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    L’Unione europea sigla un accordo con l’Azerbaigian per raddoppiare le importazioni di gas entro il 2027

    Bruxelles – 20 per cento. E’ la quota di gas russo proveniente da gasdotto che l’Unione europea ha importato quest’anno da Mosca. Un livello molto inferiore rispetto al 40 per cento (circa 150 miliardi di metri cubi di gas) che in media ha importato negli ultimi anni, ma siamo ancora lontani dall’obiettivo di affrancare l’UE dagli idrocarburi russi. Bruxelles punta “a compensare” quel 20 per cento, diversificando i suoi fornitori e a tale scopo la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, ha siglato oggi (18 luglio) un protocollo d’intesa con l’Azerbaigian per raddoppiare le importazioni di gas naturale azero ad almeno 20 miliardi di metri cubi all’anno entro il 2027.
    “Con questo protocollo d’intesa, stiamo aprendo un nuovo capitolo nella nostra cooperazione energetica con l’Azerbaigian, un partner chiave nei nostri sforzi per abbandonare i combustibili fossili russi”, ha detto in conferenza stampa a Baku la presidente dell’esecutivo, affiancata dal presidente azero Ilham Aliyev. L’UE sta cercando fornitori alternativi alla Russia, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca e la decisione assunta a livello politico di dire addio ai combustibili fossili importati dalla Russia al più tardi entro il 2027. Secondo la Commissione europea, l’Azerbaigian sta già aumentando le consegne di gas naturale nell’UE da 8,1 miliardi di metri cubi registrati a fine 2021 a 12 miliardi di metri cubi previsti nel 2022, si legge nella nota dell’Esecutivo comunitario.
    Il corridoio meridionale del gas
    Il gas naturale proveniente dal giacimento gigante di Shah Deniz nel settore azero del Mar Caspio arriva in Europa attraverso il corridoio meridionale del gas, il Southern Gas Corridor, una vera e propria infrastruttura di approvvigionamento di gas naturale dalle regioni del Caspio e del Medio Oriente all’Europa, che si basa su tre componenti principali: il South Caucasus Pipeline (SCP), il gasdotto che segue la rotta dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan e arriva fino al confine tra Georgia e Turchia; il gas azero, dopo essere arrivato in Turchia, prosegue poi attraverso il TANAP (Trans Anatolian Pipeline) al confine turco-greco a Kipoi, che attraversa la Grecia e l’Albania e il Mar Adriatico; prima di approdare in Italia, a San Foca (in Puglia) attraverso il gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline).
    Proprio il Tap avrà un ruolo particolarmente importante per l’aumento dei flussi di gas azero, dal momento che è l’ultimo tratto del Corridoio meridionale del gas che va dalla Grecia all’Italia, e Bruxelles prevede la necessità di lavori aggiuntivi per aumentare i flussi dagli attuali 8,1 miliardi di metri cubi registrati a fine 2021 ai 12 del prossimo anno”, ha spiegato un funzionario europeo spiegando i dettagli dell’accordo. A novembre sono previsti i primi “stress test” per comprendere le potenzialità di aumento di flussi attraverso l’infrastruttura che, in quanto progetto di interesse comune europeo (PCI) è stato finanziato con sovvenzioni europee e lo stesso sarà per i lavori aggiuntivi.
    Dato l’obiettivo di aumentare i volumi di gas, il memorandum contiene anche un impegno a ridurre le emissioni di metano lungo l’intera catena di approvvigionamento del gas. Il metano è tra i peggiori gas inquinanti atmosferici che contribuisce ai cambiamenti climatici: intrappola più calore rispetto alla CO2, ma si decompone nell’atmosfera più rapidamente, quindi impegnarsi per tagliare queste emissioni dovrebbe avere un impatto più rapido sul surriscaldamento globale. Non solo gas, Bruxelles punta su Baku anche in termini di energia pulita, in particolare nell’eolico offshore e nell’idrogeno verde. Con il memorandum, ha riferito von der Leyen, “stiamo gettando le basi per una solida cooperazione in quell’area. Quindi, gradualmente, l’Azerbaigian si evolverà dall’essere un fornitore di combustibili fossili a diventare un partner di energia rinnovabile molto affidabile e importante per l’Unione Europea”.
    Von der Leyen parla dell’Azerbaigian come di un partner “affidabile” dal punto di vista energetico. Lo stesso aveva detto, appena un mese fa, dell’Egitto, quando era volata al Cairo a metà giugno per siglare un memorandum d’intesa con cui Egitto e Israele si sono impegnati a incrementare le esportazioni di gas naturale verso il Continente. Nel quadro del suo piano ‘RepowerEu’ per liberarsi dagli idrocarburi in arrivo da Mosca, Bruxelles stima che sarà necessario aumentare le sue importazioni di gas da fonti non russe, principalmente gas naturale liquefatto (+50 miliardi di metri cubi), ma anche gas proveniente da gasdotto (+10 bcm) visti i limiti infrastrutturali di molti Paesi membri UE che dispongono di pochi rigassificatori sul proprio territorio. L’UE ha già siglato un accordo con gli Stati Uniti per la consegna di almeno 15 miliardi di metri cubi di Gnl nel 2022 e circa 50 miliardi di metri cubi all’anno almeno fino al 2030. Cresce l’insicurezza dell’Ue sugli approvvigionamenti di gas dal momento che è iniziata la scorsa settimana la manutenzione programmata del gasdotto Nord Stream 1 che porta gas russo in Germania attraverso il Mar Baltico. Impianti fermi almeno fino a giovedì 21 luglio, ma si teme un prolungamento del fermo anche oltre.

    Fino a 20 miliardi di metri cubi di gas entro cinque anni. Baku “partner cruciale”, dice la presidente von der Leyen, per la diversificazione degli approvvigionamenti all’Europa e in particolare per l’Italia. Bruxelles mette in conto nuovi lavori sul tratto del gasdotto Tap (Trans Atlantic Pipeline) per portare i flussi dagli attuali 8 miliardi di metri cubi a 12 già il prossimo anno

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    I leader del G7 si coordinano per sostenere l’Ucraina e per affrontare le crisi di insicurezza alimentare ed energetica

    Bruxelles – Unione Europea, Stati Uniti e G7, i leader delle maggiori economie mondiali scendono in campo a sostenere l’Ucraina e a cercare soluzioni coordinate alle crisi scatenate dall’invasione russa in Ucraina: alimentare ed energetica, in primis. “Continueremo a coordinare gli sforzi per soddisfare le urgenti esigenze” di Kiev “in termini di equipaggiamento militare e di difesa”, si legge nelle conclusioni del vertice dei leader G7 in Baviera, a Schloss Elmau. Il coordinamento riguarderà “la fornitura di materiale, l’addestramento e il supporto logistico, di intelligence ed economico per costruire le forze armate ucraine”, hanno messo in chiaro i leader di Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti, insieme alla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e del Consiglio, Charles Michel.
    Il vertice dei leader del G7 a Schloss Elmau, Baviera (27 giugno 2022)
    A livello internazionale c’è l’intenzione di “rimanere fermi nel nostro impegno verso le misure di sanzioni coordinate senza precedenti” in risposta all’invasione russa, “il cui impatto si aggraverà nel tempo”. Sul regime di Putin sarà intensificata la pressione economica e politica – ma anche “sui suoi sostenitori in Bielorussia” – per privare il Cremlino dei mezzi economici per continuare la guerra in Ucraina: “Continueremo a utilizzare in modo mirato le sanzioni coordinate per tutto il tempo necessario, agendo all’unisono in ogni fase”, hanno concordato i leader del G7. L’uso delle misure restrittive contro Mosca “è in difesa dell’ordine internazionale basato sulle regole”, che il Cremlino ha violato “in modo così eclatante”.
    Sul capitolo della sicurezza alimentare, le conclusioni sottolineano “l’unione e la determinazione” nel sostenere l’Ucraina “nella produzione e nell’esportazione di grano, olio e altri prodotti agricoli”, percuotendo allo stesso tempo “iniziative coordinate che stimolino la sicurezza alimentare globale e affrontino le cause dell’evoluzione della crisi alimentare mondiale”. I leader del G7 hanno intimato al Cremlino di cessare “senza condizioni” gli attacchi alle infrastrutture agricole e di trasporto dei cereali, oltre a “consentire il libero passaggio delle spedizioni dai porti ucraini nel Mar Nero”. L’aggressione armata russa – “caratterizzata da bombardamenti, blocchi e furti” – in questi mesi ha “gravemente impedito” a Kiev di esportare prodotti agricoli “e sta ostacolando la sua capacità di produzione”, con “forti aumenti dei prezzi e l’aumento dell’insicurezza alimentare globale per milioni di persone“. Una situazione che il presidente Michel, ha definito un “missile alimentare lanciato dalla Russia contro i più vulnerabili”, dopo il confronto con il presidente del Senegal e dell’Unione Africana, Macky Sall: “Sostengo personalmente il suo appello perché l’UA diventi membro del G20”, ha spiegato in un tweet, sottolineando la necessità di “ripetere con l’Africa ciò che abbiamo fatto con i vaccini”, ovvero “sostenere la produzione locale di fertilizzanti sostenibili per migliorare la produzione”.

    Food missile launched by Russia against most vulnerable.
    Let’s repeat with Africa what we did on vaccines.
    Support local manufacturing of sustainable fertilisers and other inputs to enhance production.
    I personally back call of @Macky_Sall for #AU to become member of @g20org pic.twitter.com/9O6AQ3Rcm6
    — Charles Michel (@CharlesMichel) June 27, 2022

    Ma è l’energia a occupare il nucleo centrale delle discussioni tra i leader del G7 sulle conseguenze dell’aggressione russa in Ucraina. In un incontro aperto anche ad Argentina, India, Indonesia, Senegal e Sudafrica, è stato concordato l’obiettivo di “esplorare le opzioni per decarbonizzare il mix energetico e accelerare la transizione dalla dipendenza dai combustibili fossili“. A questo si aggiunge la “rapida espansione” delle fonti energetiche pulite e rinnovabili e l’efficienza energetica: tutti sforzi che includono la “graduale riduzione del carbone e l’aumento della quota di energie rinnovabili nel mix energetico”. Alla base dell’accordo globale c’è la collaborazione “con particolare attenzione” alle riforme delle politiche energetiche per “accelerare la decarbonizzazione delle economie verso l’azzeramento delle emissioni“, garantendo allo stesso tempo “l’accesso universale a un’energia sostenibile e a prezzi accessibili e offrendo benefici socioeconomici e opportunità di sviluppo in linea con l’Agenda 2030”.
    Discussioni che riguardano da vicino l’Unione Europea e, per questo motivo, si è rafforzata l’intesa con il maggiore tra i partner, gli Stati Uniti del presidente Joe Biden. Nella dichiarazione congiunta firmata dalla presidente von der Leyen è stato messo nero su bianco che Bruxelles e Washington intensificheranno gli sforzi per “ridurre ulteriormente le entrate della Russia derivanti dall’energia nei prossimi mesi“, ma anche per “ridurre la dipendenza dell’UE dai combustibili fossili russi, diminuendo la domanda di gas naturale, cooperando sulle tecnologie di efficienza energetica e diversificando le forniture”. Una risposta coordinata che passa dalla task force Ue-Stati Uniti sulla sicurezza energetica europea (istituita lo scorso 25 marzo), per rispondere al “continuo utilizzo del gas naturale come arma politica ed economica“, che “ha esercitato pressioni sui mercati energetici, aumentato i prezzi per i consumatori e minacciato la sicurezza energetica globale”.

    Discussion with our G7 partners on climate and health.
    Climate change affects us all. So we must maintain our ambitious climate goals. This requires close, inclusive international coordination.
    Renewables will play a key role in ensuring both ambition and security of supply. pic.twitter.com/huxchi37a8
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) June 27, 2022

    Al centro del vertice G7 a Schloss Elmau (Baviera) il proseguo degli sforzi internazionali per rispondere alle conseguenze della guerra russa contro Kiev, che si stanno ripercuotendo in particolare sul continente europeo e africano: “Rimaniamo fermi nel nostro impegno”

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    Il premier croato Plenković indica all’UE la “cifra storica” del nuovo millennio: “Le nostre democrazie contro le autocrazie”

    Bruxelles – Democrazie contro autocrazie, “questa è la cifra storica del momento in cui viviamo”. Nel suo intervento alla mini-sessione plenaria del Parlamento UE a Bruxelles, il premier della Croazia, Andrej Plenković, è stato particolarmente chiaro nell’illustrare la posizione che l’Unione deve continuare a portare avanti nell’approccio alla guerra russa in Ucraina e sul piano della dimensione esterna: “Siamo all’apice degli standard globali di democrazia, dobbiamo prendere la leadership della difesa e della promozione dei valori fondamentali, soprattutto nei confronti dei nostri vicini”.
    Il primo ministro della Croazia, Andrej Plenković, alla plenaria del Parlamento UE a Bruxelles (22 giugno 2022)
    Considerando lo “stravolgimento dell’ordine internazionale” provocato dall’invasione russa dell’Ucraina, il premier croato ha iniziato la propria analisi dalle cause che l’hanno determinato. “Mosca ha rilevato e interpretato una serie di debolezze dell’Occidente nel contesto generale“, che vanno dall’abbandono dell’Afghanistan “nel modo non più decoroso possibile” alla Brexit, passando dalla svolta politica epocale in Germania e gli appuntamenti elettorali in Francia: “Su scala più grande, la Russia si è comportata nello stesso modo del 2008, quando dopo le Olimpiadi di Pechino ha invaso la Georgia”, in un parallelismo con l’aggressione militare dell’Ucraina iniziata dopo la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi invernali di febbraio, sempre a Pechino.
    Ma nel 2022 “abbiamo assistito a un’enorme mobilitazione internazionale” a favore dell’Ucraina, che come ultimo stadio sta portando i Ventisette – e la Croazia “senza ambiguità” – a sostenere la richiesta di adesione di Kiev all’UE: “C’è una posizione comune sul riconoscimento, che sarà confermata al Consiglio di domani“, ha confermato il premier Plenković. Ma Zagabria è tra gli avanguardisti dell’allargamento dell’Unione: “Sosteniamo anche il conferimento dello status a Moldova e Georgia, perché la scelta di offrire la prospettiva europea è un’evoluzione politica cruciale per l’architettura del nostro continente“, o, in altre parole “una svolta enorme nel dibattito sull’Europa e nei confronti di Paesi che ancora non appartengono all’Unione”.
    E proprio su questo punto il premier della Croazia non ha nascosto che l’UE deve lavorare di più sul piano dell’allargamento ai Balcani Occidentali, in particolare nei confronti della Bosnia ed Erzegovina: “Siamo a favore del riconoscimento dello status di Paese candidato all’adesione anche per Sarajevo, non può essere l’ultima ruota del carro, sarebbe ingiustizia storica“, ha attaccato Plenković. Il tema è delicato e coinvolge direttamente i principi-cardine del processo di adesione all’UE (a cui la Bosnia non si è ancora pienamente allineata). Per questo motivo non sono attesi particolari passi in avanti al vertice UE-Balcani Occidentali in programma a Bruxelles appena prima dell’inizio del Consiglio, anche se la Slovenia – sostenuta da Zagabria – dovrebbe presentare una proposta per allineare Sarajevo a Kiev e Chișinău.
    La spinta in avanti di Zagabria deriva anche dal suo “approccio moderno alla sovranità“, come l’ha definito Plenković, ovvero una politica che mira a “raggiungere i nostri obiettivi nazionali, ma lavorando strettamente insieme ai partner e agli amici europei, superando le difficoltà attraverso la solidarietà comune che ci contraddistingue“. Un approccio che ha permesso a “un Paese che è stato riconosciuto a livello internazionale solo 30 anni fa” di continuare a promuovere “la nostra scelta europea”. È così che la Croazia è riuscita non solo ad aderire all’UE nel 2013, ma anche a “rispettare gli obiettivi economici e finanziari per diventare il 20esimo membro dell’Eurozona“. Dal primo gennaio del 2004 Zagabria riuscirà a realizzare “l’obiettivo di più profonda integrazione”, cioè l’adozione della moneta unica. “Ora attendiamo anche l’ingresso nell’area Schengen”, ha esortato Parlamento e Consiglio il premier croato.
    Nell’ottica della sovranità strategica dell’Unione Europea – un’altra forma di “approccio moderno alla sovranità”, per usare le parole di Plenković – la Croazia può rappresentare “un hub energetico da rafforzare, grazie alla nostra posizione geostrategica”. Zagabria sta potenziando un terminale di gas naturale liquefatto (GNL) “portandolo da 2,9 milioni a 6 milioni di metri cubi, con investimenti che serviranno non solo per la nostra economia, ma potenzialmente anche per Bosnia, Slovenia e Ungheria”. Inoltre, “l’oleodotto nell’Adriatico del Nord potrebbe rifornire anche le raffinerie in Serbia e in Slovacchia”, ha sottolineato il primo ministro croato. Gli investimenti in gasdotti, oleodotti e terminali GNL si iscrivono nella strategia di “diventare indipendenti dalle fonti fossili della Russia, garantendo la sicurezza di approvvigionamento energetico ai nostri cittadini e imprese attraverso reti energetiche europee“, per riprendere a una crisi da cui “nessuno rimarrà immune”, ha concluso il suo intervento il premier Plenković.

    Nel suo intervento alla sessione plenaria del Parlamento Europeo, il primo ministro della Croazia ha esortato l’Unione a “promuovere la leadership anche nella sfera esterna” e a riconoscere lo status di Paese candidato all’adesione a Ucraina, Moldova, Georgia e Bosnia ed Erzegovina

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    Serbia e Kosovo hanno raggiunto a Bruxelles un’intesa per l’attuazione degli accordi in ambito energetico

    Bruxelles – Piccoli passi di disgelo sulla strada del dialogo Pristina-Belgrado facilitato dall’UE. I negoziati a livello tecnico condotti oggi (martedì 21 giugno) a Bruxelles tra i capi-negoziatori di Kosovo, Besnik Bislimi, e Serbia, Petar Petković, hanno prodotto un’intesa per una tabella di marcia che fissa obiettivi specifici per l’attuazione degli Accordi sull’energia del 2013 e del 2015, finora attuati solo parzialmente.
    Come rilevato dal Servizio per l’azione esterna dell’UE (SEAE), l’importanza di questa intesa sulla roadmap per l’energia riguarda il fatto che i due accordi siglati da Serbia e Kosovo presentavano “elementi rilevanti ancora in sospeso”. Dopo mesi di tensione tra Pristina e Belgrado, questo primo – parziale – gesto di riavvicinamento è considerato da Bruxelles “un passo avanti nella normalizzazione delle relazioni, a beneficio di tutti i cittadini“, che dovrebbe dare la spinta per “compiere progressi in tutte le altre attività di attuazione ancora in sospeso”. Tra queste c’è anche quella relativa alla creazione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, vale a dire una comunità di municipalità kosovare a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia, e che al momento Pristina non vuole riconoscere (non rispettando così l’accordo del 2013).

    Good news from the #Brussels-led 🇽🇰 – 🇷🇸 #Dialogue.
    After the year of tensions, we’ve a concrete Action Plan on the implementation of 2013 Energy provisions that will facilitate the energy situation in North of Kosovo. Full trust in @MiroslavLajcak to keep up with the progress. https://t.co/WBV0vPVRFr
    — Viola von Cramon (@ViolavonCramon) June 21, 2022

    L’ottimismo di Bruxelles non è ingiustificato, dal momento in cui l’intesa sull’energia siglata tra Serbia e Kosovo riguarda proprio uno dei punti più controversi del rapporto tra i due Paesi balcanici: la fornitura di elettricità alle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. L’accordo garantisce a Elektrosever (società di proprietà serba stabilita in Kosovo e soggetta alla legge kosovara) di operare nelle quattro municipalità settentrionali, “aprendo la strada verso la fine dell’attuale pratica non trasparente e non regolamentata“. Il segretariato della Comunità dell’Energia sarà incaricato di monitorare l’attuazione tecnica dell’accordo commerciale tra Elektrosever e KEDS, la società kosovara di distribuzione dell’energia. Dal 2008 – dopo la dichiarazione d’indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia – queste quattro municipalità hanno goduto di un regime non legale di gratuità dalle bollette dell’energia elettrica, il cui deficit è stato coperto fino al 2017 dai contribuenti del resto del Paese e che ha aperto la strada fino all’inizio di quest’anno a un’intensa attività di estrazione di criptovalute.
    Particolare soddisfazione per l’accordo tra Serbia e Kosovo sulla tabella di marcia per l’energia è stata espressa dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, al termine di una conversazione telefonica con il premier kosovaro, Albin Kurti, e con il presidente serbo, Aleksandar Vučić: “Si tratta di un grande e importante passo in avanti nel dialogo facilitato dall’UE e porterà a risultati concreti per tutti i cittadini”, ha ribadito Borrell, dicendosi “fiducioso” di continuare a lavorare sui prossimi obiettivi dell’intesa tra i due Paesi.

    Spoke to @avucic and @albinkurti to congratulate them on reaching an agreement on the energy roadmap today.
    This is a big & important step forward in the EU-facilitated Dialogue and will deliver concrete results for all citizens. We look forward to continue working on next steps https://t.co/5r2jS0SX8n
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) June 21, 2022

    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    All’interno del dialogo facilitato dall’Unione Europea, i capi-negoziatori di Pristina e Belgrado hanno concordato la tabella di marcia che specifica anche obblighi e diritti per la fornitura di elettricità alle quattro municipalità settentrionali del Kosovo a maggioranza serba

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    Dopo l’Algeria l’Angola e il Congo, nuove missioni dell’Italia per smarcarsi dall’energia russa

    (di Dario Borriello) Roma – Serve la pace, o almeno un ‘cessate il fuoco’, basta che arrivi in fretta. E serve “più europeismo, non il sovranismo”, che rischierebbe solo di far chiudere il Vecchio continente in se stesso. Parola di Luigi Di Maio, che ribadisce l’urgenza di uno stop al conflitto in Ucraina e dunque di “riattivare il processo di dialogo” con Mosca che eviterebbe pericolose escalation, sia per la sicurezza dell’Occidente, sia da un punto di vista umanitario, sociale ed economico. Ecco perché “dobbiamo sempre mantenere un canale aperto” con il governo russo. Al quale non concede sconti, perché “le atrocità sono sotto i nostri occhi, come i bambini e i civili uccisi”, ma contro cui nemmeno affonda il colpo: “L’Italia non ha gli elementi per verificare se in Ucraina stia avvenendo un genocidio”.
    Sullo sfondo di questa totale incertezza diplomatica ed economica, restano problemi enormi da risolvere in tempi decisamente stretti. La crisi energetica è solo la punta dell’iceberg, pericolosa tanto quanto l’aumento dei prezzi dei beni primari e alimentari. “Stiamo facendo battaglie importantissime in Ue, come il tetto massimo al prezzo del gas, per fermare le speculazioni”, a causa delle quali “le bollette di famiglie e imprese stanno arrivando a +400 per cento”. Il governo si sta muovendo per creare nuove partnership che permettano al nostro Paese di non dipendere più per oltre il 40per cento dalle importazioni dalla Russia: dopo aver firmato i primi accordi con l’Algeria per 9 miliardi di metri cubi in più, il piano d’azione per la diversificazione delle fonti proseguirà il 21 e 22 aprile prossimi, con la missione del presidente del Consiglio, Mario Draghi, in Angola, dove vedrà il presidente della Repubblica, Joao Manuel Goncalves Lourenco, e a Brazzaville, in Congo, per incontrare il presidente, Denis Sassou N’Guesso.
    Con il premier dovrebbero esserci, oltre a Di Maio, anche il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. La loro presenza, però, sarà legata soprattutto alla sottoscrizione di nuovi contratti di fornitura. “Nell’ultimo mese sono stato in Azerbaijan, Qatar, Congo, Angola, Mozambico e Algeria e abbiamo costruito i presupposti per nuove partnership energetiche sul gas. L’obiettivo è diversificare, affrancarci dalla dipendenza da un solo Paese”, ripete il ministro degli Esteri. Che implicitamente ammette gli errori compiuti dalla politica in passato, ritardando colpevolmente la virata sulla strategia energetica. Ma allo stesso tempo vuole guardare avanti: “Il miglior modo per raggiungere l’indipendenza è spingere molto di più sulle rinnovabili”, sottolinea. Per questo “sono contento che nell’ultimo decreto siamo riusciti a eliminare un po’ di pastoie burocratiche che bloccano le istallazioni di fotovoltaico, eolico e anche di altri tipi rinnovabili”.
    Tutto pur di liberare l’Italia – e l’Europa – dal “ricatto” della Russia. E del suo presidente, Vladimir Putin, sul quale Di Maio scarica tutte le colpe della crisi del gas: “Il problema, sostanzialmente, lo ha costruito lui quando ha iniziato a chiedere di farsi pagare in rubli”. Con il meccanismo della doppia valuta che, peraltro, non è possibile: “Significherebbe aggirare le sanzioni che sono state imposte alla Banca centrale russa”. E non sembra proprio il momento più adatto, ora che i primi effetti si fanno sentire sulla carne viva di Mosca: “Putin perderà il 10 per cento di Pil quest’anno, noi non abbiamo perso così tanto nemmeno nel primo anno della pandemia, e ha il 15 per cento inflazione in questo momento: sono numeri non sostenibili per l’economia russa. Certo, non mi rallegra ma sappiamo che è l’unico modo pacifico per colpire la sua volontà di continuare questa guerra”. Un motivo in più, per l’Europa, per accelerare l’iter del sesto pacchetto, che toccherà anche gas e petrolio, anche se resiste l’opposizione di una parte minoritaria dei Paesi UE.
    L’Italia, però, va avanti. “Le famiglie e le imprese italiane stanno pagano un alto prezzo, ma per l’invasione russa, non per le sanzioni – conclude Di Maio -. Dal Porto di Odessa usciva il 70 per cento del mais che arrivava in l’Italia, per questo il costo di alcuni beni di prima necessità stanno salendo, ed è per questo che la guerra deve finire prima possibile”.

    Il 21 e 22 aprile Mario Draghi e Luigi di Maio a Luanda e Brazzaville per accordi che mettano il Paese al riparo dagli effetti della guerra in Ucraina. Il titolare della Farnesina: “Spingere su rinnovabili, e riaprire il canale del dialogo con Putin”

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    Gas e petrolio russi, il Consiglio affari esteri ufficialmente non parlerà di embargo

    Bruxelles – Gas e petrolio russi, il Consiglio affari esteri ufficialmente non parlerà di embargo ai principali prodotti energetici di cui l’Unione europea è fortemente dipendente. In occasione della riunione dei 27 ministri degli Esteri di lunedì (11 aprile) il tema “non sarà sul tavolo”, fanno sapere fonti UE, nonostante il voto dell’Europarlamento che solleva il tema e nonostante la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, abbia espressamente detto proprio in Aula che dopo le misure contro il carbone al centro del quinto pacchetto di sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina è ora tempo di iniziare a ragionare sul petrolio.
    Eppure l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, nell’agenda dei lavori che pure prevede la questione ucraina tra i temi di confronto, ha deciso di non inserire la discussione di una stretta sugli acquisti di gas e petrolio. Una scelta per certi versi a sorpresa, che però non sorprende del tutto. Tra i Ventisette c’è chi dipende in maniera molto più forte di altri dalle risorse fornite da Mosca e dalle sue controllate. E’ soprattutto il quadrante orientale – Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia, Bulgaria – ad essere più esposto, e quindi colpita, da un eventuale stop agli acquisti. “Su gas e petrolio servirà comunque l’unanimità, tra Paesi che hanno dipendenze energetiche diverse“, riconoscono le stesse fonti, che non nascondono la complessità delle decisioni da prendere e la delicatezza del tema. “Ci sono difficoltà tecniche e politiche” sull’argomento. Dunque, meglio non parlarne, per evitare spaccature e tensioni che possano offrire l’immagine di un’Europa fin qui unita e decisa nella risposta all’invasione della Russia.
    Si gioca la carta delle tempistiche per giustificare la scelta di tenere fuori sul tavolo le questioni di gas e petrolio. “E’ stato appena approvato un quinto pacchetto di sanzioni, molto sostanzioso”. Troppo presto, in sostanza, per iniziare a ragionare su un sesto set di misure restrittive”. Però il senso di necessità di intervento è avvertito, come l’irritazione per chi ancora punta i piedi. “E’ un fatto che i Paesi che pagano per petrolio e gas russo danno forza economica a Putin“, si ragiona a denti stretti tra gli addetti ai lavori.
    Sarebbe nell’interesse di Borrell e dell’Unione un’accelerazione sull’argomento, ma certo è che bisogna tenere conto della fattibilità della cosa. Le ripercussioni economiche potrebbero essere di forte entità, specie tra i membri del club a dodici stelle che maggiormente hanno bisogno dell’energia russa per il proprio sistema produttivo. Ad ogni modo “trattandosi di un dibattito politico, non escludiamo che qualcuno possa sollevare il tema” durante i lavori di lunedì.
    Se il Consiglio affari esteri ufficialmente non parlerà di embargo al petrolio e al gas di Russia, emerge l’eventualità che il punto sarà discusso in via informale. A ben vedere questa potrebbe essere la soluzione migliore per evitare imbarazzi in caso di divergenze di vedute, su un tema ufficialmente non all’ordine del giorno e per cui, proprio per questo, non sono attese conclusioni. La parola ai ministri. A Bruxelles comunque ribadiscono: “Non se ne parlerà”. Non ufficialmente, almeno.

    Nell’agenda dei lavori non risulta il punto. “Non sarà sul tavolo”, confermano fonti. Possibile un dibattito su richiesta, a questo punto informale, su un argomento divisivo

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    Divieto d’import di carbone e ipotesi stop a petrolio dalla Russia: l’energia è nel quinto pacchetto di sanzioni

    Bruxelles – Sei pilastri per il quinto pacchetto di sanzioni UE contro la Russia, in cui l’energia inizia a ritagliarsi il ruolo di protagonista. Dopo quattro pacchetti che “hanno colpito duramente e limitato le opzioni politiche ed economiche del Cremlino, con risultati tangibili”, la Commissione Europea ha deciso di reagire alle “immagini raccapriccianti di Bucha” proponendo ai governi una nuova tornata di misure restrittive, per “sostenere la massima pressione su Putin e sul governo russo in questo momento critico”. Lo hanno annunciato la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sottolineando la necessità di rendere le sanzioni contro la Russia “ancora più ampie e dure”.
    Il primo pilastro della quinta tornata di misure restrittive è il divieto di importazione di carbone dalla Russia, “un mercato che ha un valore di 4 miliardi di euro all’anno”. Sempre sul piano energetico – anche se per il momento non rientra in questo pacchetto – si inizia a considerare anche lo stop alle importazioni di petrolio, su cui “siamo al lavoro”, ha precisato la presidente von der Leyen. Previsto poi il taglio delle transazioni verso quattro banche che rappresentano il 23 per cento della quota di mercato nel settore bancario russo, “tra cui la VTB, la seconda più grande banca russa”.
    La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (5 aprile 2022)
    A livello commerciale, alle navi russe sarà vietato di accedere ai porti dell’Unione, con alcune eccezioni previste per il trasporto di beni essenziali, “come i prodotti agricoli e alimentari, gli aiuti umanitari e l’energia”, e lo stesso si applicherà a operatori del trasporto stradale russi e bielorussi. Presi di mira anche settori vulnerabili per Mosca, con un divieto di esportazione di computer quantistici e semiconduttori avanzati “che vale 10 miliardi di euro”, mentre 5,5 miliardi sono quelli che saranno tagliati dalle importazioni di prodotti specifici: legno, cemento, frutti di mare e liquori: “Chiudiamo anche le scappatoie tra la Russia e la Bielorussia”, ha precisato von der Leyen.
    Infine, entrerà in vigore un divieto generale di partecipazione delle imprese russe agli appalti pubblici negli Stati membri e l’esclusione di ogni sostegno finanziario, europeo o nazionale, agli enti pubblici russi, “perché il denaro delle tasse dei nostri cittadini non deve arrivare a Mosca in nessuna forma”. L’alto rappresentante UE Borrell ha anche anticipato che tra le sanzioni contro la Russia “ci sarà anche un aggiornamento della lista degli individui e delle entità” colpiti dalle misure restrittive dell’Unione. In fase di studio anche “alcune idee presentate dagli Stati membri, come tasse o canali di pagamento specifici come un conto di garanzia”, hanno concluso i due leader UE.

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    Gli impegni dei leader G7: indipendenza energetica, fondi per sicurezza alimentare e nuove sanzioni “se necessario”

    Bruxelles – Un’unità “straordinaria”, come l’ha definita il premier Mario Draghi, come forse mai prima d’ora, è quella che è risultata dal vertice dei leader del G7 di oggi (giovedì 24 marzo) sulla risposta alla guerra tra Ucraina e Russia, in linea con le precedenti discussioni in seno alla NATO. “Siamo pronti ad applicare ulteriori misure restrittive come richiesto, se necessario, continuando ad agire in unità nel farlo“, si legge nella dichiarazione conclusiva dell’incontro dei capi di Stato e di governo di Italia, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti e Canada, insieme ai presidenti della Commissione, Ursula von der Leyen, e del Consiglio Europeo, Charles Michel. “Lodiamo quei partner che si sono allineati con noi in questi sforzi”, hanno aggiunto i leader, chiamando a raccolta tutti gli alleati e i Paesi terzi che hanno condiviso i quattro pacchetti di sanzioni (come la tradizionalmente neutrale Svizzera).
    Oltre al sostegno all’Ucraina e alla condanna senza appello dell’aggressione militare scatenata dalla Russia, nelle conclusioni del vertice del G7 è ampio lo spazio dedicato alla questione energetica e alimentare. “Stiamo facendo ulteriori sforzi per ridurre la nostra dipendenza dall’energia russa“, anche attraverso la ricerca di “forniture alternative sicure e sostenibili” e il sostegno “attivo” dei Paesi che vogliono eliminare “gradualmente” la propria dipendenza dalle importazioni di gas, petrolio e carbone russo. In caso di possibili interruzioni delle forniture in arrivo da Mosca, “agiremo in modo solidale e in stretto coordinamento”, mettono in chiaro i leader del Gruppo dei 7. L’appello è rivolto in particolare all’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC), invitati ad “agire in modo responsabile e ad aumentare le consegne ai mercati internazionali”, per assicurare forniture energetiche globali “stabili e sostenibili”. Nessun passo indietro, in ogni caso, sul raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi e del patto sul clima di Glasgow per limitare l’aumento delle temperature a 1,5 gradi centigradi. Sul fronte dell’aumento dei prezzi dell’energia, è stata condannata la decisione di Vladimir Putin di “mettere a rischio la ripresa economica globale, minare le catene globali del valore e di causare gravi impatti sui Paesi più fragili”.
    La preoccupazione dei leader del G7 va oltre l’energia e riguarda anche l’agricoltura, messa sotto pressione dalla guerra scatenata dalla Russia in Ucraina. Nessun divieto di esportazione o misure restrittive al commercio, mercati aperti e trasparenti. Mentre “l’attuazione delle nostre sanzioni contro la Russia tiene conto della necessità di evitare un impatto sul commercio agricolo globale”, sarà necessario adottare misure per “rispondere alla crisi”. Tra queste anche un “uso coerente di tutti gli strumenti e meccanismi di finanziamento” che permettano di “affrontare la sicurezza alimentare e costruire la resilienza nel settore agricolo in linea con gli obiettivi climatici e ambientali”. In questo senso dovranno essere affrontate “potenziali interruzioni della produzione agricola e del commercio”, ma è stato anche annunciato l’aumento del contributo collettivo “alle istituzioni internazionali pertinenti”, come il Programma Alimentare Mondiale (PAM), “per fornire sostegno ai Paesi con insicurezza alimentare acuta”. Al vertice del G7 è stato anche deciso di chiedere una sessione straordinaria del Consiglio dell’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), in modo da affrontare le conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina sul piano della sicurezza alimentare e dell’agricoltura mondiale.
    Sullo sfondo rimane la minaccia nucleare. “L’attacco della Russia ha già messo a rischio la sicurezza dei siti nucleari in Ucraina”, hanno denunciato i leader del G7, avvertendo Mosca che “deve rispettare i suoi obblighi internazionali e astenersi da qualsiasi attività pericolosa“, garantendo il controllo “senza ostacoli” da parte delle autorità ucraine e il pieno accesso all’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica. L’avvertimento sul possibile uso di “armi chimiche, biologiche e nucleari” ricalca quello del vertice NATO, con la denuncia “categorica” della campagna di disinformazione “completamente infondata della Russia contro l’Ucraina, uno Stato che rispetta pienamente gli accordi internazionali di non proliferazione”.
    Rispetto al richiamo esplicito alla Cina della dichiarazione dei leader NATO, i riferimenti a Pechino del Gruppo dei 7 rimangono solo tra le righe: “Esortiamo tutti i Paesi a non dare assistenza militare o di altro tipo alla Russia per aiutare a continuare la sua aggressione in Ucraina”, è la risposta al rischio che il governo cinese possa pendere verso un appoggio militare ed economico. Nella stessa direzione si inserisce la “preoccupazione per altri Paesi che hanno amplificato la campagna di disinformazione della Russia”. In tutte le condanne dell’aggressione dell’Ucraina, non va dimenticato che Cremlino e popolazione non necessariamente coincidono agli occhi del mondo: “I cittadini russi devono sapere che non abbiamo nessun rancore nei loro confronti”, ma “sono Putin, il suo governo e sostenitori – compreso il regime di Alexander Lukashenko in Bielorussia – che stanno imponendo questa guerra e le sue conseguenze”. Una decisione che “infanga la storia del popolo russo”, hanno puntato il dito i leader del G7.

    Al vertice del Gruppo dei Sette decise “ulteriori misure restrittive” ai danni della Russia in caso di nuove escalation. I Paesi esportatori di petrolio chiamati a garantire “forniture stabili e sostenibili” e ad aumentare le consegne in caso di interruzioni da Mosca