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    Green Deal, adesso la sfida geopolitica dell’Ue è con gli Stati Uniti

    Bruxelles – Alla fine il Green Deal si scontra con la realpolitik. L’enfasi, sia pur giustificata e comprensibile, su una trasformazione dell’economia in senso nuovo e più sostenibile, ora fa i conti con il mondo reale. L’Unione europea ha deciso di essere leader, di dare il buon esempio. Nel fare da apri-pista, però, si è improvvisamente schiacciata da un partner deciso a superarla, gli Stati Uniti, e il mondo orientale – Paesi del golfo, Cina e India su tutti – ancora legata a quei vecchi sistemi produttivi che invece l’Ue vorrebbe superare. Il blocco a dodici stelle può rivendicare una svolta ‘green’ oltre Atlantico, che però rischia di tradursi in una sfida Ue-Stati Uniti tutta nuova.
    Le ripercussioni a livello globale della guerra tra Russia e Ucraina hanno indotto l’amministrazione Biden al varo dell’Inflation reduction act. Il provvedimento, varato per frenare l’inflazione, finisce per favorire quel settore in cui l’Ue vorrebbe tanto essere all’avanguardia. Credito d’imposta per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili per i progetti che iniziano la costruzione prima dell’1 gennaio 2025, 250 milioni di dollari in sovvenzioni per la produzione domestica di pompe di calore disponibili fino a settembre 2024, sovvenzioni per 5,8 miliardi di dollari per l’industria ad alta intensità energetica per l’installazione di tecnologie avanzate per ridurre le emissioni di gas serra delle strutture. Ancora, credito d’imposta sulla produzione per la produzione nazionale di componenti per l’energia solare ed eolica, inverter, componenti per batterie e minerali critici, programma di sovvenzioni da 2 miliardi di dollari per la produzione nazionale di veicoli puliti (ibridi, ibridi elettrici plug-in, elettrici plug-in e a celle a combustibile a idrogeno).
    L’Unione europea si vede ‘aggredita’ su quel terreno di sviluppo industriale dove cercava di ricostruire una competitività persa. A oriente l’Europa degli Stati l‘Ue dipende dalla Russia per una quota significativa delle sue importazioni per tre materie prime critiche, platino, palladio e titanio, materiali indispensabili per lo sviluppo della tecnologia dell’idrogeno. Ancora più a est l’Ue dipende fortemente dalla Cina da tutte le materie prime utilizzate per la produzione di batterie, ad eccezione del litio. L’Ue non ciò di cui ha bisogno per le sue transizioni, e al contempo deve rispondere al dilemma statunitense.
    C’è il rischio che il massiccio piano degli Stati Uniti possa mettere questi in una posizione di vantaggio a scapito dell’Europa delle verdi ambizioni. L‘industria europea teme di perdere la corsa globale per la competitività, con l’impatto maggiore delle industrie automobilistiche e delle tecnologie pulite dell’Ue, come i produttori di batterie o di apparecchiature per l’energia solare o eolica. Timori aggravati dalla prospettiva che i prezzi dell’energia in Europa rimangano più alti che negli Stati Uniti e in altre parti del mondo nel medio termine, come conseguenza della guerra della Russia in Ucraina e dell’allontanamento dal gasdotto russo.
    Non è un caso se la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato il piano industriale per il Green Deal. Ma servirà prudenza. Se da una parte non agire di fronte all’Inflation Reduction Act potrebbe avere conseguenze negative sull’industria dell’Ue, dall’altra parte una guerra commerciale in piena regola con gli Stati Uniti minerebbe l’unità transatlantica in tempo di guerra e trasmetterebbe l’immagine di un Occidente diviso sia alla Russia che alla Cina. “L’Ue si trova di fronte alla sfida di impostare una reazione coerente agli Stati Uniti“, mettono in rilievo gli analisti del centro ricerche del Parlamento.
    L’Ue deve fare i conti con la realtà, e la realtà è che il conflitto in Ucraina rischia di far saltare tutta la strategie a dodici stelle. La situazione che si è creata – azzeramento delle relazioni con la Russia, aumento dei prezzi, crisi energetica, dipendenza dalla Cina – è “aggravata dal limitato spazio di manovra dell’amministrazione Biden che rende altamente improbabili modifiche legislative all’Inflation Reduction Act“. Servirà una capacità negoziale nell’auspicio che il partner transatlantico non spinga troppo sull’acceleratore di un svolta green che potrebbe spazzare via le velleità europee.

    L’Inflation Reduction Act rischia di vedere l’Ue inseguire il progresso Usa anziché essere leader. Gli analisti avvertono: “Altamente improbabili modifiche legislative, una guerra commerciale non aiuterebbe”

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    Per l’Ue la ricostruzione dell’Ucraina deve passare da energie rinnovabili e transizione verde

    Bruxelles – Un viaggio a Kiev per ribadire l’impegno dell’Unione Europea per la ricostruzione dell’Ucraina. Anche sul piano dell’energia e della transizione verde. Con questo obiettivo il vicepresidente della Commissione Europea per il Green Deal, Frans Timmermans, ha incontrato oggi (9 gennaio) il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e il primo ministro, Denys Shmyhal, per un confronto in prima persona sullo “stato di avanzamento nel Paese e sui bisogni immediati sul campo alla luce degli attacchi intensificati della Russia contro le infrastrutture critiche”, spiega l’esecutivo comunitario. “L’Ucraina ha tutte le carte in regola per diventare un leader nella moderna energia verde, ha un enorme potenziale di energia solare, eolica, idrogeno e biometano”, ha assicurato Timmermans.
    L’incontro tra il vicepresidente della Commissione Europea per il Green Deal, Frans Timmermans, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (9 gennaio 2023)
    In una giornata ricca di incontri anche con i ministri dell’Energia, Herman Galushchenko, e della Protezione ambientale e delle risorse naturali, Ruslan Strilets, il vicepresidente della Commissione Ue si è focalizzato principalmente sul “sostegno concreto al settore all’approvvigionamento energetico, ma anche sul piano del governo per la ricostruzione dell’Ucraina”. Per Bruxelles il supporto al Paese sotto attacco da quasi un anno sarà fondato sugli obiettivi del Green Deal europeo: “Lo sviluppo delle energie rinnovabili e una giusta transizione saranno al centro dei piani di ricostruzione“.
    Una spinta che arriva anche da Kiev, come dimostrano le parole del premier Shmyhal al termine dell’incontro con Timmermans: “L’Ucraina ha un potenziale significativo per lo sviluppo dell’energia verde ed è pronta a diventare un partner dell’Ue nello sviluppo del mercato del biometano e dell’idrogeno“. Un ringraziamento a Bruxelles è arrivato anche per le “iniziative di cooperazione in questa direzione”, che nei fatti dovrebbe impostarsi sul “recupero energetico dell’Ucraina basato su un percorso verde”, ha precisato lo stesso primo ministro. Tutto questo non può prescindere però da “azioni congiunte coordinate per ridurre l’influenza della Russia nel settore energetico dell’Unione Europea“, ma soprattutto – di fronte al continuo bombardamento delle infrastrutture civili da parte dell’esercito russo – da una “punizione per gli attacchi all’energia ucraina e per i crimini contro l’ambiente” e da “sanzioni contro il settore nucleare russo”, è la richiesta di Shmyhal.

    Very good to discuss Ukraine’s #GreenReconstruction plans and European future with President @ZelenskyyUA in Kyiv today.
    Ukraine has what it takes to become a leader in modern green energy. It has huge potential for solar, wind, hydrogen, and biomethane. pic.twitter.com/QnvKAXCEJ7
    — Frans Timmermans (@TimmermansEU) January 9, 2023

    Il supporto energetico Ue all’Ucraina
    La necessità di supportare l’Ucraina anche sul piano energetico è stato evidenziato anche nel corso della conversazione telefonica tra il presidente Zelensky e la numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, di lunedì scorso (2 gennaio), in cui sono state delineate le priorità del vertice Ue-Ucraina in programma il 3 febbraio a Kiev. Sul piano del sostegno immediato le due parti hanno concordato che entro la fine di gennaio sarà consegnato il primo lotto di 15 milioni di lampade a Led finanziate dall’Ue, a cui si aggiungono “generatori, tende e scuolabus”. Un primo passo per quanto riguarda l’impegno di Bruxelles a sborsare 30 milioni di euro per l’acquisto di 30 milioni di lampade al led, “che sono oggi vitali per portare luce all’Ucraina”, aveva spiegato la stessa presidente von der Leyen alla conferenza internazionale di solidarietà di Parigi lo scorso 13 dicembre: “Garantiscono un risparmio dell’88 per cento rispetto alle vecchie lampadine, si potrà così risparmiare un gigawatt di elettricità, che è equivalente alla produzione annuale di una centrale nucleare”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (15 settembre 2022)
    A questo si aggiunge il nuovo hub energetico e umanitario in Polonia, per un trasferimento “veloce e sostenibile” degli aiuti verso l’Ucraina, “anche per le donazioni di Paesi terzi e privati”. Mentre si attende per questo mese l’inizio dei lavori della piattaforma di ricostruzione dell’Ucraina, il sostegno di Bruxelles è già una realtà, con oltre 800 generatori per l’energia sono arrivati in tutto il Paese dall’inizio dell’invasione russa e gli ultimi 40 convogliati dalla riserva rescEu a 30 ospedali nelle regioni di Donetsk, Zaporizhzhia, Mykolaiv e Kherson. Attraverso il Meccanismo di protezione civile dell’Ue sono stati inviati anche 100 generatori di piccola e media potenza dalla Francia, 19 dalla Slovacchia, 23 dalla Germania, 52 trasformatori dalla Lituania e 4 sistemi di alimentazione di emergenza dalla Polonia.

    Il vicepresidente della Commissione Ue Timmermans ha incontrato a Kiev il presidente Zelensky e il premier Shmyhal per discutere del futuro del Paese, mentre continuano i bombardamenti russi: “Ha un enorme potenziale di energia solare, eolica, idrogeno e biometano”

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    La Russia vieterà da febbraio la vendita di petrolio ai paesi che usano il price cap

    Bruxelles – La Russia vieterà la vendita di petrolio e prodotti derivati ai Paesi che hanno deciso di non comprare più il greggio di Mosca oltre 60 dollari al barile, anche quando il prezzo di mercato è più alto. Lo ha stabilito un decreto firmato oggi (27 dicembre) dal presidente russo Vladimir Putin in risposta all’accordo sul tetto al prezzo del petrolio russo raggiunto a inizio dicembre dai Paesi G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti d’America), dall’Unione europea e dall’Australia.
    Da giorni ormai era diventato sempre più probabile una risposta di Mosca al price cap occidentale al petrolio. “La vendita del petrolio e dei prodotti petroliferi russi a società e altri privati è vietata” se questi fanno ricorso al tetto sui prezzi, si legge nel decreto, che prevede però la possibilità per il Cremlino di concedere un permesso per la fornitura di petrolio a paesi che rientrano nel divieto. Il divieto entrerà in vigore il prossimo primo febbraio e durerà per cinque mesi, fino a luglio 2023.
    L’intesa sulla fascia di prezzo oltre la quale vietare il trasporto globale via mare del greggio di Mosca verso Paesi terzi è stata siglata nel contesto del G7, dove le sette economie più ricche al mondo hanno concordato insieme all’Australia di introdurre un tetto massimo globale sul prezzo del petrolio russo trasportato verso i Paesi terzi, nell’ottica di impedire alla Russia di continuare a trarre profitto dalla guerra di aggressione in Ucraina e di sostenere la stabilità dei mercati energetici globali. Il tetto è entrato in vigore il 5 dicembre per il greggio russo, mentre sarà operativo dal 5 febbraio 2023 anche per i prodotti raffinati del petrolio (su cui il livello di ‘cap’ dovrà essere stabilito in un secondo momento). Anche una volta fissato il tetto a 60 dollari al barile, la cifra può essere modificata in ogni momento, l’intesa prevede un meccanismo di revisione del funzionamento del price cap ogni due mesi.
    Il price cap globale è complementare all’entrata in vigore lo scorso 5 dicembre dell’embargo al petrolio russo deciso nel sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca adottato a inizio giugno, con cui i governi dell’Ue hanno deciso di tagliare entro la fine del 2022 il 90 per cento delle importazioni russe di petrolio in arrivo nel continente europeo, attraverso un embargo su tutto il petrolio in arrivo via mare e un impegno di Germania e Polonia a tagliare anche le proprie importazioni attraverso l’oleodotto Druzhba.

    Il decreto firmato da Putin martedì in vigore dal primo febbraio per cinque mesi. La misura è in risposta al tetto al prezzo del petrolio venduto verso paesi terzi stabilito a oltre 60 dollari al barile da Unione europea, G7 e Australia

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    Energia e informazione in tempo di guerra. Il Comitato Economico e Sociale getta luce sulla situazione in Ucraina

    Bruxelles – Il Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) chiude un anno di impegno eccezionale a sostegno dell’Ucraina, con un focus sull’energia e l’informazione in tempo guerra proprio in occasione dell’ultima sessione plenaria (14-15 dicembre). “Gli ucraini hanno pagato un grande prezzo per la pace, per la ricostruzione del Paese dobbiamo lavorare con i gruppi della società civile, perché si possa costruire un futuro di pace”, ha esordito la presidente del Cese, Christa Schweng, aprendo oggi (mercoledì 14 dicembre) il seminario per i giornalisti ‘Energy and Media as Weapons in the wartime‘, accompagnato dall’esposizione di fotografie dal titolo ‘Children in war‘: “Spesso dimentichiamo che dietro a tutto questo c’è l’aspetto umano, e questa mostra fotografica è qui a ricordarcelo”, ha aggiunto il vicepresidente Cillian Lohan.
    L’esposizione fotografica ‘Children in war’ alla sede del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese)
    A proposito dell’arma dell’informazione, l’intervento della giornalista ucraina di Inter Tv-channel Olena Abramovych si è focalizzato sul fatto che nei primissimi giorni di guerra i media ucraini si sono dovuti anche occupare del contrasto alla propaganda russa: “Eravamo pronti allo scenario di una guerra-lampo, con disinformazione come quella secondo cui il presidente Zelensky era fuggito da Kiev, che puntava a creare caos”. Tra i maggiori problemi registrati ci sono stati i bombardamenti alle stazioni televisive, “per oscurare i media e non permettere di diffondere le informazioni” e anche la fuga di giornalisti dall’est del Paese: “Ma molti altri hanno iniziato dal secondo giorno con le maratone giornalistiche, con una condivisione delle riprese nei diversi canali”, ha ricordato Abramovych.
    A tracciare una panoramica aldilà del confine è il giornalista russo Tikhon Dzyadko, direttore del media indipendente Dozhd Tv che continua a operare in esilio: “Più di 500 colleghi hanno lasciato il Paese, dove c’è una dittatura militare e dove non si parla mai di guerra, ma sempre di operazione militare speciale”. Mentre “tutti i media indipendenti lavorano all’estero”,  in Russia “la propaganda di regime dipinge una realtà parallela, per cui l’86 per cento dei cittadini supporta la guerra“, ha spiegato Dzyadko, che ha messo in guardia da un errore che viene spesso commesso dagli organi di informazione occidentali: “Gli europei riportano questi dati perché non conoscono la realtà sul campo”. La lituana Tatjana Babrauskienė (membro del gruppo Lavoratori del Cese) ha sottolineato che “i media indipendenti, anche in Bielorussia, vanno sostenuti molto più di quanto non si faccia ora e non solo finanziariamente”, mentre il collega polacco Tomasz Wróblewski (membro del gruppo Datori di lavoro del Cese) si è soffermato sul fatto che “in Ucraina e in Russia l’informazione stessa è parte della guerra e la disinformazione fa parte del processo per destabilizzare l’altra parte”.
    Il Cese sull’arma energetica
    L’esposizione fotografica ‘Children in war’ alla sede del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese)
    “La società civile ha avvisato del problema della dipendenza energetica dalla Russia, ne abbiamo parlato per molto tempo, ma la politica è stata cieca”, ha attaccato la ceca Alena Mastantuono (membro del gruppo Datori di lavoro del Cese), trattando del tema energetico: “Nell’ultimo anno abbiamo visto crescere i prezzi dell’energia, un problema per le imprese e per i consumatori, i rincari stanno spingendo l’inflazione e dobbiamo stare attenti all’evoluzione della situazione“. In particolare il prossimo anno potrebbe rappresentare un rischio: “Abbiamo messo al sicuro questo inverno con il 92 per cento degli stoccaggi pieni, ma il prossimo inverno non sarà possibile”, ha avvertito Mastantuono, ricordando che “la sicurezza delle forniture di energia deve essere la priorità numero uno per l’Europa”.
    La soluzione su cui spinge più il Cese è l’implementazione delle risorse rinnovabili, per “ridurre la nostra dipendenza dall’importazione di energia, dal momento in cui può essere usata come un’arma”, ha messo in chiaro il tedesco Lutz Ribbe (membro del gruppo Società civile). “Se importiamo energia, esportiamo soldi, mentre noi possiamo produrre energia meglio in maggiori quantità e a un prezzo più basso”, ha aggiunto Ribbe, chiarendo che i Paesi membri Ue dovrebbero essere “numeri uno al mondo nella produzione di energia rinnovabile”. A proposito di rinnovabili, “se vogliamo evitare di esportare denaro verso altre aree economiche dobbiamo cambiare l’industria”, ha puntualizzato il collega tedesco Thomas Kattnig (membro del gruppo Lavoratori): “Abbiamo un’opportunità sulla produzione di pannelli solari e batterie, negli ultimi 20 anni non ci sono stati abbastanza investimenti a causa dell’austerità”. Anche per Mastantuono è necessario “portare l’industria in Europa per aumentare i posti di lavoro”, senza dimenticare di “guardare anche all’idrogeno”.

    Un seminario per i giornalisti in occasione della sessione plenaria del Cese a Bruxelles, per fare luce sull’utilizzo della disinformazione e il gas come armi. La presidente, Christa Schweng: “Gli ucraini hanno pagato un grande prezzo per la pace, ora dobbiamo lavorare con la società civile”

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    Il primo summit di alto livello Ue-Asean tra Russia, energia, sicurezza e sostenibilità

    Bruxelles – Sicurezza e stabilità, a livello mondiale e regionale. Senza trascurare il commercio, la questione energetica e la transizione sostenibile. Unione europea e Asean (blocco che racchiude Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Singapore, Thailandia e Vietnam) discutono di tutto questo nel primo summit di alto livello di sempre, a livello di capi di Stato e di governo, organizzato in occasione dei 45 anni di relazioni diplomatiche. “L’occasione di ribadire la vicinanza e la cooperazione tra i due blocchi in un momento di turbolenza”, caratterizzato dal conflitto russo-ucraino e le sue conseguenze, ma non solo, si sottolinea a Bruxelles.
    Le tensioni nel mar cinese del sud, con la rinnovata contrapposizione tra Cina e Taiwan, il colpo di Stato militare in Myanmar, membro Asean, e il cui leader non è stato invitato al summit, i cambiamenti in Afghanistan, sono tutti elementi di un’agenda ricca di sfide che i due blocchi sono decisi ad affrontare insieme. Si intende rilanciare relazioni costruite nel tempo e che i tempi moderni necessitano di aggiornare. Quello Ue-Asean è “un partenariato bilaterale strategico” che si intende rendere ancor più fondamentale, ammettono addetti ai lavori. Sul fronte comunitario le aspettative sono altre. Si guarda quanto fatto in passato e cosa fare per il futuro, incluso transizione sostenibile.
    A tal proposito la questione della cooperazione industriale ed economica intende permettere di allineare i Paesi del sud-est asiatico all’agenda verde dell’Unione. Gli Stati asiatici sono ancora fortemente dipendenti dal carbone, ma “pieni di potenziale pulito”, riconoscono a Bruxelles. Sarà fondamentale dunque investire qui, e la Commissione europea metterà sul tavolo il primo pacchetto di investimento per l’Asean da 10 miliardi di euro. Servirà per sostenere, innanzitutto con fondi pubblici, competenze, digitale, sostenibilità. Con l’obiettivo di mobilitare anche capitale privato.
    Il capitolo relativo alle relazioni economico-commerciali sarà un tema portante del summit Ue-Asean. A riprova di ciò è prevista, a margine del vertice, la firma di due partenariati con Thailandia e Malesia, nonché l’accordo comprensivo sui trasporti. Dati alla mano, l’Asean è il terzo partner commerciale dell’Ue al di fuori dell’Europa, dopo Stati Uniti e Cina. Mentre nel 2021 l’Ue è stata il secondo maggiore fornitore di investimenti diretti esteri esteri nell’area Asean. “Le relazioni commerciali sono importanti” e si intende rafforzarle. “Si promuove multilateralismo”, si sottolinea nella capitale dell’Ue. Un messaggio rivolto a chi, sullo scacchiere internazionale, preferisce protezionismi.
    Il tema più delicato è quello relativo alla Russia. La dichiarazione finale del summit prevede un passaggio sull’aggressione in Ucraina, e servirà un lavoro attento a parole e toni per trovare una formula che metta d’accordo entrambe le parti. Nulla di impossibile. A Bruxelles si dicono “certi che si troverà il linguaggio appropriato, e che mandi un messaggio chiaro e inequivocabile”.
    Nel più ampio spettro di politica estera dei Ventisette, si intende cercare quanto più possibile di attuare i principi della strategia indo-pacifica all’area del sud-est asiatico. Vuol dire lavorare assieme ai 10 Paesi dell’area per uno sviluppo sostenibile, attento al fenomeno dei cambiamenti climatici e di risposta ai disastri naturali che ne derivano. La base di partenza, qui, è il piano d’azione Ue-Asean 2023-2027, che intende sviluppare una risposta comune a queste problematica, inclusa la ripresa post-pandemica e una cooperazione nel campo della salute.
    Altro tema di quest’agenda quadriennale è la lotta allo sfruttamento del lavoro e la promozione di condizioni occupazionali rispettosi della dignità. Un aspetto, quest’ultimo, non indifferente sia per la questione dei diritti umani sia perché l’Ue tocca l’aspetto economico-commerciale. L’Ue ha deciso di non far entrare nel mercato unico prodotti frutto del lavoro forzato, e altrettanto ha deciso per tutti i ‘made in’ extra-Ue frutto del lavoro minorile. Il primo summit di alto livello Ue-Asean non è solo una passerella per i leader.

    Dopo 45 anni di relazioni diplomatiche a Bruxelles il vertice a livello di blocchi per rendere ancora più strategica un’alleanza vista come irrunciabile

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    INTERVISTA / Pisapia: “La stabilità in Libia è interesse anche dell’Ue, dal clima all’energia, fino ai fenomeni migratori”

    dall’inviato a Strasburgo – Cambiare l’approccio con la Libia per imprimere una svolta in un Paese travolto da un’instabilità ormai cronica, i cui riflessi si avvertono anche nell’Unione Europea, dalla questione migratoria a quella energetica e climatica. In un’intervista rilasciata a Eunews a ridosso del voto in sessione plenaria sulla raccomandazione del Parlamento Europeo (approvata con 454 voti a favore, 130 contrari e 54 astenuti) il relatore Giuliano Pisapia (S&D) traccia le linee di un auspicato rinnovo dell’impegno da parte dell’Ue e dei Ventisette a sostegno dello Stato di diritto e dei diritti nel Paese nordafricano, per sorvegliare un altrettanto atteso processo di formazione di un governo centrale legittimo e responsabile.
    Quale quadro esce dalla Libia degli ultimi 3 anni?
    “Il vuoto lasciato dalla caduta di Gheddafi è stato negli anni riempito da milizie locali e straniere che, supportate da alcuni attori internazionali, si macchiano di violenti crimini. Le interferenze straniere sono oggi uno dei maggiori problemi della Libia perché impediscono un vero processo di riconciliazione nazionale che garantisca alla Libia un futuro pacifico e democratico”.
    Come uscire allora dall’impasse?
    “Il tema dei diritti è ovviamente al centro della discussione sulla Libia. Le violazioni dei diritti umani sono sistemiche e l’impunità regna sovrana. Per questo motivo serve assolutamente un’autorità centrale che si assuma la responsabilità di garantire i diritti – e i doveri – di tutti. Il futuro governo dovrà trarre legittimità dallo stesso popolo libico. Per questo è fondamentale rinvigorire i negoziati tra i vari attori libici mediati dall’Onu con l’obiettivo di elaborare una nuova tabella di marcia che porti finalmente ad elezioni credibili, inclusive e democratiche”.
    Quali sono state le carenze europee sul file libico?
    “Purtroppo negli anni gli Stati membri non sono stati in grado di trovare una posizione comune sul futuro della Libia o, ancor peggio, non l’hanno considerata prioritaria. Eppure la Libia condivide con noi tantissime sfide. Basti pensare alla questione climatica, la crisi energetica e la gestione dei fenomeni migratori. La stabilità della Libia è interesse non solo del popolo libico ma anche dell’Unione europea e dei singoli Paesi Ue”.
    Cosa raccomanda il Parlamento al Consiglio, alla Commissione e all’alto rappresentante Ue?
    “Prima di tutto chiediamo la nomina di un Rappresentante speciale dell’Ue per la Libia che ci permetta di svolgere un ruolo di supporto più attivo al processo di riconciliazione nazionale. Dobbiamo inoltre inviare una missione di osservazione elettorale dell’Ue che monitori il processo elettorale e offra il supporto tecnico necessario. Abbiamo infine la possibilità di utilizzare i nostri fondi Ue per finanziare progetti volti, per esempio, a rafforzare lo Stato di diritto, sostenere la società civile, rafforzare l’inclusione sociale e l’uguaglianza di genere”.
    Sul fronte energetico, può il petrolio diventare mezzo di ricatto politico?
    “Lo è già stato. Troppe volte diversi attori libici – governativi e non – hanno chiuso gli impianti e bloccato la produzione di petrolio per finalità politiche. Questi blocchi hanno avuto ripercussioni non solo sull’economia locale – che, ricordo, è fortemente dipendente dal settore petrolifero – ma anche su scala mondiale”.
    L’Ue cosa può fare a riguardo?
    “Sul tema energetico l’Ue può certamente dare un grande contributo alla Libia. Da una parte dobbiamo fare pressioni sulle autorità libiche affinché garantiscano che i proventi del petrolio portino benefici all’intera popolazione libica. Dall’altra, non si può dimenticare che i cambiamenti climatici affliggono pesantemente la Libia e perciò è indispensabile incentivare il Paese ad intraprendere un percorso di transizione ecologica in linea con gli impegni di Parigi”.
    Alla luce del voto in plenaria, come valuta il piano presentato dalla Commissaria Johansson lunedì 21 novembre sul rafforzamento delle azioni congiunte sulla politica comune di migrazione e asilo?
     “Vi sono alcuni aspetti positivi che la Raccomandazione sulla Libia già conteneva. Penso al supporto delle Ong che operano in Libia, all’aumento della solidarietà tra Stati membri sul tema dei ricollocamenti o al rafforzamento del cosiddetto Meccanismo di Transito d’emergenza gestito da Unhcr che ha permesso di evacuare numerose persone vulnerabili dalla Libia”.
    E vede criticità?
    “Come al solito ci si chiede quanto effettivamente questi aspetti positivi verranno realmente attuati e quanto invece il focus si sposterà sul prevenire l’arrivo dei migranti in Europa. Dobbiamo fare molta attenzione: oltre agli obblighi internazionali che siamo tenuti a rispettare, è in ballo la nostra credibilità. Per troppo tempo la Libia nell’immaginario delle nostre cittadine e dei nostri cittadini ha rappresentato, non a torto, il luogo per eccellenza delle violazioni dei diritti umani. Dobbiamo ribaltare questo immagine e per far questo serve un impegno europeo maggiore sullo Stato di diritto e sui diritti in Libia. La panacea di tutti i mali in Libia è la lotta all’impunità. Ripartiamo da qui. Ce lo chiede il popolo libico”.

    Di questo e di tanti altri temi di attualità nelle politiche europee si discuterà nel nono appuntamento annuale di Eunews How Can We Govern Europe?, in programma a Roma il 29 e 30 novembre negli spazi delle rappresentanze di Commissione e Parlamento europei, in piazza Venezia.

    Il relatore della raccomandazione del Parlamento Ue (approvata in sessione plenaria) traccia le direttrici di un rinnovato impegno europeo sullo Stato di diritto e sui diritti nel Paese: “Per troppo tempo ha rappresentato il luogo delle violazioni dei diritti umani, la panacea di tutti i mali è la lotta all’impunità”

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    Tokayev verso la rielezione alla presidenza del Kazakistan

    Bruxelles – Kassym-Jomart Tokayev verso la conservazione della testa del Kazakistan. Il presidente uscente avrebbe vinto le elezioni conquistando oltre l’81 per cento dei consensi, garantendosi così un secondo mandato di sette anni. Condizionale d’obbligo visto che lo spoglio delle schede non è concluso, ma i risultati provvisori sono tali indurre la Commissione elettorale centrale a ritenere che non ci saranno sorprese nel conteggio delle schede rimanenti. “L’Unione europea prende atto dei risultati preliminari“, fa sapere Peter Stano, portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, complimentandosi a nome dell’Unione per la “efficiente preparazione” del voto nonché per “le più ampie riforme politiche e socioeconomiche avviate dal presidente Tokayev”. Per l’Ue “lo sviluppo di istituzioni democratiche resilienti e di una società civile forte è fondamentale per la stabilità e lo sviluppo del Kazakistan”.
    Dichiarazioni che vanno oltre ‘la circostanza’, vista la zona geografica e le loro tradizioni. Sotto la guida di Nursultan Nazarbayev il Kazakistan ha tenuto sempre posizione filo-russe e filo-Putin, mentre sotto Tokayev il Paese ha operato un cambio di rotta. Le relazioni con Mosca sono state riviste anche alla luce dell’aggressione dell’Ucraina, visto che una forte minoranza ucraina si trova nel nord del Kazakistan. Il passaggio Narbayev-Tokayev ha permesso anche un dialogo tutto nuovo tra la repubblica dell’Asia centrale e il blocco dei Ventisette, suggellato con l‘accordo su idrogeno e materie prime.

    Il presidente uscente, secondo i primi dati preliminari avrebbe oltre l’81 per cento dei voti. L’Ue “prende atto” e si congratula per come si è svolto il voto

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    Von der Leyen promette altri 250 milioni di euro per la sicurezza energetica della Moldova

    Bruxelles – Cento milioni in sovvenzioni e altri cento in prestiti. L’Unione europea ha assicurato oggi (10 novembre) che mobiliterà a partire da gennaio un pacchetto di altri 200 milioni di euro alla Moldova per far fronte alla “”grave crisi energetica” che il Paese vive dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, legata sia “alla fornitura di gas ed elettricità, sia all’accessibilità economica di gas ed elettricità”. E’ la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ad annunciarlo al fianco della presidente moldava, Maia Sandu, in un punto stampa organizzato a sugellare l’incontro a Chișinău, dove si è recata insieme alla commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson. 

    Dear @sandumaiamd, the EU’s solidarity with Moldova is unshakeable.
    Today we increase our support in the face of the acute energy crisis caused by Russia.
    🇪🇺🇲🇩https://t.co/TG9ZPw2F4G
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) November 10, 2022

    La presidente tedesca ha spiegato che il pacchetto sarà disponibile a partire da gennaio: i 200 milioni tra prestiti e sovvenzioni andranno al Paese per garantire che abbia abbastanza gas durante l’inverno che si avvicina. La vicinanza geografica della Moldova all’Ucraina e il sostegno dimostrato a Kiev dall’inizio dell’invasione, hanno reso anche la Moldova un bersaglio delle ritorsioni energetiche di Mosca. A partire dalla fine di marzo, l’Unione europea ha consentito l’allaccio della rete elettrica di Moldova e Ucraina con la rete dell’Europa continentale per aiutare i due Paesi a mantenere stabile il proprio sistema elettrico, le case calde e le luci accese anche durante la guerra della Russia in Ucraina. Ma l’inverno è alle porte e i tagli alle forniture di gas da parte della Russia rischiano di mettere in crisi il sistema energetico moldavo.
    Altri 50 milioni di euro, ha annunciato von der Leyen, andranno per il sostegno di bilancio alla Moldova, con cui il Paese potrà fornire sostegno diretto alle persone più vulnerabili colpito dalla crisi dei prezzi energetici. Bruxelles sta collaborando con il segretariato della Comunità dell’energia per mettere in atto un programma di salvataggio energetico per la Moldova per consentire ai donatori di sostenere gli acquisti di energia. “Spero che queste misure combinate forniscano alla Moldova il tanto necessario sostegno durante l’inverno”, ha aggiunto von der Leyen. Dallo scorso giugno, Bruxelles ha assicurato un prestito del valore di 300 milioni di euro attraverso la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, con cui la Moldova potrà acquistare dall’Ue il gas per scopi di emergenza e stoccaggio prima dell’inverno. Come misura di prevenzione in caso di tagli alle forniture da parte della Russia. Da quando i leader europei all’ultimo Vertice Ue di giugno hanno sostenuto per Moldova e Ucraina lo status di paese candidato all’adesione all’UE, le nostre relazioni con i due Paesi hanno assunto una nuova dimensione.

    Da Chișinău la presidente della Commissione europea annuncia un nuovo pacchetto di sostegno energetico al Paese, per garantire che abbia abbastanza gas per superare l’inverno. Bruxelles lavora a uno schema di salvataggio per gli acquisti di energia