More stories

  • in

    Von der Leyen risponde alle tensioni nei Balcani Occidentali con un nuovo piano di crescita per la regione su 4 pilastri

    Bruxelles – La situazione nei Balcani Occidentali preoccupa i vertici delle istituzioni comunitarie e non potrebbe essere altrimenti. Ma la risposta non può essere sempre e solo cercare di gettare acqua sugli incendi che regolarmente scoppiano soprattutto nella regione di confine tra Kosovo e Serbia, ma deve essere più strutturale. La pensa così la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, secondo quanto emerso dal suo intervento al GlobSec 2023 Bratislava Forum, in cui ha annunciato una nuova iniziativa dell’Unione che risponde anche a un nuovo approccio verso la regione: “Non chiediamo solo ai nostri partner di fare nuovi passi verso di noi, anche noi facciamo un grande passo verso di loro“.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, in Albania (27 ottobre 2022)
    Quanto anticipato questa mattina (31 maggio) nella capitale della Slovacchia dalla numero uno dell’esecutivo comunitario è un nuovo piano di crescita per i Balcani Occidentali basato su quattro pilastri: “Avvicinarli al Mercato unico dell’Ue, approfondire l’integrazione economica regionale, accelerare le riforme fondamentali e aumentare i fondi di pre-adesione”. Una strategia che secondo la visione di Bruxelles porterà quasi nell’immediato “alcuni dei vantaggi dell’adesione all’Ue ai cittadini dei Balcani Occidentali” (ovvero Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia). Per esempio, “entrando a far parte del nostro Mercato unico digitale in settori quali il commercio elettronico o la sicurezza informatica”, ha illustrato von der Leyen, sottolineando però parallelamente il ruolo “fondamentale” di un mercato regionale comune per “rendere la regione un luogo più attraente per gli investitori europei”. Anche le riforme e l’aumento dei finanziamenti pre-adesione rientrano nella stessa visione di aumentare la “fiducia degli investitori”, ha precisato von der Leyen: “C’è un disperato bisogno di investimenti nei Balcani Occidentali“.
    Al centro di tutta la riflessione di von der Leyen c’è la questione energetica. “La regione dei Balcani Occidentali ha un enorme potenziale di diversificazione dai combustibili fossili russi“, tuttavia “deve aumentare l’efficienza energetica, intensificare la diversificazione e accelerare la diffusione di un maggior numero di energie rinnovabili” per ottenere due vantaggi: “L’indipendenza energetica dalla Russia e un più stretto allineamento con l’Unione Europea per accelerare l’adesione”. Ma allo stesso tempo anche i Ventisette devono “assumersi la responsabilità di avvicinare molto di più gli aspiranti membri dell’Unione”, perché “le onde d’urto inviate dalla guerra di aggressione di Putin hanno già raggiunto” anche i partner balcanici. Questo comunque per von der Leyen “non ha fatto altro che avvicinarci”, grazie al piano di sostegno dell’Unione che ha garantito le stesse misure di solidarietà come quelle all’interno dell’Unione: “Abbiamo sostenuto le famiglie vulnerabili contro gli alti costi dell’energia e stiamo costruendo nuove infrastrutture per ridurre la dipendenza dei Balcani Occidentali dai combustibili fossili russi“, ha rivendicato da Bratislava la numero uno della Commissione.
    Le tensioni in Kosovo
    Nel presentare il nuovo piano di crescita economica per i Balcani Occidentali, la presidente della Commissione Ue non ha dimenticato di citare la situazione in corso nel nord del Kosovo. “Le recenti tensioni sono preoccupanti, mi associo agli appelli rivolti a tutte le parti ad abbandonare lo scontro e ad adottare misure urgenti per ristabilire la calma“. Proprio questa mattina l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha salutato con favore la decisione del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, di dispiegare nel Paese balcanico 700 truppe aggiuntive della forza militare internazionale Kfor: “Continueremo lo stretto coordinamento e la cooperazione anche attraverso la nostra missione Eulex”, ha commentato Borrell (ritwittato poi dal presidente del Consiglio Ue, Charles Michel).
    Le proteste delle frange violente della minoranza serba nel nord del Kosovo sono scoppiate venerdì scorso (26 maggio) a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica, trasformatesi poi lunedì (29 maggio) in violente proteste che hanno coinvolto anche i soldati Kfor (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). A far deflagrare la tensione è stata la decisione del governo di Pristina di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci, nonostante le perplessità internazionali per l’affluenza al voto tendente all’irrisorio alle elezioni dello scorso 23 aprile – attorno al 3 per cento. Secondo il governo di Albin Kurti la decisione è stata determinata dagli episodi di ostruzionismo messi in atto dagli esponenti di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo, Aleksandar Vučić. Una scelta che però ha scatenato la dura reazione dei partner statunitensi, che hanno duramente accusato Pristina per l’escalation di tensione e imposto lo stop momentaneo alle esercitazioni ‘Defender 23’ come misura sanzionatoria.
    Mentre la Nato ha annunciato un rafforzamento della presenza attraverso il dispiegamento delle Forze di Riserva Operativa per i Balcani Occidentali, a Bruxelles le istituzioni comunitarie hanno iniziato a prepararsi per rafforzare subito il dialogo tra Serbia e Kosovo e riportare la situazione alla calma attraverso la diplomazia. “Ho chiesto a entrambe le parti di prendere misure urgenti per la de-escalation immediata e incondizionata”, ha reso noto ieri (30 maggio) in un punto stampa l’alto rappresentante Borrell, annunciando di essersi attivato per “un incontro di alto livello urgente del dialogo Pristina-Belgrado“. Se il diktat ai “manifestanti violenti” rimane sempre quello di “ritirarsi”, al governo del Kosovo la richiesta è quella di “sospendere le operazioni di polizia incentrate sui municipi nel nord del Paese”, ha ribadito Borrell, che oggi a Bratislava ha incontrato il premier Kurti: “La situazione attuale è pericolosa e insostenibile, abbiamo bisogno di una soluzione attraverso il dialogo per tornare a lavorare sull’attuazione dell’Accordo raggiunto” il 27 febbraio a Bruxelles.
    Il piano energetico per i Balcani Occidentali
    Per la presidente von der Leyen le tensioni nella regione devono però essere affrontate anche da un punto di vista strutturale, come dimostra il nuovo piano di crescita. Lo sforzo anche energetico dell’Unione Europea a sostegno dei sei Paesi dei Balcani Occidentali è stato messo su bianco nel corso del vertice Ue-Balcani Occidentali del 6 dicembre 2022 a Tirana, secondo le direttrici anticipate dalla stessa presidente della Commissione nel corso del suo viaggio nelle capitali balcaniche. Il pacchetto da 1 miliardo di euro complessivo sarà finanziato attraverso lo strumento di assistenza pre-adesione (Ipa III), si stima che mobiliterà in tutto 2,5 miliardi in investimenti e sarà diviso in due parti, ciascuna da 500 milioni.
    Il primo pilastro è un sostegno diretto al bilancio per affrontare l’impatto degli alti prezzi dell’energia in ciascuno dei sei Paesi dei Balcani Occidentali: 30 milioni per il Montenegro, 70 per la Bosnia ed Erzegovina, 75 per il Kosovo, 80 per la Macedonia del Nord, altrettanti per l’Albania e 165 per la Serbia. L’obiettivo è quello di mitigare i prezzi per piccole e medie imprese, tenere il costo dell’energia accessibile per le famiglie vulnerabili e supportare misure per accelerare la transizione energetica dalle fonti fossili russe.
    Per quanto riguarda il secondo pilastro da mezzo miliardo di euro del Pacchetto di supporto energetico ai Balcani Occidentali, i finanziamenti per le misure a medio termine arriveranno dal Western Balkans Investment Framework (Wbif), per far avanzare la diversificazione energetica, le fonti rinnovabili, le infrastrutture per il gas e l’elettricità e gli interconnettori. Secondo le previsioni di Bruxelles, questo importo dovrebbe generare ulteriori investimenti pubblici e privati pari a 1,4 miliardi di euro, sia per la riduzione dell’impatto della crisi energetica sia per il sostegno alla transizione verde. Tutto ciò sarà reso possibile da una copertura di garanzia Ue fino a 419 milioni di euro verso sei progetti nella regione, aumentando la capacità di investimento nelle priorità dell’energia pulita.

    Avvicinare i sei Paesi al mercato unico dell’Ue, approfondire l’integrazione economica regionale, accelerare le riforme e aumentare i fondi di pre-adesione. Ma sull’escalation in Kosovo la presidente della Commissione Ue chiede “misure immediate per ristabilire la calma”

  • in

    Altri 169 generatori di energia elettrica per l’Ucraina. Gli invii coordinati dall’Ue in Polonia (e non) arrivano a 3 mila

    Bruxelles – Un ritmo di consegne costante, che negli ultimi quattro mesi è diventato esponenziale. Dall’inizio della guerra russa in Ucraina l’Unione Europea ha coordinato la raccolta e l’invio di 3 mila generatori di energia elettrica per l’Ucraina, per sostenere il Paese invaso da più di un anno dall’esercito russo anche sul piano energetico. Beni fondamentali che permettono a Kiev di fronteggiare le conseguenze dei costanti attacchi alle infrastrutture di base e vitali per la popolazione da parte dell’esercito russo, per cui Bruxelles ha deciso di intervenire, coordinando anche l’aiuto che arriva dall’altra parte del mondo.
    Il commissario europeo per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, all’inaugurazione dell’hub rescEu in Polonia (26 gennaio 2023)
    Lo rende noto la Commissione Europea, dando notizia dell’arrivo di una consegna di aiuti energetici di emergenza dall’Australia: 169 nuovi generatori donati dalla Fondazione Minderoo, dal valore di 1,95 milioni di euro. Una donazione che si aggiunge ad altri mille generatori distribuiti dalla riserva rescEU all’Ucraina, come annunciato all’apertura dell’hub energetico in Polonia lo scorso 26 gennaio.
    Un impulso alle donazioni degli Stati membri, del settore privato, di Paesi terzi e della riserva RescEu è arrivato dopo l’annuncio nel dicembre dello scorso anno da parte della presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, della volontà di spingere sulla consegna di beni essenziali sul piano energetico per famiglie, scuole, ospedali nel Paese invaso dal 24 febbraio 2022. Fino ad allora (era il 13 dicembre) erano stati consegnati “oltre 800 generatori”, aveva fatto sapere la stessa presidente von der Leyen. Quattro mesi più tardi il numero è più quasi quadruplicato.
    L’hub Ue in Polonia per i generatori all’Ucraina
    Una grande spinta è arrivata negli ultimi due mesi e mezzo dall’hub energetico rescEu in Polonia, adibito appositamente a convogliare generatori di emergenza all’Ucraina. A Varsavia è stato anche assegnato uno stanziamento pari a 114,9 milioni di euro per l’acquisti di altri generatori, destinati “non solo a sostenere il settore energetico ucraino, ma anche a rispondere alle eventuali esigenze di altri Paesi colpiti dalla guerra russa”, specifica la Commissione Ue. “In breve tempo la riserva rescEu ospitata dalla Polonia sta diventando l’ancora di salvezza energetica di emergenza per l’Ucraina“, ha dichiarato il commissario europeo per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, ringraziando Varsavia “per aver svolto un ruolo fondamentale nel fornire assistenza all’Ucraina fin dai primi giorni di questa guerra” e la Fondazione Minderoo “per aver dimostrato che il sostegno arriva da ben oltre i confini europei”.
    La bandiera dell’Ucraina proiettata sul Palazzo Berlaymont, sede della Commissione Europea
    Le donazioni riguardano sia i generatori di dimensioni più piccole, in grado di alimentare singole abitazioni, sia quelli più grandi, adatti a mantenere in funzione edifici pubblici e servizi vitali per le comunità ucraine, come ospedali e punti di riscaldamento centralizzati. Oltre all’hub energetico Varsavia sta anche realizzando un progetto di donazione di energia, raccogliendo attrezzature e generatori di corrente che saranno trasferiti in Ucraina. Un’iniziativa “particolarmente importante quando l’invasore russo prende di mira le infrastrutture critiche del Paese e le interruzioni di corrente sono regolari”, aveva spiegato nel giorno dell’inaugurazione dell’hub rescEu il portavoce del governo polacco, Piotr Müller.

    È quanto annuncia la Commissione Europea in occasione di una nuova tranche di aiuti energetici d’emergenza al Paese invaso dall’esercito russo. A Varsavia assegnati 114,9 milioni di euro per rispondere alle esigenze di Kiev e di “altri Paesi colpiti dalla guerra”

  • in

    Russia ‘cinese’: Mosca vende petrolio e gas a Pechino, che vale quasi il 50% dell’import di beni

    Bruxelles – La Russia ‘cinese’. Con la guerra in Ucraina che prosegue e le sanzioni Ue che mordono, l’orso ha bisogno del dragone, che se da una parte viene in soccorso del Cremlino dall’altra penetra sempre più in quella che all’inizio del conflitto era l’11esima economia mondiale. Lo stop decretato dall’Unione europea al greggio (in vigore da dicembre 2022) e a seguire ai prodotti petroliferi (febbraio 2023) non ha fermato l’export della federazione russa. Anzi. La Banca centrale europea rileva che “il volume delle esportazioni russe di petrolio, il suo principale prodotto di esportazione, è effettivamente aumentato nonostante le sanzioni dell’Ue e del G7”.
    La dinamica non sorprende. Mosca ha risposto all’azione dell’occidente reindirizzando i flussi dall’Europa verso la Cina e la Turchia, nonché verso nuovi partner commerciali in Africa, Medio Oriente e in India. Una riorganizzazione obbligata, per continuare ad alimentare economia nazionale e mantenere vivo la macchina da guerra. Ma pure una scelta che rischia di ridisegnare gli equilibri geopolitici. Perché, rileva la Bce, questo riorientamento del Cremlino “ha reso la Russia più dipendente da partner commerciali non sanzionatori, rendendo l’economia del Paese più fragile nel complesso”.
    Un esempio su tutti è offerto dai ‘numeri’ della Repubblica popolare cinese. “A partire da gennaio 2023, la Cina da sola fornisce quasi la metà delle importazioni di merci dalla Russia“. Sopperisce, per quello che può, alla mancanza di quei prodotti che non arrivano più dall’Unione europea. Allo stato attuale, almeno a Francoforte rimane “poco chiaro” se le nuove importazioni siano della stessa qualità di quelle perse. L’industria russa faceva molto affidamento sui beni high-tech dei partner commerciali occidentali prima della guerra. Le sanzioni imposte a questi prodotti hanno fatto sì che non siano disponibili, siano stati sostituiti da alternative di bassa qualità o siano diventati molto più costosi.
    Se da una parte questa vicinanza commerciale induce ad alimentare i timori peraltro diffusi della creazione di un blocco sino-russo, dall’altra parte si assiste ad uno sbilanciamento russo verso la Cina, a cui Gazprom ha comunque iniziato a vendere più gas compensando così “parzialmente” i mancati acquisti a dodici stelle. Una penetrazione commerciale cinese in territorio russo vorrebbe dire riscrivere gli equilibri economici della regione. Cosa che sta avvenendo. La Russia ‘cinese’ può essere la nuova realtà con cui dover fare i conti.

    Mosca ha dovuto ri-orientare la sua economia per rispondere alla sanzioni Ue. Vende più petrolio, ma dipende fortemente dalla repubblica popolare

  • in

    La cooperazione energetica tra Unione europea e Usa riparte dai piccoli reattori nucleari

    Bruxelles – Gas naturale liquefatto, metano ma non solo. E’ il nucleare di nuova generazione, in particolare i piccoli reattori modulari, a fare breccia con prepotenza negli impegni condivisi da Unione europea e Stati Uniti in materia di energia. Al 10° Consiglio Energia Ue-Usa che si è tenuto oggi (4 aprile) nella capitale belga, Bruxelles e Washington hanno riconosciuto espressamente “il ruolo che l’energia nucleare può svolgere nella decarbonizzazione dei sistemi energetici nei paesi che hanno deciso o decideranno di affidarsi all’energia nucleare”. E dunque, nella dichiarazione congiunta approvata dopo la ministeriale hanno confermato l’intenzione di organizzare un forum ad alto livello sui piccoli reattori modulari (SMR) entro la fine dell’anno “sulla cooperazione transatlantica nel campo degli SMR e di altri reattori nucleari avanzati”, come si legge nel documento.
    La riunione ministeriale è stata co-presieduta dall’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, e la commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson, insieme al segretario di Stato americano, Antony Blinken, e il vice segretario americano per l’Energia, David Turk. Al centro, le prospettive energetiche per il prossimo inverno, compresa la situazione in Ucraina e Moldavia, e come accelerare la decarbonizzazione attraverso le tecnologie energetiche pulite e il risparmio energetico. Il nucleare fa breccia negli impegni condivisi dalle due sponde dell’Atlantico e lo fa dopo che a Bruxelles la guerra in Ucraina ha rilanciato il dibattito portando sempre più Paesi Ue dalla parte dell’energia dell’atomo. La pressione di un gruppo di una decina di Paesi che costituiscono un’alleanza per il nucleare (Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Ungheria, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia) ha spinto la Commissione europea ad aprire al nucleare di nuova generazione e poche settimane fa ha confermato che metterà a disposizione dei governi degli orientamenti con standard comuni che possano aiutare nello sviluppo di una industria europea dei piccoli reattori modulari, sebbene la scelta del mix energetico sia esclusivamente dei Paesi membri.
    Proprio oggi la Commissione europea ha firmato con le parti interessate dell’industria nucleare una dichiarazione sullo sviluppo e la ricerca nel campo dei piccoli reattori modulari (SMR) per il 2030. Gli SMR sono reattori nucleari più piccoli, sia in termini di potenza che di dimensioni fisiche, rispetto ai tradizionali reattori nucleari su scala gigawatt. Questa tipologia di reattori utilizza reazioni di fissione nucleare per creare calore che può essere utilizzato direttamente o per generare elettricità e la Commissione europea li considera “un’opzione promettente per sostituire le vecchie centrali a carbone e per integrare la penetrazione delle energie rinnovabili”. La dichiarazione è stata firmata dalla commissaria europea per la Ricerca e l’Innovazione, Mariya Gabriel, e dalle parti interessate del settore nucleare dell’Ue: nucleareurope, Piattaforma tecnologica per l’energia nucleare sostenibile (SNETP), Società nucleare europea (ENS) e Rete europea per l’educazione nucleare (ENEN) ed è stata annunciata oggi alla conferenza ‘Euratom Research in Action and Opportunities for Europe: EU Strategic Autonomy and the Future Energy Systems.
    La conferenza di oggi è stata anche l’occasione per presentare il programma di lavoro Euratom (Comunità europea dell’energia atomica) per la ricerca e la formazione del periodo 2023-2025 che mobiliterà fino a 132 milioni di euro, dentro il quale la Commissione sta lanciando la prima azione per l’innovazione di 15 milioni di euro sostenere la sicurezza dei piccoli reattori modulari ad acqua leggera. Inoltre, questo programma di lavoro destinerà 12 milioni di euro al cofinanziamento di ricercatori e industria per lavorare insieme sulla sicurezza dei reattori modulari avanzati (AMR), compresi gli SMR, con gli Stati membri interessati.
    Il 10° Consiglio Energia Ue-Usa tra gas liquefatto e metano 
    Non solo nucleare, la ministeriale del Consiglio Energia è stata l’occasione per fare il punto anche sulle relazioni con Washington sul gas e in particolare sul gas liquefatto, che hanno ‘salvato’ l’Unione europea lo scorso anno nel pieno della crisi energetica con Mosca. Nel 2022 gli Stati Uniti hanno esportato 56 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto all’Europa, che rappresenta il 40 per cento delle importazioni totali dell’Ue e un aumento del 140 per cento delle esportazioni Usa verso l’Europa rispetto all’anno prima”, ha fatto il punto il segretario di Stato americano, Antony Blinken, in arrivo questa mattina alla ministeriale, ricordando ancora che Bruxelles e Washington condividono l’impegno a prevenire una catastrofe climatica e accelerare la transizione energetica pulita globale costruendo catene di approvvigionamento resilienti, sicure e diversificate per l’energia rinnovabile. Gli Stati Uniti si sono impegnati a fornire ulteriori 50 miliardi di metri cubi di gnl all’Europa nel 2023.
    Nella dichiarazione comune si legge ancora l’impegno condiviso a raggiungere emissioni nette pari a zero entro il 2050 e a circoscrive il riscaldamento globale entro i 1,5 gradi Celsius. Allineamento anche sul metano, dopo l’iniziativa dell’Alleanza globale (la “Global Methane Pledge”) per ridurre le emissioni globali di gas metano di almeno il 30% rispetto ai livelli del 2020 entro il 2030. Unione europea e Stati Uniti intendono “continuare a promuovere la riduzione delle emissioni globali di metano in linea con l’impegno globale per il metano”, promuovendo “misure nazionali e internazionali per rafforzare il monitoraggio, la rendicontazione e la verifica, nonché la trasparenza, dei dati sulle emissioni di metano nel settore dell’energia fossile”, si legge nella dichiarazione, dove il Consiglio conferma che “intende sviluppare un approccio allineato a livello internazionale per la misurazione trasparente, il monitoraggio, rendicontazione e verifica delle emissioni di metano e anidride carbonica lungo la catena del valore dell’energia fossile per migliorare l’accuratezza, la disponibilità e la trasparenza dei dati sulle emissioni”.

    Entro fine anno un Forum ad alto livello sulla cooperazione transatlantica nel campo dei piccoli reattori modulari e di altri reattori avanzati. L’annuncio al 10° Consiglio Energia Ue-Usa che si è tenuto a Bruxelles

  • in

    L’Ue punta sul gas algerino, ma Algeri lo sta già usando come arma politica

    Bruxelles – L’Algeria è la nuova Russia, con risorse energetiche pronte da essere usate come arma politica contro l’Unione europea? Il rischio, in Europa, c’è chi lo vede e non può fare a meno di porre la questione ad una Commissione che però tira dritto e rinnova la fiducia ad un partner diventato ancor più strategico alla luce della guerra in Ucraina e la necessità di affrancarsi dalle forniture di Gazprom. Susana Solís Pérez, europarlamentare liberale (Re) vede però sullo sfondo un nuovo problema di indipendenza geopolitica per l’Unione, per effetto di questioni tutte regionali.
    C’è la questione del Sahara occidentale a dividere Algeria e Marocco. Rabat rivendica come propri i territori che invece la repubblica araba democratica di Saharawi (Rads) considera come parte integrante del Paese. Algeri sostiene la Rads e il suo movimento politico di riferimento, il Fronte polisario. Divergenze di vedute che hanno portato all‘interruzione delle relazioni diplomatiche nel 2021, e le tensioni in nord Africa hanno già avuto ripercussioni per l’Europa.
    Nella sua interrogazione, Susana Solís Pérez, ricorda che il gasdotto Maghreb-Europa (Mge) rifornisce la penisola iberica di gas algerino attraverso il Marocco. Una conduttura lunga 1.400 chilometri che dal 1996 trasporta oltre 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno nell’Europa occidentale. “A seguito della rottura delle relazioni diplomatiche tra Algeria e Marocco nell’agosto 2021, l’Algeria ha deciso di non rinnovare il contratto di 25 anni di Mge”, rileva l’europarlamentare. Preoccupata non a torto, visto che l‘Algeria ha sospeso l’accordo di amicizia con la Spagna per il sostegno dato a Madrid alle rivendicazioni marocchine sul Sahara occidentale.
    “L’Algeria ha aumentato il prezzo delle forniture di gas alla Spagna attraverso il gasdotto Medgaz“, denuncia ancora la parlamentare liberale. Medgaz è un’infrastruttura sottomarina lunga circa 757 chilometri, con una capacità massima annuale di 10,5 miliardi di metri cubi di gas. Una scelta, quella di rivedere i listini nei confronti di Madrid, che mostra “l‘uso dell’approvvigionamento energetico da parte dell’Algeria come arma politica“.
    La Commissione europea lascia all’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, il compito di rassicurare sulla questione. “L’Ue ha costantemente lavorato per rafforzare il suo partenariato con l’Algeria, concentrandosi sulle priorità indicate nell’accordo di associazione”, ricorda il membro del collegio dei commissari. Inoltre, “a seguito della decisione dell’Ue di tagliare le sue importazioni di gas dalla Russia, l’Algeria si è impegnata ad aumentare le sue forniture di gas all’Europa nel 2022 e negli anni successivi”. Tradotto: Algeri è un partner affidabile, non è una nuova Russia, “l‘Unione europea apprezza molto la cooperazione energetica con l’Algeria ed è pronta ad approfondirla ed espanderla ulteriormente”.
    La strategia Ue ha una sua logica. L‘Algeria resta comunque parte dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec). E’ vero che l’Unione ha scelto la strada della sostenibilità e del superamento dei combustibili fossili, ma nella transizione avere interlocutori privilegiati all’interno del gruppo che fissa i prezzi del barile di greggio può rappresentare un punto di forza. Un orientamento che suona però da scommessa.
    La questione è sul tavolo anche da prima dello scoppio della guerra in Ucraina. Antonio Tajani, ora ministro degli Esteri ma allora in veste europarlamentare, sollevò la stessa questione sempre via interrogazione scritta. La decisione di Sonatrach di interrompere ogni tipo di attività in Marocco e con il Marocco “pone quesiti importanti sulla dipendenza energetica dell’Unione”. Scrisse così Tajani, a riprova del fatto che già prima di un riposizionamento sul mercato l’opzione algerina non sembra delle migliori.
    Borrell ha provato a rassicurare anche in quel frangente: “Per quanto riguarda le attuali tensioni diplomatiche tra Algeria e Marocco, l’Ue è pronta a fornire tutto il sostegno necessario al processo guidato dalle Nazioni Unite per trovare una soluzione politica giusta e reciprocamente accettabile al caso del Sahara occidentale”. Ma fino ad oggi l’Ue ha sempre privilegiato la parte marocchina nel confronto con i Saharawi, il che la potrebbe esporre alle ripicche energetiche algerine. 

    La questione del Sahara occidentale è motivo di scontro tra Algeria e Marocco, e le posizioni spagnole a sostegno di Rabat ridisegnano i contratti di Sonatrach. La questione già nota prima dello scoppio delle guerra in Ucraina

  • in

    Commissione Ue e governo ucraino hanno firmato a Kiev una serie di intese per rafforzare cooperazione e integrazione

    Bruxelles – Una giornata simbolica per l’impegno dell’Unione Europea a sostegno dell’Ucraina a quasi un anno dall’inizio dell’invasione russa, che non poteva esaurirsi solo alla visita del Collegio dei commissari a Kiev. Sotto la guida della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e del primo ministro ucraino, Denys Shmyhal, i 15 commissari e commissarie e le rispettive controparti hanno discusso di “oltre 20 argomenti sul tavolo dei lavori” e hanno siglato due intese cruciali: un Memorandum d’intesa per una partnership sui gas rinnovabili e un Programma per l’accesso al Mercato unico.
    Da sinistra: la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il primo ministro dell’Ucraina, Denys Shmyhal, alla sessione plenaria della riunione tra il Collegio dei commissari e il governo ucraino a Kiev (2 febbraio 2023)
    “È stato un giorno emozionante e produttivo con incontri bilaterali e 4 ore di plenaria, non dobbiamo dimenticare che siamo in un Paese in guerra che si sta difendendo, ma abbiamo discusso insieme del nostro futuro comune“, è stata la presentazione dei lavori tra le due parti da parte della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, al termine della giornata di Kiev. In attesa del vertice Ue-Ucraina di domani (3 febbraio) con il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, e del leader ucraino, Volodymyr Zelensky, sono state affrontate tutta una serie di discussioni per il rafforzamento della cooperazione e dell’integrazione di Kiev nell’Unione, in attesa dell’avvio dei negoziati di adesione: dall’energia al commercio, dal roaming dati alla ricostruzione, dall’addestramento militare alla ricerca e innovazione.
    È l’ambito energetico quello che ha occupato buona parte dei lavori del Collegio dei commissari e del governo Shmyhal e che ha portato alla prima intesa di rilievo: il Memorandum d’intesa per il partenariato strategico sul biometano, l’idrogeno e altri gas di sintesi, “passi molto concreti nella direzione di una ricostruzione verde dell’Ucraina”, è la garanzia di von der Leyen. Un accordo che “amplierà la cooperazione energetica in corso tra l’Ue e l’Ucraina ai gas rinnovabili prodotti in modo sostenibile” e che formalizza “l’impegno di entrambe le parti a ridurre la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili, in particolare di gas russo, e a lavorare per la neutralità climatica”, specifica il testo.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (2 febbraio 2023)
    Ma non è tutto, perché la Commissione ha deciso di “invitare l’Ucraina alla piattaforma energetica per gli acquisti congiunti di gas” e, con l’obiettivo di “assicurare la sicurezza energetica” del Paese, arriveranno a Kiev “2400 generatori aggiuntivi, oltre ai 3000 già consegnati dall’inizio della guerra, più di 150 milioni di euro per l’acquisto di materiale energetico vitale” e una fornitura complessiva di “35 milioni di lampade al Led” (5 milioni in più rispetto ai piani originari), che il presidente Zelensky ha precisato “porterà a una diminuzione considerevole del consumo energetico e delle importazioni di energia” dell’Ucraina.
    A questo si aggiunge la firma dell’associazione al Programma per il Mercato unico, uno dei passi “per garantire all’Ucraina un accesso simile al Mercato unico dell’Ue, per mobilitare lo sforzo economico ucraino nella risposta alla guerra e per la ricostruzione”, ha precisato von der Leyen. Il Programma faciliterà l’accesso ai mercati e l’internazionalizzazione delle imprese, compresa la partecipazione a bandi specifici per le piccole e medie imprese e alle iniziative Erasmus per i giovani imprenditori, e si accompagnerà a una “tabella di marcia in 15 punti per l’accesso al Mercato unico“. A questo proposito va menzionata un’altra proposta della Commissione, ovvero l’estensione “per tutto il 2023” dell’accesso al mercato Ue per Kiev “senza dazi, per mantenere stabile il commercio”, come sta avvenendo dal maggio dello scorso anno.
    Le altre discussioni tra Ue e Ucraina
    La prima riunione tra il Collegio dei commissari e il governo ucraino a Kiev (2 febbraio 2023)
    Sul piano energetico – ma più spostato sul versante russo – è stato intenso il confronto sulla risposta europea e internazionale alla guerra di Mosca in Ucraina. “Entro il 24 febbraio dovremo avere il decimo pacchetto di sanzioni contro la Russia“, ha anticipato von der Leyen, facendo riferimento al primo anniversario dall’inizio dell’invasione, ma il presidente ucraino Zelensky ha chiesto anche di “migliorare la prevenzione dell’aggiramento” dei nove pacchetti di misure restrittive già in vigore contro Mosca. A proposito di sanzioni, “abbiamo sempre detto che faremo pagare a Putin il prezzo della guerra” e il tetto al prezzo del petrolio greggio russo fissato a inizio dicembre dall’Ue e dai partner del G7 “sta già costando alla Russia circa 160 milioni di euro al giorno“. Ora “introdurremo presto anche un tetto al prezzo dei prodotti raffinati“, ha promesso von der Leyen, con la riunione a Bruxelles degli ambasciatori al Coreper, il comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue, in programma domani proprio in parallelo al vertice Ue-Ucraina a Bruxelles.
    L’azione contro Mosca non si ferma qui. “La Russia deve essere chiamata a rispondere in tribunale dei suoi odiosi crimini” e oggi è arrivato l’annuncio da von der Leyen che “verrà istituito all’Aia un Centro internazionale per il perseguimento del crimine di aggressione in Ucraina“, per coordinare la raccolta delle prove dei crimini di guerra in collaborazione con l’agenzia Ue Eurojust. Nell’immediato però l’obiettivo è la vittoria sul campo di battaglia e per questo motivo l’esecutivo comunitario ha deciso di raddoppiare l’addestramento dei soldati ucraini nell’ambito della Missione di assistenza militare Ue, passando da 15 a 30 mila effettivi dell’esercito di Kiev. L’anticipazione è arrivato a Kiev dall’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che ha anche annunciato che Bruxelles fornirà “25 milioni di euro per sostenere gli sforzi di sminamento nelle aree a rischio” per la popolazione civile nei luoghi liberati dall’occupazione russa.

    Nel corso della prima riunione congiunta del Collegio dei commissari e dell’esecutivo del Paese invaso dall’esercito russa sono stati finalizzati un Memorandum d’intesa per una partnership sui gas rinnovabili e un Programma per l’accesso al Mercato unico: “Oltre 20 argomenti sul tavolo”

  • in

    Dall’Algeria Meloni lancia il Piano Mattei: Sarà utile a tutta l’Europa

    Roma – L’Algeria, tra i leader in Africa per l’energia, e l’Italia porta di approvvigionamento in Europa. Giorgia Meloni, ad Algeri per la sua quinta missione all’estero, pone le basi per il ‘Piano Mattei’ che, assicura, sarà “utile all’Unione intera”. Un modello di cooperazione con l’Africa nuovo e “non predatorio”, rivendica la premier. Lancia la sfida a Bruxelles, sarà utile che sostenga il piano: “Lo vediamo tutti, si chiudono opportunità, come i flussi energetici, per questo si deve guardare a Sud, e penso che andava fatto anche prima”.
    Stringe, accompagnata dall’ad di Eni Claudio Descalzi, dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi e dall’ambasciatore italiano Giovanni Pugliese, cinque accordi  e sigilla un percorso iniziato da Mario Draghi. La cooperazione però ora si estenderà anche alla transizione e alle fonti rinnovabili.
    Le intese firmate da Eni e Sonatrach, la sua omologa algerina, sono infatti due: una per ridurre le emissioni di gas serra, l’altra per incrementare le esportazioni di gas e realizzare un nuovo gasdotto per l’idrogeno. L’exit strategy dalla crisi passa quindi per il mix energetico.
    Per Descalzi Roma potrà azzerare le forniture da gas russo nell’inverno 2024-25, quando cioè entrambi i rigassificatori di Piombino e Ravenna saranno in funzione. “Bisogna pensare che solo 2 anni fa l’Algeria dava all’Italia circa 21 miliardi di metri cubi di gas – ricorda l’ad -, arriveremo a più di 28 miliardi l’anno prossimo e nel 2024-25 supereremo ancora, è veramente un partner strategico”.
    L’Italia punta tutto sul Paese nordafricano: “Non è un caso che la prima missione bilaterale nel Nord Africa del nuovo Governo” si stia svolgendo in Algeria, “a dimostrazione di quanto sia per l’Italia un partner affidabile e di assoluto rilievo strategico”, sottolinea la premier dopo l’incontro con il presidente Abdelmadjid Tebboune. Promette di non fermarsi qui. Sperimenterà, annuncia, nuovi campi di collaborazione, per costruire un partenariato che possa consentire di “alimentare le prospettive di crescita e sviluppo”, guardando a tutto il Mediterraneo.
    “Speriamo con i nostri amici italiani di raggiungere altri scopi e andare al di là degli scambi energetici, delle forniture di gas, idrogeno e ammoniaca”, le fa eco Tebboune. Il Paese, garantisce, vuole “rafforzare lo status di partner strategico dell’Italia in campo energetico, confermandosi come fornitore affidabile”, ma lo sarà anche “per gli investimenti industriali in Algeria”.
    Quello con l’Algeria è uno dei “tanti rapporti bilaterali” con il Nordafrica allo studio di Palazzo Chigi: “In futuro ce ne saranno altri – parola di premier -, li stiamo già programmando”.

    La premier italiana stringe, accompagnata dall’ad di Eni Claudio Descalzi, dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi e dall’ambasciatore italiano Giovanni Pugliese, cinque accordi. La cooperazione si estenderà anche alla transizione e alle fonti rinnovabili.

  • in

    Green Deal, adesso la sfida geopolitica dell’Ue è con gli Stati Uniti

    Bruxelles – Alla fine il Green Deal si scontra con la realpolitik. L’enfasi, sia pur giustificata e comprensibile, su una trasformazione dell’economia in senso nuovo e più sostenibile, ora fa i conti con il mondo reale. L’Unione europea ha deciso di essere leader, di dare il buon esempio. Nel fare da apri-pista, però, si è improvvisamente schiacciata da un partner deciso a superarla, gli Stati Uniti, e il mondo orientale – Paesi del golfo, Cina e India su tutti – ancora legata a quei vecchi sistemi produttivi che invece l’Ue vorrebbe superare. Il blocco a dodici stelle può rivendicare una svolta ‘green’ oltre Atlantico, che però rischia di tradursi in una sfida Ue-Stati Uniti tutta nuova.
    Le ripercussioni a livello globale della guerra tra Russia e Ucraina hanno indotto l’amministrazione Biden al varo dell’Inflation reduction act. Il provvedimento, varato per frenare l’inflazione, finisce per favorire quel settore in cui l’Ue vorrebbe tanto essere all’avanguardia. Credito d’imposta per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili per i progetti che iniziano la costruzione prima dell’1 gennaio 2025, 250 milioni di dollari in sovvenzioni per la produzione domestica di pompe di calore disponibili fino a settembre 2024, sovvenzioni per 5,8 miliardi di dollari per l’industria ad alta intensità energetica per l’installazione di tecnologie avanzate per ridurre le emissioni di gas serra delle strutture. Ancora, credito d’imposta sulla produzione per la produzione nazionale di componenti per l’energia solare ed eolica, inverter, componenti per batterie e minerali critici, programma di sovvenzioni da 2 miliardi di dollari per la produzione nazionale di veicoli puliti (ibridi, ibridi elettrici plug-in, elettrici plug-in e a celle a combustibile a idrogeno).
    L’Unione europea si vede ‘aggredita’ su quel terreno di sviluppo industriale dove cercava di ricostruire una competitività persa. A oriente l’Europa degli Stati l‘Ue dipende dalla Russia per una quota significativa delle sue importazioni per tre materie prime critiche, platino, palladio e titanio, materiali indispensabili per lo sviluppo della tecnologia dell’idrogeno. Ancora più a est l’Ue dipende fortemente dalla Cina da tutte le materie prime utilizzate per la produzione di batterie, ad eccezione del litio. L’Ue non ciò di cui ha bisogno per le sue transizioni, e al contempo deve rispondere al dilemma statunitense.
    C’è il rischio che il massiccio piano degli Stati Uniti possa mettere questi in una posizione di vantaggio a scapito dell’Europa delle verdi ambizioni. L‘industria europea teme di perdere la corsa globale per la competitività, con l’impatto maggiore delle industrie automobilistiche e delle tecnologie pulite dell’Ue, come i produttori di batterie o di apparecchiature per l’energia solare o eolica. Timori aggravati dalla prospettiva che i prezzi dell’energia in Europa rimangano più alti che negli Stati Uniti e in altre parti del mondo nel medio termine, come conseguenza della guerra della Russia in Ucraina e dell’allontanamento dal gasdotto russo.
    Non è un caso se la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato il piano industriale per il Green Deal. Ma servirà prudenza. Se da una parte non agire di fronte all’Inflation Reduction Act potrebbe avere conseguenze negative sull’industria dell’Ue, dall’altra parte una guerra commerciale in piena regola con gli Stati Uniti minerebbe l’unità transatlantica in tempo di guerra e trasmetterebbe l’immagine di un Occidente diviso sia alla Russia che alla Cina. “L’Ue si trova di fronte alla sfida di impostare una reazione coerente agli Stati Uniti“, mettono in rilievo gli analisti del centro ricerche del Parlamento.
    L’Ue deve fare i conti con la realtà, e la realtà è che il conflitto in Ucraina rischia di far saltare tutta la strategie a dodici stelle. La situazione che si è creata – azzeramento delle relazioni con la Russia, aumento dei prezzi, crisi energetica, dipendenza dalla Cina – è “aggravata dal limitato spazio di manovra dell’amministrazione Biden che rende altamente improbabili modifiche legislative all’Inflation Reduction Act“. Servirà una capacità negoziale nell’auspicio che il partner transatlantico non spinga troppo sull’acceleratore di un svolta green che potrebbe spazzare via le velleità europee.

    L’Inflation Reduction Act rischia di vedere l’Ue inseguire il progresso Usa anziché essere leader. Gli analisti avvertono: “Altamente improbabili modifiche legislative, una guerra commerciale non aiuterebbe”