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    Ue-Palestina, qualcosa si muove. Pronti 400 milioni all’ANP e una strategia a lungo termine in cambio di un piano di riforme entro l’estate

    Bruxelles – La tragedia in corso da oltre nove mesi a Gaza ha riacceso i riflettori sul mai risolto conflitto israelo-palestinese. E sulla soluzione dei due Stati, unica opzione individuata dalla comunità internazionale per raggiungere una pace duratura. Se da un lato c’è Israele che non ne vuole sapere, dall’altro c’è un’Autorità Nazionale Palestinese che deve essere supportata nell’obiettivo di mettere in piedi un vero apparato statale. Oggi (19 luglio) un segnale importante: la Commissione europea e l’ANP hanno firmato una lettera d’intenti che definisce una serie di tappe – e di finanziamenti – per affrontare le “vulnerabilità strutturali esacerbate dalle conseguenze della guerra a Gaza”.Un messaggio importante, quello lanciato dalla neo-presidente della Commissione europea per la seconda volta, Ursula von der Leyen, a 24 ore dalla sua conferma a capo dell’istituzione Ue. Verso l’esterno – in risposta alle accuse piovute in questi mesi sull’intransigente posizione filo-israeliana assunta dalla leader dopo il 7 ottobre -, e verso l’interno, in ascolto dei gruppi politici progressisti (liberali, socialdemocratici e verdi) che l’hanno sostenuta ieri in Parlamento e che chiedono a gran voce un cambio di passo sul ruolo dell’Ue nella risoluzione del conflitto israelo-palestinese.“Stiamo lavorando a un pacchetto pluriennale molto più ampio per sostenere un’Autorità palestinese efficiente”, aveva annunciato ieri von der Leyen presentando all’Eurocamera le priorità politiche del nuovo mandato. “Con questa strategia congiunta, sosteniamo gli sforzi di riforma dell’Autorità Palestinese. Insieme, stiamo gettando le basi per la stabilità economica e politica in Cisgiordania“, ha aggiunto oggi, presentando l’intesa firmata dal commissario Ue per il Vicinato e l’Allargamento, Olivér Várhelyi, e dal ministro per la Pianificazione e la Cooperazione internazionale dell’ANP, Wael Zakout.Cosa prevede la strategia Ue per l’Autorità Nazionale PalestineseCome primo passo, l’Ue fornirà un sostegno finanziario d’emergenza a breve termine all’Autorità Palestinese per far fronte alle sue esigenze finanziarie più urgenti e sostenere un programma di riforme “sostanziali e credibili”. Un sostegno di 400 milioni di euro, in sovvenzioni e prestiti, che sarà erogato in tre rate tra luglio e settembre 2024, a condizione che vengano compiuti progressi nell’attuazione del programma di riforme dell’Autorità palestinese. Entro fine agosto, il governo di Mohammed Mustafa dovrà riuscire a razionalizzare la spesa pubblica, riducendo le spese ricorrenti di almeno il 5 per cento rispetto all’anno precedente, istituire l’età pensionabile per tutti i lavoratori della Cisgiordania, pubblicare una nuova legge sulla protezione sociale e preparare un piano di riforma dell’istruzione. Tra le azioni preliminari concordate, figura anche l’approvazione di una legge sui pagamenti elettronici e il miglioramento dell’accesso alla giustizia e ai meccanismi di reclamo per i cittadini nei confronti degli enti governativi.Secondo quanto messo nero su bianco nella lettera d’intenti, questo sostegno a breve termine “aprirà la strada a un programma globale per la ripresa e la resilienza della Palestina“. La Commissione ha proposto di istituire una piattaforma di coordinamento dei donatori per la Palestina a partire dall’autunno 2024, fino alla fine del 2026. Nei piani di von der Leyen c’è la presentazione di una proposta legislativa per l’attivazione di questo programma globale all’inizio di settembre. Questo sostegno pluriennale “dovrebbe consentire all’Autorità palestinese di raggiungere l’equilibrio di bilancio entro il 2026 e di garantire in seguito la sua sostenibilità finanziaria a lungo termine”.Bruxelles e Ramallah hanno dedicato qualche riga anche al vicino israeliano, con cui sarà fondamentale che l’ANP migliori le relazioni economiche e finanziarie, in primo luogo “attraverso il regolare pagamento (da parte di Tel Aviv, ndr) delle entrate fiscali dovute all’Autorità Palestinese e la rimozione delle restrizioni all’accesso dei lavoratori palestinesi”. Come sottolineato dall’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, “i bisogni sono immensi”. L’assistenza immediata stanziata dall’Ue non basta: “Invitiamo nuovamente Israele a sbloccare urgentemente tutte le entrate fiscali”, ha chiesto Borrell.La Commissione europea ha messo inoltre in chiaro che nessuno dei fondi dedicati all’ANP dovrà finire nelle mani, direttamente o indirettamente, di persone o entità sottoposte a misure restrittive da parte dell’Ue. Nessuna sponsorizzazione del terrorismo, insomma. Perché la chiave per la creazione di uno Stato palestinese è delegittimare l’islamismo radicale di Hamas e della Jihad palestinese rafforzando l’unico interlocutore credibile individuato dall’Occidente, l’ANP. Poi però, ci sarà da fare i conti con Israele, il cui Parlamento ha approvato solo ieri a larghissima maggioranza una legge che vieta la creazione di uno Stato di Palestina.

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    Orbán a Mosca, l’ira della Commissione europea: “In dubbio la visita Ue in Ungheria”

    Bruxelles – La “missione di pace” intrapresa da Viktor Orbán “mina l’unità” dell’Unione europea. Il premier ungherese si trova oggi (5 luglio) a Mosca per discutere della situazione in Ucraina con il presidente russo Vladimir Putin. Una visita che mette in imbarazzo Bruxelles, dal momento che arriva a soli cinque giorni dall’avvio della presidenza di turno ungherese del Consiglio dell’Ue. E che “mette seriamente in dubbio la tradizionale visita della Commissione europea” nel Paese che detiene la guida semestrale dei 27.Mentre Orbán viene ricevuto al Cremlino, dalla capitale Ue si levano le proteste dei leader. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, aveva repentinamente chiarito già ieri sera che Orbán non ha ricevuto alcun mandato dall’Ue. In mattinata i messaggi dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri e della presidente della Commissione europea: Josep Borrell ha precisato che la posizione ufficiale dei 27 sul conflitto “esclude contatti ufficiali tra l’Ue e Putin”, secondo Ursula von der Leyen “l’appeasement non fermerà Putin”.Viktor Orban e Vladimir Putin a Pechino, ottobre 2023 (credits: Grigory Sysoyev / Pool / Afp)La linea della Commissione europea sulla missione di Budapest – solo tre giorni fa Orbán si è recato a Kiev per chiedere un cessate il fuoco a Zelensky – è stata chiarita dal portavoce capo, Eric Mamer, durante il briefing quotidiano con la stampa: “Si tratta di appeasement e non di pace, e noi crediamo che mini l’unità e la determinazione che dobbiamo mostrare per porre fine a questa guerra”, ha dichiarato, precisando inoltre che “non siamo stati informati della visita, non è stata coordinata con noi e né con nessun altro”. Come non era stata coordinata con gli omologhi europei la prima fuga in avanti di Orbán, quando ad ottobre 2023 incontrò e strinse la mano a Putin durante un viaggio a Pechino.L’irritazione è tale per cui la Commissione paventa già le prime conseguenze: “Questa visita a Mosca mette seriamente in dubbio la tradizionale visita della presidenza (della Commissione, ndr) in Ungheria, che avevamo in programma subito dopo la pausa estiva”, ha annunciato Mamer. È infatti una prassi consolidata che il presidente della Commissione europea, insieme al collegio dei commissari, si rechino in visita nel Paese che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue.Il portavoce dell’esecutivo comunitario ha evidenziato che – nonostante lo stesso Orbán abbia constatato che la presidenza di turno non ha il mandato di negoziare per conto dell’Ue – “il simbolismo è molto chiaro”, perché “questo viaggio avviene cinque giorni dopo l’avvio della presidenza ungherese”. E il premier magiaro, in una foto pubblicata sul suo account X, accompagnata dalla didascalia “La missione di pace continua, seconda fermata: Mosca”, ha utilizzato il logo scelto da Budapest per il semestre di presidenza Ue. Orbán ha risposto alla tempesta di critiche ricevute tra ieri e oggi a suo modo, cioè rilanciando: “Non è possibile trovare pace stando comodamente seduti in poltrona a Bruxelles – ha attaccato -, non possiamo sederci e aspettare che la guerra finisca miracolosamente”.La “confusione” seminata a proposito da Orbán, come ha denunciato la premier estone – e candidata a sostituire Borrell a capo della diplomazia Ue – Kaja Kallas, è evidente anche nelle dichiarazioni di Putin all’arrivo dell’amico di lunga data. “Capisco che questa volta è arrivato non solo come nostro partner”, ha osservato Putin, che ha intenzione di mostrare a Orbán i dettagli delle proposta di Mosca per una soluzione pacifica del conflitto in Ucraina. Secondo l’ufficio stampa del Cremlino, il presidente russo avrebbe detto a Orbán di essere “pronto a discutere con voi le sfumature su questo tema, e mi aspetto che lei mi renda edotto della sua posizione e di quella dei partner europei“.The #peace mission continues. Second stop: #Moscow. pic.twitter.com/kPOkKBsJQm— Orbán Viktor (@PM_ViktorOrban) July 5, 2024A proposito delle “vergognose” immagini di Orban da Puti, l’eurodeputato Sandro Gozi, segretario generale del Partito democratico europeo e membro della presidenza di Renew Europe ricorda che “con una risoluzione lo scorso 24 aprile, il Parlamento europeo aveva messo in luce tutti i dubbi e le preoccupazioni sulla reale capacità di questa presidenza di turno del Consiglio di garantire la continuità dell’agenda dell’Ue e di rappresentare il Consiglio nelle sue relazioni con le istituzioni dell’Ue e gli altri Paesi”. Secondo Gozi “purtroppo, il Consiglio fece cadere nel vuoto il nostro appello a spostare la presidenza ungherese. Scandalizzarsi oggi, dunque, da parte dei leader del Consiglio, è quanto mai ipocrita: sarebbe bastato ascoltare il Parlamento per evitare un’immagine così vergognosa che getta discredito su tutte le istituzioni europee”.

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    La firma dell’Accordo di Associazione Ue con San Marino e Andorra è attesa “entro l’autunno”

    Bruxelles – L’accordo c’è, l’intesa è finalizzata, ma per l’entrata in vigore dell’Accordo di Associazione dell’Unione Europea con San Marino e Andorra sono necessari ancora alcuni passaggi formali, che il gabinetto von der Leyen si augura possano chiudersi “al massimo entro la fine dell’anno”. A fornire una tempistica di massima all’indomani della finalizzazione delle “300 pagine di testo” è stato il vicepresidente esecutivo della Commissione Ue responsabile per le Relazioni interistituzionali, Maroš Šefčovič, che nel corso di una conferenza stampa tenutasi ieri pomeriggio (7 maggio) ha messo il punto ai lavori di limatura dei testi giuridici, aprendo la strada all’approvazione finale delle istituzioni Ue e dei due microstati europei.Il vicepresidente della Commissione Europea per le Relazioni interistituzionali, Maroš Šefčovič (7 maggio 2024)“Stiamo avviando la procedura al Consiglio con la traduzione e la discussione, ci aspettiamo che il Consiglio ci autorizzi a firmare l’Accordo di Associazione nel tardo autunno“, ha spiegato Šefčovič sul podio del Berlaymont al fianco del primo ministro di Andorra, Xavier Espot, e del ministro degli Affari Esteri di San Marino, Luca Beccari. Rimane però un velo di incertezza sulla data entro cui il percorso negoziale iniziato nel marzo 2015 si concluderà definitivamente, considerato il fatto che la composizione delle istituzioni incaricate di chiudere l’iter sarà quasi interamente diversa da quella che ha raggiunto l’intesa storica nel dicembre dello scorso anno. A giugno andranno a elezioni sia l’Unione Europea sia San Marino, e questo significa che due attori su tre (Andorra le ha tenute lo scorso anno) avranno nuovi Parlamenti – incaricati di ratificare l’accordo – e nuovi esecutivi, oltre a una nuova presidenza semestrale del Consiglio dell’Ue (dal primo luglio): “Anche la prossima presidenza ungherese è interessata a rapidi progressi“, ha voluto rassicurare Šefčovič.A proposito di quanto è in ballo, il 12 dicembre 2023 le tre parti avevano comunicato i risultati di oltre otto anni di negoziati, con tutti i dettagli di un accordo paragonabile a quello che regola i rapporti tra Bruxelles e Norvegia, Islanda e Liechtenstein. “Probabilmente siamo andati oltre, questo è l’accordo complessivo più completo che ha l’Unione Europea, una sorta di Spazio Economico Europeo +”, aveva esultato il vicepresidente della Commissione Ue. L’accordo prevede la partecipazione di San Marino e Andorra al Mercato interno dell’Ue in condizioni di parità di concorrenza. Inclusi i servizi finanziari, ma in modo progressivo e a seconda dall’esito della verifica della solidità dei quadri normativi e di vigilanza (la condizione preliminare è la conformità alle misure anti-riciclaggio). Parallelamente sarà stabilito un quadro di sviluppo del dialogo e della cooperazione in settori di interesse comune – ricerca e sviluppo, istruzione, politica sociale, ambiente, protezione dei consumatori, cultura o cooperazione regionale – e uno istituzionale per l’interpretazione e l’applicazione dell’accordo in linea con la giurisprudenza europea (di cui la Corte di Giustizia Ue è arbitro ultimo per le controversie).I negoziati per l’Accordo di Associazione erano iniziati nel marzo del 2015, ma le conseguenze della guerra russa in Ucraina hanno portato a un’accelerazione: il 30 giugno 2022 era stata presentata una roadmap per arrivare alla firma entro il 2024 degli Accordi di Associazione con Andorra, Monaco e San Marino. Tuttavia a fine agosto 2023 i presidenti dell’Autorità bancaria europea (Eba), dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma) e dell’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (Eiopa) avevano avvertito la Commissione che finalizzare questi accordi potrebbe aprire le porte del Mercato Unico a una destabilizzazione dei servizi finanziari. Nel giro di due settimane la consigliera del ministero degli Affari esteri e della cooperazione del Principato di Monaco, Isabelle Berro-Amadei, aveva concordato con il braccio destro di Ursula von der Leyen che “le condizioni non erano mature per concludere un accordo”. Il lavoro è così continuato solo con San Marino e Andorra.San Marino, Andorra e gli altri microstati europeiA oggi i due microstati europei in questione hanno status diversi. Né San Marino né Andorra sono parte dello spazio Schengen (che prevede la libera circolazione delle persone tra Stati membri Ue e l’abolizione delle frontiere comuni), tuttavia esiste un’unione doganale con l’Unione dal 1991: solo San Marino lo è anche per i prodotti agricoli dal 2002. Andorra mantiene parte dei suoi controlli al confine, solamente in alcuni valichi di frontiera con la Spagna. Per quanto riguarda il Principato di Monaco – che ha fatto un passo indietro dall’Accordo di Associazione a settembre 2023 – attualmente è in una situazione ibrida, e applica alcune politiche dell’Ue attraverso la relazione speciale che ha con la Francia: è membro di fatto di Schengen, mentre è a pieno titolo parte del territorio doganale dell’Unione.Per quanto riguarda gli altri microstati europei, il Liechtenstein è l’unico a far parte dello Spazio economico europeo e del Mercato Unico (dal primo maggio del 1995), mentre dal 19 dicembre del 2011 ha firmato gli accordi Schengen. La Città del Vaticano è il più piccolo Stato riconosciuto al mondo e ha solamente il confine aperto con l’Italia. Tutti i microstati europei (fatta eccezione per il Liechtenstein, che usa il franco svizzero) usano come moneta ufficiale l’euro e hanno il diritto di coniarne un numero limitato, perché viene riconosciuto loro l’aver utilizzato o essere stati legati a valute non più in circolazione di alcuni Paesi membri (lira per San Marino e Città del Vaticano, franco francese per Monaco, peseta spagnola e franco francese per Andorra). Da parte di Bruxelles non c’è l’interesse di integrare nessuno dei microstati europei come Paese membro, dal momento in cui sarebbe eccessivamente complesso gestire questioni interne all’Unione (come le presidenze di turno del Consiglio dell’Ue, o il diritto di veto degli Stati membri) per entità territoriali troppo limitate a livello di superficie e popolazione.

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    I primi pagamenti Ue dal Piano di crescita per i Balcani Occidentali potrebbero arrivare entro l’estate

    Bruxelles – Il percorso legislativo è terminato, ora inizia la fase di messa a terra. Con il via libera definitivo del Consiglio dell’Ue allo Strumento di riforma e crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro, il nuovo Piano dell’Unione a sostegno delle economie dei sei Paesi partner è pronto per mostrare subito i primi risultati concreti. Già nei prossimi mesi. “Se tutto andrà bene, speriamo di poter effettuare un primo pagamento entro l’estate“, ha anticipato alla stampa oggi (7 maggio) la portavoce della Commissione Ue responsabile per la Politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero, commentando la notizia dell’approvazione finale del Consiglio all’accordo raggiunto con i co-legislatori del Parlamento Ue un mese fa.A questo punto sono attesi solo i passaggi formali a Bruxelles: firma del Regolamento che istituisce il nuovo Strumento, pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Ue ed entrata in vigore (il giorno successivo). “I nostri partner dei Balcani Occidentali stanno preparando le Agende di riforma per poter accedere ai finanziamenti dallo Strumento“, ha spiegato la portavoce, precisando che la Commissione si aspetta che “le presentino una volta che il Regolamento sarà entrato in vigore”. Le Agende di riforma di ciascuno dei sei partner balcanici – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – definiranno le riforme socio-economiche e fondamentali da intraprendere tra il 2024 e il 2027 per accedere ai fondi (2 miliardi di euro in sovvenzioni e 4 in prestiti agevolati). “I programmi dovranno essere valutati approvati dalla Commissione dopo le consultazioni con i Paesi membri”, dopodiché potranno essere messe sul piatto “assegnazioni indicative basate sul Pil e sulla popolazione“, ha concluso Pisonero.Il sostegno attraverso il Piano di crescita sarà fornito per metà dal Quadro per gli investimenti nei Balcani Occidentali (Wbif) sotto forma di sovvenzioni e prestiti per gli investimenti a sostegno delle Agende di riforma, e per metà da prestiti erogati direttamente ai bilanci nazionali dei partner sulla base delle principali riforme socio-economiche. I pagamenti saranno effettuati due volte l’anno, “a condizione che i partner rispettino le fasi qualitative e quantitative” delle Agende (in caso contrario l’Ue può decidere di tagliare i fondi). Anche considerate alcune perplessità evidenziate dalla Corte dei Conti Europea, il Piano di crescita per i Balcani Occidentali prevede un approccio ‘prima i fondamentali’, vale a dire il collegamento tra Stato di diritto, lotta alla corruzione e diritti fondamentali con le altre due aree cruciali del processo di adesione Ue: la governance economica e il rafforzamento delle istituzioni democratiche e della riforma della pubblica amministrazione.Per rafforzare la trasparenza è previsto anche che i dati aggiornati sui destinatari finali che ricevono finanziamenti superiori a 50 mila euro cumulativamente per un periodo di quattro anni siano resi disponibili su una pagina web apposita.Cos’è il Piano di crescita per i Balcani OccidentaliIl Piano di crescita per i Balcani Occidentali è stato largamente anticipato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e illustrato ai diretti interessati nel corso del suo ultimo tour autunnale nella regione, prima della presentazione ufficiale lo scorso 8 novembre in parallelo con la pubblicazione del Pacchetto Allargamento Ue 2023. “È qualcosa di eccezionale, sappiamo che il miracolo della prosperità arriva con l’accesso al Mercato unico e stiamo già iniziando questo processo, non stiamo aspettando la decisione finale sull’adesione politica“, aveva rivendicato la numero uno dell’esecutivo comunitario, illustrando i 4 pilastri di un Piano che dovrebbe sia “chiudere il gap economico e sociale” tra Ue e regione balcanica sia permettere “l’integrazione sul campo anche prima che entrino formalmente come Paesi membri”.Il primo pilastro è proprio l’integrazione economica nel Mercato unico in sette settori fondamentali, a condizione di un allineamento alle regole Ue e dell’apertura dei settori pertinenti ai Paesi vicini: libera circolazione delle merci, libera circolazione dei servizi e dei lavoratori, accesso all’Area unica dei pagamenti in euro (Sepa), facilitazione del trasporto su strada, integrazione e de-carbonizzazione dei mercati energetici, mercato unico digitale e integrazione nelle catene di approvvigionamento industriale. Il secondo pilastro è quello dell’integrazione economica interna attraverso il Mercato regionale comune (basato su regole e standard Ue): Bruxelles stima che solo questo fattore potrebbe potenzialmente aggiungere un 10 per cento alle economie dei Sei balcanici. Il terzo pilastro riguarda le riforme fondamentali, che nel Piano di Bruxelles andranno da una parte a sostenere il percorso dei Balcani Occidentali verso l’adesione Ue e dall’altro sosterranno gli investimenti esteri e il rafforzamento della stabilità regionale.A proposito di investimenti, è qui che si inserisce il quarto pilastro dell’assistenza finanziaria Ue alle riforme per tutti i sei partner. Si tratta nello specifico di un nuovo strumento di riforma e crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro per il periodo 2024-2027, i cui pagamenti saranno vincolati all’attuazione delle riforme socio-economiche concordate (esattamente come Next Generation Eu per i Ventisette). Con la revisione intermedia del Quadro finanziario pluriennale Ue 2021-2027 è stato dato il via libera allo strumento composto di 2 miliardi di euro in sovvenzioni (finite nel bilancio Ue senza modifiche alla proposta della Commissione) e 4 miliardi in prestiti agevolati, per la cui messa a terra servirà prima che ciascuno dei sei Paesi presenti un’agenda di riforme basata sulle raccomandazioni del Pacchetto Allargamento e dei Programmi di riforma economica (Erp).La presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenVa infine segnalato che per Serbia e Kosovo c’è una clausola supplementare, che “si impegnino in modo costruttivo con progressi misurabili e risultati tangibili nella normalizzazione delle loro relazioni”. In altre parole, senza progressi nel dialogo Pristina-Belgrado, rimarranno in stallo – o andranno perduti – i finanziamenti previsti dal Piano. Lo stesso discorso vale per la Bosnia ed Erzegovina in caso di mancata implementazione delle riforme fondamentali: “Le risorse saranno ridistribuite ad altri Paesi che sono in grado di farlo, questo è un forte incentivo ad andare avanti in modo attivo”, ha avvertito la numero uno della Commissione nella sua tappa del primo novembre a Sarajevo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    In Georgia continuano da giorni le proteste organizzate e spontanee contro la legge sugli agenti stranieri

    Bruxelles – È infuocata la strada che porterà al voto del Parlamento della Georgia sul controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, come ultimo atto del partito al potere Sogno Georgiano prima del ritorno alle urne il 26 ottobre. Da quattro giorni si stanno svolgendo ininterrottamente enormi proteste nella capitale Tbilisi – più precisamente su viale Rustaveli, su cui si affaccia la sede del Parlamento – animate da decine di migliaia di manifestanti che si oppongono a una legge molto simile a quella in vigore nella vicina e temuta Russia. E da Bruxelles tutte le istituzioni Ue si sono schierate nuovamente dalla parte dei cittadini georgiani e delle loro aspirazioni di fare ingresso un giorno nell’Unione, esattamente come successo un anno fa.Manifestanti georgiani a Tbilisi contro la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 17 aprile 2024 (credits: Giorgi Arjevanidze / Afp)Dopo il primo ritorno nelle piazze all’inizio della scorsa settimana, la protesta si è allargata a oltre diecimila manifestanti lunedì (15 aprile) per diventare la più grande di sempre in Georgia solo due giorni più tardi, quando i deputati georgiani hanno adottato in prima lettura il progetto di legge leggermente emendato rispetto a quello proposto – e poi ritirato a causa delle manifestazioni popolari oceaniche – nel marzo del 2023. Secondo il controverso progetto di legge tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero dovranno registrarsi come ‘organizzazione che persegue gli interessi di una potenza straniera’ e non più come ‘agente di influenza straniera’ (così è in vigore in Russia dal primo dicembre 2022). Per i gruppi pro-democrazia di opposizione nel Paese la sostanza non cambia rispetto a un anno fa e per questo, in corrispondenza dell’appuntamento in Parlamento di questa settimana, hanno deciso di convocare la popolazione in piazza. Dopo tre giorni di proteste organizzate, ieri sera (18 aprile) migliaia di cittadini georgiani sono tornati spontaneamente in viale Rustaveli per dimostrare quanto sia sentita la questione del percorso verso l’adesione all’Unione Europea e nonostante episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine.“Siamo preoccupati per le notizie che riportano l’uso della forza da parte della polizia antisommossa per disperdere i manifestanti che dimostrano contro il controverso progetto di legge“, è la denuncia comune dei principali eurodeputati competenti sulla Georgia (il presidente della commissione Affari esteri, David McAllister, la presidente della delegazione per le relazioni con il Caucaso meridionale, Marina Kaljurand, e il relatore permanente per la Georgia, Sven Mikser). I tre membri del Parlamento Ue hanno messo in chiaro che “il diritto alle proteste pacifiche è un diritto fondamentale e deve essere rigorosamente rispettato, soprattutto in un Paese che aspira all’adesione all’Ue”. Proprio a questo proposito la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ viene definita “un attacco ai media indipendenti e alle organizzazioni della società civile”, che non solo “è incompatibile con i valori e i principi democratici dell’Ue” ma mette anche “a rischio l’integrazione euro-atlantica del Paese”. Lo stesso era stato evidenziato pochi giorni fa con un duro monito anche dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel: “Porterà la Georgia più lontana dall’Ue e non più vicina”.Manifestanti georgiani a Tbilisi contro la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 9 aprile 2024 (credits: Vano Shlamov / Afp)Parole simili sono state utilizzate dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e dal commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, in una nota congiunta: “Si tratta di uno sviluppo molto preoccupante e l’adozione definitiva avrebbe un impatto negativo sui progressi della Georgia nel suo percorso verso l’Ue“. Questa legge “non è in linea con le norme e i valori fondamentali” dell’Unione a cui Tbilisi aspira a fare ingresso, in particolare dopo aver ricevuto lo status di Paese candidato all’adesione Ue il 14 dicembre dello scorso anno dal Consiglio Europeo (condizionato anche dai progressi sulle raccomandazioni della Commissione Ue sulla libertà della società civile e sulla lotta alla disinformazione). In vista del voto definitivo in Parlamento previsto per il 17 maggio, le istituzioni Ue continuano a esortare il partito al governo ad “astenersi dall’adottare” una legislazione che minerebbe le basi del percorso di avvicinamento Ue “sostenuto dalla stragrande maggioranza dei cittadini georgiani”. In altre parole rischierebbe di portare a uno stop del processo di adesione all’Unione Europea per il Paese.Il complesso rapporto tra Ue e GeorgiaLe proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 7 marzo 2023 (credits: Afp)Nonostante la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, il rapporto tra Bruxelles e Tbilisi rimane particolarmente complesso a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo quantomeno controverso sulle tendenze filo-russe (anche se poi ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino). Non solo è evidente la difficoltà a implementare le riforme richieste dal cammino di avvicinamento all’Unione, ma nel corso degli ultimi due anni si sono registrati episodi che hanno evidenziato l’ambiguità del partito al potere Sogno Georgiano – il cui fondatore è l’oligarca Bidzina Ivanishvili, che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Ue che chiede sanzioni personali nei suoi confronti. Per esempio, nel maggio dello scorso anno sono ripresi dei voli tra Georgia e Russia dopo la decisione di Mosca di eliminare il divieto in vigore, e il Paese caucasico non si è mai allineato alle misure restrittive introdotte da Bruxelles contro il Cremlino dopo l’invasione dell’Ucraina. Lo scorso autunno il governo ha anche tentato di mettere sotto impeachment (fallito) la presidente della Repubblica per una serie di viaggi nell’Unione Europea che che avrebbero rappresentato una violazione dei poteri della capa di Stato secondo la Costituzione nazionale.A cavallo della decisione di Bruxelles di giugno 2022 di non concedere ancora alla Georgia lo status di candidato all’adesione, a Tbilisi si sono svolte due grandi manifestazioni pro-Ue: una ‘marcia per l’Europa’ per ribadire l’allineamento del popolo ai valori dell’Unione e una richiesta di piazza di dimissioni del governo. I tratti comuni di queste manifestazioni sono state le bandiere – bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu – cartelli con rivendicazioni europeiste e l’inno georgiano intervallato dall’Inno alla Gioia. Prima dello scoppio delle dure proteste popolari nel marzo 2023 – appoggiate da Bruxelles – che almeno fino a oggi hanno portato all’accantonamento del controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’.In questo scenario non va dimenticato il rapporto particolarmente delicato della Georgia con la Russia, Paese con cui confina a nord. La candidatura all’adesione Ue e Nato – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino. Dopo i conflitti degli anni Novanta con le due regioni separatiste dell’Ossezia del Sud (1991-1992) e dell’Abkhazia (1991-1993) a seguito dell’indipendenza della Georgia nel 1991 dall’Unione Sovietica, sul terreno la situazione è rimasta di fatto congelata per 15 anni, con le truppe della neonata Federazione Russa a difendere i secessionisti all’interno del territorio rivendicato. Il tentativo di riaffermare il controllo di Tbilisi sulle due regioni nell’estate del 2008 – voluto dall’allora presidente Mikheil Saakashvili – determinò il 7 agosto una violenta reazione russa non solo nel respingere l’offensiva dell’esercito georgiano, ma portando anche all’invasione del resto del territorio nazionale con carri armati e incursioni aeree per cinque giorni. Da allora la Russia di Vladimir Putin riconosce l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud e ha dislocato migliaia di soldati nei due territori per aumentare la propria sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia, in violazione degli accordi del 12 agosto 2008.

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    Gaza, l’Ue prende nota degli annunci di Netanyahu su nuovi corridoi umanitari. “Attuare tutto e in fretta”

    Bruxelles – Ben vengano gli annunci sull’apertura di nuovi corridoi umanitari per la popolazione palestinese a Gaza, ma “occorre attuarli in pieno e rapidamente”. La Commissione europea accoglie con favore le intenzioni del primo ministro israeliano, Benjamin Netahyahu, di aprire il porto di Ashdod e il valico di Erez per consentire il flusso diretto degli aiuti nel nord di Gaza. Ma pretende che non restino parole vuote. Per il momento, dunque, a Bruxelles “si prende nota” delle parole del leader israeliano, ma non ci si limita a quello.Certo, il ruolo dell’Unione europea risulta ridimensionato, visto che l’annuncio di Netanyahu arriva dopo una telefonata con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, a riprova di ruolo e peso diversi nella regione e nella gestione della crisi in Medio Oriente.L’esecutivo comunitario coglie comunque l’occasione per tornare a fare pressioni sullo Stato ebraico, rinnovando l’appello a “proteggere i civili innocenti e gli operatori umanitari, in linea con il diritto umanitario internazionale“. Un richiamo che si aggiunge alla condanna per l’uccisione, in un raid condotto dalle forze armate israeliane, di sette operatori della Ong World Central Kitchen. Un episodio che ha probabilmente segnato il punto più basso nelle relazioni tra Israele e i suoi partner.Proprio la prospettiva di nuove vie di aiuti umanitari spiega la Commissione europea a ricordare come e quanto siano fondamentali organizzazione non governative e Nazioni Unite, inclusa l’Agenzia per i rifugiati palestinesi (Unrwa) che Israele ha rimesso in discussione dopo il sospetto che funzionari abbiano partecipato agli attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso. “La Commissione europea continuerà il suo intenso lavoro con i partner regionali e globali, le Nazioni Unite e le ONG partner”, fa sapere l’esecutivo comunitario. Un modo per mandare un messaggio a Tel Aviv.

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    La Commissione Ue rispetterà gli impegni presi con l’Unrwa nel 2024: pronti i primi 50 milioni di euro

    Bruxelles – L’Ue non chiuderà i rubinetti all’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Profughi Palestinesi (Unrwa). A oltre un mese dalle gravi accuse israeliane a 12 dipendenti dell’Agenzia, presunti complici di Hamas negli attacchi del 7 ottobre, le azioni intraprese dall’Unrwa per accertare le responsabilità individuali e rafforzare il controllo dell’Agenzia hanno convinto la Commissione europea a procedere al pagamento di 50 milioni, linfa vitale per non interrompere l’assistenza alla popolazione di Gaza.Si tratta della prima sostanziosa tranche degli impegni previsti per il 2024, che ammontano a 82 milioni totali. “La seconda e la terza tranche di 16 milioni di euro saranno erogate in linea con l’attuazione dell’accordo”, fa sapere la Commissione europea. Accordo che prevede che – oltre all’indagine avviata dall’Ufficio per i servizi di supervisione interna delle Nazioni Unite (Oios) e all’istituzione di una commissione di revisione indipendente – l’Unrwa avvii un audit dell’Agenzia condotto da esperti esterni nominati da Bruxelles. La caparbietà con cui il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, ha dichiarato di essere pronto a rivoluzionare l’agenzia per garantire una revisione del personale, mettere in atto ulteriori meccanismo di controllo e rafforzare il dipartimento di indagini interne hanno fatto il resto.UNRWA Commissioner General Philippe Lazzarini in Brussels, February 12, 2023. (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)Come spiegato dal commissario Ue per l’Allargamento, Olivér Várhelyi, che alla notizia del presunto coinvolgimento dei 12 dell’Unrwa agli attacchi di Hamas aveva immediatamente spinto per la sospensione dei fondi all’Agenzia, “con la decisione odierna la Commissione diversifica la sua assistenza per l’innocente popolo palestinese di Gaza”. L’esecutivo Ue ha deciso infatti di stanziare altri 68 milioni di euro ad altri partner internazionali nella regione, la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa.L’esborso della Commissione europea arriva in un momento di catastrofe umanitaria senza precedenti, in cui ogni giorno è peggiore di quello precedente. Solo pochi giorni fa l’Unrwa aveva annunciato che a febbraio, gli aiuti umanitari entrati nella Striscia sono diminuiti del 50 per cento rispetto a gennaio. Le vittime accertate palestinesi dal 7 ottobre hanno superato quota 30 mila, a cui andranno sommate le migliaia di dispersi, e ieri (29 febbraio) Israele ha aperto il fuoco durante la distribuzione di farina a Gaza City, uccidendo 100 persone e ferendone 700.“Sono inorridito dalla notizia dell’ennesima carneficina tra i civili a Gaza alla disperata ricerca di aiuti umanitari. Queste morti sono totalmente inaccettabili. Privare le persone degli aiuti alimentari costituisce una grave violazione del diritto internazionale umanitario”, ha immediatamente reagito all’accaduto l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell. Mentre la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è detta “profondamente turbata dalle immagini provenienti da Gaza”, perché “gli aiuti umanitari sono un’ancora di salvezza per chi ne ha bisogno e l’accesso ad essi deve essere garantito”.

    Membri dell’Unrwa distribuiscono farina a Gaza (Photo by SAID KHATIB / AFP)Proprio oggi, l’Unrwa ha pubblicato un appello firmato da 17 importanti Ong – tra cui Save The Children, ActionAid International, Oxfam – perché l’Unione europea e gli Stati membri non voltino le spalle all’Unrwa, che non sostiene soltanto i quasi 2 milioni di sfollati interni a Gaza, ma un totale di oltre 6 milioni di profughi palestinesi in Libano, Giordania, Siria e nei territori occupati della West Bank. Ricordando che l’Unrwa ha più di 13 mila dipendenti a Gaza, di cui 158 sono rimasti uccisi sotto i bombardamenti israeliani, e 30 mila in tutto il Medio Oriente.La decisione della Commissione europea di non interrompere il sostegno all’Unrwa potrebbe non essere sufficiente, se è vero che lo stesso Lazzarini ha più volte ribadito che senza i fondi per 450 milioni di dollari bloccati da diversi donors in tutto il mondo, l’Agenzia potrebbe non riuscire a proseguire il proprio lavoro già dalla fine di marzo. I 50 milioni di euro di Bruxelles sono una boccata di ossigeno – che si aggiunge all’aumento di fondi mobilitato d’urgenza da alcuni Paesi come Belgio e Spagna, ma la speranza è che fungano da esempio per gli Stati membri che hanno sospeso i propri pagamenti. Austria, Estonia, Finlandia, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Romania, Svezia, oltre a Stati Uniti, Islanda, Regno Unito, Giappone e Australia.

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    Bruxelles in pressing su Belgrado: “Attuare le raccomandazioni Osce in vista di future elezioni”

    Bruxelles – Continua il botta e risposta tra Bruxelles e Belgrado sullo svolgimento delle elezioni anticipate in Serbia del 17 dicembre, con un nuovo elemento sul tavolo: il rapporto finale dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) sugli elementi di criticità alle urne. “Conferma le preoccupazioni dell’Unione Europea, il processo elettorale richiede miglioramenti tangibili e ulteriori riforme” e “le segnalazioni di irregolarità devono essere affrontate in modo trasparente, comprese quelle relative alle elezioni locali”, è quanto sottolineato questa mattina (29 febbraio) dal portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano.

    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, alle urne il 17 dicembre 2023 (credits: Elvis Barukcic / Afp)Il rapporto dell’Osce pubblicato meno di 24 ore fa conferma l’allarme già anticipato dalle conclusioni preliminari di dicembre, in particolare sul fronte delle interferenze interne e delle condizioni inique per i concorrenti del partito Partito Progressista Serbo (Sns) al potere. “Sebbene tecnicamente ben amministrate e in grado di offrire agli elettori una scelta di alternative politiche”, le elezioni anticipate del 2023 “sono state dominate dal coinvolgimento decisivo del presidente” Aleksandar Vučić che, “insieme ai vantaggi sistemici del partito al potere, ha creato condizioni ingiuste per i concorrenti”, è quanto rilevato dall’Osce. A questo si aggiunge il fatto che, anche se “le libertà fondamentali sono state generalmente rispettate durante la campagna elettorale”, il voto è stato “inficiato da una retorica aspra, dalla parzialità dei media, dalle pressioni sui dipendenti del settore pubblico e dall’uso improprio delle risorse pubbliche”.È con queste indicazioni che si riapre la partita delle misure da prendere a seguito di uno svolgimento non completamente trasparente delle elezioni anticipate del 17 dicembre scorso. Solo pochi giorni fa la prima ministra serba in carica, Ana Brnabić, aveva chiuso completamente la porta a un’indagine internazionale, “perché richiederebbe l’annullamento della sovranità nazionale”, respingendo la risoluzione del Parlamento Europeo in cui erano state richieste azioni pesanti alla Commissione Ue nel caso in cui venisse accertato il coinvolgimento delle autorità e del governo uscente nei brogli elettorali. Tra queste una “sospensione dei finanziamenti dell’Ue sulla base di gravi violazioni dello Stato di diritto” e, implicitamente, un possibile stop ai negoziati di adesione: “Dovrebbero avanzare solo se il Paese compie progressi significativi nelle riforme legate all’Ue”. Oltre all’indagine internazionale indipendente gli eurodeputati hanno chiesto alla Commissione anche di lanciare “un’iniziativa per l’invio di una missione di esperti in Serbia” sull’esempio dei ‘rapporti Priebe’ (le raccomandazioni di un gruppo di esperti incaricato dalla Commissione nel 2015 sulla Macedonia del Nord).“Non c’è tempo da perdere” sull’attuazione delle 25 raccomandazioni dell’Osce “in vista delle future elezioni nel Paese”, è l’esortazione del portavoce del Seae Stano all’indirizzo delle autorità di Belgrado, facendo riferimento agli “obblighi e standard internazionali per le elezioni democratiche”. Le raccomandazioni principali riguardano la necessità di “rivedere la legislazione per affrontare efficacemente” le carenze a proposito di “un processo consultivo inclusivo basato su un ampio consenso politico”, l’introduzione di “una formazione obbligatoria standardizzata per tutti i membri delle commissioni elettorali locali e dei comitati elettorali” e lo sviluppo di “un programma di educazione degli elettori tempestivo, completo e mirato”, compresa “la prevenzione del voto di gruppo” e “l’importanza del voto a scrutinio segreto”. L’Osce raccomanda anche “una revisione significativa dei registri elettorali e civili” e l’adozione di “misure per prevenire l’uso improprio delle cariche e delle risorse statali”, allo stesso tempo implementando “meccanismi efficaci di controllo legale e istituzionale per prevenire intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi i dipendenti delle istituzioni pubbliche e statali”.Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipate

    Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)Nonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.Proprio nella capitale la situazione rimane ancora tesa e non è da escludere che si possano ripetere le elezioni amministrative la cui vittoria è stata rivendicata dal Partito Progressista Serbo: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić ha conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.

    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (credits: Alex Halada / Afp)A questo si aggiunge il caso che Bruxelles “sta seguendo da vicino” (parole della dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero) sulle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba (dimessosi due mesi fa), Aleksandar Vulin, ha riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews