In Irlanda è pronta una legge per vietare le importazioni dagli insediamenti israeliani nella West Bank
Bruxelles – L’Irlanda potrebbe diventare il primo Stato membro dell’Ue a vietare l’importazione di beni prodotti negli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati. Il governo irlandese presenterà domani (27 maggio) una proposta di legge che, se approvata, renderebbe reato l’acquisto di prodotti israeliani provenienti dalla Cisgiordania e da Gerusalemme Est, aree considerate illegalmente occupate dallo Stato ebraico secondo il diritto internazionale.Il disegno di legge, annunciato dal tánaiste e ministro degli Esteri e del Commercio Simon Harris, si inserisce in un contesto di crescente attenzione internazionale sulla situazione a Gaza. “È evidente che si stanno commettendo crimini di guerra: i bambini vengono affamati e il cibo è usato come arma”, ha dichiarato Harris al Financial Times: “Il mondo non ha fatto abbastanza, e dobbiamo agire”. La proposta irlandese rappresenta il primo tentativo concreto all’interno dell’Ue di introdurre una restrizione commerciale mirata nei confronti degli insediamenti israeliani.Insediamenti israeliani in CisgiordaniaIl disegno di legge prevede il divieto di importazione di beni fisici come datteri, arance, olive, legname e cosmetici, provenienti da insediamenti israeliani. A rimanere esclusi dal provvedimento sarebbero invece i prodotti realizzati da aziende palestinesi nella stessa area, come l’olio d’oliva Zaytoun. Tra il 2020 e il 2024, il valore complessivo delle importazioni irlandesi da questi territori è stato di appena 685.000 euro, ma la portata del provvedimento è considerata altamente simbolica. Oltre ai beni materiali, è in corso un dibattito giuridico sull’inclusione dei servizi, come turismo e tecnologia. Più di 400 accademici e giuristi irlandesi hanno firmato una lettera aperta a sostegno dell’estensione del divieto anche a settori come l’ospitalità, sottolineando come non vi siano ostacoli insormontabili nel diritto irlandese, europeo o internazionale a un provvedimento di questo tipo. Se inclusi, i servizi potrebbero coinvolgere aziende come Airbnb, che ha la propria sede europea a Dublino e sarebbe quindi soggetta alla normativa irlandese. Nel 2019, Airbnb aveva inizialmente annunciato il ritiro delle sue inserzioni nei territori occupati, salvo poi fare marcia indietro in seguito a cause legali, decidendo infine di devolvere i profitti derivanti da quelle attività a organizzazioni umanitarie. Harris ha dichiarato di non avere obiezioni politiche all’estensione del divieto ai servizi, confermando di aver ricevuto pareri legali secondo cui l’inclusione sarebbe attualmente impossibile.Sebbene il commercio sia una competenza dell’Unione Europea, esistono eccezioni in cui gli Stati membri possono agire autonomamente, specialmente in situazioni considerate di “straordinaria gravità”. A tal fine, l’Irlanda si richiama a un parere consultivo emesso lo scorso anno dalla Corte internazionale di giustizia, secondo cui gli Stati devono “adottare misure per impedire relazioni commerciali o d’investimento che contribuiscano al mantenimento della situazione illegale nei territori palestinesi occupati”.A livello comunitario, il provvedimento giunge pochi giorni dopo che una maggioranza di Stati membri ha votato per una revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele del 1995. Una richiesta simile, avanzata da Irlanda e Spagna nel febbraio 2024, era stata in precedenza respinta dalla Commissione europea. L’esecutivo comunitario ha dichiarato che commenterà la proposta solo dopo che sarà adottata dal parlamento irlandese e formalmente trasmessa a Bruxelles. “Vogliamo fare qualcosa di significativo, ma un’azione collettiva dell’Unione avrebbe un impatto molto più forte“, ha osservato Harris. LEGGI TUTTO