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    Alla vigilia del vertice di Bruxelles tra Vučić e Kurti, l’Ue condanna la “retorica incendiaria” tra Serbia e Kosovo

    Bruxelles – I presupposti vanno tutti nella direzione di un vertice tanto atteso quanto delicato e difficilmente risolutivo. A due giorni dal nuovo incontro tra il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, nel quadro del dialogo facilitato dall’Ue, il clima rimane teso e da Bruxelles arrivano richiami alla collaborazione e alla distensione dei rapporti, che hanno conosciuto nuove tensioni nelle ultime settimane.
    “A breve saranno pubblicati i dettagli sui temi da affrontare al vertice di alto livello di giovedì 18 agosto, ma saranno discusse tutte le questioni più importanti“, ha confermato la portavoce della Commissione Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali, nel corso del punto quotidiano con la stampa europea. “Non voglio speculare sui possibili risultati, per noi rimane importante che entrambe le parti mettano fine alle ostilità e alla retorica incendiaria e mostrino piena responsabilità” nell’affrontare il sesto vertice di alto livello, ha poi precisato la portavoce. Il riferimento è alle dichiarazioni degli scorsi giorni di entrambi i leader balcanici sulla situazione nel nord del Kosovo, dove da inizio mese è tornata di attualità la questione delle targhe automobilistiche al passaggio della frontiera. I disordini – mai fuori controllo, nonostante alcuni incidenti tra le forze dell’ordine di Pristina e i cittadini kosovari di etnia serba – sono stati definiti “a un passo dalla catastrofe” dal presidente serbo Vučić, mente il premier kosovaro Kurti ha utilizzato una serie di interviste (anche a Repubblica) per mettere in guardia da una potenziale guerra serba fomentata dalla Russia di Putin.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, al vertice di Bruxelles del 15 giugno 2021
    L’avvertimento di non seguire la strada della retorica “incendiaria” era già arrivato domenica (14 agosto) in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), preoccupato per le dichiarazioni sulla guerra e sul conflitto nei Balcani Occidentali: “I politici di alto livello delle due parti saranno ritenuti responsabili di qualsiasi escalation che porti a un aumento delle tensioni e, potenzialmente, della violenza nella regione”. Un richiamo esplicito al presidente della Serbia e al premier del Kosovo, richiamati alla “responsabilità” e al confronto costruttivo all’interno del dialogo facilitato dall’Ue: “Il raggiungimento di un accordo globale e giuridicamente vincolante sulla piena normalizzazione delle relazioni richiede un clima che contribuisca a ripristinare la fiducia, la riconciliazione e le buone relazioni”, è la posizione di Bruxelles, che continua a insistere sul rispetto e la “piena attuazione” degli accordi già raggiunti, come quello in ambito energetico del 21 giugno scorso e l’intesa del 2013 (che Pristina ancora si rifiuta di attuare sul punto dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo).
    Nel suo richiamo alle due parti l’Ue è forte anche dello “stretto coordinamento” con gli Stati Uniti e con la Nato, attraverso la collaborazione tra la missione civile Eulex e i 3.700 soldati della Kosovo Force (Kfor), la forza militare internazionale per l’ordine e la pace in Kosovo. È anche per questo motivo che, prima del vertice di giovedì presieduto da Josep Borrell, alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Vučić e Kurti incontreranno domani (mercoledì 17 agosto) il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg. Dopo le notizie delle barricate e dei disordini al confine tra Serbia e Kosovo dello scorso 31 luglio, proprio la missione Nato in Kosovo aveva rilasciato un comunicato in cui avvertiva di essere “pronta a intervenire se la stabilità viene messa a repentaglio” nella regione e a prendere tutte le misure necessarie per mantenere un ambiente sicuro e protetto in Kosovo in ogni momento, in linea con il suo mandato Onu”.

    Sul tavolo dell’incontro di alto livello con il presidente serbo e il premier kosovaro ci saranno “tutti i temi più importanti ancora aperti” tra Belgrado e Pristina. L’Ue si aspetta “piena responsabilità e la fine alle ostilità da entrambe le parti”, in particolare sulla questione delle targhe

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    Dopo le tensioni al confine tra Serbia e Kosovo, si terrà il 18 agosto a Bruxelles il nuovo round di dialogo ad alto livello

    Bruxelles – Dopo le tensioni di confine, il tentativo di rimettere insieme i cocci con il dialogo. Si terrà il prossimo 18 agosto il nuovo incontro a Bruxelles tra il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, nel quadro del dialogo facilitato dall’Unione Europea, a più di un anno dall’ultimo (il quinto) infruttuoso vertice di alto livello mediato dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e dal rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák. “L’invito dell’alto rappresentante Borrell è stato accettato da entrambe le parti”, ha spiegato il portavoce Peter Stano durante il punto quotidiano con la stampa europea. “Speriamo in un buon incontro, è da tempo che c’è necessità di un incontro di questo livello“, ha aggiunto.
    Il nuovo round di alto livello tra i leader di Serbia e Kosovo arriva dopo le tensioni di confine dell’ultima settimana sulla questione delle targhe automobilistiche al passaggio della frontiera, un tema che già nel settembre del 2021 aveva esacerbato i rapporti tra i due Paesi. A seguito di quella che era stata definita “la battaglia delle targhe” (per l’imposizione da parte del governo di Pristina dell’applicazione di targhe di prova kosovare ai veicoli serbi in ingresso, misura identica a quella applicata da Belgrado), a Bruxelles era stato trovato un accordo per trovare – all’interno di un gruppo di lavoro congiunto – una soluzione definitiva al problema entro il 21 aprile 2022, sulla base di pratiche e standard comunitari (mentre temporaneamente sono stati coperti con degli adesivi i simboli nazionali sulle rispettive targhe). Dopo otto incontri in sei mesi tra gli esperti di Belgrado e Pristina, il compito di raggiungere l’intesa è passato ai capi-negoziatori delle due parti – con indiscrezioni della presenza di tre proposte sul tavolo – ma da mesi la situazione è in stallo.

    In cooperation with our international allies, we pledge to postpone implementation of decisions on car plates & entry-exit documents at border crossing points w/ Serbia for 30 days, on the condition that all barricades are removed & complete freedom of movement is restored. pic.twitter.com/oJNaQi0qPO
    — Albin Kurti (@albinkurti) July 31, 2022

    A gettare di nuovo benzina sul fuoco è stata la decisione del governo di Pristina di introdurre l’obbligo su tutto il territorio nazionale di utilizzare le targhe kosovare al posto di quelle serbe (molto diffuse tra la minoranza serba nel nord del Paese) a partire da lunedì primo agosto. La misura ha scatenato le proteste proprio di centinaia di cittadini di etnia serba, che hanno creato barricate ai valichi di confine di Jarinje e Bernjak. Dopo il crescere delle tensioni tra i manifestanti e la polizia – con alcuni spari da parte dei primi, che non hanno provocato nessun ferito – su consiglio di Bruxelles e di Washington il premier Kurti ha deciso di posticipare l’introduzione dell’obbligo di un mese, al primo di settembre.
    Come hanno fatto notare diversi analisti, la situazione non è mai sfuggita di mano anche nei momenti di maggiore tensione, sia per la retorica allarmistica e nazionalistica che rappresenta una costante nei rapporti tra i due Paesi, sia per la presenza del più grande contingente della Nato proprio in Kosovo (pronto a intervenire a ogni eventualità di scoppio delle ostilità). In ogni caso, ci si attende che all’incontro del 18 agosto tra Vučić e Kurti anche la questione delle targhe venga affrontata tra le priorità “da spingere nell’agenda del dialogo facilitato dall’Ue”, ha sottolineato il portavoce Stano, non volendo però rendere noti i temi su cui si concentreranno le discussioni di alto livello a Bruxelles.

    Welcome Kosovo decision to move measures to 1 September. Expect all roadblocks to be removed immediately.Open issues should be addressed through EU-facilitated Dialogue&focus on comprehensive normalisation of relations btwn Kosovo&Serbia, essential for their EU integration paths
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) July 31, 2022

    Al vertice nel quadro del dialogo facilitato dall’Unione Europea parteciperanno il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti. L’alto rappresentante Ue Borrell e il rappresentante speciale Lajčák proveranno a mediare anche sulla questione delle targhe

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    Serbia e Kosovo hanno raggiunto a Bruxelles un’intesa per l’attuazione degli accordi in ambito energetico

    Bruxelles – Piccoli passi di disgelo sulla strada del dialogo Pristina-Belgrado facilitato dall’UE. I negoziati a livello tecnico condotti oggi (martedì 21 giugno) a Bruxelles tra i capi-negoziatori di Kosovo, Besnik Bislimi, e Serbia, Petar Petković, hanno prodotto un’intesa per una tabella di marcia che fissa obiettivi specifici per l’attuazione degli Accordi sull’energia del 2013 e del 2015, finora attuati solo parzialmente.
    Come rilevato dal Servizio per l’azione esterna dell’UE (SEAE), l’importanza di questa intesa sulla roadmap per l’energia riguarda il fatto che i due accordi siglati da Serbia e Kosovo presentavano “elementi rilevanti ancora in sospeso”. Dopo mesi di tensione tra Pristina e Belgrado, questo primo – parziale – gesto di riavvicinamento è considerato da Bruxelles “un passo avanti nella normalizzazione delle relazioni, a beneficio di tutti i cittadini“, che dovrebbe dare la spinta per “compiere progressi in tutte le altre attività di attuazione ancora in sospeso”. Tra queste c’è anche quella relativa alla creazione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, vale a dire una comunità di municipalità kosovare a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia, e che al momento Pristina non vuole riconoscere (non rispettando così l’accordo del 2013).

    Good news from the #Brussels-led 🇽🇰 – 🇷🇸 #Dialogue.
    After the year of tensions, we’ve a concrete Action Plan on the implementation of 2013 Energy provisions that will facilitate the energy situation in North of Kosovo. Full trust in @MiroslavLajcak to keep up with the progress. https://t.co/WBV0vPVRFr
    — Viola von Cramon (@ViolavonCramon) June 21, 2022

    L’ottimismo di Bruxelles non è ingiustificato, dal momento in cui l’intesa sull’energia siglata tra Serbia e Kosovo riguarda proprio uno dei punti più controversi del rapporto tra i due Paesi balcanici: la fornitura di elettricità alle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. L’accordo garantisce a Elektrosever (società di proprietà serba stabilita in Kosovo e soggetta alla legge kosovara) di operare nelle quattro municipalità settentrionali, “aprendo la strada verso la fine dell’attuale pratica non trasparente e non regolamentata“. Il segretariato della Comunità dell’Energia sarà incaricato di monitorare l’attuazione tecnica dell’accordo commerciale tra Elektrosever e KEDS, la società kosovara di distribuzione dell’energia. Dal 2008 – dopo la dichiarazione d’indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia – queste quattro municipalità hanno goduto di un regime non legale di gratuità dalle bollette dell’energia elettrica, il cui deficit è stato coperto fino al 2017 dai contribuenti del resto del Paese e che ha aperto la strada fino all’inizio di quest’anno a un’intensa attività di estrazione di criptovalute.
    Particolare soddisfazione per l’accordo tra Serbia e Kosovo sulla tabella di marcia per l’energia è stata espressa dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, al termine di una conversazione telefonica con il premier kosovaro, Albin Kurti, e con il presidente serbo, Aleksandar Vučić: “Si tratta di un grande e importante passo in avanti nel dialogo facilitato dall’UE e porterà a risultati concreti per tutti i cittadini”, ha ribadito Borrell, dicendosi “fiducioso” di continuare a lavorare sui prossimi obiettivi dell’intesa tra i due Paesi.

    Spoke to @avucic and @albinkurti to congratulate them on reaching an agreement on the energy roadmap today.
    This is a big & important step forward in the EU-facilitated Dialogue and will deliver concrete results for all citizens. We look forward to continue working on next steps https://t.co/5r2jS0SX8n
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) June 21, 2022

    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    All’interno del dialogo facilitato dall’Unione Europea, i capi-negoziatori di Pristina e Belgrado hanno concordato la tabella di marcia che specifica anche obblighi e diritti per la fornitura di elettricità alle quattro municipalità settentrionali del Kosovo a maggioranza serba

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    È stato sospeso il restauro con fondi UE della casa di un collaborazionista nazista in Kosovo dopo le proteste

    Bruxelles – Tutto fermo, nessuna mano di bianco sulla storia. Sono bastati due giorni di polemiche – nonostante le spiegazioni sui motivi e i principi ineccepibili alla base del progetto – per bloccare il programma di restauro della casa di Xhafer Ibrahim Deva, collaborazionista ai tempi dell’Albania occupata dal regime nazista, con l’utilizzo di fondi dell’Agenzia per lo sviluppo delle Nazioni Unite (UNPD) e della rappresentanza UE in Kosovo.
    A causa delle proteste della società civile, dell’ambasciatore tedesco in Kosovo, Jörn Rohde, e della relatrice per il Kosovo al Parlamento UE, Viola von Cramon-Taubadel, UNDP e UE hanno annunciato la sospensione del progetto di recupero del bene culturale in pericolo nella città di Kosovska Mitrovica, per riconsegnarlo alla comunità come spazio per eventi culturali e come Centro Regionale per il Patrimonio Culturale. “Esprimiamo il forte rammarico per qualsiasi offesa involontaria causata con l’annuncio dell’inizio dei lavori omettendo il background storico di Xhafer Deva”.
    L’edificio nella città del Kosovo settentrionale fu casa del collaborazionista della Germania nazista, macchiatosi di pogrom e crimini contro ebrei e serbi durante la seconda guerra mondiale. Deva, dopo la caduta del Protettorato Italiano del Regno d’Albania nel 1943, fu nominato ministro degli Interni albanese e capo dell’amministrazione locale di Mitrovica, collaborando con i nazisti per stabilire un governo albanese filo-tedesco in Kosovo. Sotto la sua amministrazione furono condotte operazioni anti-partigiane e anti-serbe e furono reclutati uomini nella 21esima divisione Waffen-SS Skanderbeg.

    The case of #XhaferDeva’s house in #SouthMitrovica personally worries me and raises many concerns.
    Whitewashing the past and distorting the facts about the well-known Nazi collaborator/protagonist of the 21st SS Division “Skanderbeg” must not take place.
    1/3#ProtectTheFacts
    — Viola von Cramon (@ViolavonCramon) February 8, 2022

    Dopo la lettera di denuncia inviata dalla vicepremier e ministra per la Cultura e l’informazione della Serbia, Maja Gojković, alla commissaria UE per la Cultura, l’istruzione e la gioventù, Mariya Gabriel, e al direttore esecutivo dell’UNPD, Akim Steiner, è stata in particolare l’eurodeputata tedesca dei Verdi a denunciare il progetto come “cancellazione del passato e distorsione dei fatti sul noto collaboratore nazista“. Su Twitter si era detta “personalmente preoccupata”, perché si configurava la possibilità di “revisionismo della storia della Seconda Guerra Mondiale e negazione dell’Olocausto”, a pochi giorni dal ricordo delle vittime delle persecuzioni naziste. Secondo von Cramon-Taubadel “questa deve essere un’opportunità per permettere a tutte le comunità del Kosovo di unirsi nella creazione di una narrazione comune e di una verità inclusiva e basata sui fatti“, anche su chi ha collaborato a commettere crimini contro ebrei, serbi, albanesi e altre comunità.
    Immediata la replica di UE e UNPD sulle prospettive del progetto di restauro dello stabile che, tra le altre funzioni dalla sua edificazione nel 1930, fu casa del collaborazionista nazista: “Stiamo rivalutando il nostro ruolo e il nostro contributo“, compresa la possibilità di “utilizzare l’attuale controversia come occasione per affrontare apertamente il passato attraverso discussioni e consultazioni di tutte le comunità interessate”, si legge nel comunicato congiunto. Ribadendo la “ferma condanna contro l’antisemitismo, la xenofobia, la crescente intolleranza e il bigottismo verso le minoranze etniche“, i co-finanziatori del progetto hanno ricordato che in Kosovo dal 2016 sono stati completati lavori di ristrutturazione di 35 siti culturali e religiosi, “tutti finalizzati a rafforzare la fiducia e la coesione sociale, aumentando il rispetto per il patrimonio culturale condiviso da diverse comunità e religioni” nel Paese.

    È stato bloccato il programma guidato dall’ONU per restituire alla comunità la dimora di Xhafer Ibrahim Deva nella città di Kosovska Mitrovica, anche per le critiche a Bruxelles: “Non deve avvenire la distorsione del passato”

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    In Kosovo l’UE sta finanziando il restauro della casa di un collaborazionista nazista (ma per restituirla alla comunità)

    Bruxelles – In Kosovo nemmeno le case hanno pace. L’ultima controversia tra Serbia e Kosovo riguarda la ristrutturazione della casa di Xhafer Ibrahim Deva, collaborazionista ai tempi dell’Albania occupata dal regime nazista, con l’utilizzo di fondi dell’Agenzia per lo sviluppo delle Nazioni Unite (UNPD) e della rappresentanza UE a Pristina.
    A sollevare il caso è stata la vicepremier e ministra per la Cultura e l’informazione della Serbia, Maja Gojković, che ha inviato una lettera alla commissaria UE per la Cultura, l’istruzione e la gioventù, Mariya Gabriel, e al direttore esecutivo dell’UNPD, Akim Steiner, per chiedere di non proseguire con il progetto di restauro nella città di Kosovska Mitrovica della casa del collaborazionista della Germania nazista, macchiatosi di pogrom e crimini contro ebrei e serbi in Kosovo durante la seconda guerra mondiale.
    Xhafer Ibrahim Deva (1904-1978)
    Deva (deceduto nel 1978 a San Francisco) dopo la caduta del Protettorato Italiano del Regno d’Albania nel 1943, divenne ministro degli Interni albanese e fu a capo dell’amministrazione locale di Mitrovica, collaborando con i nazisti per stabilire un governo albanese filo-tedesco in Kosovo. Sotto la sua amministrazione furono condotte operazioni anti-partigiane e anti-serbe e furono reclutati albanesi del Kosovo nella 21esima divisione Waffen-SS Skanderbeg. Nel 1944, appena prima della liberazione dell’Albania, Deva scappò in Croazia e in Austria e, alla fine della guerra, si trasferì prima a Damasco (Siria) e poi negli Stati Uniti, dove giocò un ruolo attivo nell’organizzazione della resistenza anticomunista (reclutato dalla Central Intelligence Agency, CIA).
    Nell’ottica della memoria dei crimini nazisti, sembra ingiustificabile il supporto dell’UE e dell’UNPD al restauro della casa di un collaborazionista in Kosovo. Ecco perché bisogna tenere presente le motivazioni presentate nella risposta congiunta rilasciata della rappresentanza UE a Pristina e dal ministero della Cultura, della Gioventù e dello Sport del Kosovo, per spiegare che è il valore architettonico dell’edificio e non chi l’ha occupato al centro del progetto del Centro culturale regionale: “La conservazione e la riabilitazione del patrimonio culturale e religioso è guidata dalla necessità di garantire la sua esistenza per i posteri, concentrandosi sui valori architettonici di tali siti”.
    L’edificio situato nel centro di Kosovska Mitrovica è stato costruito nel 1930 da architetti e operai austriaci e appartiene allo stile moderno occidentale-europeo, il primo nel suo genere nella città: grazie alle sue numerose decorazioni esterne, “la casa è nella lista temporanea dei siti del patrimonio culturale protetto in Kosovo“. Dal 1945 è di proprietà pubblica ed è stato utilizzato come centro di assistenza sanitaria, rifugio per famiglie senza tetto e orfanotrofio, ma è poi caduto in rovina. Ecco perché “il restauro previsto farà sì che i suoi valori architettonici vengano ripristinati e che la casa venga nuovamente recuperata per la comunità”, con il doppio scopo di “fornire uno spazio per eventi culturali e comunitari e ospitare il Centro Regionale per il Patrimonio Culturale”.
    È qui che si chiariscono tutti i dubbi: “La casa servirà come centro per le comunità locali per riunirsi, esplorare idee, promuovere l’interculturalità, la tolleranza e la connettività“, sempre in un’ottica di “tolleranza zero verso qualsiasi forma di razzismo, discriminazione, pregiudizio o appartenenza etnica che tenta di giustificare o promuovere l’odio razziale e la discriminazione”, si legge nella lettera. UE e UNPD si sono dette “preoccupate” rispetto alla controversia che lega il passato dell’edificio con le attuali tensioni sommerse tra Serbia e Kosovo e, sull’onda dello spirito che guida il dialogo tra Pristina e Belgrado mediato da Bruxelles, hanno richiamato l’attenzione sulla necessità di “lavorare per il futuro del dialogo intercomuniatrio”.

    La dimora di Xhafer Ibrahim Deva nella città di Kosovska Mitrovica è sottoposta a restauro in un programma guidato dall’ONU: “L’edificio appartiene allo stile moderno occidentale-europeo e compare nella lista temporanea dei siti del patrimonio culturale protetto”

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    Nel 2021 la Serbia ha migliorato il proprio allineamento agli standard di adesione all’UE

    Bruxelles – Ora è arrivata anche la conferma dalla istituzioni dell’Unione Europea: nel 2021 la Serbia ha fatto progressi sul livello di allineamento agli standard di adesione all’UE e con i recenti progressi sullo Stato di diritto sta dimostrando di voler continuare su questa strada. È quanto emerge dalle conclusioni del Consiglio di stabilizzazione e associazione UE-Serbia, riunitosi oggi (martedì 25 gennaio) a Bruxelles.
    A presiedere il vertice sono stati per l’UE il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per il vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e per la parte serba la premier, Ana Brnabić, e la ministra per l’integrazione europea, Jadranka Joksimović.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la premier serba, Ana Brnabić, al Consiglio di stabilizzazione e associazione UE-Serbia (martedì 25 gennaio)
    Partendo dai risultati del referendum sulla riforma giudiziaria, i partecipanti hanno accolto “con favore” il completamento di questo “importante passo” sul fronte delle riforme costituzionali richieste dall’Unione e hanno auspicato che il Paese “continui e approfondisca l’impegno sullo Stato di diritto” nei settori del sistema giudiziario, della lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, della libertà dei media e del trattamento interno dei crimini di guerra. Rimangono ancora sotto la lente di Bruxelles il “corretto funzionamento delle istituzioni democratiche” e il “rafforzamento della fiducia nei processi elettorali”.
    Ma, in vista del prossimo incontro di alto vertice tra UE e Serbia, le conclusioni mettono in evidenza la necessità per Belgrado di “intensificare ulteriormente gli sforzi per allinearsi alla politica estera e di sicurezza comune dell’UE“. In questo senso vengono considerati apprezzabili sia la “partecipazione attiva” della Serbia alle missioni e alle operazioni militari, sia i preparativi per contribuire alle missioni civili. Per Bruxelles questo è un punto-chiave per allontanare il Paese balcanico dalle sirene russe e nazionaliste, in un momento particolarmente delicato nella regione per le tensioni etniche nella vicina Republika Srpska (l’entità serba della Bosnia ed Erzegovina). “Sono necessari ulteriori sforzi per superare le eredità del passato e per promuovere in modo costruttivo la fiducia reciproca, il dialogo e la tolleranza nella regione”, in particolare “evitando azioni e dichiarazioni che vanno contro questo obiettivo”.
    A proposito della cooperazione regionale, l’avanzamento dei negoziati di adesione della Serbia all’UE (che con la nuova metodologia ha portato all’apertura del gruppo tematico di capitoli negoziali sull’agenda verde e la connettività sostenibile) può passare solo dalla normalizzazione delle relazioni con il Kosovo, attraverso il dialogo mediato da Bruxelles. “È necessario un impegno costruttivo in buona fede e in uno spirito di compromesso per raggiungere un accordo globale giuridicamente vincolante in conformità al diritto internazionale”, sottolineano le conclusioni del Consiglio di stabilizzazione e associazione, ribadendo la “forte aspettativa che tutti gli accordi passati siano pienamente rispettati e attuati“.

    È quanto emerge dall’ultimo Consiglio di stabilizzazione e associazione UE-Serbia svoltosi oggi a Bruxelles: “Ora Belgrado deve intensificare ulteriormente i suoi sforzi sulla politica estera e di sicurezza comune”

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    Serbia, adesione UE più vicina: approvate alcune delle riforme costituzionali richieste dall’Unione

    Bruxelles – La Serbia prosegue lungo il cammino di adesione all’UE e con un referendum sulle riforme costituzionali in materia di nomine del sistema giudiziario cerca di allinearsi agli standard richiesti dall’Unione. Gli elettori serbi hanno approvato ieri (domenica 16 gennaio) i 29 emendamenti della Costituzione nazionale sulle nomine di giudici e procuratori, che non saranno più decise dall’Assemblea nazionale ma da un Consiglio superiore della magistratura.
    Secondo i risultati annunciati nella tarda serata di domenica, si è espresso a favore della riforma giudiziaria il 61,84 per cento degli elettori che si sono recati alle urne. L’affluenza si a fermata al 30,6 per cento, ma da novembre dello scorso è stato abolito il quorum del 50 per cento degli aventi diritto al voto. Oltre alla questione delle nomine dei componenti del sistema giudiziario, le riforme costituzionali prevedono anche  l’istituzione di organi di controllo sugli istituti giudiziari e una riduzione dei tempi dello svolgimento dei processi.
    La riforma giudiziaria è stata voluta dal governo presieduto da Ana Brnabić per avvicinare la Serbia agli standard UE sullo Stato di diritto. Da anni Bruxelles chiede a Belgrado che le nomine di giudici e procuratori siano sottratte dall’influenza politica e questo tema è al centro delle conferenze intergovernative che si sono aperte il 23 giugno 2021. In una nota pubblicata venerdì scorso (14 gennaio), le ambasciate di Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Europea avevano definito il referendum “un passo fondamentale” sia per rafforzare l’indipendenza e la trasparenza del potere giudiziario, sia per “l’allineamento della Serbia agli standard europei”, che andranno a “sostenere il processo di adesione all’UE”.
    “Accolgo con favore questo importante passo e l’impegno nel percorso verso l’UE”, ha commentato su Twitter il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. Il membro della Commissione Europea al centro delle polemiche a Bruxelles per il suo presunto coinvolgimento nella crisi istituzionale in Bosnia ed Erzegovina ha aggiunto che “continueremo a lavorare con le autorità serbe sull’ambizioso programma” di riforme costituzionali, “facendo progredire l’integrazione della Serbia nell’Unione Europea”.

    #Serbia: In today’s referendum voters supported the change of the Constitution to reinforce judicial independence. I welcome this important step & commitment to #EU path. We will continue to work with Serbian authorities on ambitious reform agenda, advancing EU integration.
    — Oliver Varhelyi (@OliverVarhelyi) January 16, 2022

    Ma oltre confine, in Kosovo, è stato un fine settimana di grandi tensioni politiche, proprio a causa del referendum sulle riforme costituzionali della Serbia. L’Assemblea di Pristina ha approvato venerdì una risoluzione in otto punti contro la possibilità che i cittadini kosovari di etnia serba potessero recarsi alle urne sul territorio del Kosovo, dal momento in cui sarebbe stata “incostituzionale” e avrebbe violato la sovranità del Paese. La richiesta di aprire centri elettorali in Kosovo era arrivata dal governo serbo ed era stata avallata dall’UE: “L’UE si rammarica che non sia stato possibile trovare un accordo con il governo del Kosovo che permetta all’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) di raccogliere le schede elettorali in Kosovo, secondo la prassi passata”, si legge in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE).
    Da Pristina non era arrivata nessuna concessione e il governo guidato da Albin Kurti aveva ribadito che gli elettori con doppia cittadinanza fossero liberi di votare per posta o sul suolo serbo. I serbi del Kosovo hanno protestato nel nord del Paese – dove sono in maggioranza – ma non sono stati segnalati incidenti. La disputa sul voto in Kosovo per il referendum sulle riforme costituzionali della Serbia è un nuovo tassello nella tensione crescente tra Pristina e Belgrado, che l’Unione Europea sta cercando di risolvere attraverso una mediazione che dura da più di 10 anni. “Chiediamo ai governi del Kosovo e della Serbia di astenersi da azioni e retoriche che aumentano le tensioni e di impegnarsi in modo costruttivo nel dialogo facilitato dall’UE“, avevano aggiunto gli ambasciatori occidentali, ricordando che “è importante che entrambi i governi compiano progressi verso un accordo globale che sblocchi la prospettiva dell’UE e aumenti la stabilità regionale”.

    Serbia: Joint Statement by 🇪🇺🇫🇷🇩🇪🇮🇹🇺🇸🇬🇧 on the upcoming referendum, also recalling the rights of Serbs in Kosovo in this context. https://t.co/mxqIvEZey7
    — Peter Stano (@ExtSpoxEU) January 14, 2022

    Via libera dal referendum sulla riforma giudiziaria, che prevede 29 emendamenti alla Costituzione in materia di nomine del sistema giudiziario. Il Kosovo ha negato l’apertura di centri di voto per i cittadini di etnia serba sul territorio nazionale

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    L’ennesimo anno perso dall’UE sulla strada dell’allargamento ai Balcani Occidentali: (quasi) tutto rimandato al 2022

    Bruxelles – No, i negoziati per l’adesione all’Unione Europea di Albania e Macedonia del Nord non sono ancora iniziati. La grande promessa della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, è caduta nel vuoto. Questa parola data e non rispettata dall’UE ai Balcani Occidentali è uno dei molti segnali di difficoltà che stanno caratterizzando non solo il processo di allargamento dell’Unione nella regione, ma anche gli stessi rapporti tra Bruxelles e le capitali balcaniche.
    Sul 2021 c’erano grandi aspettative di rilancio del ruolo dell’UE nei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia), considerati i diversi dossier lasciati in sospeso alla fine dello scorso anno. La maggior parte sono rimasti pressoché inalterati – se non addirittura peggiorati – mentre solo pochi hanno trovato una nuova spinta. La realtà dei fatti è che al momento sono solo due i Paesi che hanno aperto i quadri negoziali con Bruxelles (Serbia e Montenegro).
    Il contorno è una crisi istituzionale in Bosnia ed Erzegovina, un dialogo Kosovo-Serbia che si sta incrinando sempre di più e un clima di disillusione a Skopje e Tirana che non fa presagire nulla di buono. Nel 2022 l’Unione Europea dovrà dimostrare di saper mantenere le promesse fatte ai partner balcanici, o rischierà di compromettere definitivamente il processo di allargamento.
    L’allargamento dell’UE nei Balcani
    Si tratta del tema più caldo sul tavolo europeo e anche il rimpianto più grande di questo 2021. Dopo il veto della Bulgaria all’apertura dei quadri negoziali con la Macedonia del Nord (che ha trascinato nello stallo anche l’Albania) del dicembre dello scorso anno, ci si aspettava che le pressioni diplomatiche sul governo di Sofia avrebbero portato allo sblocco della situazione e l’inizio del cammino di adesione UE per i due Paesi dei Balcani Occidentali vincolati dallo stesso dossier.
    Da sinistra: il premier sloveno e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Janez Janša, il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, e la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Ad alzare le aspettative era stata la stessa presidente von der Leyen, che nel suo tour a settembre nelle capitali balcaniche aveva promesso a Skopje e Tirana che “le prime conferenze intergovernative si dovranno organizzare entro la fine dell’anno“. Già allora sembrava un azzardo (ma rimane pur sempre la posizione ufficiale della Commissione) e forse è stato anche per questo motivo che, come riportato da Eunews direttamente da Kranj (Slovenia), il mancato accordo al vertice UE-Balcani Occidentali di inizio ottobre non ha rappresentato una grossa sorpresa.
    Il ritorno in presenza (dopo tre anni) dell’appuntamento più importante tra i leader dell’Unione Europea e della regione balcanica è coinciso con un nulla di fatto, al contrario delle aspettative della presidenza slovena del Consiglio dell’UE, che aveva spinto per inserire – invano – la data del 2030 come termine ultimo per il processo di allargamento dell’UE nei Balcani.
    A proposito di adesione all’Unione Europea, va segnalato un parziale successo di Bruxelles nello spingere con decisione i due Paesi che hanno già aperto i negoziati, dando più credibilità e affidabilità a questo processo. Lo scorso 22 giugno sono state avviate le prime conferenze intergovernative con Serbia e Montenegro, attraverso una metodologia rivista basata sull’accorpamento di 33 capitoli negoziali in 6 gruppi tematici: secondo le intenzioni di Bruxelles, in questo modo si riuscirà a dare maggiore dinamismo e risultati tangibili sul fronte delle riforme strutturali a Belgrado e Podgorica.
    Il dialogo Pristina-Belgrado
    Qui invece ci troviamo di fronte al solito nodo irrisolto delle relazioni diplomatiche tra Kosovo e Serbia, con il tentativo di Bruxelles di trovare un punto di mediazione. Il dialogo, che quest’anno ha compiuto esattamente 10 anni, era ripreso nel luglio dello scorso anno dopo anni di silenzio. Ma proprio nel momento in cui si iniziava a sperare in un compromesso tra le parti, il 2021 ha riservato l’ennesima ondata di tensioni.
    Il primo scossone è stata l’elezione del nuovo primo ministro kosovaro, il leader nazionalista di sinistra Albin Kurti. Se da una parte è stato l’artefice di una maggiore stabilizzazione del Paese, allo stesso tempo Kurti ha fatto capire a Belgrado che non farà nessuno sconto nel corso dei negoziati. Ad aumentare questa posizione dura a Pristina – che sta indispettendo la controparte serba – è stata la nomina della nuova presidente della Repubblica, Vjosa Osmani, che da aprile chiede più vaccini anti-COVID per il suo Paese: “Il dialogo con Belgrado prima dei vaccini non è una priorità”.
    Da sinistra: l’alto rappresentante UE, Josep Borrell, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (15 giugno 2021)
    Per l’UE si tratta di una delle questioni più spinose nei Balcani Occidentali. Dopo il fallimento della ripresa del dialogo nel doppio incontro di alto livello di quest’estate, a inizio autunno si è toccato il punto più basso. Lo scorso 20 settembre è scoppiata la cosiddetta ‘battaglia delle targhe’ tra i due Paesi, dopo la decisione del governo di Pristina di imporre il cambio delle targhe ai veicoli serbi in entrata nel territorio kosovaro. Dopo 10 giorni di incontri e negoziati promossi da Bruxelles, l’UE è riuscita a far siglare un’intesa a Serbia e Kosovo, che ha risolto una situazione potenzialmente esplosiva.
    Ma è stata una vittoria di Pirro, che non ha fatto avanzare di un millimetro il processo di normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado e che ha avuto come strascico un indebolimento ulteriore della fiducia reciproca. Lo ha dimostrato il fatto che a Bruxelles non si è tenuto più nemmeno un vertice con il premier kosovaro e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić. “È inutile incontrarci, se in partenza non c’è l’intenzione di trovare un compromesso”, ha commentato recentemente quasi sconsolato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri, Josep Borrell. Alla vigilia del 2022 la prospettiva di compromessi non sembra essere nemmeno teorica, né sul riconoscimento dell’indipendenza di Pristina da parte di Belgrado, né sulla creazione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo.
    I buoni propositi per il 2022
    Da cosa ripartire dal primo gennaio del prossimo anno per raddrizzare il cammino dei Balcani Occidentali verso l’UE? Prima di tutto da quello che è indiscutibilmente il vero successo dell’Unione, che le sta consentendo di non perdere troppa credibilità agli occhi dei partner della regione: il Piano economico e di investimenti presentato dal commissario per la Politica di vicinato e di allargamento, Olivér Várhelyi, il 6 ottobre del 2020 e la cui importanza è stata ribadita nel Pacchetto Allargamento 2021.
    Con una mobilitazione di finanziamenti fino a 29 miliardi di euro – e con il sostegno dello strumento di assistenza pre-adesione IPA III per favorire le riforme strutturali – l’UE punta a far sentire la propria presenza economica nella regione, sfidando le insidie russe e soprattutto cinesi nella regione. Una risposta anche allo scandalo del debito da 809 milioni di euro del Montenegro a Pechino, che ha preoccupato l’opinione pubblica fino a fine luglio.
    Il commissario per la Politica di vicinato e di allargamento, Olivér Várhelyi
    Il secondo punto su cui si dovrà insistere sarà la fornitura di vaccini anti-COVID alla regione. Dopo mesi di grandi difficoltà da parte dell’UE, a partire da maggio la situazione dell’invio diretto di dosi e attraverso il meccanismo COVAX ai Balcani Occidentali si è sbloccata, lasciando la sensazione che Bruxelles abbia tutto l’interesse di mettere in sicurezza a livello sanitario i sei Paesi partner. La questione ha una valenza anche geopolitica, dal momento in cui la lotta al COVID-19 sta diventando uno strumento per tenere in piedi il processo di allargamento dell’Unione e si scontra con la penetrazione di Mosca (con il suo vaccino Sputnik V) e di Pechino (con Sinopharm).
    E infine sarà necessario dare una dimostrazione di forza per la stabilizzazione della regione. Evitando errori di comunicazione come quello sul non paper di Lubiana per “completare la dissoluzione dell’ex-Jugoslavia” – che ha infiammato l’opinione pubblica dei Balcani e dei Paesi membri UE prima dell’inizio del semestre sloveno di presidenza del Consiglio dell’UE – Bruxelles è chiamata a dare una risposta concreta alla crisi istituzionale in Bosnia ed Erzegovina. Che si tratti di sanzioni economiche, pressioni politiche o coordinamento con i partner statunitensi sul campo, le istituzioni europee dovranno decidere come non trasformare il 2022 nell’anno in cui le violenze etniche riprenderanno piede nel Paese. Tutto questo a causa delle minacce sempre più reali del membro serbo-bosniaco della Presidenza tripartita, Milorad Dodik, che a ottobre aveva minacciato di portare la Republika Srpska (l’entità serba) fuori dal controllo delle autorità centrali.
    Per l’UE il tempo del temporeggiamento nei Balcani Occidentali sta scadendo. La politica estera nei confronti dei partner più vicini e sensibili alla prospettiva di adesione all’Unione non potrà più basarsi su promesse non mantenute e soli impegni economici. Il 2022 non dovrà essere un ennesimo anno perso sulla strada dell’allargamento, o il rischio di perdere tutta la credibilità accumulata in anni di avvicinamento si potrebbe manifestare in forme più o meno violente. In una regione che ha già dimostrato solo 30 anni fa all’Europa il dramma delle guerre etniche.

    Pesano soprattutto il mancato avvio dei negoziati di adesione con Albania e Macedonia del Nord, il dialogo Kosovo-Serbia sempre più stagnante e le difficoltà nel rispondere alla crisi istituzionale in Bosnia ed Erzegonia