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    Metsola visita Israele e i territori palestinesi occupati, inclusa Gaza

    Bruxelles – La presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola è in visita ufficiale in Israele e nei territori palestinesi occupati, dove sta intrattenendo colloqui con le principali autorità politiche locali.È iniziato oggi (13 febbraio) e si prolungherà fino a domani il viaggio di Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, nell’area più calda del Medio Oriente. “In questo momento critico per la regione e per il mondo, ho voluto venire qui per sottolineare e testimoniare in prima persona il ruolo cruciale dell’Europa nel far arrivare gli aiuti umanitari a Gaza“, ha dichiarato al suo arrivo.I partner europei sono pronti “a intensificare il nostro impegno e a fare tutto il possibile per far sì che l’accordo per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi regga“, ha aggiunto, anche se in queste ore il futuro del patto è più fragile che mai. L’Ue, dice, si impegna anche ad aumentare il volume degli aiuti umanitari al popolo palestinese, dopo 15 mesi di devastazione in una delle guerre più sanguinose nella storia mondiale recente.La presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola incontra il presidente della Knesset Amir Ohana, il 13 febbraio 2025 (foto: Daina Le Lardic/European Parliament)Nel primo pomeriggio di oggi, Metsola ha incontrato il suo omologo Amir Ohan, presidente della Knesset (il Parlamento monocamerale israeliano), e il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar. Dopodiché si è recata al valico di frontiera di Kerem Shalom (non distante dal confine egiziano), dove ha assistito allo svolgimento delle operazioni di assistenza umanitaria.Da lì, è poi entrata nella Striscia, il lembo di terra che insieme alla Cisgiordania fa parte di quelli che oggi sono territori occupati ma che dovrebbero in futuro costituire lo Stato di Palestina. Striscia dove il presidente statunitense Donald Trump ha recentemente suggerito di condurre un’operazione di pulizia etnica per erigerci poi la “Riviera del Medio Oriente“.Ritornata in Israele, è stata aggiornata sui progressi della missione civile europea Eubam, che opera al valico di Rafah, lungo il confine con l’Egitto. Un altro sito visitato da Metsola è stato Re’im, che ospitava il festival Nova dove i commando di Hamas hanno fatto irruzione durante gli attacchi del 7 ottobre 2023.In programma per stasera c’è un faccia a faccia con il presidente dello Stato ebraico Isaac Herzog a Gerusalemme. Non è previsto invece alcun incontro con il primo ministro Benjamin Netanyahu, sul cui capo pende dallo scorso novembre un mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale.Incredibly proud of the work our EUBAM Rafah station is doing in Gaza.Grateful for their service. pic.twitter.com/Zj3zz522SC— Roberta Metsola (@EP_President) February 13, 2025Domani, invece, la presidente dell’Europarlamento si recherà a Ramallah, dove ha sede l’Autorità nazionale palestinese (Anp), di cui incontrerà la leadership. Lì incontrerà Hussein al-Sheikh, capo del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e Reem Al Hajajra, direttrice di Women of the Sun, un’associazione palestinese che lavora per l’emancipazione femminile candidata per le edizioni del 2024 sia del premio Sacharov sia del Nobel per la pace.La visita di Metsola fa parte degli sforzi che la presidente dell’Aula di Strasburgo sta sostenendo per promuovere la pace e la stabilità regionale in Medio Oriente, nei quali rientrano anche gli scambi (fisici o telefonici) con leader e funzionari di diversi Paesi arabi (tra cui Egitto e Giordania) e degli Stati Uniti, oltre a quelli israeliani e palestinesi.In una risoluzione del gennaio 2024, l’Eurocamera è stata la prima istituzione comunitaria a chiedere il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani, lo smantellamento di Hamas e la ripresa del processo di pace verso la costruzione di due Stati tra il fiume Giordano e il Mediterraneo, uno ebraico e uno palestinese.

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    Il cessate il fuoco a Gaza sembra sul punto di saltare

    Bruxelles – Sembra già scricchiolare il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Tra piani surreali di deportazioni di massa e ostaggi che non vengono rilasciati, si moltiplicano i dubbi sulla capacità (o la volontà) di entrambe le parti coinvolte di tenere fede ai termini dell’accordo che ha posto temporaneamente fine a più di un anno di devastazione nell’enclave palestinese controllata da Hamas. Mentre Tel Aviv minaccia di riprendere le ostilità, a Gerusalemme Est la polizia israeliana fa irruzione nelle librerie, innescando le condanne degli eurodeputati.La fragilità della treguaNon è passato neanche un mese dalla stipula dello storico cessate il fuoco in tre fasi, siglato lo scorso 15 gennaio tra Israele e Hamas ed entrato in vigore quattro giorni dopo, che ha permesso la sospensione delle ostilità a Gaza – dove durava da oltre 15 mesi la sanguinosa offensiva scatenata da Tel Aviv in risposta agli attacchi del 7 ottobre 2023 – che già comincia a traballare pericolosamente.Ieri (10 febbraio) il gruppo militante palestinese ha annunciato l’intenzione di ritardare a tempo indeterminato il rilascio degli ostaggi israeliani ancora vivi, citando “violazioni” dell’accordo da parte dello Stato ebraico. Hamas si è dichiarato disponibile a proseguire con il prossimo scambio tra ostaggi e prigionieri, previsto per sabato (15 febbraio), e sostiene che l’annuncio di ieri serviva per mettere pressione su Tel Aviv “affinché adempia ai suoi obblighi”.אם חמאס לא יחזיר את חטופינו עד שבת בצהריים – הפסקת האש תיפסק, וצה”ל יחזור ללחימה עצימה עד להכרעה סופית של החמאס pic.twitter.com/4Cx30kHGvN— Benjamin Netanyahu – בנימין נתניהו (@netanyahu) February 11, 2025Per tutta risposta, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (sul cui capo pende un mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale) ha ammonito oggi che, se gli ostaggi non saranno rilasciati entro sabato a mezzogiorno, “il cessate il fuoco finirà e l’Idf (l’esercito israeliano, ndr) riprenderà i combattimenti pesanti finché Hamas non verrà sconfitto”.Già ieri il titolare della Difesa Israel Katz aveva messo “in massima allerta” le forze armate con l’ordine di prepararsi a “qualunque scenario a Gaza”, mentre il responsabile delle Finanze Bezalel Smotrich ha ripetutamente minacciato di staccare la spina al governo di coalizione se la guerra non riprenderà dopo la restituzione degli ostaggi.Il ruolo di TrumpDel resto, con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca le posizioni di Washington sulla crisi in corso nel Levante si sono nettamente irrigidite – basti pensare al surreale piano di trasformare Gaza nella “Riviera del Medio Oriente”, in quella che è suonata come l’invocazione di una vera e propria pulizia etnica – e a Bibi non sembra vero di poter contare su un tale livello di intransigenza da parte dell’onnipotente alleato a stelle e strisce.Giusto ieri, Trump ha esplicitamente rifiutato di riconoscere a quasi 2 milioni di profughi gazawi il diritto di tornare sulla propria terra, suggerendo al contrario di deportarli permanentemente in Egitto e Giordania, mentre gli Stati Uniti prenderebbero il controllo della Striscia per costruirci la Las Vegas del Mediterraneo.Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump (foto: Imagoeconomica)Sabotaggio dei negoziati?Anche per questo, Hamas ritiene poco credibile l’impegno di Washington nel garantire il rispetto del cessate il fuoco da parte di Tel Aviv, a sua volta sospettata di non avere realmente intenzione di attuare il piano concordato faticosamente in sede negoziale. Gli stessi mediatori qatarioti stanno suonando l’allarme da giorni circa il pericolo che salti il banco a causa della retorica incendiaria di Netanyahu e dell’approccio eccessivamente muscolare adottato dalla delegazione israeliana nel concordare i dettagli della seconda fase (che dovrebbe prevedere la restituzione di tutti gli ostaggi ancora in vita e il ritiro completo dell’Idf da Gaza).Abu Obeida, portavoce del gruppo militante, ha accusato lo Stato ebraico di ostacolare il ritorno dei palestinesi nel nord della Striscia, di bloccare l’arrivo degli aiuti umanitari e di attaccare indiscriminatamente i civili. Non saranno rilasciati altri ostaggi finché Israele “non si adeguerà e non compenserà le scorse settimane”, ha dichiarato.Una lettura, quella del sabotaggio volontario da parte di Bibi, condivisa anche da alcuni tra i parenti degli ostaggi stessi: “La deliberata procrastinazione e le inutili dichiarazioni provocatorie di Netanyahu hanno interrotto l’attuazione dell’accordo“, sostiene Einav Zangauker, madre di un giovane ancora in prigionia. In base agli accordi, durante la prima fase del cessate il fuoco Hamas dovrebbe restituire 33 ostaggi. Di questi, 16 sono già stati liberati e otto sarebbero deceduti.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Charly Triballeau/Afp)Il raid a Gerusalemme EstE non va certo nella direzione di una distensione dei rapporti il raid, compiuto domenica (9 febbraio) dalle forze di polizia israeliane nella libreria palestinese Educational bookshop a Gerusalemme Est, con tanto di distruzione della merce in vendita, sequestro di un numero imprecisato di libri perché potenzialmente “inneggianti al terrorismo” e arresto del titolare Mahmoud Muna e del nipote Ahmed, infine rilasciati oggi pomeriggio.“Un fatto di emblematica gravità“, hanno commentato alcuni eurodeputati Pd (Lucia Annunziata, Annalisa Corrado, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada e Marco Tarquinio). “La distruzione dei libri evoca inevitabilmente episodi simili di un’inaccettabile storia del passato“, prosegue il comunicato dei dem in riferimento ai roghi di libri nel Terzo Reich, per sottolineare ancora che si tratta di “un’azione incredibile”, come ne avvengono solo negli “Stati fascisti”.

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    Amnesty International: Israele sta commettendo un genocidio a Gaza

    Bruxelles – Dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, Israele “ha scatenato l’inferno e la distruzione sui palestinesi di Gaza in modo sfacciato, continuo e nella più totale impunità”. Amnesty International ha pubblicato oggi (5 dicembre) un rapporto in cui sostiene che Israele ha commesso e continua a commettere un genocidio nella Striscia di Gaza. Confermando le accuse già formulate mesi fa dalla relatrice speciale dell’Onu per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, Francesca Albanese.Un tassello in più che si aggiunge all’orrore ampiamente documentato della controffensiva israeliana nell’enclave palestinese. Non solo crimini di guerra e contro l’umanità, di cui sono stati accusati dalla Corte Penale Internazionale il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro per la Difesa Yoav Gallant. Dopo aver esaminato nel dettaglio le violazioni compiute da Israele nell’enclave palestinese tra l’ottobre 2023 e il luglio 2024, intervistato 212 persone a Gaza, analizzato prove visive e digitali e le dichiarazione di alti funzionari governativi e militari israeliani, Amnesty International “ha trovato basi sufficienti” per concludere che quello in corso a Gaza è un vero e proprio genocidio.Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant, soggetti ad un mandato di arresto internazionale emesso dalla Cpi (Photo by Abir SULTAN / POOL / AFP)“Mese dopo mese, Israele ha trattato i palestinesi di Gaza come un gruppo subumano indegno di diritti umani e dignità, dimostrando il suo intento di distruggerli fisicamente”, ha commentato Agnès Callamard, segretario generale di Amnesty International, secondo cui i risultati “sconvolgenti” contenuti nel rapporto “devono servire da campanello d’allarme” per una comunità internazionale impotente di fronte alla tragedia di Gaza. Callamard ha sottolineato – in linea con le osservazioni della Corte Internazionale di Giustizia relative all’accusa di genocidio formulata dal Sudafrica ad Israele – che “gli Stati che continuano a trasferire armi a Israele stanno violando il loro obbligo di prevenire il genocidio e rischiano di diventarne complici”.I dati citati nel rapporto sono quelli che le Agenzie delle Nazioni Unite presenti sul territorio riportano ogni settimana nei loro bollettini. Secondo l’Ufficio dell’Onu per il Coordinamento degli Affari Umanitari (Ocha-Opt), si parla di almeno 44.502 palestinesi uccisi e 105.454 feriti dal 7 ottobre 2023. Nell’ultima settimana – dal 26 novembre al 3 dicembre – i bombardamenti israeliani avrebbero causato altre 253 vittime e 708 feriti. Va sottolineato che il rapporto di Amnesty International è stato redatto prendendo in considerazione gli eventi fino a luglio 2024, ed esclude quindi la terribile offensiva che l’esercito israeliano ha lanciato ad ottobre sul Nord di Gaza, sotto assedio permanente e dove l’assistenza umanitaria “è stata in gran parte negata per circa 60 giorni, lasciando tra le 65 mila e le 75 mila persone senza accesso a cibo, acqua, elettricità o assistenza sanitaria affidabile”.La distruzione deliberata e indiscriminata di intere città, infrastrutture critiche, terreni agricoli, siti culturali e religiosi, ha “reso inabitabili ampie zone di Gaza”. Ed è stata spesso preceduta da “funzionari che ne hanno sollecitato l’attuazione”. Amnesty ha esaminato 102 dichiarazioni rilasciate da funzionari governativi e militari israeliani che “disumanizzavano i palestinesi, invocavano o giustificavano atti di genocidio o altri crimini contro di loro”. Un linguaggio condiviso e rilanciato anche dai soldati israeliani sul campo, come dimostrano diversi contenuti audiovisivi che mostrano militari che celebrano la distruzione di case, moschee, scuole e università palestinesi.Una donna palestinese, sfollata da Beit Lahia, arriva a Jabalia nel nord della Striscia di Gaza, 4/12/24 (Photo by Omar AL-QATTAA / AFP)Amnesty International si è concentrata su 15 attacchi aerei israeliani, che hanno ucciso almeno 334 civili, tra cui 141 minori, e ferito centinaia di altri. E per nessuno di questi raid ha trovato prove che fossero diretti ad obiettivi militari. Il rapporto ha identificato uno schema ricorrente nell’azione genocidaria di Israele: il danneggiamento e la distruzione di infrastrutture vitali, l’uso ripetuto di ordini di “evacuazione” di massa, arbitrari e confusi, per sfollare con la forza quasi tutta la popolazione di Gaza, la negazione e l’ostruzione della fornitura di servizi essenziali, di assistenza umanitaria e di altri rifornimenti salvavita a Gaza e al suo interno. Israele ha sfollato quasi 1,9 milioni di palestinesi – il 90 per cento della popolazione di Gaza – in sacche di terra sempre più piccole e insicure, in condizioni disumane.“Chiediamo all’Ufficio del Procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) di prendere urgentemente in considerazione l’aggiunta del genocidio all’elenco dei crimini su cui sta indagando e a tutti gli Stati di utilizzare ogni via legale per assicurare i responsabili alla giustizia”, conclude il rapporto di Amnesty International. Un appello rivolto anche a Bruxelles, dove regna il silenzio dopo l’avvicendamento tra Josep Borrell e Kaja Kallas a capo della politica estera dell’Ue, e alle capitali dei 27, troppo prudenti finora nel confermare la propria lealtà al Tribunale de l’Aia e al mandato d’arresto per il primo ministro di Israele.

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    Medio Oriente, l’ultimo appello di Borrell: “Rispettare l’Icc è l’unico modo per avere giustizia globale”

    Bruxelles – Un centinaio di rappresentanti di Stati e organizzazioni internazionali, insieme per il secondo incontro dell’Alleanza globale per l’attuazione della soluzione dei due Stati in Medio Oriente. Ospiti dell’Ue e del Belgio. È l’ultimo giorno di lavoro dell’Alto rappresentante per gli Affari Esteri, Josep Borrell, che da domani lascerà la scrivania all’ex premier estone Kaja Kallas. “Non volevo lasciare il mio lavoro prima di aver tenuto questo incontro”, ha affermato, a riprova dell’impegno profuso – spesso da solo – per trovare una via d’uscita al conflitto tra Israele e Hamas a Gaza.In un lungo intervento al suo arrivo a Palais d’Egmont, nel centro di Bruxelles, Borrell ha parlato con più schiettezza che mai, consapevole che da domani non dovrà più scontrarsi con 27 governi nazionali che da un anno a questa parte procedono a freni tirati nei confronti della devastante offensiva israeliana, prima a Gaza e poi anche in Libano. A partire dai fatti più recenti, il fragile accordo per un cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah e il mandato d’arresto internazionale emesso dalla Corte Penale Internazionale (Icc) nei confronti di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant.L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri Josep Borrell Fontelles a Palais d’EgmontSu quest’ultimo in particolare, si gioca la credibilità dell’Occidente e dell’Unione europea come difensori del diritto internazionale. Prima l’ambiguità di diverse cancellerie europee sul rispetto della decisione del Tribunale de L’Aia, poi ieri il duro colpo inferto dalla Francia, uno degli Stati fondatori dell’Icc. In un comunicato, il Ministero degli Esteri francese ha chiamato in causa un articolo dello Statuto di Roma – fondativo della Corte – secondo cui “uno Stato non può essere obbligato ad agire in modo incompatibile con i suoi obblighi di diritto internazionale per quanto riguarda le immunità degli Stati che non fanno parte dell’Icc”. Il Quai d’Orsay ha proseguito spiegando che “tali immunità si applicano al Primo Ministro Netanyahu e agli altri ministri interessati e dovranno essere prese in considerazione se l’Icc dovesse richiedere il loro arresto e la loro consegna“.In sostanza, dal momento che lo Stato ebraico non ha firmato lo Statuto di Roma, non avrebbe rinunciato alle immunità dei suoi attuali leader. E quindi, come dichiarato anche da Antonio Tajani al termine del G7 dei ministri degli Esteri di Fiuggi, la decisione del Tribunale non sarebbe applicabile almeno fino alla fine dell’incarico di Netanyahu. Un cavillo giuridico, se non proprio un’escamotage, che stride con quanto invece sostenuto dagli stessi Paesi nei confronti di Vladimir Putin, anche lui soggetto ad un uguale mandato di cattura internazionale. Ed anche lui presidente eletto di uno Stato che non fa parte della Corte Penale Internazionale.Rivolgendosi “a tutti i membri della società internazionale e in particolare ai membri dell’Unione europea”, Borrell ha ribadito: “Non possiamo minare la Corte penale internazionale”. Le conseguenze sarebbero tremende: un mondo in cui non c’è più “modo di avere una giustizia globale”. Rispettare e implementare le decisioni dell’Icc è anche una questione di “onore”, ha dichiarato il capo della diplomazia europea. Perché oggi il procuratore capo de L’Aia ha chiesto una mandato d’arresto per il leader militare del Myanmar colpevole di crimini contro la popolazione dei Rohingya, e “sicuramente gli Stati Ue applaudono”.L’accordo mediato da Stati Uniti e Francia per una tregua di sessanta giorni tra Israele ed Hezbollah e per il ritiro delle truppe israeliane dal sud del Libano è “una luce di speranza”, ha proseguito Borrell, enfatizzando che “almeno domani sera non ci saranno più nuovi bambini ustionati negli ospedali di Beirut”. L’Alto rappresentante, in visita in Libano la scorsa settimana, è stato testimone di “un bombardamento di una postazione dell’esercito regolare libanese da parte di un carro armato israeliano”. Un attacco “senza motivo, senza discussioni, senza conseguenze”. Secondo quanto riportato da Reuters nel primo pomeriggio, entrambe le parti avrebbero già denunciato violazioni della tregua, e i carri armati israeliani avrebbero colpito sei aree nel sud del Libano, a pochi chilometri dal confine.General ViewL’incontro di oggi però guardava oltre, all’implementazione della soluzione dei due Stati. Che significa “l’implementazione di uno Stato per la popolazione palestinese”, ha evidenziato Borrell. Un orizzonte che resta lontano, come dimostrato dall’assenza di una delegazione israeliana ai lavori dell’Alleanza lanciata dallo stesso Borrell a margine dell’Assemblea delle Nazioni Unite a New York a settembre.“Oggi, purtroppo, la società israeliana è stata colonizzata dall’interno dall’estremismo e dai violenti”, ha affermato ancora il socialista spagnolo, e la “colonizzazione delle menti delle persone è la cosa più pericolosa”. Per Borrell, il 7 ottobre ha accelerato un processo di radicalizzazione del discorso politico di Israele che “sta minando le fondamenta della loro democrazia”. La comunità internazionale assiste impotente – se non complice – ad un governo che “calpesta e viola sistematicamente la legge internazionale umanitaria”. E “non lo nasconde nemmeno”.L’ultima iniziativa di Borrell è un lascito politico a Kaja Kallas, con la speranza che scelga di raccogliere il testimone e “continuare a lavorare duramente” per la soluzione dei due Stati. L’unica via percorribile per sconfiggere “un cancro”, che non rischia di uccidere solo il Medio Oriente, ma di “espandersi a dismisura nelle relazioni internazionali e nella stessa società europea”.

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    Cessate il fuoco tra Israele ed Hezbollah, il “sollievo” di Bruxelles

    Bruxelles – Dopo intensi negoziati, il cessate il fuoco tra Israele ed Hezbollah è entrato in vigore nelle prime ore di mercoledì mattina (27 novembre), mettendo in pausa per 60 giorni i combattimenti che dallo scorso ottobre stanno sconvolgendo il sud del Libano e che rischiavano di destabilizzare ulteriormente un Medio Oriente già in fiamme. L’accordo, mediato da Washington e Parigi, prevede la demilitarizzazione del lembo di terra che separa lo Stato ebraico dal Paese dei cedri ed è stato salutato dai leader europei come un successo diplomatico per provare a rispondere alla grave crisi umanitaria in corso. Ma resta da vedere quanto a lungo reggerà la fragile tregua prima che riprendano gli scontri in quel martoriato angolo di mondo.Il contenuto dell’accordoNella serata di martedì (26 novembre), il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha accettato le condizioni del patto stipulato con le milizie libanesi filo-iraniane di Hezbollah, alla cui formulazione hanno lavorato alacremente Stati Uniti e Francia. Una tregua di 60 giorni, il ritiro dei combattenti del Partito di Dio a nord del fiume Litani (circa 25 km a nord della cosiddetta Linea blu, che segna il confine tra Stato ebraico e Paese dei cedri) e lo smantellamento delle infrastrutture dei miliziani, il parallelo ritiro delle forze armate israeliane (Idf) dal Libano meridionale contestuale all’arrivo, sempre a sud del fiume, dell’esercito regolare di Beirut, e infine la creazione di un comitato internazionale di implementazione, presieduto da Washington, sono i punti principali dell’accordo.Il patto arriva nell’ultimo spiraglio della presidenza di Joe Biden e costituisce – almeno potenzialmente – un significativo punto di svolta nell’ultima drammatica fase della decennale crisi mediorientale, iniziata con gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 che sono immediatamente riverberati anche al confine tra Israele e Libano, un’area controllata da Hezbollah e dove Tel Aviv ha avviato un’invasione terrestre lo scorso mese in risposta al lancio di razzi sul nord di Israele. Le ostilità degli ultimi 13 mesi sono costate la vita a circa 4mila civili libanesi, secondo le autorità di Beirut, mentre almeno 300mila cittadini hanno dovuto abbandonare le loro case.Dei militari della missione Unifil nel sud del Libano (foto: Afp)Ma, per ammissione dello stesso Netanyahu, “la durata del cessate il fuoco dipende da cosa accadrà in Libano”, poiché, “in pieno accordo con gli Stati Uniti, manteniamo totale libertà di agire militarmente” se cambierà la situazione sul campo. L’esercito israeliano attaccherà (supportato da Washington), ha ammonito il capo del gabinetto di guerra, se Hezbollah “tenterà di riarmarsi” e se “cercherà di ricostruire le infrastrutture terroristiche vicino al confine”.Le reazioni europeeLe reazioni internazionali non si sono fatte attendere. In un comunicato congiunto, il presidente francese Emmanuel Macron e il suo omologo statunitense hanno celebrato il raggiungimento dell’accordo che “farà cessare i combattimenti in Libano e metterà Israele al sicuro dalla minaccia di Hezbollah e di altre organizzazioni terroristiche che operano dal Libano”, e “creerà le condizioni per ripristinare una calma duratura e consentire ai residenti di entrambi i Paesi di tornare in sicurezza alle loro case”. “Gli Stati Uniti e la Francia”, si legge ancora, “lavoreranno con Israele e il Libano per garantire che questo accordo sia pienamente attuato e fatto rispettare”, e “si impegnano inoltre a guidare e sostenere gli sforzi internazionali per il rafforzamento delle capacità delle forze armate libanesi e per lo sviluppo economico in tutto il Libano, al fine di promuovere la stabilità e la prosperità nella regione”.“L’accordo sul cessate il fuoco in Libano è un sollievo nella devastante situazione in Medio Oriente”, ha commentato l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell, ringraziando l’Eliseo e la Casa Bianca per la loro mediazione. Ora, ha sottolineato il capo della diplomazia a dodici stelle, è però necessario che l’accordo regga e che gli attacchi vengano effettivamente sospesi da entrambe le parti, “per garantire la sicurezza dei cittadini libanesi e israeliani e il rientro degli sfollati”.The agreement on a ceasefire in Lebanon is a relief in the devastating situation in the Middle East.I want to praise France and the US for their mediation.It is now crucial that the ceasefire holds, to guarantee the safety of both LEB & IL citizens, & the return of IDPs. 1/2— Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) November 26, 2024Altrettanto indispensabile, secondo Borrell, è la “piena implementazione” della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza Onu. La risoluzione, adottata nell’agosto 2006, pone le basi per la cessazione delle ostilità tra Israele ed Hezbollah, che fa parte della galassia di proxies iraniane nella regione. I suoi punti cardine, ripresi dal cessate il fuoco siglato ieri, sono il disarmo del Partito di Dio, il ritiro dell’Idf dal sud del Libano e il mantenimento della sicurezza nell’area da parte delle forze di sicurezza libanesi e dei caschi blu della missione Unifil a guida italiana, che pure è stata coinvolta negli scontri.Anche la presidente dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen, la cui seconda Commissione è stata approvata oggi in un voto dell’Eurocamera a Strasburgo, ha dichiarato che quella del cessate il fuoco “è una notizia molto incoraggiante”, sottolineando che “il Libano avrà un’opportunità di aumentare la sicurezza e la stabilità interne grazie alla ridotta influenza di Hezbollah”.Il presidente uscente del Consiglio europeo Charles Michel ha rimarcato l’importanza dell’accordo di ieri sera come “un passo necessario verso la de-escalation” nello scacchiere mediorientale. Diversi osservatori ritengono, a tal proposito, che il cessate il fuoco con le milizie sciite libanesi possa preludere ad un esito analogo nella guerra di Israele contro Hamas, che da 13 mesi continua a mietere decine di migliaia di vittime (in larghissima parte civili) nella Striscia di Gaza e per la quale la Corte penale internazionale ha recentemente spiccato due mandati di cattura per Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant, accusati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, che proprio nelle ore precedenti l’annuncio del cessate il fuoco presiedeva la riunione dei suoi omologhi del G7 a Fiuggi, si è detto orgoglioso “di aver dato un contributo determinante a questo importante risultato”.

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    Al G7 Esteri tiene banco il rispetto del mandato d’arresto contro Netanyahu. Borrell: “Non è una scelta, ma un obbligo”

    Bruxelles – Dopo giorni di ambiguità da parte dell’Occidente, i sette grandi del mondo sono chiamati a lanciare un segnale chiaro sul mandato di cattura internazionale emesso dalla Corte penali internazionale (Icc) nei confronti di Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro per la Difesa di Israele, Yoav Gallant. A incalzarli, nella riunione del G7 Esteri a Fiuggi, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell: Per i 27 Ue “non si può scegliere”, attuare la decisione della Corte de l’Aia “è un obbligo”.Al suo arrivo al vertice, Borrell è stato chiaro: Washington può avere una posizione differente perché gli Stati Uniti non hanno mai ratificato lo Statuto di Roma, fondativo dell’Icc, ma “tutti i membri dell’Unione europea l’hanno fatto e non è qualcosa che si può scegliere”. Non esiste un diritto internazionale a intermittenza: “Non si può applaudire quando la Corte va contro Putin e rimanere in silenzio quando va contro Netanyahu“, ha proseguito Borrell. Le reazioni prudenti di diversi governi occidentali – se non proprio il silenzio, scelto ad esempio dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel – sono ” il tipico esempio di due pesi e due misure per cui siamo tanti criticati”, ha sbottato il capo della diplomazia europea uscente.Finora i tre Paesi Ue nel gruppo del G7 hanno dato risposte enigmatiche. Francia e Germania su tutte, mentre oggi il padrone di casa, Antonio Tajani, ha ammesso: “Siamo amici di Israele ma penso che dobbiamo rispettare il diritto internazionale“. L’obiettivo di Borrell è tornare a Bruxelles con un messaggio unitario: “Non c’è alternativa, spero che alla fine saremo in grado di dire chiaramente che gli europei rispetteranno gli obblighi del diritto internazionale”. In gioco c’è la credibilità stessa dell’Occidente, che non può permettersi di bollare come ‘politica’ la decisione giuridica di una Corte internazionale che per la prima volta sanziona i membri di un governo di una ‘democrazia occidentale’.Tregua tra Israele e Hezbollah in Libano, Borrell: “Non ci sono scuse”Josep Borrell e Antonio Tajani al G7 Esteri a Fiuggi, 26/11/24La due giorni dei ministri degli Esteri di Stati Uniti, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Canada e Giappone a Fiuggi e Anagni si concentra inevitabilmente sulle due maggiori crisi internazionali. Ucraina e Medio Oriente. Su quest’ultimo, a tenere banco non è solo il mandato d’arresto emesso dall’Icc, ma anche la prospettiva di un cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah in Libano.Gli occhi sono puntati sulla riunione del gabinetto di sicurezza di Tel Aviv, che già questa sera è chiamato a dare l’ok alla proposta di tregua franco-americana. La proposta “dà a Israele tutti gli impegni di sicurezza che ha chiesto”, ha sottolineato Borrell, “non ci sono scuse per rifiutarla”. Tutto dipenderà dalla volontà politica del governo di Netanyahu.Il piano mediato da Eliseo e Casa Bianca prevede una tregua di 60 giorni, durante la quale le forze israeliane si ritirerebbero dal Libano del sud e i militanti di Hezbollah si ritirerebbero a nord del fiume Litani, circa 25 km a nord del confine israeliano. L’accordo prevede la creazione di un comitato di implementazione presieduto da Washington e con la partecipazione di Parigi. In modo da garantire un equilibrio tra le parti. Beirut ha accettato che gli Stati Uniti presiedano il comitato di controllo dell’applicazione del cessate il fuoco, ma ha chiesto espressamente la presenza della Francia. È questo il punto ancora in discussione, perché Israele non vuole che la Francia partecipi.Ricordando le 4 mila vittime civili e le ampie porzioni del sud del Libano rase al suolo dai bombardamenti israeliani, Borrell ha intimato: “Basta combattimenti, basta altre richieste, spero che il governo Netanyahu accetti la proposta”. L’Alto rappresentante Ue chiede onestà intellettuale da parte del G7 anche su Gaza, dove “gli aiuti sono totalmente impediti” dall’esercito israeliano. “Dobbiamo dire la verità, diamo un nome alle cose”, ha concluso Borrell.

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    Sospendere il dialogo politico con Israele: la proposta di Borrell arriva sul tavolo dei Paesi Ue

    Bruxelles – L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, proporrà ai Paesi membri di sospendere il dialogo politico con Israele. Un’iniziativa che rende l’idea di quanto la fiducia tra i due partner si sia incrinata alla luce delle ripetute violazioni del diritto internazionale commesse da Tel Aviv nella guerra a Gaza e in Libano. Un lascito politico da parte del capo della diplomazia Ue, giunto alla fine del suo mandato, che però difficilmente verrà colto dai 27: per qualsiasi modifica dell’Accordo di associazione che regola i rapporti tra Ue e Israele, è richiesta la regola dell’unanimità.L’iniziativa, annunciata ieri (13 novembre) agli ambasciatori dei Paesi Ue, verrà formalizzata lunedì 18 novembre in occasione del Consiglio Affari Esteri. Con ogni probabilità, l’ultimo convocato da Borrell prima di lasciare la guida del Servizio Europeo di Azione Esterna (Seae) all’estone Kaja Kallas. Una proposta che parte già in salita: secondo quanto riferito da fonti diplomatiche, alla riunione dei rappresentanti permanenti la maggior parte dei Paesi che si sono espressi “si sono detti contrari”.In sostanza, come ha spiegato il portavoce del Seae, Peter Stano, Borrell chiederà ai ministri degli Esteri dei 27 “di valutare se vi sia effettivamente una violazione dei diritti umani (da parte di Tel Aviv, ndr), come previsto dall’articolo 2 dell’accordo di associazione Ue-Israele, e di prendere in considerazione eventuali decisioni o misure dell’Ue“. L’Alto rappresentante Ue aveva già annunciato il mese scorso di voler superare l’impasse scaturita dal rifiuto di Israele di convocare un Consiglio di Associazione con Bruxelles in cui discutere del rispetto dei diritti umani nel conflitto in Medio Oriente. “Gli Stati membri volevano discuterne prima direttamente con Israele nell’ambito del Consiglio di associazione, ma nelle discussioni del mese scorso è apparso evidente che non si terrà presto”.In quell’occasione, Borrell aveva affermato che “il diritto umanitario è sepolto sotto le macerie di Gaza”. Alla luce di questo, l’Alto rappresentante la sua proposta l’ha già formulata: sospendere il capitolo relativo al dialogo politico nel quadro dell’Accordo di associazione Ue-Israele. Una mossa simbolica, non esattamente ciò che chiedono da mesi Spagna e Irlanda, cioè di rivedere l’accordo di associazione nella sua interezza, per poter fare leva su Israele anche dal punto di vista economico sospendendo le parti relative alle agevolazioni commerciali.Nel documento che regola i rapporti tra Bruxelles e Tel Aviv, il dialogo politico costituisce il primo dei nove capitoli, ed è composto solamente da tre articoli, dal 3 al 5. Il primo afferma che “tra le Parti si instaura un dialogo politico regolare” per “sviluppare una migliore comprensione reciproca e una crescente convergenza di posizioni sulle questioni internazionali” e per “rafforzare la sicurezza e la stabilità regionali”. L’articolo 4 sostiene che tale dialogo deve tendere agli “obiettivi comuni, in particolare la pace, la sicurezza e la democrazia“. L’ultimo elenca le modalità di svolgimento del dialogo: a livello ministeriale, di alti funzionari, “fornendo regolarmente informazioni a Israele su questioni relative alla politica estera e di sicurezza comune, che saranno ricambiate”, e a livello di Parlamenti, tra l’Eurocamera e la Knesset.