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    I più colpiti possono continuare a comprare energia russa, la mossa del G7 che può favorire moratorie sul gas russo

    Bruxelles – La possibilità di “garantire che i paesi più vulnerabili e colpiti mantengano l’accesso ai mercati energetici, anche dalla Russia” adesso fa la sua comparsa nell’agenda politica del G7. Un’eventualità, quella a cui ragionano Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti, tutta da valutare ma che potrebbe permettere di avanzare con le sanzioni nei confronti di Mosca per l’aggressione dell’Ucraina. Non è un controsenso, al contrario la mossa che consentirebbe di procedere verso  moratorie sul gas, ancora non toccato dalle sanzioni, E’ stato chiesto di ridurne i consumi, ma non di fermare gli acquisti. Ciò per evidenti difficoltà sia di approvvigionamenti sia per la forte dipendenza di alcuni Stati membri dell’Ue.
    L’Ungheria acquista da Gazprom il 95 per cento di tutto il gas che importa per permettere funzionamento industriale e vita domestica, la Slovacchia compra sempre dal gigante russo l’85 per cento di tutto il gas di cui ha bisogno, e la Bulgaria soddisfa il proprio fabbisogno per tre quarti (75,2 per cento) acquistano sullo stesso mercato. Anche la Repubblica ceca si affida completamente alla federazione russa per il gas. Se l’Unione europea dovesse ottenere il via libera in sede internazionale per poter continuare a fare acquisti, seppur limitati, nello spazio energetico russo trovare un’intesa sarebbe più semplice.
    I Ventisette hanno diversi sistemi energetici, diversi mix. Non tutti possono permettersi di rinunciare alla Russia allo stesso modo, alcuni molto meno di altri, come visto. La nota congiunta del G7 sulla guerra in Ucraina e le ripercussioni sul settore dell’energia se da una parte condanna sia le manovre militari sia l’utilizzo ricattatorio dell’energia, dall’altra sembra prendere atto della necessità di rivedere le strategie. Indebolire economicamente il Cremlino vuol dire anche ridurre gli introiti derivanti dalle commesse di gas. Nulla di certo, nulla di stabilito.
    “Rimaniamo impegnati a considerare una serie di approcci”, chiariscono i sette governi, incluso quello di sanzioni a geometrie variabili. “Prenderemo in considerazione anche i meccanismi di mitigazione insieme alle nostre misure restrittive per garantire che i paesi più vulnerabili e colpiti mantengano l’accesso ai mercati energetici, anche dalla Russia”.
    Se una porta forse si apre, un’altra invece si chiude. E’ quella del nucleare civile. Alimentare centrali, per chi le ha, vuol dire reperire uranio utile allo scopo. E’ la materia prima indispensabile per alimentare i reattori e produrre energia. Tra i principali produttori di urani c’è proprio la Russia. Qui il G7 è chiaro. Dopo carbone e petrolio, e in attesa di moratorie sul gas, è tempo di mettere un bando anche quest’altra risorsa naturale di cui la federazione russa è ricca. “Ridurremo ulteriormente la nostra dipendenza dal nucleare civile e dai beni correlati dalla Russia”, l’impegno del G7, deciso a lavorare “in solidarietà e in coordinamento” al fine di “stabilizzare i mercati e mitigare gli aumenti dei prezzi dell’energia”.

    Il gruppo dei grandi prende “in considerazione” questa misura di mitigazione, utile per chi dipende fortemente da Gazprom

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    Energia, sanzioni e politica estera, se l’India complica i piani dell’UE nei confronti di Mosca (e non solo)

    Bruxelles – Unione europea e India, due attori diversi per diverse strategie che rischiano di scontrarsi tra loro. A cominciare dall’atteggiamento da tenere nei confronti della Russia. L’UE ha adottato sanzioni senza precedenti per rispondere all’aggressione in Ucraina, e ha intrapreso la via della riduzione di acquisti energetici da Gazprom e Rosfnet, i giganti di gas e petrolio facenti capo al Cremlino. Non solo. Il blocco a dodici stelle ha anche decretato la messa al bando del carbone russo. Al 28esimo parallelo si tende ad agire in modo diametralmente opposto. Da parte indiana c’è “interesse ad acquistare petrolio e carbone russi a basso costo colpiti dalle sanzioni occidentali imposte in risposta all’invasione russa dell’Ucraina”. Questo recita un documento di lavoro del Parlamento europeo, da cui emerge la complessità di relazioni bilaterali e un partner che complica i piani del vecchio Continente.
    Il nodo indiano è legato alla Nazione stessa e alle sue traiettorie di sviluppo. Ci sono livelli di crescita importanti, a ritmi serrati. “Si prevede che l’India diventerà la terza economia più grande del mondo entro la metà degli anni Trenta” di questo secolo. Un processo che richiede un decennio, anno più, anno meno. A patto che ci siano le condizioni energetiche necessarie. Il nodo è economico e politico. L’India ha bisogno di crescere per poter diventare una potenza e accrescere il proprio peso sullo scacchiere internazionale. In prospettiva, “il consumo energetico indiano è destinato a crescere più rapidamente di quello di qualsiasi altra grande economia“, rileva il documento dell’Europarlamento. “Ma il Paese dipende dalle importazioni di energia”.
    Anche l’Unione europea è fortemente dipendente dall’energia, ma ha scelto di fare a meno del mercato russo. Ha avviato una corsa a nuovi fornitori, innescando una domanda e mettendo in moto il mercato. In questa corsa agli approvvigionamenti ha liberato l’offerta di Mosca, lasciando campo libero ai concorrenti. L’India pensa di approfittarne. Non sfugge a Bruxelles che “l‘India, non ha condannato la guerra della Russia all’Ucraina“. Si considera questa linea come il proseguimento “non allineamento in stile Nehru”.Secondo questa lettura, “è proprio questo approccio multipolare che consente all’India di giocare una parte contro l’altra per massimizzare i propri interessi”.
    Conprensibile che il governo indiano voglia agire in nome delle proprie strategie e delle proprie necessità, ma se è vero che da parte indiana c’è “interesse ad acquistare petrolio e carbone russi a basso costo colpiti dalle sanzioni occidentali imposte in risposta all’invasione russa dell’Ucraina”, allora la strategia dell’UE rischia di indebolirsi. Non è chiaro, perché cifre non ve ne sono nel documento dell’Europarlamento, se gli acquisti indiani siano in grado di compensare i mancati introiti europei, ma la voglia di isolare Mosca e fiaccarla da un punto di vista economico rischia di saltare.
    Così come rischiano di saltare le già complicate relazioni con il partner asiatico, membro del G20. L’UE sta faticosamente cercando di negoziare accordi commerciali con Nuova Delhi. Congelati nel 2013, sono stati rilanciati solo quest’anno. Se è la Commissione europea a negoziare a nome degli Stati i partenariati commerciali, il Parlamento ha comunque voce in capitolo. La procedura di “approvazione”, in cui è richiesto il consenso dell’Aula, si applica in caso di adesione di nuovi Stati membri dell’UE e negli accordi commerciali internazionali tra l’UE e i paesi terzi o i gruppi di paesi. 
    Prima della pausa estiva, il 5 luglio 2022, l’Eurocamera ha adottato una risoluzione sulla futura cooperazione commerciale e di investimento UE-India in cui si sottolinea la necessità che le due parti cooperino per affrontare le ripercussioni che la guerra della Russia all’Ucraina”. Nella stessa risoluzione, se da una parte il Parlamento UE “riconosce la posizione neutrale dell’India fin dalla sua indipendenza”, dall’altra parte “deplora la titubanza dell’India nel condannare l’aggressione militare della Federazione russa contro l’Ucraina”.
    L’India dunque complica i piani dell’UE, sotto diversi aspetti. La risposta all’aggressione russa dell’Ucraina, la portata delle sanzioni, le relazioni bilaterali, i rapporti inter-istituzionali tutti comunitari.

    Un documento di lavoro del Parlamento europeo rileva come da parte indiana c’è “interesse ad acquistare petrolio e carbone russi a basso costo colpiti dalle sanzioni occidentali imposte in risposta all’invasione russa dell’Ucraina”

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    Szijarto vola a Mosca per chiedere più gas, con l’Ungheria si sfalda il fronte anti-Russia

    Bruxelles – L’Ungheria si sfila. La politica dell’UE in materia di energia viene nei fatti stralciata dal governo di Viktor Orban, che rompe le righe e discute con Mosca di nuove forniture energetiche e pià gas. Una mossa che vanifica gli sforzi per sottrarsi dalla dipendenza russa, sconfessa la Commissione europea e la sua strategia anti-Gazprom RePowerEU, e che fa della repubblica dell’est l’alleato più prezioso che il Cremlino possa avere in questo momento storico. Il ministro degli Esteri ungherese ha condotto una missione nella capitale russa per tessere, a nome del proprio interesse nazionale, nuove relazioni con la federazione russa. Sono state avanzate richieste di maggiori forniture di gas, che la Russia “valuterà”.
    La visita di Peter Szijjarto e il suo incontro non solo con il ministro degli Esteri del Cremlino, Sergei Lavrov, ma con  il viceprimo ministro, Alexander Novak, e il ministro per il Commercio, Denis Manturov, dimostra l’azione e l’intenzione degli ungheresi. I partner europei non possono non guardare con preoccupazione ad una condotta che sfalda il blocco dei Ventisette. Ma in questo momento l’Ungheria ha deciso che da soli è meglio con gli alleati a dodici stelle. Avanti dunque con l’energia russa.
    Mosca guarda con attenzione questa insubordinazione ungherese, e valuta ricompense. “La situazione politica oggi è complicata”, premette il vice primo ministro russo in riferimento al braccio di ferro tra il suo Paese e l’Europa fatto di sanzioni senza precedenti. “Ma apprezziamo la posizione del governo ungherese, che difende costantemente i propri interessi nazionali”, continua Novak, consapevole che grazie all’Ungheria la morsa europea può allentarsi se non addirittura arrivare a scomparire. “Siamo determinati a sviluppare ulteriormente le nostre relazioni, anche nel settore energetico“. Vuol dire più gas. Un messaggio che vale in realtà per tutti quelli che vorranno seguire le orme ungheresi.
    L’Ungheria sembra aver abbandonato completamente i piani dell’UE. Sicuramente quello della Commissione per ridurre i consumi del 15 per cento della fonte che arriva via tubatura non soddisfa il ‘grande capo’. Parlando ai giovani del suo Paese, Orban mette in chiaro che la solidarietà non rientra nelle opzioni dell’Ungheria contemporanea. “Non vedo come sarà applicata” questa strategia, critica. “Inoltre, se non produce l’effetto desiderato e qualcuno non ha abbastanza gas, verrà sottratto a chi ce l’ha”. Il primo ministro lo dice chiaro e tondo. “Quindi che la Commissione europea sta facendo non è chiedere ai tedeschi di annullare la chiusura delle ultime due o tre centrali nucleari ancora in funzione, che consentono loro di produrre energia a basso costo: è far chiudere quelle centrali. E se esauriscono l’energia, in qualche modo prenderanno il gas da noi che ce l’abbiamo, perché l’abbiamo accumulato. Questo è ciò per cui possiamo prepararci”. ‘No’ a quest’Europa e ‘sì’ alla Russia.

    Il ministri degli Esteri ungherese incontra tre membri del governo russo per rilanciare la cooperazione economica ed energetica. Orban boccia la strategia della Commissione: “Ci rubano le nostre riserve”

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    Il gasdotto Nord Stream 1 è ripartito

    Bruxelles – Dieci giorni di fermo che hanno tenuto l’Europa con il fiato sospeso, ma da questa mattina (21 luglio) alle 6 il gasdotto Nord Stream 1 ha ripreso a pompare gas verso la Germania. Nord Stream 1, gestito dal gigante russo del gas Gazprom, è la principale infrastruttura per il trasporto del gas russo all’Europa, che collega i giacimenti di gas siberiani direttamente alla Germania settentrionale attraverso il Mar Baltico. Gazprom aveva annunciato una manutenzione programmata del gasdotto da lunedì 11 luglio fino al 21 del mese, facendo temere all’Unione europea che i flussi non sarebbero più ripartiti dopo quella data nel contesto delle tensioni con Mosca per la guerra in Ucraina.
    A capacità massima, Nord Stream 1 trasporta circa 55 miliardi di metri cubi di gas da Mosca alla Germania, dove il gas viene poi distribuito in altri Paesi europei. Rappresenta più di un terzo delle esportazioni di gas russo verso l’Unione europea. L’infrastruttura da metà giugno già funzionava al 40 per cento della sua capacità, a causa – ha motivato Mosca – dell’assenza di una turbina servita dalla società tedesca Siemens Energy, in Canada, necessaria per la manutenzione del gasdotto. Secondo il capo del regolatore energetico tedesco, Klaus Müller, i flussi di gas russo attraverso il gasdotto Nord Stream 1 potrebbero raggiungere un livello del 40 per cento della capacità giovedì, ma è rimasta l’incertezza politica sulle forniture. “I flussi di gas reali sul Nord Stream 1 possono oggi raggiungere il livello di pre-manutenzione di circa il 40 per cento di utilizzo (circa 700 gigawattora al giorno). Sfortunatamente, l’incertezza politica e il taglio del 60% da metà giugno rimangono”, ha commentato in un tweet.

    Die realen Gasflüsse auf der #NordStream1 liegen über der Nominierung und können heute das Vor-Wartungsniveau von ca. 40% Auslastung (ca 700 GWh/d) erreichen.Die politische Unsicherheit und die 60%ige Kürzung von Mitte Juni bleiben leider bestehen. @bnetza @bmwk https://t.co/9vwoWkZ439
    — Klaus Müller (@Klaus_Mueller) July 21, 2022

    Il governo di Berlino ha fatto sapere che il ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck e Mueller rilasceranno dichiarazioni alla stampa sul gasdotto Nord Stream 1 e sulla situazione del gas in generale alle 14 di oggi. La preoccupazione crescente dell’Unione europea che le forniture russe di gas inviate attraverso il gasdotto Nord Stream 1 potessero potessero non ripartire, ha spinto la Commissione europea a proporre ieri, sotto forma di una proposta di regolamento, agli Stati membri di ridurre l’utilizzo del gas del 15% fino a marzo come misura di emergenza. Una misura pensata per essere volontaria in un primo tempo, ma che Bruxelles vuole poter imporre in maniera obbligatoria di fronte a una crisi di approvvigionamento.
    La Commissione continua a descrivere la riduzione delle forniture di gas dalla Russia come “un tentativo deliberato di utilizzare l’energia come arma politica”. Le consegne di gas di Mosca agli Stati baltici, Polonia, Bulgaria e Finlandia sono state sospese. Quelle in Germania, Danimarca, Paesi Bassi e Italia sono state ridotte e i flussi attraverso il Nord Stream 1, la più grande rotta di importazione nell’UE, sono stati ridotti del 60 per cento e Mosca usa la dipendenza energetica di Bruxelles per creare instabilità politica. Finora, le importazioni di gas sono state in parte compensate dall’aumento delle importazioni di gas naturale liquefatto (GNL), ma anche questa strategia ha i suoi limiti per la limitata capacità di importazione dell’Ue. Le importazioni di GNL nella prima metà del 2022 sono state del 60 per cento in più rispetto all’anno precedente, raggiungendo tra 11 e 13 miliardi di metri cubi al mese, una cifra vicina all’attuale capacità massima di importazione dell’UE.

    Secondo Berlino i flussi dovrebbero arrivare al 40 per cento della capacità oggi. La principale infrastruttura per il trasporto di gas russo all’Europa era ferma in manutenzione programmata dall’11 luglio per dieci giorni, mentre Bruxelles temeva che non sarebbe ripartita. Resta l’insicurezza energetica

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    Borrell contro i critici delle sanzioni Ue (Orbán in testa): “Nessun legame con i prezzi del petrolio”

    Bruxelles – I dati contro le interpretazioni distorte della realtà. “Alcuni leader Ue hanno detto che le sanzioni sono state un errore e che l’embargo sul petrolio ne ha aumentato il prezzo, invece è agli stessi livelli di febbraio, prima della guerra”, ha commentato seccamente l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, parlando oggi (lunedì 18 maggio) alla stampa dopo il Consiglio Affari Esteri e mostrando un grafico con l’andamento dei prezzi dall’inizio dell’anno. “Dietro ogni discorso ci devono essere dati e cifre, non si può dire tutto ciò che si vuole“, ha incalzato Borrell: “Come si può affermare che sono stati l’embargo e le sanzioni alla Russia ad aumentare il prezzo del petrolio, quando invece è diminuito?”
    L’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (18 luglio 2022)
    Il duro commento dell’alto rappresentante Borrell è arrivato in seguito alle parole del primo ministro ungherese, Viktor Orbán, sulle conseguenze delle sanzioni adottate dall’Ue: “Inizialmente pensavo che ci fossimo solo sparati a un piede, ma ora è chiaro che l’economia europea si è sparata nei polmoni e ora fatica a respirare“. Il primo ministro ungherese è stato un oppositore dell’embargo al petrolio della Russia sin dalla presentazione del sesto pacchetto di sanzioni, per la cui approvazione è servito un intenso lavoro di mediazione al Consiglio Europeo di maggio. “Il momento della verità deve arrivare a Bruxelles, quando i leader ammetteranno di aver fatto un errore di calcolo”, ha rincarato la dose Orbán: “La politica delle sanzioni alla Russia era basata su presupposti sbagliati e non ha soddisfatto le aspettative riposte“, in particolare per l’aumento dei prezzi dei beni di consumo, dei generi alimentari e delle risorse energetiche come il petrolio.
    “Nella narrativa di guerra, molte persone dicono cose senza considerare la realtà: senza cifre, tutti possono dire quello che vogliono sull’effetto delle sanzioni dell’Ue, e non è possibile”, è stata la risposta dell’alto rappresentante Borrell in conferenza stampa. Nel caso del petrolio, “non sono state le sanzioni ad aumentarne i prezzi, come dicono alcuni in modo completamente errato“, dal momento in cui è evidente – analizzando il grafico presentato e illustrato – che dall’adozione delle sanzioni e dell’embargo contro la Russia, il prezzo è sceso: “Non dico che sono la causa della diminuzione, ma al contrario che le sanzioni non hanno creato un aumento”. In ogni caso l’alto rappresentante Ue ha riconosciuto che “la società europea deve essere consapevole che questa guerra è una prova di resistenza e noi dobbiamo essere resistenti a sufficienza per sostenere l’Ucraina, altre soluzioni non ce ne sono”, a partire proprio dall’aumento dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari.

    Mostrando i grafici dell’andamento dei prezzi dall’inizio del 2022, il titolare della Politica estera e di sicurezza del gabinetto von der Leyen ha attaccato “chi critica gli effetti dell’embargo senza considerare la realtà dei fatti, perché senza cifre tutti possono dire quello che vogliono”

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    L’Unione europea sigla un accordo con l’Azerbaigian per raddoppiare le importazioni di gas entro il 2027

    Bruxelles – 20 per cento. E’ la quota di gas russo proveniente da gasdotto che l’Unione europea ha importato quest’anno da Mosca. Un livello molto inferiore rispetto al 40 per cento (circa 150 miliardi di metri cubi di gas) che in media ha importato negli ultimi anni, ma siamo ancora lontani dall’obiettivo di affrancare l’UE dagli idrocarburi russi. Bruxelles punta “a compensare” quel 20 per cento, diversificando i suoi fornitori e a tale scopo la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, ha siglato oggi (18 luglio) un protocollo d’intesa con l’Azerbaigian per raddoppiare le importazioni di gas naturale azero ad almeno 20 miliardi di metri cubi all’anno entro il 2027.
    “Con questo protocollo d’intesa, stiamo aprendo un nuovo capitolo nella nostra cooperazione energetica con l’Azerbaigian, un partner chiave nei nostri sforzi per abbandonare i combustibili fossili russi”, ha detto in conferenza stampa a Baku la presidente dell’esecutivo, affiancata dal presidente azero Ilham Aliyev. L’UE sta cercando fornitori alternativi alla Russia, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca e la decisione assunta a livello politico di dire addio ai combustibili fossili importati dalla Russia al più tardi entro il 2027. Secondo la Commissione europea, l’Azerbaigian sta già aumentando le consegne di gas naturale nell’UE da 8,1 miliardi di metri cubi registrati a fine 2021 a 12 miliardi di metri cubi previsti nel 2022, si legge nella nota dell’Esecutivo comunitario.
    Il corridoio meridionale del gas
    Il gas naturale proveniente dal giacimento gigante di Shah Deniz nel settore azero del Mar Caspio arriva in Europa attraverso il corridoio meridionale del gas, il Southern Gas Corridor, una vera e propria infrastruttura di approvvigionamento di gas naturale dalle regioni del Caspio e del Medio Oriente all’Europa, che si basa su tre componenti principali: il South Caucasus Pipeline (SCP), il gasdotto che segue la rotta dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan e arriva fino al confine tra Georgia e Turchia; il gas azero, dopo essere arrivato in Turchia, prosegue poi attraverso il TANAP (Trans Anatolian Pipeline) al confine turco-greco a Kipoi, che attraversa la Grecia e l’Albania e il Mar Adriatico; prima di approdare in Italia, a San Foca (in Puglia) attraverso il gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline).
    Proprio il Tap avrà un ruolo particolarmente importante per l’aumento dei flussi di gas azero, dal momento che è l’ultimo tratto del Corridoio meridionale del gas che va dalla Grecia all’Italia, e Bruxelles prevede la necessità di lavori aggiuntivi per aumentare i flussi dagli attuali 8,1 miliardi di metri cubi registrati a fine 2021 ai 12 del prossimo anno”, ha spiegato un funzionario europeo spiegando i dettagli dell’accordo. A novembre sono previsti i primi “stress test” per comprendere le potenzialità di aumento di flussi attraverso l’infrastruttura che, in quanto progetto di interesse comune europeo (PCI) è stato finanziato con sovvenzioni europee e lo stesso sarà per i lavori aggiuntivi.
    Dato l’obiettivo di aumentare i volumi di gas, il memorandum contiene anche un impegno a ridurre le emissioni di metano lungo l’intera catena di approvvigionamento del gas. Il metano è tra i peggiori gas inquinanti atmosferici che contribuisce ai cambiamenti climatici: intrappola più calore rispetto alla CO2, ma si decompone nell’atmosfera più rapidamente, quindi impegnarsi per tagliare queste emissioni dovrebbe avere un impatto più rapido sul surriscaldamento globale. Non solo gas, Bruxelles punta su Baku anche in termini di energia pulita, in particolare nell’eolico offshore e nell’idrogeno verde. Con il memorandum, ha riferito von der Leyen, “stiamo gettando le basi per una solida cooperazione in quell’area. Quindi, gradualmente, l’Azerbaigian si evolverà dall’essere un fornitore di combustibili fossili a diventare un partner di energia rinnovabile molto affidabile e importante per l’Unione Europea”.
    Von der Leyen parla dell’Azerbaigian come di un partner “affidabile” dal punto di vista energetico. Lo stesso aveva detto, appena un mese fa, dell’Egitto, quando era volata al Cairo a metà giugno per siglare un memorandum d’intesa con cui Egitto e Israele si sono impegnati a incrementare le esportazioni di gas naturale verso il Continente. Nel quadro del suo piano ‘RepowerEu’ per liberarsi dagli idrocarburi in arrivo da Mosca, Bruxelles stima che sarà necessario aumentare le sue importazioni di gas da fonti non russe, principalmente gas naturale liquefatto (+50 miliardi di metri cubi), ma anche gas proveniente da gasdotto (+10 bcm) visti i limiti infrastrutturali di molti Paesi membri UE che dispongono di pochi rigassificatori sul proprio territorio. L’UE ha già siglato un accordo con gli Stati Uniti per la consegna di almeno 15 miliardi di metri cubi di Gnl nel 2022 e circa 50 miliardi di metri cubi all’anno almeno fino al 2030. Cresce l’insicurezza dell’Ue sugli approvvigionamenti di gas dal momento che è iniziata la scorsa settimana la manutenzione programmata del gasdotto Nord Stream 1 che porta gas russo in Germania attraverso il Mar Baltico. Impianti fermi almeno fino a giovedì 21 luglio, ma si teme un prolungamento del fermo anche oltre.

    Fino a 20 miliardi di metri cubi di gas entro cinque anni. Baku “partner cruciale”, dice la presidente von der Leyen, per la diversificazione degli approvvigionamenti all’Europa e in particolare per l’Italia. Bruxelles mette in conto nuovi lavori sul tratto del gasdotto Tap (Trans Atlantic Pipeline) per portare i flussi dagli attuali 8 miliardi di metri cubi a 12 già il prossimo anno

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    I leader del G7 si coordinano per sostenere l’Ucraina e per affrontare le crisi di insicurezza alimentare ed energetica

    Bruxelles – Unione Europea, Stati Uniti e G7, i leader delle maggiori economie mondiali scendono in campo a sostenere l’Ucraina e a cercare soluzioni coordinate alle crisi scatenate dall’invasione russa in Ucraina: alimentare ed energetica, in primis. “Continueremo a coordinare gli sforzi per soddisfare le urgenti esigenze” di Kiev “in termini di equipaggiamento militare e di difesa”, si legge nelle conclusioni del vertice dei leader G7 in Baviera, a Schloss Elmau. Il coordinamento riguarderà “la fornitura di materiale, l’addestramento e il supporto logistico, di intelligence ed economico per costruire le forze armate ucraine”, hanno messo in chiaro i leader di Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti, insieme alla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e del Consiglio, Charles Michel.
    Il vertice dei leader del G7 a Schloss Elmau, Baviera (27 giugno 2022)
    A livello internazionale c’è l’intenzione di “rimanere fermi nel nostro impegno verso le misure di sanzioni coordinate senza precedenti” in risposta all’invasione russa, “il cui impatto si aggraverà nel tempo”. Sul regime di Putin sarà intensificata la pressione economica e politica – ma anche “sui suoi sostenitori in Bielorussia” – per privare il Cremlino dei mezzi economici per continuare la guerra in Ucraina: “Continueremo a utilizzare in modo mirato le sanzioni coordinate per tutto il tempo necessario, agendo all’unisono in ogni fase”, hanno concordato i leader del G7. L’uso delle misure restrittive contro Mosca “è in difesa dell’ordine internazionale basato sulle regole”, che il Cremlino ha violato “in modo così eclatante”.
    Sul capitolo della sicurezza alimentare, le conclusioni sottolineano “l’unione e la determinazione” nel sostenere l’Ucraina “nella produzione e nell’esportazione di grano, olio e altri prodotti agricoli”, percuotendo allo stesso tempo “iniziative coordinate che stimolino la sicurezza alimentare globale e affrontino le cause dell’evoluzione della crisi alimentare mondiale”. I leader del G7 hanno intimato al Cremlino di cessare “senza condizioni” gli attacchi alle infrastrutture agricole e di trasporto dei cereali, oltre a “consentire il libero passaggio delle spedizioni dai porti ucraini nel Mar Nero”. L’aggressione armata russa – “caratterizzata da bombardamenti, blocchi e furti” – in questi mesi ha “gravemente impedito” a Kiev di esportare prodotti agricoli “e sta ostacolando la sua capacità di produzione”, con “forti aumenti dei prezzi e l’aumento dell’insicurezza alimentare globale per milioni di persone“. Una situazione che il presidente Michel, ha definito un “missile alimentare lanciato dalla Russia contro i più vulnerabili”, dopo il confronto con il presidente del Senegal e dell’Unione Africana, Macky Sall: “Sostengo personalmente il suo appello perché l’UA diventi membro del G20”, ha spiegato in un tweet, sottolineando la necessità di “ripetere con l’Africa ciò che abbiamo fatto con i vaccini”, ovvero “sostenere la produzione locale di fertilizzanti sostenibili per migliorare la produzione”.

    Food missile launched by Russia against most vulnerable.
    Let’s repeat with Africa what we did on vaccines.
    Support local manufacturing of sustainable fertilisers and other inputs to enhance production.
    I personally back call of @Macky_Sall for #AU to become member of @g20org pic.twitter.com/9O6AQ3Rcm6
    — Charles Michel (@CharlesMichel) June 27, 2022

    Ma è l’energia a occupare il nucleo centrale delle discussioni tra i leader del G7 sulle conseguenze dell’aggressione russa in Ucraina. In un incontro aperto anche ad Argentina, India, Indonesia, Senegal e Sudafrica, è stato concordato l’obiettivo di “esplorare le opzioni per decarbonizzare il mix energetico e accelerare la transizione dalla dipendenza dai combustibili fossili“. A questo si aggiunge la “rapida espansione” delle fonti energetiche pulite e rinnovabili e l’efficienza energetica: tutti sforzi che includono la “graduale riduzione del carbone e l’aumento della quota di energie rinnovabili nel mix energetico”. Alla base dell’accordo globale c’è la collaborazione “con particolare attenzione” alle riforme delle politiche energetiche per “accelerare la decarbonizzazione delle economie verso l’azzeramento delle emissioni“, garantendo allo stesso tempo “l’accesso universale a un’energia sostenibile e a prezzi accessibili e offrendo benefici socioeconomici e opportunità di sviluppo in linea con l’Agenda 2030”.
    Discussioni che riguardano da vicino l’Unione Europea e, per questo motivo, si è rafforzata l’intesa con il maggiore tra i partner, gli Stati Uniti del presidente Joe Biden. Nella dichiarazione congiunta firmata dalla presidente von der Leyen è stato messo nero su bianco che Bruxelles e Washington intensificheranno gli sforzi per “ridurre ulteriormente le entrate della Russia derivanti dall’energia nei prossimi mesi“, ma anche per “ridurre la dipendenza dell’UE dai combustibili fossili russi, diminuendo la domanda di gas naturale, cooperando sulle tecnologie di efficienza energetica e diversificando le forniture”. Una risposta coordinata che passa dalla task force Ue-Stati Uniti sulla sicurezza energetica europea (istituita lo scorso 25 marzo), per rispondere al “continuo utilizzo del gas naturale come arma politica ed economica“, che “ha esercitato pressioni sui mercati energetici, aumentato i prezzi per i consumatori e minacciato la sicurezza energetica globale”.

    Discussion with our G7 partners on climate and health.
    Climate change affects us all. So we must maintain our ambitious climate goals. This requires close, inclusive international coordination.
    Renewables will play a key role in ensuring both ambition and security of supply. pic.twitter.com/huxchi37a8
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) June 27, 2022

    Al centro del vertice G7 a Schloss Elmau (Baviera) il proseguo degli sforzi internazionali per rispondere alle conseguenze della guerra russa contro Kiev, che si stanno ripercuotendo in particolare sul continente europeo e africano: “Rimaniamo fermi nel nostro impegno”

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    Il premier croato Plenković indica all’UE la “cifra storica” del nuovo millennio: “Le nostre democrazie contro le autocrazie”

    Bruxelles – Democrazie contro autocrazie, “questa è la cifra storica del momento in cui viviamo”. Nel suo intervento alla mini-sessione plenaria del Parlamento UE a Bruxelles, il premier della Croazia, Andrej Plenković, è stato particolarmente chiaro nell’illustrare la posizione che l’Unione deve continuare a portare avanti nell’approccio alla guerra russa in Ucraina e sul piano della dimensione esterna: “Siamo all’apice degli standard globali di democrazia, dobbiamo prendere la leadership della difesa e della promozione dei valori fondamentali, soprattutto nei confronti dei nostri vicini”.
    Il primo ministro della Croazia, Andrej Plenković, alla plenaria del Parlamento UE a Bruxelles (22 giugno 2022)
    Considerando lo “stravolgimento dell’ordine internazionale” provocato dall’invasione russa dell’Ucraina, il premier croato ha iniziato la propria analisi dalle cause che l’hanno determinato. “Mosca ha rilevato e interpretato una serie di debolezze dell’Occidente nel contesto generale“, che vanno dall’abbandono dell’Afghanistan “nel modo non più decoroso possibile” alla Brexit, passando dalla svolta politica epocale in Germania e gli appuntamenti elettorali in Francia: “Su scala più grande, la Russia si è comportata nello stesso modo del 2008, quando dopo le Olimpiadi di Pechino ha invaso la Georgia”, in un parallelismo con l’aggressione militare dell’Ucraina iniziata dopo la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi invernali di febbraio, sempre a Pechino.
    Ma nel 2022 “abbiamo assistito a un’enorme mobilitazione internazionale” a favore dell’Ucraina, che come ultimo stadio sta portando i Ventisette – e la Croazia “senza ambiguità” – a sostenere la richiesta di adesione di Kiev all’UE: “C’è una posizione comune sul riconoscimento, che sarà confermata al Consiglio di domani“, ha confermato il premier Plenković. Ma Zagabria è tra gli avanguardisti dell’allargamento dell’Unione: “Sosteniamo anche il conferimento dello status a Moldova e Georgia, perché la scelta di offrire la prospettiva europea è un’evoluzione politica cruciale per l’architettura del nostro continente“, o, in altre parole “una svolta enorme nel dibattito sull’Europa e nei confronti di Paesi che ancora non appartengono all’Unione”.
    E proprio su questo punto il premier della Croazia non ha nascosto che l’UE deve lavorare di più sul piano dell’allargamento ai Balcani Occidentali, in particolare nei confronti della Bosnia ed Erzegovina: “Siamo a favore del riconoscimento dello status di Paese candidato all’adesione anche per Sarajevo, non può essere l’ultima ruota del carro, sarebbe ingiustizia storica“, ha attaccato Plenković. Il tema è delicato e coinvolge direttamente i principi-cardine del processo di adesione all’UE (a cui la Bosnia non si è ancora pienamente allineata). Per questo motivo non sono attesi particolari passi in avanti al vertice UE-Balcani Occidentali in programma a Bruxelles appena prima dell’inizio del Consiglio, anche se la Slovenia – sostenuta da Zagabria – dovrebbe presentare una proposta per allineare Sarajevo a Kiev e Chișinău.
    La spinta in avanti di Zagabria deriva anche dal suo “approccio moderno alla sovranità“, come l’ha definito Plenković, ovvero una politica che mira a “raggiungere i nostri obiettivi nazionali, ma lavorando strettamente insieme ai partner e agli amici europei, superando le difficoltà attraverso la solidarietà comune che ci contraddistingue“. Un approccio che ha permesso a “un Paese che è stato riconosciuto a livello internazionale solo 30 anni fa” di continuare a promuovere “la nostra scelta europea”. È così che la Croazia è riuscita non solo ad aderire all’UE nel 2013, ma anche a “rispettare gli obiettivi economici e finanziari per diventare il 20esimo membro dell’Eurozona“. Dal primo gennaio del 2004 Zagabria riuscirà a realizzare “l’obiettivo di più profonda integrazione”, cioè l’adozione della moneta unica. “Ora attendiamo anche l’ingresso nell’area Schengen”, ha esortato Parlamento e Consiglio il premier croato.
    Nell’ottica della sovranità strategica dell’Unione Europea – un’altra forma di “approccio moderno alla sovranità”, per usare le parole di Plenković – la Croazia può rappresentare “un hub energetico da rafforzare, grazie alla nostra posizione geostrategica”. Zagabria sta potenziando un terminale di gas naturale liquefatto (GNL) “portandolo da 2,9 milioni a 6 milioni di metri cubi, con investimenti che serviranno non solo per la nostra economia, ma potenzialmente anche per Bosnia, Slovenia e Ungheria”. Inoltre, “l’oleodotto nell’Adriatico del Nord potrebbe rifornire anche le raffinerie in Serbia e in Slovacchia”, ha sottolineato il primo ministro croato. Gli investimenti in gasdotti, oleodotti e terminali GNL si iscrivono nella strategia di “diventare indipendenti dalle fonti fossili della Russia, garantendo la sicurezza di approvvigionamento energetico ai nostri cittadini e imprese attraverso reti energetiche europee“, per riprendere a una crisi da cui “nessuno rimarrà immune”, ha concluso il suo intervento il premier Plenković.

    Nel suo intervento alla sessione plenaria del Parlamento Europeo, il primo ministro della Croazia ha esortato l’Unione a “promuovere la leadership anche nella sfera esterna” e a riconoscere lo status di Paese candidato all’adesione a Ucraina, Moldova, Georgia e Bosnia ed Erzegovina