associazione per discuterne apertamente con il partner israeliano, celebrato lo scorso 20 febbraio 2025. Una kermesse che non ha portato ad alcun risultato, e che anzi ha solo contribuito a far percepire l’Unione europea come complice del governo estremista di Netanyahu. Ora, la strategia cambia, e gli Stati membri “avvieranno questo esercizio”, sperando che questo basti a fermare Israele.Il gruppo della Sinistra al Parlamento europeo, il più risoluto nel denunciare gli orrori commessi a Gaza, ha commentato amaramente: “Il mondo intero ha assistito a un genocidio, proprio davanti ai nostri occhi, eppure l’Unione europea ha impiegato 20 mesi solo per prendere in considerazione un’azione contro i crimini di guerra israeliani”. Marc Botenga, coordinatore del gruppo per gli Affari esteri, ha rilanciato: “Abbiamo bisogno di un embargo totale sulle armi contro Israele e dell’immediata cancellazione dell’accordo di associazione Ue-Israele”.In realtà, perché la verifica del rispetto degli obblighi sui diritti umani porti a un’effettivo riposizionamento dell’Ue nei confronti di Tel Aviv, la strada è lunga e complicata. Per una sospensione, anche parziale, dell’Accordo di associazione, serve un voto all’unanimità. E già oggi è bastato uno Stato membro – l’Ungheria, rivelano fonti diplomatiche – per bloccare nuove sanzioni ai coloni israeliani violenti in Cisgiordania.Sanzioni chieste esplicitamente verso “alcuni ministri” del governo Netanyahu dalla ministra degli Esteri svedese, Maria Malmer Stenegard. In un messaggio all’Afp, ha dichiarato: “La Svezia è amica di Israele, ma ora dobbiamo alzare ancora il tono. Ci batteremo per le sanzioni europee contro alcuni ministri israeliani” che “sostengono una politica di insediamento illegale e si oppongono attivamente a una futura soluzione dei due Stati”. Anche l’omologa slovena, Tanja Fajon, ha annunciato che Lubiana “sta valutando, insieme a Francia e Irlanda, la possibilità di imporre sanzioni contro Israele”.

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    L’Ue: “No a militarizzare gli aiuti umanitari” a Gaza. E ora anche l’Olanda chiede di rivedere l’accordo con Israele

    Bruxelles – Tre giorni dopo la presa di posizione delle Nazioni Unite, anche l’Ue respinge il piano di Israele per prendere in mano la distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza. E “ribadisce il suo appello urgente” a Tel Aviv “affinché revochi immediatamente il blocco di Gaza“. Si spinge più in là il governo dei Paesi Bassi, uno dei più strenui sostenitori dello Stato ebraico finora, che ha chiesto una revisione urgente dell’accordo di associazione Ue-Israele alla luce delle “chiare violazioni del diritto umanitario”.Nella dichiarazione congiunta firmata dall’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, e dalle commissarie Ue per la Gestione delle crisi, Hadja Lahbib, e per il Mediterraneo, Dubravka Suica, non c’è nulla sull’inquietante piano di occupazione prolungata di Gaza annunciato dal governo di Benjamin Netanyahu. Bruxelles sceglie di tacere su uno sviluppo che potrebbe compromettere una volta per tutte quella soluzione a due Stati da sempre sostenuta dall’Unione. Il capo della diplomazia europea si accoda invece alle organizzazioni internazionali nella denuncia della militarizzazione degli aiuti umanitari da parte di Israele.Un ragazzino palestinese tra le macerie di Gaza City, 04/05/2025 (Photo by Omar AL-QATTAA / AFP)Da più di due mesi – dal 2 marzo, prima del collasso del cessate il fuoco – Tel Aviv blocca l’ingresso di cibo e risorse primarie per la popolazione civile nella Striscia. Sia il World Food Programme che l’Unrwa hanno lanciato l’allarme sull’esaurimento imminente delle scorte alimentari. Secondo l’Ufficio di Coordinamento Onu per gli Affari umanitari, il 92 per cento dei bambini tra i 6 e i 23 mesi e delle donne incinte e che allattano non soddisfano il loro fabbisogno nutrizionale. Più di 9 su 10. La maggior parte delle famiglie non dispone di acqua potabile e sono ripresi i saccheggi dei magazzini. Le scorte restano impilate fuori da Gaza, bloccate dall’esercito israeliano.“Tonnellate di aiuti, che rappresentano le forniture per tre mesi per una popolazione di 2,2 milioni di persone, sono in attesa al confine”, sottolinea il comunicato di Bruxelles. Israele, “in qualità di potenza occupante”, deve “garantire che gli aiuti umanitari raggiungano la popolazione bisognosa”. Ma il piano che Israele ha sottoposto alle Nazioni Unite per affidare la distribuzione a società di sicurezza private e limitarlo in una zona a sud sotto il controllo dell’esercito israeliano va in tutt’altra direzione. L’Ue si dice “preoccupata” per il meccanismo architettato da Tel Aviv, “in contrasto con i principi umanitari”.(FILES) Un cittadino palestinese tra le rovine dell’ospedale Al Shifa nella Striscia di Gaza (Photo by AFP)Kallas, Lahbib e Suica ribadiscono che “gli aiuti umanitari non devono mai essere politicizzati o militarizzati” e che il loro utilizzo “come strumento di guerra” è vietato dal diritto internazionale. A sorpresa, mentre le tre commissarie redigevano con cautela un comunicato diffuso con netto ritardo, l’Olanda, uno dei Paesi membri finora più restii a criticare Israele ha indirizzato una lettera all’Alta rappresentante in cui chiede una revisione urgente dell’accordo di associazione con l’alleato mediorientale. Che sta alla base delle relazioni economiche con Israele, e che prevede – all’articolo 2 – il rispetto dei principi democratici e dei diritti umani.Il ministro degli Esteri olandese, Caspar Veldkamp, ha dichiarato al The Guardian che il governo dei Paesi Bassi si aspetta che la questione – messa sul tavolo da Spagna e Irlanda più di un anno fa e poi accantonata dall’Ue – sia discussa durante la riunione informale dei ministri degli Esteri dell’Ue che inizia oggi in Polonia. Veldkamp, ex ambasciatore in Israele, ha definito il blocco di Gaza “catastrofico, davvero desolante” e in chiara violazione del diritto internazionale umanitario. In un passaggio significativo, il ministro ha puntualizzato: “Non ho alcuna illusione che Hamas applicherà mai il diritto internazionale umanitario, ma da una democrazia come Israele, le democrazie combattono in modo diverso, e Israele deve rispettare il diritto internazionale umanitario”. I Paesi Bassi sembrano fare sul serio, e Veldkamp ha annunciato che il governo porrà il veto su qualsiasi proroga del piano d’azione Ue-Israele, l’accordo che attua l’accordo di associazione entrato in vigore nel 2000.

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    Israele esce allo scoperto e presenta il “piano di conquista” di Gaza. Bruxelles è “preoccupata”

    Bruxelles – Un altro tassello verso l’occupazione totale della Striscia di Gaza. Nella notte, il gabinetto di sicurezza del governo israeliano ha approvato all’unanimità un piano per espandere le operazioni militari nel territorio già devastato da 18 mesi di bombardamenti a tappeto: prevede, tra le altre cose, lo spostamento della popolazione palestinese verso sud e il mantenimento dei territori sotto il controllo delle forze di difesa israeliane. Tel Aviv ha inoltre architettato un sistema – respinto dalle Nazioni Unite – per escludere le agenzie dell’Onu e le organizzazioni internazionali dalla distribuzione degli aiuti umanitari e affidarla ad appaltatori privati.Secondo quanto riportato dai media israeliani, l’operazione ‘Gideon’s Chariots’ inizierà “entro la fine della visita del presidente degli Stati Uniti Donald Trump nella regione la prossima settimana”, a meno che nel frattempo non verrà raggiunto con Hamas un accordo per il rilascio degli ostaggi ancora nelle mani del gruppo terroristico. Un ultimatum che, di riflesso, riguarda tutta la comunità internazionale che assiste inerte alle prove generali di quello che diversi esperti ed organizzazioni indipendenti definiscono un genocidio. Da Bruxelles, il solito appello “alla massima moderazione” e il rifiuto di prendere in considerazione qualsiasi leva – economica o diplomatica – per evitare che l’alleato israeliano continui a macchiarsi di crimini di guerra e contro l’umanità con la complicità del blocco Ue.L’Unione europea “è preoccupata per la prevista estensione dell’operazione delle forze armate israeliane a Gaza, che causera’ ulteriori vittime e sofferenze alla popolazione palestinese”, ha affermato oggi (5 maggio) il portavoce della Commissione europea per gli Affari esteri, Anouar El Anouni, nel briefing quotidiano con la stampa. Ricordando che “l’Alta rappresentante (Kaja Kallas, al momento della scrittura di quest’articolo non pervenuta, ndr) ha chiarito che la ripresa dei negoziati era l’unica via da seguire”. Da quando, lo scorso 18 marzo, Israele ha ripreso i raid sull’enclave palestinese decretando la fine del cessate il fuoco, secondo il ministero della Salute di Gaza sono state uccise più di 2.300 persone. In tutto, dal 7 ottobre 2023, le vittime palestinesi accertate della guerra tra Israele e Hamas sono circa 52.400.Secondo quanto riferito da un alto funzionario della difesa israeliana al Times of Israel, il piano approvato dal governo di Benjamin Netanyahu prevede “l’ampia evacuazione dell’intera popolazione di Gaza dalle zone di combattimento, compresa Gaza settentrionale, verso le aree di Gaza meridionale, creando al contempo una separazione tra questa e i terroristi di Hamas, al fine di consentire all’Idf libertà di azione operativa”. A differenza di quanto fatto finora però, i militari israeliani “resteranno in ogni area conquistata per impedire il ritorno del terrore”.In un secondo momento, “dopo l’inizio delle attività operative e un’ampia evacuazione della popolazione verso sud”, Israele avrebbe intenzione di rimuovere il blocco all’ingresso di aiuti umanitari, in atto da più di due mesi. Tel Aviv ha sottoposto alle Nazioni Unite un nuovo modello di distribuzione limitato in un’area “sterile” intorno a Rafah, gestito da aziende private sotto il controllo dell’esercito israeliano. In un duro comunicato, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari umanitari (Ocha) ha denunciato un piano che “viola i principi umanitari fondamentali e sembra concepito per rafforzare il controllo sui beni di prima necessità come tattica di pressione, nell’ambito di una strategia militare”. Secondo l’Onu “gran parte di Gaza, comprese le persone meno mobili e più vulnerabili (tra la popolazione civile ci sarebbero quasi 120 mila feriti, ndr), continuerà a rimanere senza rifornimenti”.“È una prospettiva che ci fa orrore in un territorio martoriato da oltre un anno e mezzo di bombardamenti e da due mesi di blocco totale degli aiuti umanitari”, denuncia Cecilia Strada, eurodeputata dal Pd. “L’Unione europea deve far pressione perché Israele rispetti il diritto umanitario, smetta di bombardare la popolazione civile e garantisca immediatamente, e senza condizioni, l’ingresso degli aiuti nella Striscia con regolarità”, ammonisce la parlamentare in una nota. “Finché non sarà così – annuncia Strada -continueremo a chiedere con forza la sospensione immediata dell’accordo di Associazione Ue-Israele, della vendita di armi a Israele e del commercio con le colonie”.Le agenzie dell’Onu e i loro partner umanitari hanno chiarito, come già affermato anche dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che “non parteciperanno ad alcun programma che non rispetti i principi umanitari globali di umanità, imparzialità, indipendenza e neutralità”. In un atto di coraggio, dal momento che dal 7 ottobre 2023 sono stati uccisi più di 409 operatori umanitari a Gaza, Ocha assicura che “le nostre squadre rimangono a Gaza, pronte a intensificare nuovamente la fornitura di beni e servizi essenziali: cibo, acqua, assistenza sanitaria, nutrizione, protezione e altro ancora”.

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    Eurodeputati del Pd: “Stop all’accordo di associazione tra Ue e Israele”

    Bruxelles – “Se aspettiamo ulteriormente a intraprendere azioni concrete per fermare il governo di Netanyahu, non sarà rimasto nulla da salvare”. Lo affermano gli eurodeputati del Pd Cecilia Strada, Annalisa Corrado, Alessandro Zan, Camilla Laureti, Sandro Ruotolo, Brando Benifei e Marco Tarquinio, in un comunicato che chiede a gran voce la cessazione del sostegno europeo ad Israele.Sottolineando che il Paese impedisce l’accesso degli aiuti umanitari alla Striscia di Gaza da oltre un mese e continua a mietere vittime nella popolazione civile, il gruppo ha fatto appello alle istituzioni europee, invitandole ad “intervenire immediatamente con tutti gli strumenti a disposizione per far valere il diritto internazionale e supportare la popolazione civile palestinese, a partire dall’immediata sospensione dell’Accordo di cooperazione con Israele e l’embargo sulle armi verso Israele”, richiesta condivisa dalla capogruppo del gruppo Socialisti & democratici Iratxe Garcia Perez e dalla segretaria del Pd Elly Schlein.I deputati hanno inoltre attaccato l’atteggiamento del governo italiano nei confronti del mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale nei confronti di Netanyahu: “Riteniamo gravissimo che l’aereo con a bordo il Presidente Netanyahu” diretto a Washington “abbia sorvolato il suolo italiano deviando la rotta di viaggio per evitare lo spazio aereo di alcuni Paesi che avrebbero potuto applicare il mandato d’arresto emesso dalla Cpi nei suoi confronti” proseguono gli europarlamentari. In merito al sorvolo, questa mattina (10 aprile) il Partito democratico ha presentato a Roma una interrogazione parlamentare per chiedere al governo di Giorgia Meloni attraverso quali procedure questo sia stato autorizzato.

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    All’Europarlamento, Basel Adra denuncia le violenze dei coloni israeliani in Cisgiordania

    Bruxelles – La denuncia delle atrocità dell’occupazione israeliana in Palestina e delle violenze dei coloni trova spazio al Parlamento europeo. Il regista palestinese Basel Adra è nella capitale Ue per promuovere la diffusione di No other land, il documentario recentemente premiato agli Oscar che getta luce sui soprusi subiti dalla comunità palestinese di Masafer Yatta.Durante una conferenza stampa tenuta oggi (7 aprile) all’Eurocamera di Bruxelles, il giornalista e attivista palestinese Basel Adra ha parlato del lavoro portato avanti per cinque anni (tra il 2019 e il 2023) con gli altri tre co-registi – Hamdan Ballal, palestinese, e due israeliani: Yuval Abraham e Rachel Szor – per documentare “la brutale occupazione della mia comunità a Masafer Yatta“, e che verrà proiettato proprio al Parlamento dopodomani (9 aprile) in presenza dell’autore.La pellicola, spiega Adra, ritrae le demolizioni di case e di scuole, la distruzione delle tubature per l’acqua, la violenza contro gli abitanti e tutti i soprusi che le comunità palestinesi autoctone subiscono continuamente da parte dei coloni israeliani, spalleggiati direttamente dall’Idf, l’esercito di Tel Aviv. E testimonia l’espansione incontrollata (anzi incentivata dal governo) degli insediamenti, illegali sotto il profilo del diritto internazionale.Le riprese del film – premiato come miglior documentario agli Academy awards di quest’anno – sono terminate nel 2023, “ma ora la situazione sul terreno è almeno il doppio più grave di quella che si vede sullo schermo”: dallo scorso gennaio, ha dichiarato il regista, “sono stati condotti oltre un centinaio di attacchi contro i nostri villaggi e almeno una ventina di case sono state demolite”.Il regista palestinese Basel Adra (foto: Laurie Dieffembacq/EP)Masafer Yatta è un centro abitato composto da una ventina di piccoli villaggi al confine meridionale della Cisgiordania, nella cosiddetta area C: una delle zone in cui gli accordi di Oslo degli anni Novanta avevano diviso l’enclave palestinese, dove Israele detiene sia il controllo politico-amministrativo sia il monopolio della sicurezza e che costituisce circa il 61 per cento della Cisgiordania.Il 28enne palestinese ha quindi parlato degli attacchi di cui lui stesso e i suoi colleghi sono rimasti vittime. Adra è stato aggredito a febbraio da dei coloni in Cisgiordania, mentre il 24 marzo è toccato al co-regista Hamdan Balla. “Dei coloni mascherati insieme alla polizia israeliana hanno fatto irruzione nel suo villaggio”, ha raccontato, e “l’hanno picchiato coi calci dei fucili e a mani nude“. Dopo l’aggressione l’hanno prelevato e mantenuto per una ventina di ore in custodia, bendato e ammanettato, per poi tradurlo in una stazione di polizia dove è stato accusato “di aver attaccato i coloni che avevano invaso il suo villaggio”.Il regista ha raccontato di un’altra incursione lo scorso 28 marzo, quando una ventina di coloni hanno attaccato Masafer Yatta e “rapito tutti e 26 gli uomini presenti”, prima che un centinaio di soldati ritornassero nella notte “facendo irruzione in una scuola costruita coi fondi europei“, dove hanno danneggiato la struttura e l’arredamento.Da sinistra: i co-registi di “No other land” Basel Adra, Rachel Szor, Hamdan Ballal e Yuval Abraham alla premiazione dei 97esimi Academy awards (foto: Frederic J. Brown/Afp)Non si tratta di casi isolati, assicura Adra. I palestinesi vengono attaccati sistematicamente in tutta la Cisgiordania come parte di una “politica dello Stato ebraico volta a prendere la nostra terra ed espandere gli insediamenti per impedire la formazione di un futuro Stato palestinese”. “Ma siccome non tutti i palestinesi hanno vinto dei premi Oscar, allora non ricevono attenzione mediatica“, ha osservato riferendosi al clamore provocato dall’aggressione al collega Balla. In effetti, la stessa Academy di Hollywood ci ha messo un po’ a esprimere pubblicamente il proprio supporto al co-regista assalito dai coloni, innescando un’ulteriore spirale di polemiche internazionali.Il problema, sottolinea Adra, è che tutti i soprusi, le violazioni, i crimini di guerra e contro l’umanità commessi da parte israeliana vengono di fatto coperti da una coltre di impunità mentre “le relazioni diplomatiche rimangono solide, con gli europei che continuano a comprare prodotti dai coloni estremisti e gli Stati Uniti che continuano a consegnare armi e finanziamenti”.“Non è un gioco”, ammonisce, “c’è un regime che sta violando il diritto internazionale e che discute pubblicamente di pulizia etnica“. Il diritto internazionale viene violato in continuazione, ma il premier israeliano Benjamin Netanyahu “è libero di circolare in Ungheria e potenzialmente in altri Paesi europei” nonostante sulla sua testa penda un mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale (Cpi).Il regista 28enne parla di “doppi standard” tra il trattamento riservato ai criminali di guerra in Ucraina e in Palestina. Nella guerra nell’ex repubblica sovietica, dice, “tutto è detto chiaro e tondo, nessuno si nasconde, si boicotta la Russia e si impongono sanzioni, mentre c’è sempre qualche scusa quando si tratta di Israele“. “La Corte di giustizia internazionale ha già riconosciuto che l’occupazione è illegale“, incalza Adra, ma “sono gli Stati che fanno parte della Corte che devono applicarne le sentenze“. Per farlo, serve una volontà politica che non si scorge all’orizzonte.Il primo ministro ungherese Viktor Orbán (sinistra) e il suo omologo israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Attila Kisbenedek/Afp)Quello che si sente dall’Europa, continua il regista, “sono solo parole” ma l’annessione dei territori occupati è un processo che “sta già accadendo” e che “dev’essere fermato applicando il diritto internazionale”. Come minimo, aggiunge, “gli Stati europei, soprattutto i più grandi come Germania, Francia e Italia, dovrebbero riconoscere lo Stato di Palestina“. E poi Bruxelles dovrebbe “proteggere quantomeno i progetti umanitari che finanzia“, facendo capire a Tel Aviv che “non può distruggere le strutture costruite dall’Ue altrimenti ci sarà una reazione”.Dopodiché, ribadisce Adra, andrebbero comminate sanzioni contro i responsabili delle violazioni e andrebbe bloccato il commercio con gli insediamenti illegali. “Sono i giorni più bui per la causa palestinese”, confessa il regista. “Ci sentiamo impotenti e chiediamo al mondo di agire”, soprattutto i Paesi occidentali poiché “se qualcosa potrà cambiare dovrà iniziare da qui o dagli Stati Uniti”.Negli scorsi giorni sono emerse prove audiovisive dell’uccisione, da parte dei militari di Tel Aviv, di 15 operatori di soccorso della Mezzaluna rossa, avvenuta verso fine marzo e per la quale lo Stato ebraico aveva precedentemente negato ogni responsabilità parlando di un’azione legittima contro dei “terroristi”. Solo nelle prime ore di oggi, i bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza hanno ucciso oltre una trentina di persone.A Khan Yunis, una tenda che ospitava gli operatori dei media è stata colpita dalle bombe dell’Idf. Adra ha ricordato i giornalisti palestinesi attivi a Gaza, gli unici occhi attraverso cui il mondo può seguire la tragedia in corso. “Oggi contare i giornalisti ancora in vita è più facile che contare quelli uccisi“, ha detto, citando un collega. Secondo le cifre fornite dal Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), dall’ottobre 2023 ad oggi sono stati uccisi nella Striscia oltre 170 giornalisti, il numero più alto mai registrato in qualunque conflitto armato.