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    Afghanistan, al vertice straordinario del G7 l’UE chiederà l’estensione della scadenza del 31 agosto per l’evacuazione

    Bruxelles – La parola è d’ordine è “evacuazione”. Evacuazione del personale e dei cittadini afghani che hanno collaborato per vent’anni con le forze statunitensi, europee e della NATO, da completarsi quanto più possibile entro una settimana esatta a partire da oggi. Sarà questo il tema centrale del vertice straordinario dei leader del Gruppo dei Sette, che inizierà fra poche ore (15.30 italiane) in forma virtuale.
    Ma fa già discutere e preoccupare la scadenza fissata dal regime dei talebani per il ritiro delle truppe occidentali dal Paese. Dopo Francia, Germania e Regno Unito, anche l’Unione Europea chiederà al vertice del G7 di estendere la data oltre il 31 agosto, per portare a termine tutte le operazioni di evacuazione all’aeroporto internazionale di Kabul. Per il momento rimane contrario il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, anche considerate le minacce talebane di ritorsioni se dal primo settembre saranno ancora presenti contingenti militari stranieri in Afghanistan, come confermato ieri (23 agosto) da un portavoce ai microfoni di Sky News.
    A Bruxelles la questione crea particolare apprensione ed è probabile che durante il vertice del G7 i due rappresentanti dell’Unione – il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen – insisteranno su una linea comune di rafforzamento dell’impegno per mettere in sicurezza tutti i membri dello staff ancora sul territorio afghano. Funzionari UE hanno riferito che la priorità per l’Unione è che le operazioni di evacuazione e l’assistenza umanitaria possano continuare, anche se si dovesse andare oltre la data del 31 agosto.
    Circa 400 persone tra staff locale della delegazione UE e rispettive famiglie sono già state evacuate (il portavoce della Commissione, Eric Mamer, ha annunciato che tutto il personale afghano che ha collaborato con le delegazioni UE è in salvo), ma gli stessi funzionari non hanno voluto riportare quante ne rimangano ancora da imbarcare verso l’Europa.
    Sul tavolo ci sarà poi il tema di se e come affrontare le future discussioni politiche con il regime dei talebani. Sempre secondo le fonti europee, si dovrebbe impostare un dialogo su tre pilastri: rispetto dei diritti umani dei gruppi vulnerabili e delle donne, lotta alla corruzione interna e impegno a non fare di nuovo del Paese “terreno fertile” per terroristi e traffici illeciti. Su questo aspetto Bruxelles non nega che “Cina e Russia sono parte della questione“, dal momento in cui tutti gli attori internazionali hanno interessi per un Afghanistan stabile, “magari con obiettivi diversi”.

    At today’s @G7 Leaders call, I will announce an increase in the humanitarian support for Afghans, in and around the country, from #EU budget from over €50m to over €200m.
    This humanitarian aid will come on top of Member States’ contributions to help the people of Afghanistan.
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) August 24, 2021

    Un’altra priorità per l’Unione riguarda gli aiuti umanitari per i cittadini afghani “dentro e intorno al Paese”, come anticipato dalla presidente von der Leyen su Twitter. “Alla riunione del G7 annuncerò un aumento del sostegno dal bilancio dell’UE“, da 50 a oltre 200 milioni di euro. A questo sostegno comunitario si aggiungeranno i contributi dei singoli Stati membri UE.
    Qui si apre l’ultima questione, che interessa da molto vicino le istituzioni europee e che negli ultimi giorni ha già sollevato polemiche all’interno dell’Unione. Si tratta della gestione dei flussi migratori dall’Afghanistan che si intensificheranno con l’inizio del governo talebano. Non è un caso se la presidente della Commissione ha fatto riferimento ad aiuti “intorno al Paese”. Come riferiscono i funzionari UE, il primo obiettivo sarà quello di sostenere i programmi umanitari nei Paesi confinanti (in particolare Iran e Pakistan), per renderli “soluzioni più credibili” agli occhi degli afghani rispetto al “consegnarsi nelle mani di trafficanti”.
    Prima di discutere sulla possibilità di una ridistribuzione dei profughi tra Paesi membri UE (“la situazione è ancora troppo fluida per tracciare le dimensioni dei flussi”, riferiscono le fonti di Bruxelles), si guarda alla Turchia. Il presidente Recep Tayyp Erdogan ha già riferito che la capacità di ricezione del Paese “è limitata”, dal momento in cui è già ospitato un “gran numero” di migranti. Mentre il presidente del Consiglio UE Michel “rimane in contatto con Erdogan per discutere dei limiti di accoglienza di Ankara”, questo pomeriggio i leader del G7 proveranno a tracciare alternative percorribili.

    Per Bruxelles le priorità rimangono la messa in sicurezza di staff locale e delegazione europea anche oltre la scadenza fissata dai talebani, aiuti umanitari alla popolazione civile “dentro e intorno al Paese” e la gestione dei flussi migratori

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    Stati Uniti: chi è Mark Gitenstein, il nuovo ambasciatore presso l’UE con l’occhio rivolto verso l’Est Europa

    Bruxelles – È l’uomo della continuità per i democratici statunitensi e il diplomatico chiamato a cancellare la triste parentesi repubblicana all’ambasciata presso l’Unione Europea. Dopo Ronald Gidwitz – che nel maggio 2020 aveva preso il posto di Gordon Sondland, “reo” di aver testimoniato nel processo per l’impeachment dell’allora presidente, Donald Trump – è l’avvocato Mark Gitenstein il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti a Bruxelles. La nomina è stata decisa ieri (martedì 27 luglio) dall’inquilino della Casa Bianca, Joe Biden.
    74 anni, origini ebraico-rumene (i nonni migrarono negli Stati Uniti dalla città di Botoșani alla fine dell’Ottocento), membro del consiglio della Biden Foundation ed ambasciatore statunitense in Romania dal 2009 al 2012 per volontà di Barack Obama. Gitenstein ha una lunga esperienza al fianco del presidente Biden: dal 1981 al 1989 è stato consigliere-capo presso la commissione giudiziaria del Senato, sotto la guida dell’allora senatore democratico, nel 2008 ha co-presieduto la transizione di Biden alla vicepresidenza nel gabinetto Obama e quest’anno ha fatto parte del comitato consultivo per la sua transizione presidenziale.
    Ma il nuovo ambasciatore statunitense presso l’UE è ben conosciuto anche sul territorio comunitario. Si deve a lui l’accordo di difesa dai missili balistici tra Stati Uniti e Romania, negoziato e firmato nel 2011 durante il suo mandato a Bucarest. Ma soprattutto va ricordato il lavoro del diplomatico democratico sulla lotta alla corruzione, sul miglioramento della trasparenza e sul rafforzamento dello Stato di diritto nel Paese membro UE, promuovendo un ambiente imprenditoriale equo per gli investitori internazionali e puntando sugli strumenti digitali per trovare soluzioni ai problemi di giustizia sociale.
    Tutte questioni di grande attualità non solo per la Romania, ma anche per la maggior parte dei Paesi dell’Europa centro-orientale. In particolare, Gitenstein cercherà di portare a Bruxelles la sua esperienza di mediazione per cercare di favorire il dialogo con i due governi UE che più stanno preoccupando le potenze occidentali sul fronte del rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto: Polonia e Ungheria. Se dovesse riuscirci, il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti presso l’Unione Europea potrà appuntare al petto ben più della Decorazione della Croce della Casa Reale di Romania.
    Un caloroso benvenuto a Gitenstein è stato riservato questa mattina dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel: “Abbiamo una grande agenda transatlantica e globale da portare avanti”, ha ricordato su Twitter, facendo riferimento al rinnovato impegno dell’amministrazione statunitense nelle relazioni con l’UE. “Abbiamo bisogno che tutti si mettano al lavoro e non vedo l’ora di lavorare con lui quando sarà confermato”.

    I welcome nomination by @POTUS of Mark Gitenstein to become US Representative to the EU.
    We have a big transatlantic and global agenda to take forward. We need all hands on deck, and I look forward to working with him when confirmed.
    — Charles Michel (@eucopresident) July 28, 2021

    Nominato ieri dal presidente democratico, Joe Biden, il diplomatico 74enne si è distinto durante il suo mandato in Romania per l’intenso lavoro sulla trasparenza, lo Stato di diritto e la lotta alla corruzione nel Paese

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    Bielorussia, alta tensione sul confine della Lituania. Michel: “Questa è la frontiera dell’Unione Europea”

    Bruxelles – È entrata nel vivo la sfida diplomatica tra Unione Europea e Bielorussia e per la prima volta Bruxelles si trova a dover rispondere ad azioni di ritorsione da parte del regime del presidente Alexander Lukashenko. Dopo l’imposizione delle sanzioni nei confronti dell’economia bielorussa, Minsk ha deciso di giocare la carta della migrazione irregolare verso la Lituania per far pressione sui Ventisette e spingerli a ritirare le misure restrittive. Ma proprio da Vilnius è arrivata la secca risposta del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel: “I confini lituani sono i confini europei“. Tradotto: ogni tentativo di “strumentalizzare la migrazione illegale per esercitare pressione” sugli Stati membri UE sono un attacco all’Unione nel suo insieme. E come tali saranno affrontati dalle istituzioni europee.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, al valico di frontiera di Padvaronys, Lituania (6 luglio 2021)
    “Sono impegnato in prima persona per garantire la solidarietà degli Stati membri verso la Lituania“, ha confermato Michel durante la sua visita nel Paese (in programma tra ieri e oggi). “È questo il senso della reazione rapida di Frontex”, che da giovedì scorso (primo luglio) ha iniziato a mobilitare personale e mezzi “a sostegno delle autorità lituane e lettoni per prevenire il rischio di un aumento della pressione migratoria” sui due Paesi. Solo nel mese di giugno le autorità di Vilnius hanno registrato 412 ingressi irregolari sul territorio nazionale dalla Bielorussia, più di cinque volte il numero totale del 2020. Durante la conferenza stampa congiunta con il presidente lituano, Gitanas Nauseda, Michel ha ribadito che “l’Unione Europea ha attuato sanzioni contro la Bielorussia e continua a lottare per promuovere i nostri valori”.
    Proprio in merito alle sanzioni europee, non si è fatta attendere la risposta del presidente bielorusso Lukashenko, che ha incaricato il governo di limitare il transito delle merci in risposta alle sanzioni occidentali. “Sappiamo chi negli Stati Uniti, in Germania e in altri Paesi europei non vuole fornire componenti e materiali base alle nostre imprese”, tra cui “Skoda e Nivea“, ha attaccato, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa russa Interfax. “Prima di tutto, sono esclusi dal mercato bielorusso e, in secondo luogo, è vietato il transito attraverso la Bielorussia”.

    Lithuanian borders are European borders.
    The EU implemented sanctions against #Belarus and keeps fighting to promote our values.
    You can count on the EU to bring more support to #Lithuania and its people. @IngridaSimonyte pic.twitter.com/N0gwT72U7D
    — Charles Michel (@eucopresident) July 6, 2021

    Ma rimane caldo anche il fronte interno. Oggi la Corte suprema della Bielorussia ha condannato a 14 anni di prigione Viktor Babariko, ex-capo della banca Belgazprombank ed ex-candidato alle elezioni presidenziali del 2020, arrestato poche settimane prima del voto (insieme al figlio). È il primo avversario politico di Lukashenko ad essere condannato, con l’accusa di riciclare fondi ottenuti in modo criminale e di aver ricevuto una mega-tangente da 30,5 milioni di rubli bielorussi (più di 10 milioni di euro) quando era a capo di Belgazprombank.
    La difesa del banchiere ha bollato la sentenza come “politicamente motivata”, considerati anche l’arresto e la detenzione in un centro del KGB per impedirgli la corsa alla poltrona di presidente della Bielorussia. Anche l’Unione Europea ha chiesto il “rilascio immediato e incondizionato” di Babariko, “nonché di tutti i prigionieri politici, i giornalisti detenuti e le persone che si trovano dietro le sbarre per aver esercitato i loro diritti fondamentali”, ha reso noto il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna, Peter Stano. Viktor Babariko “voleva vedere la Bielorussia come un Paese giusto, equo e aperto. Il regime si vendica di lui in modo orribile”, ha commentato la leader dell’opposizione e presidente legittima riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya.
    Proprio la legittimazione di Tsikhanouskaya da parte dell’Unione Europea sta diventando un elemento sempre più significativo nell’approccio dell’Occidente verso la Bielorussia. Ieri (5 luglio) il ministro degli Affari esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, ha conferito lo status diplomatico all’ufficio di rappresentanza della democrazia bielorussa guidato da Tsikhanouskaya: “Sono profondamente grata per l’enorme sostegno e per essere stati i primi ad accoglierci. Insieme, dimostriamo che la Bielorussia non è Lukashenko”, ha rivendicato durante la cerimonia ufficiale. Nel corso della sua visita a Vilnius, anche il presidente del Consiglio UE Michel ha incontrato la leader dell’opposizione, per ribadire che i Ventisette sono “fermamente con il popolo della Bielorussia” e che “il legittimo appello a un futuro democratico e al rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti umani deve essere finalmente ascoltato”.

    The #EU stands firmly with the people of #Belarus and will continue to do so.
    The legitimate call for a democratic future and respect for fundamental freedoms and human rights must finally be heeded. pic.twitter.com/DyTB6iBfUw
    — Charles Michel (@eucopresident) July 6, 2021

    Visita del presidente del Consiglio UE a Vilnius per denunciare la strumentalizzazione della migrazione illegale da parte del regime di Lukashenko. Intanto è stato condannato a 14 anni di prigione l’ex-candidato alle elezioni presidenziali 2020, Viktor Babariko

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    Bielorussia sospende il Partenariato orientale con l’UE, e gioca la carta del ricatto attraverso l’immigrazione irregolare

    Bruxelles – Sembra aver assunto ormai i tratti di un gioco al rialzo il confronto diplomatico tra Unione Europea e Bielorussia dopo le vicende dello scorso 23 maggio, tra dirottamenti di aerei di linea e imposizioni di sanzioni economiche. Il regime del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, ha deciso oggi di sospendere la propria partecipazione all’iniziativa del partenariato orientale dell’UE, in risposta alle “azioni che minacciano la sicurezza nazionale e causano danni diretti alla sua economia e ai cittadini”, si legge in una nota del ministero degli Affari Esteri di Minsk (non ancora tradotta in inglese). In altre parole, una rappresaglia contro le sanzioni economiche imposte giovedì scorso dal Consiglio dell’UE, che hanno colpito il settore dei prodotti petroliferi, del cloruro di potassio, del tabacco e delle tecnologie civili e militari.
    La decisione è stata comunicata al capo della delegazione UE nella Repubblica di Bielorussia, Dirk Schuebel, al quale è stata riportata la “ferma posizione” del governo di Minsk riguardo “l’assoluta inaccettabilità dell’uso delle sanzioni come strumento di pressione su uno Stato sovrano e indipendente”. In questo quadro, è stata confermata anche l’attuazione della procedura di sospensione dell’Accordo di riammissione con l’UE (firmato il 27 maggio dello scorso anno), che stabilisce obblighi e procedure per i Ventisette e la Bielorussia in materia di riammissione di cittadini il cui soggiorno sul territorio dell’altra parte è irregolare.
    A conferma dei timori dei Paesi baltici, il regime Lukashenko è pronto a giocare la carta della migrazione irregolare per ricattare l’UE e costringerla a ritirare le sanzioni economiche imposte contro il Paese. “Non possiamo adempiere ai nostri obblighi, secondo le condizioni delle restrizioni imposte dall’Unione Europea”, mette in guardia il ministero degli Esteri bielorusso. “Affermiamo con profondo rammarico che la sospensione forzata dell’Accordo avrà un impatto negativo sull’interazione nel campo della lotta all’immigrazione illegale e alla criminalità organizzata“. La posizione di Minsk sarà riportata a Bruxelles da Schuebel, mentre il rappresentante permanente della Repubblica di Bielorussia presso l’UE, Aleksandr Mikhnevich, è stato richiamato nella capitale bielorussa “per consultazioni”.
    È stato inoltre comunicato il divieto di ingresso in Bielorussia “ai rappresentanti delle strutture europee e alle persone dei Paesi UE che hanno contribuito all’introduzione di misure restrittive”. Una promessa di sanzioni individuali nei confronti di politici di spicco europei – sulla falsariga di quelle imposte dalla Russia lo scorso 30 aprile, anche se non sono ancora trapelati possibili nomi di questo elenco. “Continuiamo a sviluppare misure di risposta, comprese quelle di natura economica”, ha minacciato ancora il governo bielorusso: “Ci auguriamo che i funzionari dell’UE e dei suoi Stati membri siano consapevoli dell’inutilità delle decisioni sull’uso di un approccio energico“.

    Belarus has taken another step backwards today by suspending its participation in the Eastern Partnership.
    This will escalate tensions further and have a clear negative impact on the people of Belarus by depriving them of opportunities provided by our cooperation.
    — Charles Michel (@eucopresident) June 28, 2021

    Immediata la risposta del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel: “Oggi la Bielorussia ha fatto un altro passo indietro, sospendendo la sua partecipazione al Partenariato orientale”, ha commentato su Twitter. Questa decisione “aumenterà ulteriormente le tensioni“, ma soprattutto “avrà un chiaro impatto negativo sulla popolazione della Bielorussia, privandola delle opportunità fornite dalla nostra cooperazione”.

    In risposta alle sanzioni economiche di Bruxelles, il regime di Lukashenko ha attuato la procedura di sospensione dell’Accordo di riammissione di migranti irregolari. Annunciato anche il divieto di ingresso nel Paese per responsabili delle misure restrittive europee

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    ONU, Guterres a Bruxelles: “L’UE difenda i valori di tolleranza e razionalità”

    Bruxelles – Nazionalismi, populismi, razzismo, antisemitismo, odio generalizzato. Secondo Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, la civiltà globale si muove in una “sorta di era post-illuminista, di cui vediamo i rischi del moltiplicarsi di diverse forme di irrazionalità”. Lo sottolinea in un breve punto stampa alle telecamere di Bruxelles, al fianco della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. Prenderà parte oggi (23 giugno) al collegio dei commissari, poi domani alla plenaria del Parlamento europeo e alla prima giornata di vertice dei capi di Stato e governo.
    L’obiettivo è lavorare congiuntamente all’ONU per uscire fuori dalla crisi sanitaria ed economica connessa e ripartire con un futuro più sostenibile, sotto diversi punti di vista. Costruire “una nuova agenda comune e globale in cui ci offriamo sempre volontari per assumere un ruolo di primo piano”, ha detto von der Leyen a nome dell’UE. Ma all’Europa Guterres riconosce il più importante contributo alla civiltà globale il fatto di aver diffuso i valori dell’Illuminismo, il primato della ragione e della tolleranza sull’irrazionalità e sull’odio generalizzato. E “questo è particolarmente importante quando vediamo i rischi di muoversi in una sorta di era post-illuminista e dove vediamo il moltiplicarsi di diverse forme di irrazionalità”, ha aggiunto. Contiamo sull’Unione europea per “essere in prima linea nella battaglia a sostegno di valori dell’illuminismo che sono stati, come ho detto, il contributo più importante dell’Europa alla civiltà globale”.
    Il tempismo delle parole di Guterres non passa inosservato. Poco prima che venissero pronunciate, la presidente della Commissione si è sentita in dovere di intervenire per esprimere il suo disappunto contro una contestata legge approvata in Ungheria che vieta di affrontare temi legati all’omosessualità e all’orientamento sessuale in contesti frequentati dai minori. Ieri, al Consiglio Affari Generali, 14 paesi membri dell’Unione Europea, tra cui anche l’Italia in extremis, hanno firmato una dichiarazione di condanna della nuova legge ungherese, definendola una “forma di discriminazione”. Oggi è il turno di von der Leyen, che usa toni duri nel definire il disegno di legge una violazione della “dignità umana, uguaglianza e rispetto dei diritti umani”.

    Il Segretario Generale delle Nazioni Unite nella capitale europea prenderà parte domani alla plenaria del Parlamento europeo e al vertice dei capi di Stato e governo. L’obiettivo: rinsaldare i legami e costruire una nuova agenda globale per la ripresa

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    Bielorussia, adottato il quarto pacchetto di sanzioni UE in coordinamento con Stati Uniti, Canada e Regno Unito

    Bruxelles – E sono quattro. Il Consiglio Affari Esteri ha adottato oggi (lunedì 21 giugno) un nuovo pacchetto di sanzioni dell’Unione Europea contro il regime del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko. Repressione delle proteste pacifiche, dirottamento di un volo di linea internazionale, violenze contro gli oppositori politici e violazioni dei diritti umani: è lunga la lista delle motivazioni che hanno spinto i ministri degli Esteri europei ad aggiornare la lista nera di individui e aziende da colpire con misure restrittive.
    “Oggi abbiamo lavorato sodo e abbiamo deciso di imporre un ampio pacchetto di sanzioni nei confronti di 78 persone e 8 entità bielorusse“, ha spiegato l’alto rappresentante UE per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Un’azione attuata per “influenzare il comportamento dei responsabili”, soprattutto della vicenda del dirottamento del volo Ryanair Atene-Vilnius e il successivo arresto del giornalista Roman Protasevich e la compagna Sofia Sapega. L’alto rappresentante UE ha avvertito che “non è esclusa una quinta tornata di sanzioni“, dal momento in cui “non abbiamo la bacchetta magica, ma questo è uno strumento pesante che può contribuire a sfiancare persone, istituzioni e aziende vicine al regime”. Una visione confermata anche dalla leader dell’opposizione democratica e presidente legittima riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya, che durante il suo intervento alla riunione dei ministri “ha fornito molti consigli utili a questo riguardo”.
    Il fattore di novità del quarto ciclo di sanzioni è il coordinamento dell’Unione Europea con Stati Uniti, Canada e Regno Unito. “Ci impegniamo a sostenere le aspirazioni democratiche a lungo represse del popolo bielorusso e siamo uniti per imporre costi al regime per il suo palese disprezzo degli impegni internazionali”, si legge nella nota congiunta. Le richieste sono sempre le stesse – “cooperare con le indagini internazionali sugli eventi del 23 maggio, rilasciare i prigionieri politici, avviare un dialogo politico con i rappresentanti dell’opposizione democratica” – ma l’azione armonica del blocco delle potenze occidentali, guidata da Bruxelles, potrebbe essere una vera svolta nella risposta internazionale al regime di Lukashenko.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Per quanto riguarda l’aggiornamento della lista nera, sono ora 166 le persone e 15 le entità destinatarie di sanzioni che “inviano un ulteriore forte segnale ai sostenitori del regime”. Congelamento dei beni, divieto di viaggio nell’UE e impossibilità per i cittadini e le imprese europee di mettere fondi a loro disposizione: “Appoggiare il regime di Lukashenko ha un costo sostanziale”. Tra i nomi compaiono anche quello di uno dei tre figli di Lukashenko, Dimitry, e la nuora Liliya (già dal 6 novembre è incluso il primogenito Viktor, consigliere per la Sicurezza nazionale), ma anche importanti uomini d’affari della cerchia ristretta del presidente: Siarhei Tsiatseryn, nel settore dei prodotti alimentari, Mikhail Gutseriev, imprenditore russo dell’energia e del potassio e Aliaksey Aleksin, con interessi che vanno dal petrolio al tabacco.
    Nel mirino di Bruxelles sono finiti anche uomini della propaganda di regime, come Andrei Mukavozchyk, giornalista di Belarus Today (quotidiano dell’amministrazione presidenziale) e Siarhei Gusachenka, vicepresidente della televisione di Stato, Belteleradio. Compaiono inoltre professori e rettori universitari, come il vicerettore dell’Università statale di economia, Siarhei Skryba, il rettore dell’Università statale di medicina, Siarhei Rubnikovich, e quello dell’Accademia statale delle arti, Mikhail Barazna, tutti ritenuti responsabili per la decisione di espellere gli studenti che hanno partecipato alle manifestazioni pacifiche contro il regime. Da non dimenticare anche il vicecapo per le strutture detentive del ministero degli Affari interni, Ivan Myslitski, a causa dei trattamenti disumani e degradanti inflitti ai manifestanti, e l’impresa di proprietà dello Stato Belaeronavigatsia, responsabile del controllo del traffico aereo bielorusso: decisivo il suo ruolo in tutta la vicenda del dirottamento del volo Ryanair su Minsk il 23 maggio.
    Dopo il quarto pacchetto di sanzioni contro persone ed entità bielorusse e la decisione del Consiglio di vietare l’ingresso nello spazio aereo UE e l’accesso agli aeroporti dei Paesi membri a tutti i vettori battenti bandiera rosso-verde, sono attese a breve sanzioni economiche contro Minsk. L’alto rappresentante UE ha confermato che “le approveremo secondo le indicazioni che ci arriveranno dal prossimo vertice dei leader europei“, in programma questa settimana (24-25 giugno). “Finora non le abbiamo messe in atto perché creano danni indiscriminatamente all’economia di tutto Paese e colpiscono tutti i cittadini”, ha concluso Borrell, “ma ormai è arrivato il momento di adottare anche questo strumento”.

    L’alto rappresentante Borrell ha annunciato le nuove misure restrittive contro 86 individui e aziende al termine del vertice con i ministri degli Esteri dei Ventisette. Sanzioni economiche settoriali al vaglio del prossimo Consiglio Europeo

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    Ratko Mladic, condanna definitiva all’ergastolo per il boia di Srebrenica. L’UE: “Opportunità per riconciliazione in Bosnia”

    Bruxelles – Ora la condanna è definitiva, non ci sono più possibilità di ricorso. Ratko Mladić, il comandante militare dei serbo-bosniaci durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina del 1992-1995, dovrà scontare l’ergastolo per crimini di guerra e contro l’umanità. Lo ha stabilito oggi (martedì 8 giugno) il Meccanismo residuale per i Tribunali Penali Internazionali (IRMCT) – tribunale delle Nazioni Unite dell’Aja che nel 2017 ha preso il posto del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia (ICTY) – confermando in appello la sentenza di primo grado emessa nel novembre di quattro anni fa.
    Commemorazione delle vittime del massacro di Srebrenica al Memoriale di Potočari (2015)
    Il “macellaio della Bosnia” è stato riconosciuto colpevole per 10 capi d’accusa: quattro per crimini di guerra, cinque per crimini contro l’umanità e di un genocidio, il massacro di Srebrenica. Proprio per il suo “importante contributo” nel genocidio del luglio del 1995, Mladić è anche conosciuto con il soprannome di “boia di Srebrenica”. Su suo ordine, le truppe serbo-bosniache da lui comandate uccisero più di ottomila civili musulmani nella città della Bosnia orientale, tutti i maschi adulti e adolescenti.
    Stando alla sentenza, l’ultimo criminale di guerra eccellente giudicato dalla giustizia internazionale (prima di lui era toccato al presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina dal 1992 al 1996, Radovan Karadžić) è stato responsabile di operazioni di pulizia etnica, sterminio, deportazioni, atti disumani di dislocamento forzato, uccisioni, infrazioni delle leggi di guerra, attacchi contro i civili, presa in ostaggio dei Caschi Blu dell’ONU e terrore contro i civili di Sarajevo, durante l’assedio più lungo del Novecento (durato quasi quattro anni consecutivi).
    Il commento da Bruxelles
    Immediata la reazione delle istituzioni europee, non solo sulla condanna di Mladić, ma soprattutto sugli scenari che possono aprirsi in Bosnia ed Erzegovina. “La sentenza definitiva pone fine a un processo-chiave per crimini di guerra nella storia recente dell’Europa“, hanno commentato attraverso una nota del Servizio europeo per l’azione esterna l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. “Questo giudizio contribuirà alla guarigione di tutti coloro che hanno sofferto”.
    Dal punto di vista del processo di pacificazione sociale, “la decisione odierna è un’opportunità per i leader della Bosnia ed Erzegovina e della regione di aprire la strada per onorare le vittime e promuovere un ambiente favorevole alla riconciliazione“, con l’obiettivo di “superare le eredità della guerra e costruire una pace duratura”. Borrell e Várhelyi hanno insistito sul fatto che “la negazione del genocidio, il revisionismo e la glorificazione dei criminali di guerra contraddicono i valori europei più fondamentali“.
    Per questo motivo, “l’Unione si aspetta che tutti gli attori politici in Bosnia ed Erzegovina e nei Balcani occidentali dimostrino piena cooperazione con i tribunali internazionali e rispettino le loro decisioni“. Questo è un “prerequisito per la stabilità e la sicurezza” del Paese e per il suo cammino europeo, dal momento in cui compare anche tra le 14 priorità-chiave sulla domanda di Sarajevo per l’adesione all’Unione Europea. I due membri del gabinetto von der Leyen hanno infine insistito sul fatto che i tribunali bosniaci e della regione “devono continuare la loro missione di fornire giustizia a tutte le vittime e ai loro familiari”, perché “l’impunità non è tollerata“.
    Un commento alla sentenza è arrivato anche dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel: “È un altro passo importante per garantire giustizia alle vittime”, ha commentato su Twitter. “Ci aiuterà tutti a lasciarci alle spalle il doloroso passato e a mettere il futuro al primo posto“, ha aggiunto, usando l’hashtag in ricordo del massacro di 26 anni fa.

    The final ruling by the international tribunal in the case against Ratko Mladić is another important step to provide justice to the victims.
    It will help us all put the painful past behind us and to put the future first. #SrebrenicaMassacre pic.twitter.com/N4NJVXIJ8n
    — Charles Michel (@eucopresident) June 8, 2021

    Confermato in appello l’ergastolo per il comandante serbo-bosniaco responsabile di crimini contro l’umanità durante il conflitto del 1992-1995. Bruxelles avverte che “negazionismo e revisionismo contraddicono i valori europei”

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    Russia, Michel chiama Putin: “Basta azioni destabilizzanti e Mosca sostenga una soluzione pacifica in Bielorussia”

    Bruxelles – L’Unione Europea chiede al Cremlino di interrompere le sue “azioni destabilizzanti”, che hanno portato il livello delle relazioni tra Bruxelles e Mosca a un “livello minimo”. È questo il messaggio trasmesso oggi (lunedì 7 giugno) dal presidente del Consiglio UE, Charles Michel, nel corso della conversazione telefonica con il presidente russo, Vladimir Putin. “Questa situazione, o un ulteriore deterioramento, non è nell’interesse di nessuna delle due parti”, ha avvertito Michel.
    La telefonata tra i due leader si è incentrata soprattutto sulla posizione del Consiglio Europeo rispetto alle azioni russe “illegali, provocatorie e destabilizzanti” contro i Paesi membri UE e sulla situazione in Bielorussia. “L’Unione Europea è unita e solidale di fronte agli atti compiuti da Mosca“, è stato il monito del presidente Michel, anche se non ha negato spazio a una distensione dei rapporti: “Rimaniamo fedeli ai cinque principi-guida che disciplinano la nostra politica nei confronti della Russia”.
    Per quanto riguarda la situazione sul fronte orientale, Michel ha ribadito le conclusioni del vertice dei leader europei di fine maggio, condannando il dirottamento del volo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk e l’arresto del giornalista Roman Protasevich e della compagna Sofia Sapega da parte del regime del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko. A Putin, che di recente ha incontrato il presidente bielorusso a Sochi per confermare la seconda tranche del prestito da 1,5 miliardi di dollari, è stato chiesto un coordinamento per “sostenere una soluzione pacifica della crisi” nel Paese: “La Russia può svolgere un ruolo importante” in questa partita, è stato l’invito di Michel.
    Sulla questione c’è però attrito tra le parti. Il presidente del Consiglio UE ha informato il Cremlino sulle sanzioni imposte dall’Unione e ha richiamato l’attenzione sulla necessità di “rilasciare i prigionieri politici, fermare le repressioni e la violenza e impegnarsi in un dialogo nazionale inclusivo”. Tuttavia, dall’altra parte della cornetta è arrivata una risposta secca dal leader russo, che ha bollato le sanzioni UE come “controproducenti” – tanto quando “qualsiasi tentativo di interferire negli affari interni di questo Stato sovrano” – se si vuole risolvere una crisi ormai arrivata a dieci mesi dal suo scoppio.
    Nel corso della telefonata è stata affrontata anche la questione delle tensioni sul confine occidentale ucraino e in Crimea. Michel ha riconfermato il “fermo sostegno” dell’Unione “all’indipendenza, sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti”. Al Cremlino è stata ricordata la propria responsabilità per la “piena attuazione degli accordi di Minsk”. Scambiate infine opinioni sulla Libia, sul conflitto armeno-azero, sulla pandemia e i vaccini anti-COVID, “comprese le prospettive per la certificazione del vaccino russo Sputnik V nell’Unione Europea“, ha specificato una nota del Cremlino.

    I conveyed a message of EU unity in my call with president Putin @KremlinRussia_E
    The downwards trend in EU-Russia relations can only change if Russia stops disruptive behavior.
    Fighting the pandemic and making effective vaccines available to everyone is a goal we discussed. pic.twitter.com/Rhw2B7xMHa
    — Charles Michel (@eucopresident) June 7, 2021

    Il presidente del Consiglio Europeo ha avvertito il leader russo che “le relazioni tra le parti sono ai minimi storici”. Chiesto un coordinamento per la risoluzione della crisi a Minsk, ma il Cremlino ha risposto che le sanzioni UE sono “controproducenti”