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    Mikheil Kavelashvili sarà (probabilmente) il prossimo presidente della Georgia

    Bruxelles – Sogno georgiano, il partito al governo in Georgia, ha scelto il politico di estrema destra ed ex calciatore Mikheil Kavelashvili come suo candidato alla presidenza della Repubblica. La carica, che andrà rinnovata a metà dicembre, è sostanzialmente cerimoniale e non ha poteri realmente incisivi. Ma la nomina da parte del Parlamento di Tbilisi del successore dell’europeista Salomé Zourabichvili sarà l’ennesima conferma della direzione in cui il Paese caucasico sta andando dopo le contestate elezioni legislative del mese scorso. E cioè sempre più vicino alla Russia, e sempre più distante dall’Unione europea.Mercoledì (27 novembre), i quadri di Sogno georgiano hanno scelto Kavelashvili come candidato del loro partito alla carica di capo dello Stato. Kavelashvili ha 53 anni ed è un ex giocatore della nazionale di calcio, della Premier league britannica e della Super league elvetica. Il suo ingresso in politica risale al 2016, quando ha varcato la soglia del Parlamento venendo eletto tra le fila di Sogno georgiano, il partito di governo filo-russo e nazional-populista che controlla il Paese dal 2012. Da quest’ultimo è fuoriuscito nel 2022 per fondare Potere al popolo, che si caratterizza per una forte retorica anti-occidentale (soprattutto anti-statunitense, ma anche contro l’integrazione in Ue) e l’opposizione alla “propaganda Lgbtq+”.Caos politicoAttualmente, il ruolo è ricoperto da Salomé Zourabichvili, la presidente europeista e filo-occidentale che sta facendo da catalizzatrice per la rivolta delle opposizioni parlamentari, le quali contestano come illegittimo (in quanto dirottato da Mosca) il voto per il rinnovo dell’assemblea legislativa tenutosi lo scorso 26 ottobre. In quella data, gli osservatori locali e internazionali hanno denunciato gravi e diffuse violazioni del processo elettorale che ha confermato al potere Sogno georgiano per la quarta volta di fila.La presidente georgiana Salomé Zourabichvili (foto: Vano Shlamov/Afp)I partiti dell’opposizione hanno deciso di boicottare i lavori del nuovo emiciclo, ma i deputati filo-governativi avevano i numeri per far partire comunque la legislatura (Sogno georgiano e Potere al popolo detengono complessivamente 89 dei 150 seggi totali). Così, lo scorso 25 novembre, tra le proteste dei cittadini, il nuovo Parlamento è entrato formalmente in funzione mentre Zourabichvili lo bollava come “incostituzionale”.La nomina del presidenteIl prossimo 14 dicembre, l’assemblea sarà dunque chiamata a nominare il nuovo presidente della Repubblica. Non ci sono dubbi sul fatto che il candidato di Sogno georgiano otterrà l’incarico, visto che, in base alle nuove regole introdotte con la riforma costituzionale del 2017 (che si applicheranno per la prima volta quest’anno), il capo dello Stato non sarà più eletto direttamente dai cittadini ma sarà investito da un collegio elettorale composto da 300 membri, di cui fanno parte tutti i 150 deputati più 150 rappresentanti delle regioni e delle amministrazioni locali.Presentando all’emiciclo (dov’erano presenti, appunto, solo i deputati della maggioranza) la candidatura dell’ex calciatore, l’oligarca e fondatore di Sogno georgiano Bidzina Ivanishvili ha lodato il “contributo fondamentale” di quest’ultimo “alla tutela degli interessi nazionali della Georgia e al rafforzamento della sovranità del Paese”, mentre Kavelashvili ha sostenuto che “la nostra società è divisa” per colpa della “radicalizzazione e polarizzazione” alimentate dall’estero e ha accusato Zourabichvili di aver violato le norme fondamentali dello Stato caucasico, promettendo che lui “riporterà la presidenza nel suo alveo costituzionale”.L’oligarca e fondatore di Sogno georgiano, Bidzina Ivanishvili (foto: Giorgi Arjevanidze/Afp)Verso Mosca con furoreUna volta approvata formalmente, la nomina di Kavelashvili sarà l’ennesima conferma che Sogno georgiano sta spingendo Tbilisi sempre più verso l’orbita del Cremlino e sempre più lontana da Bruxelles. Uno scivolamento che ha portato l’Ue a congelare il processo di adesione della Georgia al club a dodici stelle lo scorso giugno, almeno finché il governo non farà marcia indietro su una serie di provvedimenti giudicati come liberticidi e incompatibili con il diritto comunitario.Tra questi ce n’è uno, a firma anche di Kavelashvili, che impone alle organizzazioni che ricevano almeno il 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero di registrarsi come “agenti stranieri”, sul modello di una legge analoga approvata nella Russia di Vladimir Putin e che ha di fatto autorizzato una stretta sul dissenso e sulle voci indipendenti nella Federazione.

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    Allargamento Ue 3/ Quando Mosca è troppo vicina: gli ostacoli all’adesione di Georgia, Serbia e Turchia

    Bruxelles – Tra i Paesi candidati ad entrare in Unione europea, tre sembrano al momento piuttosto lontani. Si tratta di Georgia, Serbia e Turchia. Ognuno di loro presenta varie criticità su diversi livelli, ma un elemento che accomuna Tbilisi, Belgrado e Ankara è lo scollamento da Bruxelles su un punto fondamentale: la politica estera e di sicurezza. Che, a partire dall’aggressione dell’Ucraina di due anni e mezzo fa, comprende l’imperativo di non allinearsi alla Russia di Vladimir Putin.La Serbia, tallone d’Achille dei BalcaniTra i sei Paesi candidati della regione balcanica, la Serbia (che ha avanzato la sua domanda di adesione nel 2012) è decisamente la più problematica dal punto di vista del disallineamento rispetto alle priorità strategiche della politica estera comunitaria. Nella sua relazione annuale sul progresso del processo di adesione (chiamata anche “pacchetto sull’allargamento“), presentata mercoledì (30 ottobre) dall’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell e dal commissario all’Allargamento e al vicinato Olivér Várhelyi, si legge che “il ritmo dei negoziati” per l’ingresso di Belgrado nel club europeo “continuerà a dipendere dalle riforme sullo Stato di diritto e dalla normalizzazione delle relazioni della Serbia con il Kosovo”.Per quanto riguarda il primo punto, le riforme su cui il Paese balcanico deve concentrare i propri sforzi hanno a che fare soprattutto con la libertà della società civile e dei media e la lotta contro la disinformazione e le interferenze dall’estero. Tradotto: va ridotta l’esposizione alle campagne ibride del Cremlino, che fanno presa in questo Stato più che negli altri della regione.Ma è soprattutto sul difficile rapporto con il Kosovo che si stanno giocando le prospettive europee della Serbia. Belgrado non ha mai riconosciuto l’indipendenza di Pristina (proclamata unilateralmente nel 2008 e riconosciuta da oltre metà degli Stati membri dell’Onu), e il dialogo tra le due nazioni – facilitato dall’Ue – non sta compiendo progressi significativi. Il che è un eufemismo, considerati i momenti di crisi acuta negli ultimi tempi (ad esempio la disputa sulle targhe albanesi sfociata poi nell’episodio di sangue presso il monastero di Banjska nel settembre 2023). Del resto, il governo serbo guidato da Miloš Vučević ha ribadito che intende continuare sulla linea del non-riconoscimento di quella che considera una parte del territorio nazionale.A preoccupare Bruxelles è parallelamente anche la vicinanza di Belgrado a Mosca, un altro problema dell’esecutivo di Vučević (ma anche di quelli precedenti), di cui fanno parte due politici sanzionati dagli Stati Uniti per il loro legame alla Russia di Vladimir Putin: l’ex capo dell’intelligence Aleksandar Vulin e l’imprenditore Nenand Popović. L’esecutivo comunitario sottolinea che la Serbia “non è ancora allineata alle misure restrittive” adottate dall’Ue “contro la Federazione Russa” e altri Paesi come Bielorussia, Corea del Nord e Iran e “non si è allineata alla maggior parte delle dichiarazioni dell’Alto rappresentante” rivolte al Cremlino. Oltre a ciò, continua il rapporto, Belgrado “ha mantenuto relazioni di alto livello” con Mosca e “intensificato” quelle con Pechino, “sollevando dubbi circa la direzione strategica della Serbia”.La Georgia, un Paese in bilicoUn altro Stato candidato che sta pericolosamente pendendo verso Mosca è la Georgia. Nonostante la sua popolazione sia fortemente filo-occidentale, il governo – dal 2012 saldamente nelle mani di Sogno georgiano, il partito-macchina dell’oligarca Bidzina Ivanishvili – ha assunto nel corso dell’ultimo anno posizioni sempre più marcatamente filorusse, forzando peraltro l’approvazione parlamentare di due provvedimenti liberticidi (una legge sugli “agenti stranieri” e una sulla famiglia che discrimina i membri della comunità Lgbtq+) modellati sull’esempio di analoghe norme russe, che sono costati a Tbilisi il congelamento del percorso di avvicinamento all’Ue (avviato nel 2022) e la sospensione dell’erogazione dei fondi comunitari.La situazione non è affatto migliorata con l’ultima tornata elettorale dello scorso sabato (26 ottobre), durante la quale gli osservatori locali e internazionali hanno denunciato una lunga serie di irregolarità e violazioni e che le opposizioni si sono impegnate a non riconoscere, rifiutandosi di insediarsi nel nuovo Parlamento. Secondo la presidente della Repubblica, Salomé Zourabichvili, le elezioni sono state “rubate” ai georgiani da “un’operazione dei servizi segreti russi” e anche a Bruxelles si teme che l’esito del voto possa spingere il piccolo Stato caucasico verso l’orbita di Mosca in maniera irrimediabile.Secondo l’analisi della Commissione europea, “il tasso di allineamento con la politica estera e di sicurezza dell’Ue rimane considerevolmente basso”, anche se Tbilisi ha “cooperato con l’Ue per prevenire la circonvenzione delle sanzioni” comminate alla Federazione Russa. Una cooperazione che potrebbe venir meno nell’immediato futuro.Il limbo eterno della TurchiaRimangono decisamente esigue anche le speranze della Turchia di entrare in Ue: il Paese anatolico ha fatto domanda di adesione nel lontano 1999 ma, per una lunga serie di motivi, non ha mai avuto una prospettiva concreta di far parte del club a dodici stelle e ora la sua pratica è bloccata dal 2018. Tra i maggiori ostacoli ci sono la questione cipriota, le dispute con la Grecia per il controllo di alcuni tratti di mare (e dei sottostanti giacimenti di idrocarburi) nel Mediterraneo orientale, il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali (inclusi quelli delle minoranze e delle donne) e, pure in questo caso, il disallineamento in politica estera tra Ankara e Bruxelles.Sotto la presidenza di Recep Tayyip Erdoğan, la Turchia si è mossa con relativa disinvoltura (i critici direbbero con spregiudicatezza) sulla scena internazionale, instaurando un rapporto ambivalente con la Russia di Putin. Su alcuni fronti di crisi, come quello siriano, i due leader si sono trovati su posizioni opposte, ma i due Paesi sono in realtà strettamente legati da una crescente relazione che investe il piano politico (Ankara starebbe ambendo ad entrare nei Brics, che l’uomo forte di Mosca definisce l’alternativa globale all’Occidente), strategico (dall’Africa all’Ucraina passando per il Caucaso), economico (con uno scambio commerciale in continuo aumento) ed energetico (la Turchia sembra puntare a diventare l’hub per far entrare il gas russo in Europa nell’epoca in cui le sanzioni impediscono agli Stati Ue di rifornirsi direttamente dalla Federazione).L’esecutivo comunitario ribadisce che Ankara “si è rifiutata di allinearsi alle misure restrittive dell’Ue contro la Russia riguardo all’aggressione russa dell’Ucraina”, e suggerisce che la Turchia dovrebbe impegnarsi maggiormente per ridurre la circonvenzione delle sanzioni dei beni diretti verso la Federazione impedendo il “falso transito” di articoli particolarmente sensibili attraverso il proprio territorio. La repubblica anatolica dovrebbe inoltre “cooperare più attivamente con le autorità inquirenti dell’Ue sui casi di falsificazione dell’origine dei beni sanzionati provenienti dalla Russia che entrano illegalmente nel mercato unico” dei Ventisette. Nelle parole di Borrell, l’allineamento tra la politica estera comunitaria e quella turca è “particolarmente basso e in diminuzione”.

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    Caos Georgia: dopo le elezioni, con forti dubbi di brogli, il Paese è sull’orlo della crisi

    Bruxelles – Dopo le controverse elezioni di tre giorni fa, che il partito di governo filorusso Sogno georgiano dice di aver vinto ma che gli osservatori hanno criticato come irregolari, la Georgia è entrata in un limbo di profonda incertezza che potrebbe sfociare in una grave crisi politico-istituzionale e, nel caso peggiore, in una nuova stagione di tensioni e violenze, con ripercussioni importanti per la collocazione internazionale del Paese caucasico e per la stabilità dell’intera regione. Nella serata di lunedì (28 ottobre), le opposizioni pro-Ue hanno presentato le loro richieste durante una manifestazione pacifica da loro convocata nella capitale Tbilisi, ma non è chiaro cosa succederà da qui in avanti.I georgiani in piazzaC’erano diverse migliaia di georgiani per le strade di Tbilisi ieri sera a manifestare contro il “furto” delle elezioni che imputano a Sogno georgiano, il partito-macchina dell’oligarca filorusso Bidzina Ivanishvili al potere dal 2012, che secondo la commissione elettorale nazionale avrebbe vinto il voto di sabato scorso con quasi il 54 per cento dei consensi. L’uso del condizionale è d’obbligo, perché le opposizioni europeiste (che secondo i dati ufficiali avrebbero raccolto complessivamente poco meno del 38 per cento), unite dietro la figura del capo dello Stato, Salomé Zourabichvili, hanno contestato i risultati delle urne denunciando brogli sistematici e irregolarità diffuse in tutto il Paese.Così, circa 20mila cittadini hanno risposto al loro appello e si sono riversati pacificamente davanti all’edificio sovietico sul viale Rustaveli dove ha sede il Parlamento georgiano (sul quale sono state proiettate coi laser scritte come “in vendita”), sventolando le bandiere nazionali con le cinque croci, quelle con le dodici stelle dell’Ue e quelle gialle e azzurre dell’Ucraina. A intervallare i cori dei manifestanti si alternavano l’inno nazionale e l’Inno alla gioia, cioè quello dell’Unione europea. Il messaggio che hanno rivolto al partito di governo (e al suo capo-padrone Ivanishvili) è chiaro: la Georgia si sente europea e non vuole sottostare all’influenza del Cremlino.La popolazione del piccolo Paese caucasico – incastonato tra la Russia, l’Azerbaigian, l’Armenia e la Turchia e bagnato dal Mar Nero – è una delle più filo-occidentali tra gli Stati emersi dalle macerie dell’Urss, con circa l’80 per cento dei cittadini che favorisce l’allineamento euro-atlantico di Tbilisi. Contemporaneamente, la maggior parte dei georgiani guarda a Mosca con sospetto dopo che nel 2008 l’ingombrante vicino ha invaso il Paese per sostenere le autoproclamate repubbliche dell’Abcasia e dell’Ossezia del sud che volevano l’indipendenza, e nelle quali mantiene ancora le proprie truppe (una situazione simile a quella della Transnistria moldava).Il piano (fumoso) delle opposizioniAlla folla ha parlato la presidente Zourabichvili, che domenica scorsa aveva convocato la manifestazione di piazza insieme ai leader dei partiti dell’opposizione parlamentare. “Pacificamente, come stiamo facendo oggi, difenderemo ciò che è nostro, il vostro diritto costituzionale di far rispettare il vostro voto”, ha dichiarato il capo dello Stato di fronte alla folla, assicurando che sarà al fianco dei cittadini “fino alla fine di questo viaggio in Europa, finché non arriveremo alla sua porta”.Per le opposizioni l’adesione all’Ue è la prima priorità strategica per la Georgia, ed è proprio quella che il partito di governo sta mettendo a repentaglio con una serie di provvedimenti liberticidi che hanno portato Bruxelles a congelare lo status di candidato del Paese. “Non è il momento del pessimismo, della rinuncia o della resa”, ha continuato Zourabichvili dal palco, ma quello di “raggiungere la verità insieme”. Per arrivare alla “verità”, le opposizioni hanno elaborato un piano che prevede quattro fasi, anche se non sono ancora noti tutti i dettagli operativi di come andrebbe realizzato concretamente.Il punto di partenza è un’indagine indipendente e approfondita sui brogli elettorali avvenuti nella giornata di sabato, che hanno portato la stessa presidente a parlare di “un’operazione dei servizi segreti russi”. Questo dovrebbe permettere di dichiarare ufficialmente illegittime le elezioni, e quindi permettere alle forze dell’opposizione – le quali sembrano ora aver trovato una qualche unità dopo essersi presentate separate alle urne – di rifiutare l’ingresso dei propri eletti nel nuovo Parlamento.Strada in salitaSecondo la Costituzione georgiana (che disciplina la materia all’articolo 38), la nuova assemblea ha tempo dieci giorni dalla proclamazione dei risultati delle urne per insediarsi e prendere pienamente le proprie funzioni. Perché i suoi lavori possano cominciare, è necessario che sia presente alla sessione inaugurale la maggioranza dei membri del Parlamento (dunque 76 su 150), mentre per “acquisire pieni poteri” serve che due terzi dei deputati (100 su 150) riconoscano come avvenuto l’insediamento.Ora, i soli parlamentari di Sogno georgiano (che, tra i voti ottenuti dalla componente proporzionale e quelli dei collegi uninominali, avrebbe ottenuto 89 seggi) non arriverebbero a questa soglia, ma non è chiaro cosa succederebbe se le opposizioni portassero fino in fondo il boicottaggio. Se il legislativo monocamerale non riuscisse a far partire i propri lavori, la presidente Zourabichvili avrebbe la facoltà di scioglierlo e convocare nuove elezioni che, nelle speranze delle opposizioni e dei manifestanti, andrebbero condotte sotto una regia internazionale che ne garantisca l’integrità. Sarebbe questo il quarto (e più importante) punto del piano delle forze filo-occidentali.A complicare ulteriormente le cose, tuttavia, c’è anche l’imminente scadenza del mandato dell’attuale presidente, che è alla guida dello Stato da oltre cinque anni (la durata della carica prevista dalla legge) – e dovrebbe essere proprio il nuovo Parlamento a nominare il suo successore. Insomma, il passaggio è stretto e resta da vedere quali soluzioni istituzionali verranno adottate dai vari attori per uscire dall’impasse. Mentre il ricorso alla violenza, soprattutto da parte dell’esecutivo che comanda le forze dell’ordine e potrebbe decidere di usarle per reprimere il dissenso, non può essere escluso a prescindere.Debole sostegno internazionaleAl di là della relativa indeterminatezza del piano presentato ieri sera alla piazza, c’è da registrare un sostegno poco più che tiepido da parte degli alleati internazionali di Tbilisi, almeno in questa fase. In queste ore, un numero crescente di Paesi occidentali sta condannando le irregolarità nel processo elettorale (di cui stanno emergendo sempre più documentazioni), ma nessuno ha ancora detto chiaro e tondo che il voto è da considerarsi nullo e che Sogno georgiano non rappresenta il governo del Paese. Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno già comminato delle sanzioni ad alcuni membri del partito dell’oligarca Ivanishvili, ma dall’esito delle presidenziali della prossima settimana (l’appuntamento è fissato al 5 novembre) dipenderà la risposta di Washington nei mesi a venire.Sull’altra sponda dell’Atlantico, tredici ministri di altrettanti Stati membri dell’Ue (Cechia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo e Svezia) hanno rilasciato una dichiarazione congiunta con la quale condannano le “violazioni dell’integrità elettorale” – definite “incompatibili con gli standard che ci si aspetta da un candidato” all’ingresso nel club europeo – e sostengono che “hanno tradito” le legittime aspirazioni europee del popolo georgiano. In controtendenza, come al solito, il primo ministro ungherese Viktor Orbán, che si è affrettato a recarsi a Tbilisi per congratularsi di persona con il suo omologo Irakli Kobakhidze – una mossa per la quale è stato prontamente criticato da Bruxelles e dalle altre cancellerie.Che succede ora?Le elezioni di sabato potrebbero rappresentare uno spartiacque. Molti analisti parlano di un bivio per Tbilisi, che dovrà ora scegliere la propria collocazione internazionale. Da un lato il fermo ancoraggio nell’area euro-atlantica, da suggellare con l’adesione all’Ue e, in un futuro più lontano, magari anche l’ingresso nella Nato. Dall’altro il ritorno della Georgia nell’orbita di Mosca, per finire come uno Stato satellite (sul modello della Bielorussia di Alexander Lukashenko) dopo la parentesi di indipendenza in seguito alla dissoluzione dell’Urss, comunque ridimensionata dalla Russia con l’invasione del 2008.Naturalmente, la scelta tra queste due alternative avrà pesanti ricadute sulla stabilità non solo del Paese ma dell’intera regione caucasica, di strategica importanza come “ponte” tra l’Europa e la Federazione Russa (soprattutto con la guerra in Ucraina ancora in corso). Secondo Tefta Kelmendi, ricercatrice del think tank European council on foreign relations (Ecfr), se il partito di governo rimarrà al potere “la Georgia rischia di scivolare ancora di più nella sfera russa”, il che produrrebbe conseguenze difficilmente prevedibili anche “per gli sforzi della vicina Armenia per disaccoppiarsi dalla Russia e manderebbe segnali preoccupanti alla Moldova e all’Ucraina riguardo alle loro prospettive di integrazione in Ue, nonché alla lealtà e alla resilienza della stessa Ue”.

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    La Georgia si gioca nelle urne il suo futuro europeo

    Bruxelles – Ha tutto il sapore di un appuntamento con la Storia, quella con la S maiuscola, il voto che si terrà domani (26 ottobre) in Georgia per il rinnovo del Parlamento. I cittadini si recheranno alle urne in un clima di esasperata tensione politica e di crescente repressione del dissenso da parte delle autorità di Tbilisi, che stanno cercando di mantenere il Paese caucasico nella sfera d’influenza di Mosca contro il desiderio della maggioranza della popolazione di avvicinarsi all’Unione europea. Il partito al potere, Sogno georgiano, farà di tutto per mantenere la presa sullo Stato, che tiene ormai in mano da oltre un decennio.Le forze in campoAll’appuntamento elettorale di domani si presentano due campi contrapposti. Da un lato, il partito di governo, Sogno georgiano, che esprime l’attuale primo ministro Irakli Kobakhidze. È stato fondato nel 2012 dall’oligarca Bidzina Ivanishvili in opposizione al Movimento nazionale unito (Enm), allora al governo: dalle elezioni di quell’anno, il partito di Ivanishvili è rimasto saldamente al potere e ha infiltrato progressivamente le strutture statali (come avvenuto, in Ue, nell’Ungheria di Viktor Orbán).Il partito, nel frattempo, si è trasformato sempre più in una macchina per il mantenimento del potere personale dell’oligarca (tra i più ricchi del mondo), che di fatto tiene in pugno il Paese da due decenni nel corso dei quali si è gradualmente spostato su posizioni sempre più filorusse, soprattutto a partire dall’invasione dell’Ucraina del febbraio 2022. Alle precedenti elezioni politiche, Sogno georgiano ha conquistato 90 dei 150 seggi del Parlamento monocamerale nazionale, dove la maggioranza è fissata a 76.Dall’altro lato, le forze dell’opposizione (la più grande delle quali rimane l’Enm) non sono state in grado di dare vita ad una larga coalizione elettorale, creando invece diverse alleanze dal perimetro più circoscritto nella speranza di intercettare più efficacemente il discontento delle differenti fasce della popolazione. La presidente della Repubblica, l’europeista Salomé Zourabichvili, aveva lanciato lo scorso maggio un appello alle forze democratiche pro-Ue per la sottoscrizione di una “Carta georgiana” nella quale mettere nero su bianco il proprio impegno a rimettere il Paese sulla strada verso Bruxelles.Il clima pre-elettoraleLa campagna elettorale è stata estremamente polarizzata. Il partito di governo ha messo in campo una strategia di comunicazione particolarmente aggressiva, in cui ha affiancato alcune fotografie delle devastazioni provocate dalla guerra in corso in Ucraina e immagini della vita “pacifica” in Georgia, alludendo al fatto che una vittoria delle forze europeiste rischierebbe di trascinare il Paese in un conflitto militare con Mosca.Lo slogan di Sogno georgiano, che nei suoi poster elettorali affianca alla bandiera nazionale quella con le dodici stelle dell’Ue, è “Sì all’Unione europea, ma con dignità”. Ma per tutti gli osservatori, in caso di vittoria l’adesione al club europeo (un obiettivo inserito nella Costituzione nel 2018) verrà portato avanti solo nominalmente, e con ogni probabilità finirà definitivamente in naftalina.La tensione politica nel frattempo è aumentata a dismisura. Le proteste oceaniche dei cittadini (la cui ampia maggioranza è favorevole ad entrare nell’Unione) lambiscono la capitale Tbilisi da almeno due anni, con il picco della violenza raggiunto la scorsa estate dopo l’approvazione definitiva della controversa “legge sugli agenti stranieri”, che costringe tutte le organizzazioni che ricevano almeno un quinto dei propri finanziamenti dall’estero a registrarsi come “agenti di una potenza straniera”. Tra le altre cose, Sogno georgiano ha promesso di bandire tutti i partiti d’opposizione se vincerà nuovamente le elezioni.Si sono moltiplicati anche gli episodi di aggressioni e intimidazioni ai rappresentanti delle opposizioni e agli attivisti anti-governativi, ma anche di arresti arbitrari e raid nelle abitazioni private di giornalisti, ricercatori e altre voci indipendenti del Paese in un giro di vite contro il dissenso imposto dal governo e portato avanti dalle forze dell’ordine e dagli apparati di sicurezza. Crescono così i timori per l’integrità del processo elettorale, a monitoraggio del quale la Commissione europea ha tuttavia annunciato di non aver inviato osservatori, accontentandosi di quelli già presenti in loco e delle delegazioni diplomatiche dell’Unione e degli Stati membri.Un esito incertoNon è facile prevedere con precisione l’esito del voto di domani: i sondaggi variano sensibilmente a seconda che a emetterli siano entità vicine all’area governativa o all’opposizione. La maggior parte degli osservatori internazionali sembrano concordare sul fatto che il partito-macchina attualmente al potere uscirà nuovamente vincitore dalle urne, ma la vera domanda è con quanto vantaggio rispetto agli avversari: la forchetta va dal 30 al 60 per cento dei consensi, in base alle diverse proiezioni.Probabilmente Sogno georgiano non avrà i numeri sufficienti a governare da solo (tantomeno con la supermaggioranza richiesta per modificare la Costituzione): in quel caso, potrebbe cercare l’appoggio di altre formazioni minori per mantenere comunque il potere, da aggiungere ai seggi che otterrà dalla ridistribuzione dei voti delle liste che non supereranno la soglia di sbarramento del cinque per cento. Ma tutti gli altri partiti si sono impegnati, almeno teoricamente, a non entrare in alleanze post-elettorali con il partito di Ivanishvili: se manterranno la promessa potrebbe dunque essere a loro portata un governo di coalizione.Tal coalizione sarebbe però talmente ampia da risultare probabilmente instabile. Non sono pochi infatti i dubbi sulla coesione di un’eventuale alleanza delle opposizioni che, come detto, non si presenteranno alle urne in un fronte unitario, anche se hanno concordato di lasciare alla presidente Zourabichvili la facoltà di nominare, se del caso, un candidato per la guida del governo. Il capo dello Stato, da parte sua, ha ventilato la possibilità di aprire i negoziati di adesione all’Ue già la prossima estate nel caso in cui le opposizioni andassero governo.Ad ogni modo, uno dei rischi maggiori potrebbe essere quello per cui la parte sconfitta – qualunque essa sia – rifiuti di concedere la vittoria agli avversari. Per Sogno georgiano, non mantenere il governo significherebbe perdere il controllo sulle istituzioni statali e andare incontro a una stagione di epurazioni, come accaduto in Polonia dopo il cambio della guardia tra il PiS e la coalizione guidata da Donald Tusk. Per evitare un esito simile, non si può escludere che il partito di Ivanishvili tenti un colpo di mano, con tutte le imprevedibili conseguenze del caso. Viceversa, anche una sconfitta delle opposizioni acuirebbe le tensioni sociali, gettando il Paese in un caos ancora peggiore di quello visto finora.La battaglia tra Russia e OccidenteUna Georgia divisa, del resto, è esattamente quello che fa comodo al presidente russo Vladimir Putin, che sulla frammentazione del cosiddetto spazio post-sovietico – e l’allontanamento dei Paesi che ne fanno parte (soprattutto Armenia, Azerbaigian, Moldova e Ucraina) dall’Occidente, cioè dall’Ue e dalla Nato – ha incentrato la sua strategia di politica estera. Le truppe di Mosca sono presenti in Abcasia e Ossezia del sud, due repubbliche autoproclamatesi indipendenti da Tbilisi in seguito alla dissoluzione dell’Urss, e dopo l’invasione del 2008 non se ne sono mai andate.Dall’altra parte, la Georgia ha fatto domanda per entrare in Ue nel marzo 2022 e ha ricevuto lo status di Paese candidato lo scorso dicembre. Ma da allora il suo cammino è stato de facto congelato. A Bruxelles non sono andate giù le leggi approvate dal Parlamento georgiano nell’ultimo anno e mezzo – proprio quelle che hanno innescato le proteste popolari più partecipate degli ultimi trent’anni – e il progressivo deterioramento dello Stato di diritto, tanto che sono stati sospesi i finanziamenti comunitari a Tbilisi.Il questo clima e con questo contesto l’Europa teme le ingerenze della Russia e i suoi tentativi di influenzare il voto e il suo esito. A Bruxelles si teme che la promessa di ingresso in Europa a Tblisi non sia più così attraente rispetto a quello che potrebbe mettere sul piatto, o promettere, Mosca, che sul Paese ha interessi non solo economici.

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    Una nuova manifestazione di massa in Georgia ha chiesto le dimissioni del governo per aver fallito sulla candidatura UE

    Bruxelles – Una nuova manifestazione di decine di migliaia di persone è andata in scena ieri sera (domenica 3 luglio) nella capitale della Georgia, Tbilisi, per chiedere le dimissioni del governo guidato dal partito Sogno Georgiano, dopo il mancato ottenimento dello status di Paese candidato all’adesione all’Unione Europea. A convocare le proteste pro-UE sono stati gli stessi organizzatori della ‘marcia per l’Europa’ del 20 giugno scorso, quando oltre 100 mila persone avevano cercato di spingere i leader dell’Unione a concedere al Paese caucasico la candidatura formale nel corso del Consiglio Europeo del 23-24 giugno.
    Proprio il vertice dei leader UE ha riconosciuto a Tbilisi la possibilità di concedere lo status di Paese candidato “una volta affrontate le priorità” rilevate dal parere della Commissione Europea, riconoscendo per il momento solo la prospettiva europea dell’ex-Repubblica sovietica del Caucaso (indipendente dal 9 aprile 1991). A fronte di questo insuccesso agli occhi dei gruppi pro-democrazia e dei partiti di opposizione, migliaia di cittadini si sono radunati davanti alla sede del Parlamento della Georgia per partecipare alla manifestazione: sono state esposte due enormi bandiere – una bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e una con le dodici stelle su campo blu (dell’UE) – su molti cartelli è comparsa la scritta We are Europe, e oltre all’inno georgiano si è sentito a più riprese l’Inno alla Gioia, quello ufficiale dell’Unione Europea.
    Gli organizzatori della manifestazione hanno chiesto al premier Irakli Garibashvili di “cedere il potere esecutivo e trasferirlo, in modo costituzionale, a un governo di accordo nazionale” in Georgia. Al centro delle polemiche c’è il ruolo e l’influenza politica dell’oligarca Bidzina Ivanishvili, leader del partito al governo Sogno Georgiano, che non a caso compare nella risoluzione non vincolante approvata il 7 giugno dal Parlamento Europeo, con la richiesta di imporre nei suoi confronti sanzioni personali. Nel parere della Commissione UE sulla candidatura della Georgia è stata rilevata non solo la necessità di risolvere la polarizzazione politica e di implementare le riforme giudiziarie, ma anche una serie di preoccupazioni sulla lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, l’indipendenza e la sicurezza dei giornalisti e sul potere degli oligarchi. Secondo i manifestanti il nuovo esecutivo “realizzerà le riforme richieste dall’UE, che ci porteranno automaticamente allo status di candidato” all’adesione all’Unione. I leader di Sogno Georgiano hanno accusato l’opposizione di aver messo in moto un “piano per rovesciare le autorità organizzando manifestazioni antigovernative”.

    People unfolding the second big EU flag outside the parliament in Tbilisi. pic.twitter.com/gQGcBvxchD
    — Mariam Nikuradze (@mari_nikuradze) July 3, 2022

    La Georgia confina a nord con la Russia e ha chiesto di aderire all’Unione Europea a pochi giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. La candidatura della Georgia all’adesione UE e NATO – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino, che nell’agosto del 2008 aveva portato all’invasione (per cinque giorni) della Georgia da parte dell’esercito russo. Da allora Mosca riconosce i territori separatisi dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia come Stati indipendenti e ha dislocato migliaia di soldati nell’area, per aumentare la propria sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia.
    In un percorso di avvicinamento verso l’Unione Europea, nel 2016 è entrato pienamente in vigore (dopo due anni di provvisorietà) l’Accordo di associazione politica ed economica tra Bruxelles e Tbilisi. La Georgia è anche inclusa dal 2009 nel Partenariato orientale, il programma di integrazione tra l’Unione i Paesi di quest’area geopolitica, insieme a Ucraina, Repubblica di Moldova, Armenia, Azerbaijan e Bielorussia (anche se nel giugno del 2021 quest’ultima ha sospeso l’adesione). Tuttavia, nessuna delle due intese ha come obiettivo o come clausola l’adesione della Georgia all’UE e solo il via libera del Consiglio Europeo può aprire la strada verso la candidatura all’adesione.

    Per gli organizzatori e i partiti di opposizione, il partito Sogno Georgiano dell’oligarca Bidzina Ivanishvili deve “cedere il potere esecutivo e trasferirlo, in modo costituzionale, a un governo di accordo nazionale”, che “realizzerà le riforme richieste” da Bruxelles