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    Il vertice dei leader Ue dà il via libera alla nuova strategia dell’Unione sulla Cina: de-risking e relazioni equilibrate

    Bruxelles – In un Consiglio Europeo dominato dalla questione migrazione, il capitolo sulla Cina rimane quasi ai margini, almeno se confrontato con le attese fino a un mese fa. Eppure il contenuto è un orientamento strategico dell’Unione non di poco conto, che costituirà per il prossimo futuro la base di partenza su cui impostare qualsiasi discorso e confronto con Pechino: “Nonostante i diversi sistemi politici ed economici, l’Unione Europea e la Cina hanno un interesse comune a perseguire relazioni costruttive e stabili, ancorate al rispetto dell’ordine internazionale basato sulle regole, all’impegno equilibrato e alla reciprocità”, si legge nelle conclusioni del vertice dei leader Ue.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (29 giugno 2023)
    Come affermato per la prima volta nel discorso programmatico della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sulle direttrici strategiche per il riorientamento dei rapporti Ue-Cina lo scorso 30 marzo, i Ventisette confermano che l’Unione “continuerà a impegnarsi con la Cina per affrontare le sfide globali”, ma soprattutto incoraggia Pechino a “intraprendere azioni più ambiziose in materia di cambiamenti climatici e biodiversità, salute e preparazione alle pandemie, sicurezza alimentare, riduzione delle catastrofi, riduzione del debito e assistenza umanitaria”. La discussione strategica tra i 27 capi di Stato e di governo si è dimostrata un lavoro “rapido” sia nel lavoro per avere “una posizione unica”, ma anche per concordare conclusioni che mettessero in chiaro come Pechino sia “contemporaneamente partner, concorrente e rivale sistemico” e che gli Stati membri devono tenere un “approccio politico multiforme”.
    Questo discorso riguarda prima di tutto l’aspetto economico e commerciale: “L’Unione Europea cercherà di garantire condizioni di parità, in modo che le relazioni commerciali ed economiche siano equilibrate, reciproche e reciprocamente vantaggiose”. L’obiettivo dichiarato è quello di “ridurre le dipendenze e le vulnerabilità critiche, anche nelle catene di approvvigionamento”, così come “diversificare dove necessario e appropriato”. La stella polare – discussa anche nel confronto del 6 aprile a Pechino tra la presidente della Commissione Ue von der Leyen, quello francese, Emmanuel Macron, e quello cinese, Xi Jinping – rimane il fatto che “l’Unione Europea non intende disaccoppiarsi o ripiegarsi su se stessa“. O, come ripete la numero uno dell’esecutivo comunitario, “de-risking, non disaccoppiamento”, che significa “ridurre le vulnerabilità dal punto di vista delle nostre relazioni economiche” come sulle materie prime critiche necessarie per la produzione di tecnologia pulita. Un tema su cui “c’è ampio consenso sia tra i governi Ue sia con i nostri partner G7”, ha messo in chiaro von der Leyen.

    Ue e Cina su politica estera e interna (cinese)
    Ma nelle conclusioni del vertice rientrano anche tematiche di natura puramente politica. In primis quella del controverso rapporto tra Pechino e Mosca, che Bruxelles sta cercando di spezzare per assicurarsi un alleato di peso per spingere la Russia a cessare la sua invasione dell’Ucraina: “In qualità di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Cina ha una responsabilità speciale nel sostenere l’ordine internazionale basato sulle regole”, ricordano i leader Ue, facendo riferimento alla “pressione” che Xi Jinping dovrebbe esercitare su Vladimir Putin perché “cessi la sua guerra di aggressione e ritiri immediatamente, completamente e incondizionatamente le sue truppe dall’Ucraina”. Sempre sul piano delle relazioni esterne viene messo nero su bianco il fatto che “i mari della Cina orientale e meridionale sono di importanza strategica per la prosperità e la sicurezza regionale e globale” e che l’Unione “è preoccupata per le crescenti tensioni nello Stretto di Taiwan“. In questo senso il Consiglio “si oppone a qualsiasi tentativo unilaterale di cambiare lo status quo con la forza o la coercizione” e “riconferma la coerente politica di una sola Cina”.
    In ultima istanza non manca il riferimento al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, con un riferimento alla ripresa del dialogo sui diritti umani con la Cina. In ogni caso i Ventisette ribadiscono le preoccupazioni per “il lavoro forzato, il trattamento dei difensori dei diritti umani e delle persone appartenenti a minoranze e la situazione in Tibet e nello Xinjiang“, ma anche il rispetto dei “precedenti impegni della Cina in materia di impegni assunti dalla Cina in relazione a Hong Kong”.

    Nelle conclusioni del Consiglio Europeo trova spazio anche il capitolo sulle relazioni con Pechino, sulla base dei risultati del viaggio Macron-von der Leyen del 6 aprile: “È contemporaneamente partner, concorrente e rivale sistemico, serve un approccio politico multiforme”

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    Prima del Consiglio Ue von der Leyen sente i leader di Kosovo e Serbia. Borrell: “Stati membri stanno perdendo la pazienza”

    Bruxelles – Scende in campo la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, per cercare di dare il colpo definitivo ai rischi dell’aumento delle tensioni tra Kosovo e Serbia. “Ho sottolineato l’urgente necessità di una de-escalation e del ritorno al dialogo facilitato dall’Ue sulla normalizzazione delle relazioni con la Serbia”, ha reso noto oggi (27 giugno) in un tweet la stessa numero uno dell’esecutivo comunitario dopo la telefonata con il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e poco prima di fare lo stesso con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić. Colloqui che arrivano alla vigilia del Consiglio Europeo del 29-30 giugno, quando i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue troveranno anche la questione delle violenze degli ultimi mesi nel nord del Kosovo e della tensione tra Pristina e Belgrado sul tavolo delle discussioni.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro dell’Albania, Edi Rama (27 giugno 2023)
    È la seconda volta che la presidente von der Leyen affronta la questione da quando il 26 maggio sono scoppiate le violente proteste nel nord del Kosovo che hanno portato a un aggravamento della situazione nella regione. “Le recenti tensioni sono preoccupanti, mi associo agli appelli rivolti a tutte le parti ad abbandonare lo scontro e ad adottare misure urgenti per ristabilire la calma“, aveva messo in chiaro la leader della Commissione presentando il nuovo piano di crescita per i Balcani Occidentali lo scorso 31 maggio. Da allora però è passato quasi un mese e sono stati pochi i segnali di riduzione delle provocazioni tra Pristina e Belgrado. Ma – come ha messo in chiaro l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in un punto stampa con il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, al termine dell’incontro di oggi – “gli Stati membri stanno perdendo la pazienza davanti a una situazione che continua a deteriorarsi“. Della questione i 27 governi ne hanno discusso ieri (26 giugno) al Consiglio Affari Esteri, trovandosi d’accordo sul fatto che “le parti devono permettere la de-escalation della situazione e trovare una via basata sulla tabella di marcia proposta loro la settimana scorsa” alla riunione di emergenza a Bruxelles.
    A proposito delle discussioni a livello Ue, saranno proprio i 27 capi di Stato e di governo ad affrontare direttamente la questione tra giovedì e venerdì. Come emerge dall’ultima bozza delle conclusioni visionata da Eunews, il Consiglio Europeo “condanna i recenti episodi di violenza nel nord del Kosovo e chiede un’immediata attenuazione della situazione, sulla base degli elementi chiave già delineati dall’Unione europea il 3 giugno 2023″, in riferimento alla dichiarazione dell’alto rappresentante Borrell sulle violenze di inizio mese. La specifica sulla data è una novità rispetto alla prima versione delle conclusioni, ma non è l’unica. Spicca in particolare l’esortazione a entrambe le parti a “creare le condizioni per elezioni anticipate in tutti e quattro i comuni del nord del Kosovo” (Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica), mentre rimane la minaccia velata che “la mancata attenuazione delle tensioni avrà conseguenze negative”. Uguale il passaggio sulla necessità della ripresa del dialogo facilitato dall’Ue e la “rapida attuazione dell’Accordo sul percorso di normalizzazione e del relativo Allegato di attuazione” (ripetitivamente l’accordo di Bruxelles del 27 febbraio che ha definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo e l’intesa sull’allegato di implementazione raggiunta a Ohrid il 18 marzo). Ma nell’ultima bozza è stato incluso anche l’esplicito riferimento alla “istituzione dell’Associazione/Comunità dei Comuni a maggioranza serba“.
    L’arresto/sequestro di tre poliziotti kosovari dai servizi di sicurezza serbi nell’area di confine tra Serbia e Kosovo (14 giugno 2023)
    Anche il premier albanese Rama da Bruxelles ha messo in guardia sugli “effetti devastanti che un’ulteriore deterioramento della situazione potrebbe avere non solo in Kosovo e Serbia, ma in tutta la regione” dei Balcani Occidentali. Parole di soddisfazione sono state rivolte a Belgrado per aver risolto l’ultimo episodio di tensione – la liberazione di ieri dei tre poliziotti kosovari arrestati/rapiti dalle forze di sicurezza serbe il 14 giugno – ma “ora è tempo per una de-escalation urgente e immediata”, ha rimarcato il primo ministro: “Questa situazione non può impattare in modo negativo la regione, abbiamo molto da fare dopo tanti progressi, non può cadere tutto come un castello di sabbia”. Ecco perché l’idea condivisa da Tirana è quella di “una conferenza di massimo livello con Ue e Stati Uniti, che porti i leader dei due Paesi allo stesso tavolo“, è quanto avanzato da Rama. Da quel tavolo il premier Kurti e il presidente Vučić “non devono andarsene prima di aver trovato un accordo, altrimenti rischieranno di incorrere in conseguenze negative e spiacevoli per tutti”.
    Cosa sta succedendo tra Serbia e Kosovo
    Lo scorso 26 maggio sono scoppiate violentissime proteste nel nord del Kosovo da parte della minoranza serba a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Proteste che si sono trasformate il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). Una situazione deflagrata dalla decisione del governo Kurti di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti lo scorso 23 aprile in una tornata particolarmente controversa: l’affluenza al voto è stata tendente all’irrisorio – attorno al 3 per cento – a causa del boicottaggio di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo Vučić e responsabile anche dell’ostruzionismo per impedire ai sindaci di etnia albanese (a parte quello di Mitrovica, della minoranza bosniaca) di assumere l’incarico. Dopo il dispiegamento nel Paese balcanico di 700 membri aggiuntivi del contingente di riserva Kfor e una settimana di apparente stallo, nuove proteste sono scoppiate a inizio giugno per l’arresto di due manifestanti accusati di essere tra i responsabili delle violenze di fine maggio e per cui la polizia kosovara viene accusata di maltrattamenti in carcere.
    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)
    A gravare su una situazione già tesa c’è stato un ulteriore episodio che ha infiammato i rapporti tra Pristina e Belgrado: l’arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi lo scorso 14 giugno. Un evento per cui i due governi si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine, in una zona di confine tra il nord del Kosovo e il sud della Serbia scarsamente controllata dalla polizia kosovara e solitamente usato da contrabbandieri che cercano di evitare i controlli di frontiera. Dopo settimane di continui appelli alla calma e alla de-escalation non ascoltati né a Pristina né a Belgrado, per Bruxelles si è resa necessaria una nuova soluzione ‘tampone’, ovvero convocare una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per cercare delle vie percorribili per ritornare fuori dalla “modalità gestione della crisi” e rimettersi sul percorso della normalizzazione dei rapporti intrapreso tra Bruxelles e Ohrid. A pochi giorni dalla riunione a Bruxelles del 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari da parte della Serbia, ma la tensione tra Pristina e Belgrado rimane ancora alta e per il momento non è stato deciso nulla sulle nuove elezioni nel nord del Kosovo.

    La presidente della Commissione Ue ha telefonato al premier kosovaro, Albin Kurti, e al presidente serbo, Aleksandar Vučić, per ribadire “l’urgente necessità di una de-escalation e del ritorno al dialogo”. Nella bozze di conclusioni del vertice dei leader Ue inserito un punto specifico

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    Bufera per le parole dell’ambasciatore cinese in Francia sui Paesi ex-Urss. Relazioni con Pechino al Consiglio Ue di giugno

    Bruxelles – Scoppia la bufera diplomatica nell’Unione Europea sulle parole dell’ambasciatore cinese in Francia, che potrebbe avere ripercussioni pesanti sui rapporti Ue-Cina. “Sono inaccettabili le dichiarazioni” dell’ambasciatore Lu Shaye “che mettono in dubbio la sovranità dei Paesi divenuti indipendenti con la fine dell’Unione Sovietica nel 1991”, ha attaccato l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “L’Ue può solo supporre che queste dichiarazioni non rappresentino la politica ufficiale della Cina”. Facendo ingresso questa mattina (24 aprile) al Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo, lo stesso Borrell ha spiegato alla stampa che “oggi ne parleremo nel quadro della questione cinese, inizieremo a preparare le discussioni sui rapporti Ue-Cina del Consiglio Europeo di giugno“.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il presidente della Cina, Xi Jinping
    Le polemiche sono state scatenate da un’intervista del diplomatico cinese al canale francese Lci, che ha messo in questione il fatto che “nel diritto internazionale i Paesi dell’ex-Unione Sovietica non hanno lo status effettivo, perché non esiste un accordo internazionale per materializzare il loro status di Paesi sovrani”. Dai Baltici all’Ucraina, dagli ‘stan’ al Caucaso, per l’ambasciatore Lu sarebbe in questione la sovranità e l’indipendenza di tutti gli Stati che si sono staccati dall’Unione Sovietica all’inizio degli anni Novanta. “La Cina deve rispettare l’Ue e tutti i suoi Stati membri, è cruciale per i nostri buoni rapporti”, è stato il secco commento del ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, prima del vertice ministeriale a Lussemburgo: “È un Paese-chiave anche per spingere la Russia a lasciare l’Ucraina, ma sono in totale disaccordo con quanto detto dall’ambasciatore cinese”.
    Durissime le reazioni proprio di quei Paesi che per 50 anni hanno subito il giogo dell’Unione Sovietica e che oggi sono parte dell’Unione Europea (Lituania, Lettonia ed Estonia). “Quanto affermato è completamente inaccettabile, i tre Paesi baltici convocheranno gli ambasciatori cinesi per chiedere spiegazioni se la posizione sull’indipendenza è cambiata e per ricordare loro che eravamo Paesi illegalmente occupati dall’Unione Sovietica”, ha attaccato il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis. Parole simili a quelle dell’omologo estone, Margus Tsahkna, che ha evidenziato come “ci servono spiegazioni sul perché la Cina ha questa posizione sui Paesi baltici, che sono indipendenti, sovrani e membri di Ue e Nato”. Anche Jan Lipavský, ministro degli Esteri della Repubblica Ceca (Paese del Patto di Varsavia fino al 1991) ha denunciato una dichiarazione che “ci sorprende, perché un rappresentante ufficiale dello Stato cinese dovrebbe sapere come si costruiscono le relazioni internazionali”. Fonti Ue fanno notare che non è comune che diplomatici cinesi si discostino dalla politica ufficiale di Pechino e sarà importante osservare “cosa succede all’ambasciatore” (se sarà richiamato o meno).
    L’alto rappresentante Ue Borrell ha promesso una “forte posizione per chiarire qual è la posizione ufficiale del governo cinese sulla sovranità e l’indipendenza di alcuni Stati membri Ue“, aprendo alle discussioni tra i Ventisette in vista del vertice dei leader del 29-30 giugno, in cui i rapporti Ue-Cina “saranno all’ordine del giorno”, ha precisato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel: “Dovrà rivalutare e ricalibrare la nostra strategia verso Pechino, è una delle questioni più importanti”, è l’esortazione di Borrell.

    I rapporti Ue-Cina tra viaggi, polemiche e strategie
    Le discussioni tra i 27 leader Ue si baseranno su quanto accaduto nell’ultimo mese a Bruxelles e Pechino, ma anche in Francia. È dello scorso 30 marzo il discorso della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, in cui sono state definite le direttrici strategiche per il riorientamento dei rapporti Ue-Cina, considerato lo squilibrio commerciale con il partner/competitor. Una strategia che si baserà sul de-risking nelle aree in cui non è possibile trovare un’intesa di cooperazione, ma che in ogni caso non implica uno sganciamento di Bruxelles da Pechino. A stretto giro la leader dell’esecutivo comunitario e il presidente francese, Emmanuel Macron, si sono recati in visita a Pechino per discutere di persona delle relazioni Ue-Cina con il leader cinese, Xi Jinping: dalle relazioni economiche alla guerra russa in Ucraina, fino alle tensioni sullo Stretto di Taiwan.
    Proprio il tema del rapporto dei Ventisette con Taiwan – nel caso dell’escalation della tensione con Pechino – ha avvelenato il dibattito interno all’Unione sui rapporti Ue-Cina. A scatenare il vespaio sono state le parole del presidente francese Macron di ritorno dal viaggio a Pechino. “La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dovremmo essere dei seguaci su questo tema e adattarci al ritmo americano e a una reazione eccessiva della Cina“, è stato il commento dell’inquilino dell’Eliseo, tratteggiando la necessità di una vera autonomia strategica europea (ma non un’equidistanza tra Washington e Pechino). Dopo la divisione tra le opinioni pubbliche nazionali nei 27 Paesi membri Ue sulle dichiarazioni di Macron e su come si dovrebbe raggiungere la chimera dell’autonomia strategica, le discussioni si sono spostate al Parlamento Europeo la scorsa settimana.
    Nel pieno della bagarre tra i gruppi politici alla sessione plenaria a Strasburgo, la presidente von der Leyen e l’alto rappresentante Borrell hanno messo in chiaro che serve unità contro la “politica di divisione e conquista” cinese e che le istituzioni europee si oppongono “fermamente” a qualsiasi cambiamento unilaterale dello status quo, “in particolare attraverso l’uso della forza”. A confermare questa posizione, in un’intervista a Le Journal du Dimanche lo stesso alto rappresentante Ue ha esortato le marine europee a “pattugliare lo Stretto di Taiwan, per dimostrare l’impegno dell’Europa a favore della libertà di navigazione in quest’area assolutamente cruciale” per il commercio globale.

    Il diplomatico ha messo in questione la sovranità di Stati come Baltici e Ucraina secondo il diritto internazionale. “Dichiarazioni inaccettabili, auspichiamo non sia la posizione ufficiale della Cina”, ha attaccato l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, che preparerà le discussioni tra i Ventisette

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    Appello di Meloni ai leader Ue sulla migrazione. Il dossier sarà in agenda al prossimo Consiglio Europeo

    Bruxelles – Le 66 vittime del naufragio di Cutro, in Calabria, cambiano l’agenda del prossimo vertice dei 27 leader Ue a Bruxelles, previsto per il 23 e 24 marzo. Ai punti “Ucraina, competitività e mercato unico, commercio, energia” sarà aggiunto un’altra volta il dossier migranti. L’input, anche se un possibile ritorno sul tema era già previsto, è partito dalla premier italiana, Giorgia Meloni, che in una lettera inviata ieri (primo marzo) ai presidenti del Consiglio Ue, Charles Michel, della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e della presidenza di turno svedese del Consiglio dell’Ue, Ulf Kristersson, ha chiesto un’azione immediata delle istituzioni europee sul tema.
    Il portavoce del Consiglio Ue, Barend Leyts, in risposta ha dichiarato che “l’accordo” raggiunto all’ultimo vertice è stato quello di “monitorare i progressi sul tema migrazione, in particolare sulla base di aggiornamenti da parte della Commissione e della presidenza del semestre di turno. Sarà in agenda al prossimo Consiglio Europeo”. Così, l’ennesima tragedia consumata nel Mar Mediterraneo mette pressione all’Unione, con l’Italia “pronta, a partire dal prossimo Consiglio Europeo, a dare il suo contributo a ogni iniziativa comune” che rientri nella risposta di Meloni alla questione migrazione: “È fondamentale e urgente adottare da subito iniziative concrete, forti e innovative per contrastare e disincentivare le partenze illegali, ricorrendo anche a urgenti stanziamenti finanziari straordinari per i Paesi di origine e transito affinché collaborino attivamente”, ha ribadito la premier ai leader Ue.
    Niente di nuovo rispetto a quanto deciso all’ultimo vertice, lo scorso 9 febbraio, in cui i Ventisette avevano indicato come prioritaria la necessità di ridurre le partenze, attraverso una maggiore azione esterna, un controllo più efficace delle frontiere esterne dell’Ue e una maggiore cooperazione con i Paesi d’origine e di transito. “Al Consiglio Europeo straordinario dello scorso febbraio abbiamo individuato alcune misure che vanno nella giusta direzione, ma il fattore tempo è decisivo“, ha sottolineato la presidente del Consiglio dei ministri, perché “senza concreti interventi dell’Ue, sin dalle prossime settimane e per l’intero anno, la pressione migratoria sarà senza precedenti”. Insomma, non è più possibile rimandare le decisioni operative, come accaduto a febbraio, quando lo stesso numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel, aveva dichiarato: “Se ne riparlerà a marzo, perché non volevamo una discussione eccessivamente lunga oggi”.
    I resti dell’imbarcazione schiantata a Cutro, in Calabria (credits: Alessandro Serrano / Afp)
    Meloni, come già successo a novembre scorso, quando lo scontro tra Roma e Parigi sulla nave Ocean Viking aveva fatto sì che l’Europa annunciasse misure immediate, calca la mano sulla tragedia di Crotone per ottenere risultati concreti: “Confido di non essere sola in questa battaglia di civiltà”, scrive la premier, insistendo sul “dovere, morale prima ancora che politico, di fare di tutto per evitare che disgrazie come queste si ripetano”. E allora dito puntato contro la tratta illegale di esseri umani, che va “stroncata”, perché il fenomeno migratorio sia gestito “nel rispetto delle regole e della sicurezza, anzitutto nell’interesse degli stessi migranti, e con numeri tali da consentire l’effettiva integrazione di chi viene in Europa con la legittima aspirazione a una vita migliore”. Nessun riferimento, nella lunga lettera della presidente, alla possibilità di intensificare gli sforzi europei in operazioni congiunte di ricerca e salvataggio, con cui forse si sarebbero potuti salvare i naufraghi dell’imbarcazione avvistata sabato sera scorso da un velivolo di Frontex, quando si trovava ancora a 40 miglia dalle coste calabresi.

    Nella lettera inviata ai presidenti Michel, von der Leyen e Kristersson la richiesta di “adottare da subito iniziative concrete” per contrastare le partenze irregolari. Per la premier italiana sono necessari fondi straordinari per i Paesi d’origine affinché “collaborino attivamente”

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    I Ventisette promettono a Zelensky che “non risparmieremo sforzi nella battaglia per la difesa e la pace” in Ucraina

    Bruxelles – Dopo sette incontri virtuali, il momento del confronto viso a viso. Uscito dall’emiciclo del Parlamento Europeo – dove ha rivolto agli eurodeputati un intenso appello sui valori comuni – il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, ha proseguito la sua prima visita a Bruxelles con la partecipazione al Consiglio Europeo straordinario. “È giusto partecipare alla riunione dei leader Ue, la lingua ucraina farà parte della discussione e della prassi europea, non appena faremo parte dell’Unione”, ha sottolineato il numero uno ucraino. Un confronto incentrato sul percorso verso l’adesione Ue, la pace “a lungo termine”, ma soprattutto sulla necessità di garantire “sicurezza su tutto il continente” e la fornitura di armi per vincere la guerra contro la Russia: “Significa difendere i valori europei, l’Ucraina e voi stessi“, ha messo in chiaro Zelensky, puntualizzando che “se lo fate ora, non dovrete farlo più tardi”.
    Il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, al Consiglio Europeo straordinario (9 febbraio 2023)
    Come confermato dallo stesso presidente ucraino al termine della tavola rotonda con i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri, al Consiglio Ue è stato ribadito il sostegno dell’Unione “fino alla vittoria”, con “tutte le armi necessarie, compresi i jet“. Il percorso per arrivare a ottenere jet da combattimento “è lungo” ed è iniziato con la visita di ieri (8 febbraio) a Londra, per proseguire oggi con i confronti bilaterali con i singoli leader.
    Ma intanto del vertice a tre con il presidente francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz – da cui l’Italia di Giorgia Meloni è stata esclusa – il numero uno ucraino si ritiene soddisfatto: “Abbiamo preso decisioni concrete, lavoreremo per rafforzare le capacità sull’aspetto offensivo, sui carri armati e sull’artiglieria”. Zelensky ha però avvertito che “non posso tornare in patria senza risultati” dai confronti informali con tutti i 27 leader, “è un punto di vista pragmatico”. Su questo fronte il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha chiesto “fermezza anche sul piano militare” ai Ventisette: “Dobbiamo rispondere ai bisogni militari dell’Ucraina, perché le prossime settimane e mesi saranno cruciali“. L’esortazione è su “missili, munizioni, carri armati, sistemi di difesa”, che servono “ora”. Dopo i carri armati pesanti tedeschi Leopard 2, il nuovo punto di caduta che dovranno trovare i leader Ue sarà proprio sui jet da combattimento.
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel (9 febbraio 2023)
    La guerra non è la prospettiva ucraina, né sul breve né sul lungo termine: “Non siamo come la Russia, noi non obblighiamo la nostra gente a combattere, ma dobbiamo difendere la democrazia e programmare la pace”, è il punto fermo di Zelensky. Ed è per questo che il secondo punto del dossier Ucraina sul tavolo del Consiglio Ue è sul “garantire la pace, che sia giusta“, ha ribadito in conferenza stampa la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, confermando quanto già annunciato al termine del vertice Ue-Ucraina di venerdì scorso (3 febbraio). “Siamo totalmente d’accordo con tutti i 10 punti della formula di pace, dalla sicurezza economica a quella nucleare, dagli approvvigionamenti alimentari a quelli energetici”, ha precisato von der Leyen, aggiungendo di voler “garantire che ci sia ampio sostegno a livello internazionale”. A farle eco il numero uno del Consiglio Ue, che ha confermato la volontà dell’Unione di “non risparmiare nessuno per vincere anche la battaglia diplomatica“. Michel appoggia l’idea di “un vertice per la pace”, per cui “non possiamo esitare o farci intimidire dalla Russia”.
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel (9 febbraio 2023)
    E infine c’è la questione del garantire la responsabilità per gli autori dei crimini di guerra dell’esercito russo in Ucraina. “È impossibile vivere senza giustizia, deve esserci un tribunale contro la Russia per questa aggressione e un meccanismo di compensazione per tutti i danni causati dal terrore russo“, è la richiesta senza sconti del presidente Zelensky. Il processo sostenuto dai Ventisette sarà articolato in “tre tappe“, ha spiegato la leader dell’esecutivo comunitario. Il primo passo è “raccogliere le prove dei crimini e abbiamo già iniziato”, poi è necessario spingere sulla “cooperazione tra procuratori, e per questo abbiamo creato un centro comune all’Aia”. E infine c’è proprio la questione della creazione del tribunale: “Ci sono discussioni sulla struttura, ma c’è anche la piena volontà politica che tutti i responsabili rispondano del crimine di aggressione” contro l’Ucraina.

    Il presidente ucraino è intervenuto per la prima volta di persona al Consiglio Europeo, incentrando il confronto con i leader dell’Unione sulla sicurezza del continente, la fornitura di armi per arrivare alla vittoria nella guerra contro la Russia e la pace “a lungo termine”

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    Inizia a Londra il primo viaggio continentale di Zelensky. Domani è atteso a Bruxelles da Parlamento e Consiglio Ue

    Bruxelles – Ora è ufficiale. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha lasciato il Paese invaso dall’esercito russo dal 24 febbraio 2022 per il suo primo viaggio sul continente europeo. A renderlo noto è il governo britannico, annunciando che il leader dell’Ucraina è in viaggio per il Regno Unito, prima tappa della trasferta europea che domani (9 febbraio) lo vedrà a Bruxelles per partecipare alla sessione plenaria straordinaria del Parlamento Europeo e al vertice dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue. Per questa sera è invece prevista una seconda tappa a Parigi, dove all’Eliseo si svolgerà un colloquio a tre tra il presidente ucraino, l’omologo francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz.
    Da sinistra: il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Londra l’8 febbraio 2023 (credits: Justin Tallis / Afp)
    “La visita del presidente Zelensky nel Regno Unito è una testimonianza del coraggio, della determinazione e della lotta del suo Paese, e una testimonianza dell’amicizia indissolubile tra i nostri due Paesi”, è il saluto del primo ministro britannico, Rishi Sunak, a poche ore dall’arrivo del numero uno di Kiev a Londra. Nel confronto tra Sunak e Zelensky sarà discussa l’ulteriore fornitura militare a sostegno della difesa del Paese, l’addestramento di piloti di aerei da combattimento e nuove sanzioni contro la Russia, si apprende dalla nota diffusa da Downing Street 10. Il presidente ucraino si rivolgerà poi al Parlamento britannico a Westminster, dove esporrà il piano per una pace “giusta e sostenibile”, e ci si aspetta un incontro anche con re Carlo II.
    Ma a Bruxelles si aspetta solo lo scoccare della mezzanotte di giovedì 9 febbraio, quando avrà inizio la lunga giornata del presidente Zelensky presso le istituzioni comunitarie, per la prima volta di persona da quando è scoppiata la guerra in Ucraina. Dopo le indiscrezioni degli ultimi giorni ancora non sono arrivate conferme ufficiali – per questioni di sicurezza – dai portavoce del Consiglio e del Parlamento Ue, ma ormai nella capitale dell’Unione si stanno facendo tutti i preparativi per accogliere il leader ucraino sia nell’emiciclo dell’Eurocamera sia al Consiglio Europeo straordinario (che dopo migrazione e aiuti di Stato ora avrà un terzo dossier di peso sul tavolo). Non solo è stata spostata la riunione del Comitato delle Regioni, organizzata inizialmente nell’emiciclo del Parlamento Ue, ma anche la conferenza dei presidenti dei gruppi all’Eurocamera, prevista per domani, è slitatta di un giorno.
    Un camion dei pompieri distrutto da una mina a Kiev e un’ambulanza colpita dall’esercito russo a Kharkiv, davanti alla sede del Parlamento Europeo a Bruxelles (8 febbraio 2023)
    Come anticipano fonti europee, Zelensky domattina comparirà tra le 10 e le 11 davanti a tutti gli eurodeputati all’emiciclo di Bruxelles, presieduto dalla sua leader Roberta Metsola. Considerati gli stretti orari degli appuntamenti delle due istituzioni, è possibile che Zelensky si recherà prima a Palazzo Europa e poi si sposterà in rue Wiertz 60: altre fonti Ue prevedono che l’inizio dei lavori del vertice dei leader dei Ventisette sarà verso le ore 9.30/10, appena prima della visita di Zelensky all’Eurocamera. Il discorso del presidente ucraino al Consiglio Ue dovrebbe anticipare le discussioni previste su migrazione e risposta Ue all’Inflation Reduction Act (Ira) statunitense, che al momento si puntano a chiudere entrambe in una sola giornata.

    Tappa nel Regno Unito per il leader del Paese invaso dall’esercito russo da quasi un anno. Dopo il confronto con il premier Sunak e re Carlo III si dirigerà verso la capitale dell’Unione per partecipare alla sessione plenaria dell’Eurocamera e al vertice dei leader dei Ventisette

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    Il presidente ucraino Zelensky potrebbe partecipare di persona al Consiglio Europeo del 9 febbraio a Bruxelles

    Bruxelles – Si rincorrono voci tra i corridoi delle istituzioni comunitarie che giovedì (9 febbraio) il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, potrebbe partecipare di persona al prossimo Consiglio Europeo. Dopo la visita di fine dicembre a Washington, negli Stati Uniti, si tratterebbe del primo viaggio del leader ucraino sul continente europeo dall’inizio dell’invasione russa del Paese.
    L’intervento del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, al Consiglio Europeo del 23 giugno 2022
    La notizia è emersa nella giornata di ieri (6 gennaio) con la pubblicazione da parte di alcune testate europee di quanto riferito da alcuni funzionari del Parlamento Ue sul prossimo viaggio di Zelensky a Bruxelles, in occasione del vertice dei leader Ue straordinario, di cui si dovrebbe discutere in particolare di migrazione e aiuti di Stato, ma anche della futura proposta di un decimo pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia.
    La fuga di notizie dal gabinetto della presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, sui preparativi per una mini-sessione plenaria straordinaria prima dell’incontro con i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri ha però sollevato preoccupazioni – in particolare tra Consiglio e Commissione – per i rischi su una visita di grande sensibilità e che avrebbe richiesto maggiore riservatezza. Di fronte alle richieste della stampa, sono arrivati “no comment” sia dai portavoce della presidente Metsola, sia da quelli del presidente del Consiglio Ue, Charles Michel.
    Tuttavia, nella serata di ieri il portavoce del Consiglio, Barend Leyts, ha pubblicato un tweet con cui ha cercato di gettare acqua sul fuoco: “Il presidente Michel ha invitato il presidente Zelensky a partecipare di persona a un futuro Consiglio Europeo“, ma “per motivi di sicurezza, non saranno fornite ulteriori informazioni”. Non necessariamente il prossimo vertice straordinario del 9 febbraio. Solo venerdì scorso (3 febbraio) al vertice Ue-Ucraina, il leader ucraino aveva assicurato che “vorrei venire a Bruxelles, ma ora è troppo pericoloso viaggiare all’estero“. A maggior ragione se una fuga di notizie dalle istituzioni comunitarie pone ulteriori questioni di sicurezza per il presidente Zelensky e per l’intera bolla Ue a Bruxelles.

    @eucopresident has invited President @ZelenskyyUa to participate in person in a future summit of the European Council #EUCO
    For security reasons, no further information will be provided.
    — Barend Leyts (@BarendLeyts) February 6, 2023

    Nessuna conferma ufficiale dalle istituzioni Ue per questioni di sicurezza, ma solo anticipazioni del portavoce del Consiglio su un invito “a un prossimo” vertice dei leader Ue. Lo scorso 3 febbraio il leader del Paese invaso dall’esercito russo aveva escluso un viaggio a breve nel continente

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    Per Michel “il 2023 sarà l’anno della vittoria e della pace” per l’Ucraina e chiede ai Ventisette di inviare carri armati a Kiev

    Bruxelles – La terza volta in un anno, la prima di un 2023 che “sarà l’anno della vittoria e della pace” per l’Ucraina. Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, è tornato a Kiev oggi (19 gennaio) su invito del leader del Paese, Volodymyr Zelensky, per partecipare alla sessione plenaria della Verkhovna Rada, il Parlamento monocamerale. “Abbiamo ascoltato il vostro messaggio, avete bisogno di più sistemi di difesa aerea e di artiglieria, di più munizioni e sono fermamente convinto che debbano essere consegnati i carri armati“, ha messo in chiaro il numero uno del Consiglio: “Vogliamo sostenervi perché siamo consapevoli che le prossime settimane potrebbero essere decisive per ciò che verrà” sul campo di battaglia.
    L’intervento del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, alla Verkhovna Rada (Kiev, 19 gennaio 2023)
    Dopo aver reso noto questa mattina di essere nuovamente in viaggio verso Kiev – a due settimane dal vertice Ue-Ucraina che si terrà proprio nella capitale del Paese sotto attacco russo – Michel ha voluto sottolineare davanti ai deputati ucraini che “per quasi un anno il mondo ha guardato con orrore alla guerra“, come mostrato dalla “brutalità della Russia a Soledar, a Bakhmut e in tante altre città e villaggi”. Il recente attacco russo a un condominio di Dnipro “è l’ultimo di una lunga lista di crimini” del Cremlino, per cui “tutti i responsabili, senza eccezioni, saranno chiamati a rispondere“, ha promesso Michel. Lo scenario è quello della fine della guerra di aggressione – che l’Unione caldeggia – e per questo motivo le istituzioni comunitarie sostengono “l’iniziativa del presidente Zelensky sul piano di pace in 10 punti”, ha messo in chiaro il numero uno del Consiglio, anticipando che sarà sul tavolo del vertice del 3 febbraio con il presidente ucraino e la leader della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
    Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (19 gennaio 2023)
    Ma prima l’Ucraina “dovrà vincere la guerra”. E questo per Bruxelles passerà inevitabilmente dal supporto militare dei Ventisette: “Avete bisogno di più sistemi di difesa aerea, più missili a lungo raggio, munizioni e soprattutto avete bisogno di carri armati, proprio ora“. Proprio ieri (18 gennaio) anche gli eurodeputati hanno messo nero su bianco nel rapporto annuale sulla politica estera e di sicurezza comune che i Paesi membri Ue devono “immediatamente dispiegare armi moderne e un sistema di difesa aerea di nuova generazione”, con un’esortazione esplicita al cancelliere tedesco, Olaf Scholz, di consegnare all’Ucraina i carri armati Leopard 2 “senza ulteriori ritardi”. In quasi un anno di guerra i Ventisette hanno mobilitato 11 miliardi di euro in sostegno militare (sia attraverso il Fondo europeo per la pace, sia come impegno bilaterale) e stanno addestrando 15 mila soldati ucraini con una missione di formazione militare ad hoc.
    Il sostegno europeo all’Ucraina è considerato dal presidente Michel una difesa anche della stessa Unione Europea, “che abbiamo forgiato dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale, ancorata alla dignità umana, alla libertà e alla solidarietà”. I missili contro le città ucraine “sono missili lanciati contro tutto ciò in cui crede l’Ue”, ma Kiev ha fatto una scelta di campo, chiedendo di aderire all’Unione. “A giugno abbiamo preso una decisione che per molti era impensabile“, ovvero quella di concedere all’Ucraina lo status di Paese candidato all’adesione all’Ue: “Non dobbiamo lesinare gli sforzi per trasformare questa promessa il più rapidamente possibile in realtà”, è l’esortazione di Michel ai capi di Stato e di governo dei Paesi membri. Il “sogno” del numero uno del Consiglio è che “un giorno, spero presto, un ucraino ricopra il mio posto”, o quello di “presidente del Parlamento o della Commissione Europea”.

    Nearly a year after Russia’s brutal attack against the Ukrainian people and the values and principles of European democracy, I am touched to be back on Ukrainian soil today. Watch the press conference after the meeting with President @ZelenskyyUA. https://t.co/8Ovi6aQBfR
    — Charles Michel (@CharlesMichel) January 19, 2023

    Il presidente del Consiglio Ue è tornato nella capitale ucraina, dove si è rivolto alla plenaria della Verkhovna Rada (il Parlamento monocamerale): “Sogno che un giorno un ucraino ricopra il mio posto”. Sostegno al piano di pace in 10 punti di Zelensky, in vista del vertice del 3 febbraio