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    Fuga dal Niger, Bruxelles sostiene gli Stati membri. Macron attiva il Meccanismo Ue di protezione civile per i rimpatri

    Bruxelles – La Francia è il primo Paese Ue ad aver richiesto l’attivazione del Meccanismo europeo di protezione civile per sostenere il rimpatrio dei cittadini francesi ancora presenti in Niger. Lo ha annunciato oggi (2 agosto) la Commissione europea in una nota, appena ventiquattro ore dopo aver annunciato che il suo personale continuerà a rimanere nel Paese dove venerdì scorso il capo della Guardia presidenziale Abdourahmane Tchiani si è autoproclamato nuovo leader del Paese a seguito del colpo di stato con il quale è stato deposto il presidente in carica dal 2021 democraticamente eletto, Mohamed Bazoum. 
    Mentre Bruxelles ha offerto al suo personale la possibilità di essere evacuato dal Paese (ma non lo ha ancora imposto come una vera e promisura di emergenza, diversi Stati membri dell’Ue, come anche l’Italia, la Francia e la Spagna hanno iniziato a evacuare i loro connazionali organizzato voli di rimpatrio. Oggi il governo di Roma ha accolto 36 cittadini italiani e 32 stranieri che “abbiamo aiutato a partire dal Niger”, ha riferito in un tweet il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri Antonio Tajani.

    Ho accolto a #Roma 36 italiani ed altri 32 cittadini stranieri che il Governo ha aiutato a partire dal #Niger. Sui loro volti la gratitudine verso la diplomazia e i militari🇮🇹 che li hanno sostenuti. Continuiamo a lavorare per la stabilità in Niger ed evitare altro caos nel Sahel pic.twitter.com/cT0QUFMN3Q
    — Antonio Tajani (@Antonio_Tajani) August 2, 2023

    Parigi ha richiesto assistenza attraverso il Meccanismo di protezione civile dell’UE per sostenere il rimpatrio dei cittadini europei e ha offerto quattro aerei per il rimpatrio da Niamey a Parigi. Due voli sono già arrivati in Francia, rimpatriando circa 500 persone e secondo Bruxelles altri voli sono in preparazione. Secondo il governo francese, sui due voli c’erano almeno 350 francesi evacuati. Il meccanismo Ue finanzierà il 75 per cento dei costi di trasporto. Il Meccanismo di protezione civile dell’UE può essere attivato dagli Stati membri e dai nove Stati partecipanti per richiedere assistenza consolare per i loro cittadini, ad esempio nelle operazioni di evacuazione. In situazioni di emergenza, i voli di rimpatrio coordinati nell’ambito del Meccanismo di protezione civile dell’UE garantiscono il rimpatrio sicuro dei cittadini dell’UE di diverse nazionalità.

    Parigi ha richiesto assistenza attraverso il Meccanismo di protezione civile dell’UE per sostenere il rimpatrio dei cittadini europei e ha offerto quattro aerei per il rimpatrio da Niamey a Parigi. Due voli sono già arrivati in Francia, rimpatriando circa 500 persone e secondo Bruxelles altri voli sono in preparazione. Secondo il governo francese, sui due voli c’erano almeno 350 francesi evacuati. Il meccanismo Ue finanzierà il 75 per cento dei costi di trasporto

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    Olimpiadi 2024, un gruppo di eurodeputati esorta i Ventisette a sostenere l’esclusione di atleti russi e bielorussi

    Bruxelles – La mano pesante della comunità internazionale contro la Russia dovrebbe continuare fino a quando non cesserà la guerra in Ucraina, anche in ambito sportivo. È quanto ribadisce un gruppo di eurodeputati in una lettera indirizzata al presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, con la richiesta esplicita di esprimersi a favore dell’esclusione di atleti russi e bielorussi dalle Olimpiadi 2024 di Parigi: “Il Consiglio Europeo deve dare l’esempio e schierarsi chiaramente dalla parte dell’Ucraina“.
    Nel testo della lettera – ottenuta e visionata da Eunews – il primo firmatario, l’estone Riho Terras (Ppe), invoca una decisione forte al prossimo vertice dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue in programma il 9 e 10 febbraio: “Chiediamo di sostenere l’esclusione degli atleti russi e bielorussi da tutte le competizioni atletiche internazionali“, Olimpiadi 2024 comprese. Non è la prima volta che dal Parlamento Ue arrivano richieste di prese di posizione a proposito dei Giochi Olimpici – come quella del gennaio dello scorso anno per il boicottaggio delle Olimpiadi invernali di Pechino 2022 – ma questa volta l’esortazione è quella di schierarsi contro una decisione del Comitato olimpico internazionale (Cio), che ha scatenato la reazione non solo degli eurodeputati ma anche del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky.
    Già lo scorso anno diverse organizzazioni sportive avevano preso misure dure dopo l’invasione russa dell’Ucraina, compreso il Cio con l’esclusione delle delegazioni della Russia e della Bielorussia dalle competizioni ufficiali. Diverso è però il discorso sulla partecipazione di atleti russi e bielorussi: secondo il Consiglio di amministrazione del Cio nessun atleta dovrebbe dovrebbe essere punito per le decisioni del proprio governo “se non vi partecipa attivamente” e il principio-guida dovrebbe essere lo svolgimento di “competizioni eque per tutti, senza alcuna discriminazione”. Questo è anche il contenuto della decisione di mercoledì scorso (25 gennaio) a proposito dell’organizzazione delle Olimpiadi 2024 a Parigi, che ribadisce le sanzioni sportive contro i due regimi autoritari: nessuna bandiera, inno o colori dei due Stati deve essere esposto, né alcun funzionario di Stato o di governo può essere accreditato. Tuttavia, “a nessun atleta deve essere impedito di gareggiare solo a causa del suo passaporto” e per questa ragione quelli russi e bielorussi – che rispettino la Carta dei valori olimpici – potranno partecipare come “atleti neutrali”.
    La lettera degli eurodeputati sulle Olimpiadi 2024
    Per il gruppo di eurodeputati però queste misure non sono sufficienti: “La decisione del Comitato olimpico internazionale di consentire agli atleti degli Stati aggressori Russia e Bielorussia di partecipare ai Giochi Olimpici è contraria ai nostri valori democratici che si basano sulla pace e sul rispetto del diritto internazionale”, si legge nel testo della lettera, che accusa l’organizzazione non governativa di “sminuire il riconoscimento e la condanna internazionale dei crimini di guerra e del genocidio in Ucraina“. Il Parlamento Ue ha già condannato la Russia per essere “sponsor di terrorismo” in una risoluzione del novembre dello scorso anno, con la richiesta di avviare l’isolamento internazionale “completo” di Mosca anche sul piano dell’appartenenza a organizzazioni e organismi internazionali.
    Il ginnasta russo Ivan Kuliak, sul podio della Coppa del mondo di atletica in Qatar con il simbolo “Z” della guerra in Ucraina (25 marzo 2022)
    Gli eurodeputati sottolineano che “è consuetudine dei dittatori e dei regimi autoritari armare lo sport come strumento per espandere la propria influenza” e in particolare per il regime di Putin “lo sport è soprattutto uno strumento politico”, come dimostrato “chiaramente” dal programma di doping sponsorizzato dallo Stato. Nel corso dell’ultima edizione dei Giochi Olimpici invernali “gli atleti russi hanno portato a casa 71 medaglie”, di cui “oltre la metà sono andate ad atleti il cui background è legato al Club sportivo centrale dell’esercito“. Lo stesso esercito responsabile per le violenze nei confronti dei civili ucraini e la distruzione di infrastrutture “nel totale disprezzo del diritto internazionale e umanitario”. Per questo motivo i firmatari della lettera chiedono ai leader Ue di “fare tutto il possibile per garantire che il Cio escluda gli atleti russi e bielorussi dai Giochi olimpici del 2024“, ricordando “l’obbligo morale” dei Ventisette di difendere la pace in Europa.

    In una lettera – ottenuta da Eunews – alcuni membri dell’Eurocamera si sono rivolti al presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, per chiedere una presa di posizione al vertice dei leader Ue di febbraio: “Dittatori e regimi autoritari armano lo sport come strumento di influenza”

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    Le Maire: “Le sanzioni contro la Russia funzionano”

    Bruxelles – “Le sanzioni contro la Russia funzionano“. Bruno Le Maire vuole essere chiaro. “La Russia è in recessione, e questo dimostra che le nostre misure stanno dando i loro frutti”. Il ministro delle Finanze francese lo dice in modo chiaro e inequivocabili. Difende con forza i sei pacchetti di misure restrittive contro Mosca per l’aggressione dell’Ucraina, e invita a tenere il punto, a non avere ripensamenti. Perché la strategia a dodici stelle per fiaccare la macchina bellica russa può funzionare solo se si marcia compatti e determinati. Nel parlare alla stampa, al suo arrivo a Praga per i lavori dell’Eurogruppo, in realtà si rivolge a forze politiche scettiche e opinione pubblica. “Non ascoltate le bugie di quanti dicono che le nostre sanzioni non hanno effetti“, insiste il ministro francese.
    La sottolineatura vale in particolare per l’Ungheria, Paese partner meno convinto tra i Ventisette di come si stia gestendo la situazione, soprattutto sul piano energetico. Budapest di fatto ha rotto le righe, e ha iniziato a muoversi in modo tutto proprio, siglando nuovi accordi Gazprom e parlando di “fallimento” dell’Ue di fronte ad una guerra in Ucraina che, nonostante una risposta senza precedenti, va avanti. Un Orban-pensiero affidato come da prassi ormai consolidata al suo portavoce, Zoltan Kovacs.

    PM Orbán: Due to sanctions and war, Europe might run out of energy. There are 11,000 sanctions in force against RUS, but the war is still ongoing, the attempts to weaken Russia have failed. 1/2
    — Zoltan Kovacs (@zoltanspox) September 8, 2022

    Nel rivendicare con convinzione che le sanzioni contro la Russia funzionano, e nell’invito a non dare credito a chi sostiene il contrario, le parole di Le Maire irrompono anche nella campagna elettorale italiana. La Lega sta sostenendo la necessità di rivedere l’impianto sanzionatorio dell’Ue nei confronti di Mosca. Matteo Salvini sta costruendo buona parte del programma sulla natura penalizzante e controproducente dei sei pacchetti fin qui approvati, portata avanti nei comizi e rilanciata sui social.

    Gabriele Miccini, titolare del mobilificio Giessegi di Appignano (Macerata): “Le sanzioni ci uccidono, così i miei operai rischiano il posto di lavoro. L’unico che la pensa come me è Salvini”. pic.twitter.com/KX0CFSdI9m
    — Matteo Salvini (@matteosalvinimi) September 8, 2022

    La Francia tiene il punto. Se anche l’Italia saprà farlo anche dopo il voto del 25 settembre è tutto da scoprire. Nel frattempo i partner europei insistono con quanto fatto finora.

    Il ministro delle Finanze francese: “Mosca in recessione, non credete alle bugie di quanti dicono che le nostre sanzioni non hanno effetti”

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    Francia, testa a testa Macron-Mélenchon. A rischio la maggioranza assoluta dei liberali

    Bruxelles – La sinistra ecologista mette paura a Emmanuel Macron. Complice anche un astensionismo record (52,4 per cento), la coalizione NUPES (La France insoumise, Partito socialista, Verdi, Partito comunista) guidata dal leader del partito La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon, tiene testa al partito del presidente francese al primo turno delle elezioni legislative. Ensemble! conquista il 25,7 per cento delle preferenze, avanti di 0,9 punti percentuali rispetto agli sfidanti della gauche che ora insidiano la leadership di Macron all’Assemblea nazionale, la camera bassa del Parlamento francese, e rischiano di riscrivere gli equilibri politico-istituzionali della Repubblica. Lo spoglio conferma il testa a testa, con gli sfidanti dati addirittura davanti per qualche istante, tanto da indurre Mélenchon a dichiarare che la sua coalizione è ora prima forza del Paese.
    Macron dispone della maggioranza assoluta del ramo parlamentare (346 seggi su 577), e i dati al momento non escludono che possa essere mantenuta. Ma tutto dipenderà dal secondo turno, in programma domenica prossima (19 giugno). A poco, fin qui, sembra essere servita una campagna elettorale all’insegna di slogan volti a sottrarre voti a destra come a sinistra. Il presidente ha chiamato a raccolta gli elettori invitando a votare in nome di «unità e coesione, indipendenza francese», nel chiaro intento di rosicchiare consensi a destra, al Rassemblement National di Marine Le Pen, così come l’invito a «fare della Francia una grande nazionale ecologica» intende confermare la corsa ‘green’ a scapito della sinistra-ecologista.

    Faisons le choix de l’unité et du rassemblement. Le choix du plein emploi, de l’indépendance française, du pouvoir d’achat. Ensemble, faisons de la France une grande Nation écologique, transformons notre école, changeons notre système de santé. pic.twitter.com/B4fFS9qZRI
    — Emmanuel Macron (@EmmanuelMacron) June 9, 2022

    Il voto del 19 giugno servirà a capire come continuerà la Francia. Il dato politico certo è che la maggioranza assoluta (289 seggi) per il partito del presidente è minacciata. Le prime proiezioni indicano che i seggi a disposizione di Macron potrebbero oscillare tra 255 e 295. Una forchetta che indica dunque tutte le insidie del caso. Dall’altra parte Mélenchon non sembra comunque disporre della forza necessaria per conquistare il governo e imporre al presidente una coabitazione che limiterebbe i poteri dell’inquilino dell’Eliseo. In Francia, repubblica semi-presidenziale, il presidente ha pieno poteri quando il governo è dello stesso colore politico del vincitore delle presidenziali, viceversa con espressioni diverse il presidente ha manovra più limitata. Questo, dati alla mano, non è ancora il caso per Macron. Ad ogni modo il modello Macron esce dalle urne con qualche certezza in meno. In attesa del secondo turno.

    Sinistra ecologista e Ensemble! al 25,7 per cento. Il primo turno delle legislative vede scricchiolare il partito del presidente. Si decide tutto al secondo turno, pesa l’astensionismo

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    La Nuova Caledonia verso il terzo voto sull’indipendenza dalla Francia, tra boicottaggi e autodeterminazione

    Bruxelles – A 16.400 chilometri dalla capitale dell’Unione Europea, al largo della costa nord-orientale dell’Australia, si sta tenendo uno dei più accesi dibattiti sull’autodeterminazione dei popoli sul territorio dei Paesi europei. Nonostante l’attenzione mediatica europea sia spesso focalizzata solo sulle vicende dell’indipendentismo catalano e scozzese, a una settimana dell’indipendenza di Barbados dalla Gran Bretagna, con il referendum sull’indipendenza della Nuova Caledonia dalla Francia di domenica prossima (12 dicembre) si giocherà non solo il destino di una delle enclave più lontane dell’Unione, ma anche il ruolo geopolitico del Paese membro che assumerà la prossima guida semestrale del Consiglio dell’UE.
    Fra pochi giorni gli elettori neocaledoni si recheranno alle urne per la terza volta in quattro anni (come previsto da un dettagliato accordo con Parigi) per decidere in merito alla separazione del territorio francese d’oltremare dall’attuale, lontana, Capitale. Il primo voto del 4 novembre 2018 – che aveva riaperto la strada tracciata nel 1987 – era stata una vittoria di misura degli anti-indipendentisti con il 56,6 per cento dei voti, sceso al 53,2 solo due anni più tardi (4 ottobre 2020). Che il vento pro-indipendenza stia soffiando in Nuova Caledonia l’ha dimostrato l’elezione di Louis Mapou, attivista indipendentista di origine kanaki (il popolo indigeno nativo dell’arcipelago), a capo del governo locale lo scorso 8 luglio.
    A pesare sul voto di domenica ci sarà però anche il fattore COVID-19. A causa dell’ondata di pandemia (la prima da marzo 2020) che si è abbattuta sull’arcipelago dallo scorso settembre e che ha portato alla morte di 279 abitanti, il Fronte di Liberazione Nazionale Kanak e Socialista (FLKNS) ha chiesto al governo francese di rinviare il referendum sull’indipendenza per concentrarsi prima sulla lotta al COVID-19 in Nuova Caledonia. Sul fronte opposto, i lealisti hanno accusato gli indipendentisti di usare la pandemia per giustificare il rinvio di un referendum che temevano di perdere, sottolineando il ruolo decisivo di Parigi nell’invio di medici e vaccini nelle isole per sostenere il sistema sanitario locale. A seguito della conferma dell’apertura delle urne il 12 dicembre, il FLKNS ha annunciato che boicotterà il referendum e che non ne riconoscerà il risultato.
    Le conseguenze per Francia e Unione Europea
    Il dibattito sul rinvio del referendum d’indipendenza è determinato dalle condizioni dell’Accordo di Nouméa del 1998 tra Francia e Nuova Caledonia, che ha posto le basi per la decolonizzazione dell’arcipelago e il diritto all’autodeterminazione. Nel testo viene specificato che Parigi dovrà assicurare tre referendum per stabilire se e come effettuare il trasferimento di poteri a Nouméa, la capitale delle isole. Nel caso in cui anche questa volta la maggioranza dovesse appoggiare i lealisti, si dovrebbe rinegoziare un nuovo accordo: è per questo motivo che, con la variabile COVID-19 sul tavolo, gli indipendentisti stanno spingendo per il boicottaggio e i lealisti per andare lo stesso alle urne.
    L’arcipelago di isole è stato acquisito da Parigi come possedimento nel 1853 ed è rimasto nell’orbita francese fino a oggi come territorio d’oltremare. Nonostante abbia un certo grado di indipendenza e un proprio Congresso, lo statuto della Nuova Caledonia continua a essere considerato come un riflesso del passato coloniale, in particolare dai Kanak. La stragrande maggioranza del popolo indigeno – che costituisce il 40 per cento della popolazione totale – è a favore del porre fine alla propria dipendenza dalla Francia, ma sarà decisivo il voto del restante 60 per cento, composto dai discendenti dei coloni e dei lavoratori immigrati europei e asiatici.
    Tutt’ora, l’arcipelago della Nuova Caledonia continua a rivestire un ruolo importante per la Francia, costituendo uno degli avamposti più strategici per far pesare la propria presenza nel Pacifico: lo status di Parigi come attore globale nella regione si basa prevalentemente sul rapporto con gli Stati Uniti e l’Australia – messo in crisi recentemente dalla disputa sui sottomarini – in ottica di contenimento della potenza cinese. Inoltre, i cittadini della Nuova Caledonia votano per le elezioni presidenziali francesi e l’esito del referendum sull’indipendenza determinerà anche se gli elettori del territorio d’oltremare potranno partecipare alla scelta del nuovo Presidente della Repubblica il prossimo 10 aprile.
    Proprio per questo legame politico-istituzionale tra la Nuova Caledonia e la Francia che potrebbe cambiare a partire da lunedì prossimo, anche le istituzioni europee sono pronte a un eventuale nuovo rapporto con l’arcipelago del Pacifico. Se Nouméa dovesse staccarsi ufficialmente da Parigi, gli elettori neocaledoni non potranno più partecipare alle elezioni del Parlamento Europeo, già a partire dal 2024. Una novità che non permetterebbe più di vedere a Bruxelles eurodeputati come Maurice Ponga, politico della Nuova Caledonia eletto nel 2009 (fino alle elezioni del 2019, quando tutte le circoscrizioni francesi sono state accorpate) come rappresentante dei territori d’oltremare.

    Domenica 12 dicembre gli elettori del territorio d’oltremare si esprimeranno (di nuovo) sul referendum per staccarsi da Parigi. Gli indipendentisti non riconosceranno il risultato, dopo aver chiesto il rinvio del voto per la crisi COVID-19

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    Da UE, USA e Regno Unito 8,5 miliardi di dollari per sostenere la decarbonizzazione del Sudafrica

    Bruxelles – Unione Europea, Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania si sono uniti in un partenariato da almeno 8,5 miliardi di dollari (7,5 miliardi di euro) per aiutare il Sudafrica nella decarbonizzazione della propria economia. L’annuncio è arrivato oggi (2 novembre) a margine della Conferenza sul clima delle Nazioni Unite (COP26) in corso a Glasgow: il budget iniziale di 8,5 miliardi di dollari attraverso meccanismi di finanziamento, prestiti agevolati, investimenti e strumenti a rischio condiviso servirà per aiutare il Paese ad aggiornare i suoi impegni sulla riduzione di CO2, con particolare attenzione al sistema elettrico.
    L’obiettivo è quello di riuscire a sbloccare altri investimenti dal settore privato. Le previsioni dei 5 Paesi occidentali stimano che il partenariato preverrà fino a 1-1,5 miliardi di tonnellate di emissioni nei prossimi 20 anni e aiuterà il Sudafrica ad abbandonare in maniera definitiva il carbone. “Il Sudafrica accoglie con favore l’impegno assunto nella Dichiarazione politica a sostegno dell’attuazione del nostro contributo determinato a livello nazionale, che rappresenta l’ambizioso sforzo del nostro Paese per sostenere la battaglia globale contro il cambiamento climatico”, ha commentato il capo di Stato della Repubblica del Sudafrica, Cyril Ramaphosa. A sostegno della transizione del Paese “attendiamo con impazienza una partnership a lungo termine che possa fungere da modello appropriato di sostegno per l’azione per il clima dai Paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo”.
    “Questa partnership è una novità globale e potrebbe diventare un modello su come supportare la giusta transizione in tutto il mondo”, ha aggiunto la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. “Unendo le forze, possiamo accelerare l’eliminazione graduale del carbone nei paesi partner, sostenendo al contempo le comunità vulnerabili che dipendono da esso. Garantire una transizione giusta è una priorità per l’UE, sia in patria che all’estero”.

    A margine della COP26 di Glasgow, Bruxelles insieme a Francia, Germania, Regno Unito e USA lancia un’iniziativa finanziaria per la transizione energetica del Paese. Il presidente Ramaphosa: “Serve sostegno a lungo termine all’azione per il clima delle economie in via di sviluppo”

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    UE e Australia rimandano i colloqui commerciali, pesa il caso dei sottomarini

    Bruxelles – Il ministero del Commercio australiano ha confermato che i colloqui per il raggiungimento di un accordo commerciale con l’Unione europea sono stati rimandati. Il ministro Dan Tehan ha affermato che il meeting è stato spostato di un mese e si terrà il prossimo novembre alla presenza di Valdis Dombrovskis
    La notizia segue le tensioni tra Australia e Paesi europei scaturite in seguito alla nascita di AUKUS. Il partenariato strategico tra Washington, Canberra e Londra aveva portato alla cancellazione di una commessa della francese Naval Group per la costruzione di una flotta di sottomarini per l’Australia – valore stimato intorno ai 40 miliardi di euro.
    La Commissione aveva scelto di prendere le parti del Governo francese, che aveva ritirato i suoi ambasciatori in Australia e negli Stati Uniti. In quell’occasione la presidente Ursula von der Leyen aveva messo in dubbio la possibilità di proseguire nei colloqui commerciali con il governo australiano.
    La crisi tra Francia e Stati Uniti si è un poco alleggerita, in seguito ad una telefonata tra Emmanuel Macron e Joe Biden. L’Eliseo ha disposto di far rientrare l’ambasciatore a Washington, ma si è rifiutata di fare altrettanto per il suo rappresentante in Australia.
    La Commissione ha chiarito che la volontà di rimandare i colloqui non è una rappresaglia per gli avvenimenti dello scorso mese. Tehan si è invece rifiutato di rispondere in merito all’influenza della questione dei sottomarini sulla decisione di spostare l’evento.

    I colloqui per il raggiungimento di un accordo si terranno a novembre. Per la Commissione non si tratta di una rappresaglia, mentre il Ministro australiano si è rifiutato di commentare sull’influenza di AUKUS nella scelta

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    La Francia prova a frenare il Consiglio commercio e tecnologia UE-USA

    Bruxelles – È il giorno dell’inaugurazione del Consiglio per il commercio e la tecnologia UE-Stati Uniti (TCC) a Pittsburgh, in Pennsylvania. Ma c’è un Paese in Europa che non sta festeggiando: la Francia, che anzi sta cercando di frenare quanto più possibile le prospettive di lungo respiro dell’organismo, progettato per coordinare la cooperazione tra le due sponde dell’Atlantico nell’ambito tecnologico e digitale.
    Alla base di questa posizione – in contrasto con gli altri 26 Stati membri UE – ci sono le frizioni di Parigi con le istituzioni europee, che non si sarebbero spese abbastanza per difendere gli interessi francesi (e di conseguenza europei) nella disputa sui sottomarini. L’accordo tra Gran Bretagna, Australia e Stati Uniti, noto come AUKUS, è stato sì causa di tentennamenti da parte della Commissione Europea sulla possibilità di rinviare la prima riunione del TCC, ma alla fine l’esecutivo comunitario ha stabilito che il nuovo sodalizio internazionale non ha ripercussioni così pesanti su Bruxelles da poter mettere in discussione il partenariato con Washington.
    Secondo quanto riportato da alcune fonti di Bruxelles a Reuters, il governo di Parigi voleva eliminare dalla dichiarazione congiunta il riferimento a un secondo incontro del TCC nella primavera del 2022, ma anche la proposta di un’alleanza sulla catena di approvvigionamento di semiconduttori, in cui UE e Stati Uniti si definiscono “reciprocamente dipendenti”. L’approccio francese spingerebbe verso una maggiore cautela nelle relazioni europee con Washington, con il rapporto di fiducia tra le due sponde dell’Atlantico che dovrebbe essere ricostruito su nuove basi.
    In attesa della dichiarazione congiunta (fonti dell’esecutivo comunitario hanno confermato che non è prevista una conferenza stampa), il tema più caldo sul tavolo oggi riguarda proprio la carenza di microchip e l’approvvigionamento sul medio termine. I funzionari della Commissione hanno fatto sapere che Washington e Bruxelles si confronteranno per unire le forze e “parlare insieme” con i produttori e i partner globali. Altre questioni di principale interesse sono lo sviluppo e i limiti da porre all’uso dell’intelligenza artificiale e la concorrenza ed esportazione di nuove tecnologie.
    Per l’Unione Europea, a co-presiedere alla riunione inaugurale del Consiglio per il commercio e la tecnologia saranno i vicepresidenti esecutivi della Commissione UE Margrethe Vestager (per il Digitale) e Valdis Dombrovskis (per l’Economia). Le controparti statunitensi saranno il segretario di Stato, Antony Blinken, la segretaria per il Commercio, Gina Raimondo, e la rappresentante per il Commercio, Katherine Tai.

    Secondo quanto riportano le fonti di Bruxelles, dopo la disputa sui sottomarini il governo di Parigi ha provato a modificare la dichiarazione congiunta che sarà pubblicata al termine della riunione inaugurale del TCC a Pittsburgh