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    Allargamento Ue, competenze e Agenda verde. Il Cese mette in ordine le priorità dell’Ue verso i Balcani Occidentali

    Bruxelles – Nell’affollato processo di allargamento dell’Unione Europea, che recentemente ha conosciuto un forte rilancio almeno nelle promesse delle istituzioni comunitarie, il Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) si sta ritagliando un ruolo sempre più rilevante per avvicinare le società dei Balcani Occidentali con quelle degli attuali Paesi membri dell’Unione Europea. Lo sta dimostrando con diverse iniziative che lo riguardano da vicino come istituzione, ma anche con un’azione diplomatica che si rivolge direttamente ai Ventisette in vista dell’imminente vertice Ue-Balcani Occidentali a Bruxelles. “Il Cese è parte integrante del processo di allargamento Ue e sono orgoglioso di vedere che stiamo facendo un ulteriore passo avanti nel nostro sostegno”, ha affermato con orgoglio il presidente del Comitato, Oliver Röpke, aprendo il nono Forum della società civile dei Balcani Occidentali organizzato a Salonicco tra ieri e oggi (19-20 ottobre).È stato lo stesso Röpke a ricordare quanto il Cese sia coinvolto dalla questione, attraverso la “decisione storica di aprire le porte ai Paesi candidati all’Ue”. Lo farà attraverso l’Iniziativa dei Membri onorari dell’allargamento – il cui evento di lancio è atteso tra dicembre e gennaio – che porterà all’inclusione di 3 membri onorari della società civile per ciascun Paese candidato nel processo di stesura dei pareri del Cese. Si tratterà di 24 nuovi membri da otto Paesi (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina), mentre per ora non sarebbero inclusi Kosovo (che ha fatto richiesta di adesione lo scorso anno) e Georgia (a cui è stata garantita la prospettiva europea ma non ancora lo status di candidato). “Spero di vedere presto alcuni di loro a Bruxelles, a fianco dei nostri colleghi del Comitato“, è l’augurio del presidente Röpke.I due giorni di Salonicco sono stati l’occasione per gli esponenti della società civile degli attuali e futuri membri Ue di confrontarsi sullo stato dell’arte, sui progressi e sui problemi del percorso di avvicinamento della regione all’Unione. Dalla democrazia allo sviluppo delle competenze – compresa istruzione e formazione professionale – dall’emigrazione giovanile al re-skilling dei lavoratori di fronte alle sfide di un’Europa che si deve confrontare con sempre più minacce, non da ultime quelle energetiche e climatiche. A partecipare al Forum anche la vicepresidente della Commissione Europea responsabile per la Democrazia e la demografia, Dubravka Šuica: “Il nostro presente e il nostro futuro sono intimamente legati e, a prescindere dall’età o dal background, ogni persona ha i propri diritti sanciti dall’Ue“. In attesa del Pacchetto Allargamento 2023 dell’esecutivo comunitario atteso per l’8 novembre, la rappresentante del gabinetto von der Leyen ha anticipato una serie di viaggi nei Sei balcanici (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia) “nei prossimi mesi” e ha ricordato che “il Cese è il primo tra gli organi dell’Unione a includere i Paesi candidati all’allargamento”.I tre punti della dichiarazione del Cese sui Balcani OccidentaliPer mettere in ordine le priorità dei rapporti tra Unione Europea e Balcani Occidentali in vista del vertice dei leader del 14-15 dicembre a Bruxelles (in corrispondenza del Consiglio Ue, come nel giugno 2022), il Cese ha promosso la stesura di una dichiarazione finale del vertice di Salonicco, incentrata su tre punti: percorso di adesione Ue, competenze e Agenda verde. Per quanto riguarda il primo punto, rimane saldo il fondamento per cui “la rapida integrazione nell’Ue” della regione rappresenta “un investimento geostrategico per la pace, la sicurezza e la prosperità economica e sociale dell’Europa”. Il Comitato chiede di “stabilire un calendario chiaro e realistico per l’adesione” dei partner balcanici, accogliendo “con favore” il 2030 come data-limite entro cui le due parti devono essere pronte per l’allargamento, così come da proposta del presidente del Consiglio Ue, Charles Michel. In ogni caso – con un colpo al cerchio e un colpo alla botte – rimane altrettanto innegabile che “l’allargamento è un processo basato sul merito” (il caposaldo della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, nel suo scetticismo sul fissare una data) e per questo motivo “alcuni Paesi potrebbero completare il processo di adesione più rapidamente di altri”. Altrettanto interessante è il richiamo alla “adesione graduale” nei meccanismi e fondi Ue esistenti, fatto salvo “l’obiettivo finale della piena adesione” e il “sincero rispetto dei valori europei”.Sul secondo punto è centrale il focus sulle competenze “lungo tutto l’arco della vita”. Per questo il Cese chiede un “ulteriore rafforzamento” di programmi Ue, strutture regionali e politiche che raggiungano “un maggior numero di giovani nei Balcani Occidentali con opportunità di istruzione, occupazione, orientamento, mobilità e volontariato“, incluse nuove borse di studio e prestiti nel contesto del programma Erasmus+ e programmi per la formazione professionale continua. Da rafforzare anche i partenariati pubblico-privato per l’occupazione e l’orientamento dei Neet (chi non studia, non è occupato e non cerca lavoro) e la collaborazione tra le parti sociali e le associazioni imprenditoriali per la riqualificazione sul posto di lavoro. Tra le “adeguate” competenze da sviluppare ci sono quelle verdi e digitali “nell’ambito di strategie attive nazionali e regionali”, mentre la parità di genere dovrebbe essere al centro del principio “non lasciare indietro nessuno” (compresi anziani, persone con disabilità e minoranze etniche).E infine l’Agenda verde per i Balcani Occidentali, che pone l’obiettivo di “raggiungere la conformità con l’acquis dell’Ue e la transizione verso una società a zero emissioni di carbonio”. Su questo aspetto c’è molta preoccupazione da parte della società civile: “I progressi nel raggiungimento degli impegni sono stati lenti e l’attuazione molto limitata per la mancanza di calendari chiari e di chiarezza sui percorsi specifici”. Nell’eliminazione del carbone, desta non pochi interrogativi il fatto che “alcuni progetti-faro finanziati attraverso il Piano economico e di investimento rischiano di essere relativi ai combustibili fossili“. L’impegno della regione deve invece essere indirizzato a “prevenire l’inquinamento e il degrado di fiumi, laghi e mari e attuare politiche rigorose per la protezione della biodiversità”, anche quando si tratta di rispetto degli standard ambientali per i finanziamenti di attori extra-Ue in settori come “la metallurgia, l’energia, l’industria della gomma e l’industria mineraria”. Infine Ue e Balcani Occidentali dovrebbero “utilizzare le crisi energetiche” causate dall’aggressione russa all’Ucraina “come catalizzatore per una transizione verde”, con i partner “integrati nei meccanismi dell’Ue volti a mitigare questo tipo di crisi”, è l’ultima esortazione della dichiarazione di Salonicco.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    Dalla dichiarazione del nono Forum della società civile organizzato a Salonicco emergono le direttrici su cui il punta il Comitato Economico e Sociale Europeo in vista del vertice tra i leader Ue e balcanici di dicembre. Il presidente Oliver Röpke: “Siamo parte integrante di questo progetto”

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    Per l’allargamento dell’Unione ai Balcani Occidentali è necessario “trovare come superare le divisioni esistenti”

    Bruxelles – La prima volta in un Paese dei Balcani Occidentali, per rinvigorire l’iniziativa diplomatica nata quasi un decennio fa per volontà tedesca. I leader balcanici e dell’Ue si sono riuniti oggi (16 ottobre) a Tirana, in Albania, nel quadro del Processo di Berlino con l’obiettivo di mettere a fuoco le priorità di un cammino verso l’adesione all’Unione che di fronte alle crescenti tensioni internazionali sembra più che mai vitale e urgente per entrambe le parti. “Dovremmo esplorare modalità diverse per superare le divisioni esistenti, assicurare una coesistenza armoniosa per il futuro dell’Europa e per mitigare i rischi, prima che possano riguardare dall’interno l’Ue”, ha messo in chiaro il primo ministro dell’Albania e ospite del nono vertice dell’iniziativa sull’allargamento dell’Unione ai Balcani Occidentali, Edi Rama.Il vertice dei leader del Processo di Berlino, a Tirana (16 ottobre 2023)Un vertice che si è focalizzato su due direttrici: le prospettive (anche in termini temporali) dell’adesione dei partner balcanici all’Ue e gli sforzi per spingere le riforme attraverso finanziamenti ad hoc nella regione. “Sappiamo che è il momento di rispettare le promesse, entrambe le parti devono essere pronte“, ha sottolineato nel suo intervenuto di apertura dei lavori a Tirana il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, rivendicando nuovamente la scadenza del 2030 avanzata a fine agosto al Bled Strategic Forum. Nonostante sia stata accolta “con scetticismo nella regione” – con i leader balcanici che hanno avvertito che non si deve andare oltre – “perché state aspettando da tempo”, Michel si è riallacciato a una similitudine quantomeno ardita avanzata dallo stesso premier albanese: “Ha comparato l’allargamento a una sposa che non si mostra mai al matrimonio, voglio dirvi che oggi la sposa sta preparando attivamente il matrimonio“. Fuor di metafora, “anche se nell’Ue non tutti sono a favore di fissare una data, perché è un processo basato sul merito, questo è un modo per spingere un dibattito serio sull’allargamento”, ha ribadito Michel, citando non solo gli sforzi del Processo di Berlino ma anche gli esiti del Consiglio Europeo informale del 6 ottobre a Granada.Più cauto il premier albanese, che non si è voluto addentrare nel discorso sull’Unione a 32 (con i candidati che hanno già avviato i negoziati di adesione), a 35 (con anche quelli che hanno ricevuto lo status di Paese candidato) o 37 (con tutti dentro, compresi quelli con la sola prospettiva di adesione), perché “è qualcosa di difficile previsione in qualsiasi scenario di breve periodo“. Rama ha voluto invece porre l’attenzione sulla necessità di “non sprecare le buone intenzioni con scadenze per il prossimo allargamento che non possono essere concordate o mantenute dagli attuali Stati membri, o che contraddicono il principio del merito”. Al contrario, esortando i Ventisette a dare seguito alle promesse, la richiesta è quella di “introdurre uno status di osservatore per i Paesi che stanno transitando dai negoziati alla piena adesione“. Uno status del genere “non garantirebbe alcuni privilegi come il diritto di voto, ovviamente”, ha spiegato il leader albanese, ma “offrirebbe benefici e rafforzerebbe l’unità politica in un’Unione democratica, assicurando la responsabilità” dei Paesi dei Balcani Occidentali.E poi c’è tutta la questione degli investimenti, della crescita economica, delle riforme e dell’integrazione dei Balcani Occidentali sul fronte della transizione digitale e verde. “Le nostre economie sono ancora troppo distanti e i preparativi per l’adesione non sono al punto in cui vorremmo che fossero“, ha avvertito nel suo intervento alla sessione pubblica del vertice a Tirana dei leader del Processo di Berlino la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, riconoscendo che “dovremmo essere ambiziosi e puntare a raddoppiare le dimensioni delle vostre economie nel prossimo decennio”. Nonostante il Piano economico e di investimenti da 30 miliardi “sta dando i suoi frutti, circa 16 miliardi di euro sono già stati impiegati”, è altrettanto necessario non mollare la presa sulle sfide da affrontare per le nuove sfide portate dalle conseguenze energetiche della guerra russa in Ucraina (e quelle potenziali per il conflitto in Medio Oriente). Non c’è solo il Pacchetto di supporto energetico stabilito proprio a Tirana in occasione del vertice Ue-Balcani Occidentali nel dicembre dello scorso anno, ma soprattutto il Piano di crescita basato su quattro pilastri così come anticipato dalla stessa presidente von der Leyen a fine maggio: “L’obiettivo è quello di stimolare la crescita economica nella regione”, considerato il fatto che a oggi “siete solo al 35 per cento della media Ue”.Il primo pilastro del Piano di crescita è “l’integrazione nelle dimensioni chiave del Mercato unico dell’Ue, stiamo parlando dell’accesso in specifici settori”, ha spiegato la numero uno dell’esecutivo comunitario: “Mercato unico digitale, mercato dell’energia, pagamenti elettronici”. Il secondo pilastro è invece legato al “completamento del Mercato regionale comune, che potrebbe aggiungere il 10 per cento alle vostre economie”. Il terzo pilastro si basa sul “liberare il vostro pieno potenziale economico” attraverso “riforme ambiziose e fondamentali” come “Stato di diritto, funzionamento del sistema giudiziario e altri elementi fondamentali”, ma anche economiche “che migliorino il clima imprenditoriale e attraggano più investimenti”. E infine il pilastro del finanziamento da parte di Bruxelles: “Un aumento per gli investimenti e le riforme” attraverso un pacchetto di 6 miliardi di euro, “di cui 2 miliardi di euro in sovvenzioni e 4 miliardi di euro in prestiti, che ho proposto nell’ambito della revisione intermedia del bilancio a lungo termine dell’Ue“. Ma rimane centrale che – “proprio come facciamo nell’Ue con Next Generation Eu” – i finanziamenti “sono subordinati al successo delle riforme”, ha messo in chiaro von der Leyen. Anche per il premier albanese Rama il Piano di crescita è “un nuovo inizio che dovrebbe essere esplorato in modo ambizioso“, mentre il presidente Michel ha esortato tutte e sei le capitali balcaniche a ratificare gli accordi già firmati sulla mobilità regionale.Oltre il Processo di Berlino, a che punto è l’allargamento UeSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio dell’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”. Si attende ora solo la pubblicazione del Pacchetto Allargamento 2023 da parte della Commissione, prevista dall’agenda dei punti all’ordine del giorno del Collegio dei commissari per l’8 novembre.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    Per la prima volta dal 2014 il vertice dei leader riuniti nel quadro del Processo di Berlino, l’iniziativa diplomatica a trazione tedesca si è svolto in una capitale balcanica. Il premier albanese, Edi Rama, ha chiesto di valutare l’introduzione di uno “status di Paese osservatore” pre-adesione

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    Bruxelles si sta preparando per migliorare i collegamenti dei trasporti tra l’Unione Europea e i Balcani Occidentali

    Bruxelles – Unione Europea e Balcani Occidentali sono pronti a stringere sempre più i rapporti, non solo a livello politico ma anche sul piano più cruciale per gli scambi economici, commerciali e culturali: i collegamenti dei trasporti. È per questo motivo che è in programma una nuova revisione del Regolamento che definisce la mappa della rete transeuropea dei trasporti (Ten-T) nei sei Paesi partner – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia – per rafforzare i collegamenti transfrontalieri tra l’Unione Europea e i Balcani Occidentali.
    La rete stradale Ten-t nei Balcani Occidentali
    È quanto emerge dalla bozza dell’atto delegato che prevede “modifiche che contribuiranno a dare una migliore priorità ai progetti infrastrutturali situati sulla Ten-T nella regione” dei Balcani Occidentali, in particolare “migliorando il collegamento ferroviario tra Durazzo e Skopje dalla rete globale alla rete centrale estesa“. I miglioramenti previsti nei trasporti sia “all’interno della regione” sia “tra la regione e gli Stati membri dell’Ue” riguarderanno non solo nuovi collegamenti ferroviari e stradali, ma anche “altri nodi” come aeroporti e porti, con l’obiettivo di “rafforzare la coerenza della Ten-T” prevista dal Regolamento del 2013. La possibilità di adottare atti delegati per “adattare o includere mappe indicative basate su intese di alto livello” tra l’Unione e i Paesi “limitrofi interessati” è prevista dallo stesso Regolamento che compie 10 anni e con i sei partner dei Balcani Occidentali le intese sono state firmate a maggio e giugno di quest’anno. La richiesta da parte dei partner più vicini dell’Unione, nello specifico, è quella di allineare la rete Ten-T con lo sviluppo delle infrastrutture nei singoli Paesi.
    Se l’obiettivo è quello di aggiornare il Regolamento con “lievi modifiche alla rete stradale e ferroviaria”, l’esecutivo comunitario vuole conoscere l’opinione di tutte le parti interessate nei Paesi membri dell’Unione. È per questo che è stata aperta fino al 19 ottobre una consultazione pubblica in vista dell’adozione dell’atto delegato prevista inizialmente per il secondo trimestre del 2023, ma slittata a fine 2023/inizio 2024. La necessità di alcune modifiche è emerso dall’ultimo report Sviluppo di estensioni indicative Ten-T della rete globale e della rete centrale nei Balcani Occidentali, sulla base degli ultimi sviluppi e adeguamenti del 2022. Nella regione la rete transeuropea dei trasporti prevede 36 progetti, di cui la metà in Bosnia ed Erzegovina (oltre a 2 in Albania, 2 in Kosovo, 3 in Macedonia del Nord, 6 in Montenegro e 5 in Serbia) e comprende attualmente 5.336 chilometri di strade Ten-T, di cui 3.573 sulla rete centrale, 3.898 chilometri di ferrovie di cui 2.546 sulla rete centrale, 1.345 chilometri di vie navigabili interne della rete centrale, 3 porti marittimi, 4 porti fluviali e 10 aeroporti.
    La rete ferroviaria Ten-t nei Balcani Occidentali
    Sempre secondo quanto si legge nel report annuale di riferimento della Transport Community, il tasso di conformità della rete stradale principale è passato in un anno dal 44,86% al 46,80%, e sono stati compiuti progressi “significativi” anche nella velocità di progettazione delle linee ferroviarie per il trasporto merci, passata dal 71,99% (nel 2021) al 79,57% (nel 2022) della rete principale. Tuttavia, meno del 14% della rete ferroviaria principale consente velocità superiori a 100 chilometri orari e “la manutenzione insufficiente rimane un problema fondamentale nella regione“, dal momento in cui “la regione ha sempre avuto una propensione per i grandi progetti, trascurando sistematicamente la manutenzione ordinaria”. Anche se “le prospettive per il 2027 sembrano ancora incoraggianti”, l’elenco degli interventi prioritari “non si è ancora stabilizzato” e sono necessari più sforzi attraverso il Piano economico e di investimento (nessun progetto-faro è passato da “maturo” a “in corso” nel 2022). Destano “preoccupazione” progetti prioritari come il collegamento stradale Sarajevo-Podgorica (tra Bosnia e Montenegro), la ‘Peace Highway’ Niš-Merdare (Serbia) e la circonvallazione di Budva (Montenegro), dal momento in cui “la maggior parte delle date previste” per la chiusura dei lavori “non sono più valide”.

    Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

    La Commissione Ue sta raccogliendo commenti in vista dell’aggiornamento del Regolamento del 2013 che definisce la mappa della rete Ten-T nei sei Paesi partner. Previste nuove connessioni ferroviarie e stradali, aeroporti e porti per dare “migliore priorità” ai progetti transfrontalieri

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    È “imminente” il Pacchetto Allargamento che “provvederà ai mezzi” per accelerare l’integrazione di nuovi membri Ue

    Bruxelles – Mancano poche settimane al nuovo Pacchetto Allargamento Ue, l’attesa relazione annuale della Commissione Europea sullo stato di avanzamento dei Paesi che hanno fatto richiesta di adesione Ue. “È imminente”, ha annunciato oggi (28 settembre) il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, nel corso della conferenza stampa al termine del Consiglio Affari Generali informale a Murcia (Spagna), anticipando l’appuntamento previsto dall’agenda dei punti all’ordine del giorno del Collegio dei commissari per il 31 ottobre “o a inizio novembre”. Come reso noto dal commissario europeo, “sarà un pacchetto che includerà 10 Paesi candidati o con la prospettiva europea e che provvederà ai mezzi per accelerare l’integrazione“.
    Da sinistra: il ministro degli Esteri spagnolo e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, José Manuel Albares, e il commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi (28 settembre 2023)
    Altri dettagli al momento non sono stati rivelati, a parte un riferimento al piano di crescita per i Balcani Occidentali presentato lo scorso 31 maggio dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Proprio la numero uno dell’esecutivo comunitario ha messo in chiaro da Spalato (Croazia) che “il passato allargamento Ue è stato un grande successo per Paesi come la Croazia” – l’ultimo a fare ingresso nell’Unione nel 2013 – “e ha portato grandi benefici per l’Unione Europea”, e per questo motivo “dobbiamo replicarlo con gli attuali candidati”. Ma in ogni caso non cambia il fatto che “è un processo basato sul merito, che richiede contemporaneamente riforme strutturali nei Paesi candidati e un percorso parallelo da parte dell’Ue“, come già evidenziato nel discorso sullo Stato dell’Unione dello scorso 13 settembre: “È molto importante spiegare agli Stati membri e ai nostri cittadini che nel nuovo ambiente geostrategico l’allargamento Ue basato sui meriti ci rafforza, è necessario e porta benefici”, ha aggiunto von der Leyen.
    Cruciale il vertice informale dei ministri degli Affari europei per iniziare a confrontarsi sulla proposta franco-tedesca per adeguare l’Unione al futuro allargamento. “Le discussioni si sono divise in tre gruppi di lavoro“, ha spiegato il ministro degli Esteri spagnolo e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, José Manuel Albares: “Istituzioni e riforme necessarie in vista dell’allargamento Ue, impatto sul budget per le capacità di assorbimento e possibilità di creare nuove aree di cooperazione per una graduale integrazione”. E quanto emerge dal primo confronto è che “l’allargamento Ue è tra le tre priorità principali” dei Ventisette, ha voluto sottolineare con forza il commissario Várhelyi, considerato il fatto che “il cambiamento nelle dinamiche geopolitiche attorno a noi dimostra che il progetto di sicurezza, pace e stabilità dell’Ue dipenderà dal successo dell’allargamento Ue e dall’accogliere nuovi membri”. Se sul fronte esterno “abbiamo iniziato a discutere su come supportare i candidati ad accelerare sulle riforme”, su quello interno “non pensiamo ci sia bisogno di una riforma dei Trattati per accogliere nuovi membri“, ma i due percorsi “devono andare in parallelo ed essere conclusi nel breve termine”. Riecheggia anche a Murcia la data del 2030, quella avanzata dal presidente del Consiglio Ue, Charles Michel: “Se il Consiglio è pronto a fornire l’adesione, la Commissione lo sarà di sicuro, ma la vera domanda è se i Paesi candidati saranno pronti“.

    A che punto è l’allargamento Ue
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio dell’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.

    Attesa per il 31 ottobre, la nuova relazione annuale prevederà “un nuovo modo” di pensare l’adesione, ha fatto sapere il commissario per l’Allargamento, Olivér Várhelyi. La presidente Ursula von der Leyen chiede “riforme strutturali nei Paesi candidati e un percorso parallelo dall’Ue”

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    Il dialogo Pristina-Belgrado è incagliato sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo

    Bruxelles – Un compromesso fallito, almeno per il momento. Perché la partita a scacchi che l’Ue sta giocando contemporaneamente con il Kosovo e con la Serbia – complessa, lunga e a tratti estenuante – va impostata sulla costanza e sull’uso bilanciato di promesse, minacce e ricompense, accettando qualche passo falso. Ma abbandonare il tavolo non è possibile, o si rischia di abbandonare a se stessa una regione in cui solo 25 anni fa è andato in scena uno dei conflitti etnici più violenti della recente storia europea. “Il tempo sta scadendo e alla fine quelli che soffrono di più per l’incapacità dei loro leader di rispettare la parola data sono proprio i cittadini” di Serbia e Kosovo, è il duro commento dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, al termine dell’ultimo round di alto livello del dialogo Pristina-Belgrado: “È una cosa particolarmente grave in un momento, poi, in cui l’Ue procede verso l’allargamento ed entrambi i leader dichiarano di voler essere membri dell’Unione, Serbia e Kosovo rischiano di essere lasciati indietro“.
    È questo il riassunto di una giornata di colloqui complessi oggi (14 settembre) a Bruxelles – alla presenza del presidente serbo, Aleksandar Vučić, e del primo ministro kosovaro, Albin Kurti – con il focus sull’implementazione dell’accordo per la normalizzazione dei rapporti tra i due Paese balcanici, dopo l’ultimo incontro di quasi tre mesi fa occupato dalla crisi nel nord del Kosovo. “È da un anno che abbiamo iniziato le discussioni e sei mesi da quando le abbiamo finalizzate”, ha ricordato Borrell, con riferimento all’accordo di Bruxelles del 27 febbraio (che ha definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo) e l’intesa sull’allegato di implementazione raggiunta a Ohrid il 18 marzo. A oggi “solo tre elementi sono stati affrontati“, ovvero la dichiarazione sulle persone scomparse, l’annuncio sul comitato di monitoraggio congiunto e la presentazione della bozza sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. Ma è proprio questo il punto su cui è ancora incagliato il dialogo Pristina-Belgrado: l’Accordo di Bruxelles del 2013 mai implementato sulla comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative. L’implementazione del “punto più sostanziale” dell’intesa raggiunta tra febbraio e marzo “non è ancora iniziata e parla chiaro sull’impegno delle parti per normalizzare le relazioni, o meglio sull’assenza di impegno“, è il duro commento dell’alto rappresentante Borrell: “L’assenza di azione è una violazione dei rispettivi obblighi e promesse”.
    Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti (14 settembre 2023)
    L’istituzione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo “è un vecchio obbligo per le parti ed é sempre stato un elemento-chiave per il processo di normalizzazione delle relazioni”. Il fallimento di oggi è legato ai “ripetuti sforzi per un compromesso”, rispetto a due interlocutori “partiti dagli estremi opposti”. Il presidente serbo “vuole l’istituzione dell’Associazione prima di impegnarsi nei suoi obblighi”, mentre il premier kosovaro “parte prima dagli aspetti politici”, ovvero la “formalizzazione del riconoscimento de facto” della sovranità del suo Paese (che ha dichiarato l’indipendenza unilaterale da Belgrado nel 2008). È per questo motivo che l’alto rappresentante Borrell e il rappresentante speciale per il dialogo Pristina-Belgrado, Miroslav Lajčák, hanno proposto “quello che consideriamo l’unico e migliore compromesso possibile a oggi” secondo Bruxelles e i partner statunitensi: un processo che permetta di “portare avanti le due istanze in parallelo”. Do ut des, senza progressi da una parte non si procede dall’altra. Mentre il presidente Vučić “ha accettato la proposta” – anche se arrivato a Bruxelles con una sua – “sfortunatamente dopo un lungo incontro il premier Kurti non era pronto per procedere“, ha spiegato Borrell: “Abbiamo provato con forza, ma non siamo riusciti a superare le differenze”.
    Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (14 settembre 2023)
    Tutto questo ha un impatto concreto sul campo. “Non c’è stato nessun progresso sulle tensioni nel nord del Kosovo“, ha tagliato corto l’alto rappresentante Ue, ribadendo che “entrambe le parti devono prendere misure decise per evitare un’ulteriore escalation e permettere che nuove elezioni locali si svolgano immediatamente”. Proprio sulle controverse elezioni in quattro comuni – Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica – si è soffermato il capo della diplomazia comunitaria: “Non possiamo rimanere seduti ad aspettare un’altra crisi, le nuove elezioni possono passare sia dalle dimissioni dei sindaci sia dalla raccolta di firme da parte dei cittadini“. Mentre il governo di Pristina si sta indirizzando verso la seconda via – “più lenta e non certa” – da Bruxelles l’indicazione è chiara: “Le dimissioni sono il modo più rapido e migliore per permettere nuove elezioni”. Allo stesso tempo “i cittadini serbo-kosovari devono mostrare uno spirito costruttivo e impegnarsi in modo incondizionato al processo elettorale“, ovvero – rispetto a quanto accaduto ad aprile – “devono partecipare, altrimenti quanto fatto sarebbe senza scopo”. Il rischio di uno slittamento dell’appuntamento elettorale ripetuto è “una nuova escalation che continuerà a incombere” sulla delicatissima partita a scacchi dell’Ue con la Serbia e con il Kosovo.
    Le tensioni tra Serbia e Kosovo
    Il circolo di tensione non ancora risolto tra i due Paesi è iniziato lo scorso 26 maggio, con lo scoppio di violentissime proteste nel nord del Kosovo da parte della minoranza serba a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Proteste che si sono trasformate il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). Una situazione deflagrata dalla decisione del governo Kurti di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti lo scorso 23 aprile in una tornata particolarmente controversa: l’affluenza al voto è stata tendente all’irrisorio – attorno al 3 per cento – a causa del boicottaggio di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo Vučić e responsabile anche dell’ostruzionismo per impedire ai sindaci di etnia albanese (a parte quello di Mitrovica, della minoranza bosniaca) di assumere l’incarico. Dopo il dispiegamento nel Paese balcanico di 700 membri aggiuntivi del contingente di riserva Kfor e una settimana di apparente stallo, nuove proteste sono scoppiate a inizio giugno per l’arresto di due manifestanti accusati di essere tra i responsabili delle violenze di fine maggio e per cui la polizia kosovara viene accusata di maltrattamenti in carcere.
    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)
    A gravare su una situazione già tesa c’è stato un ulteriore episodio che ha infiammato i rapporti tra Pristina e Belgrado: l’arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi lo scorso 14 giugno. Un evento per cui i due governi si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine, in una zona di confine tra il nord del Kosovo e il sud della Serbia scarsamente controllata dalla polizia kosovara e solitamente usato da contrabbandieri che cercano di evitare i controlli di frontiera. Dopo settimane di continui appelli alla calma e alla de-escalation non ascoltati né a Pristina né a Belgrado, per Bruxelles si è resa necessaria una nuova soluzione ‘tampone’, ovvero convocare una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per cercare delle vie percorribili per ritornare fuori dalla “modalità gestione della crisi” e rimettersi sul percorso della normalizzazione dei rapporti intrapreso tra Bruxelles e Ohrid. A pochi giorni dalla riunione a Bruxelles del 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari da parte della Serbia, ma per il momento non è stato deciso nulla sulle nuove elezioni nel nord del Kosovo.
    La questione delle tensioni tra Pristina e Belgrado è finita anche nelle conclusioni del Consiglio Europeo del 29-30 giugno, quando i leader Ue hanno condannato “i recenti episodi di violenza nel nord del Kosovo” e hanno chiesto “un’immediata attenuazione della situazione, sulla base degli elementi chiave già delineati dall’Unione Europea il 3 giugno 2023″ (riferimento alla dichiarazione dell’alto rappresentante Borrell sulle violenze di inizio mese). Entrambe le parti sono state invitate a “creare le condizioni per elezioni anticipate in tutti e quattro i comuni del nord del Kosovo“, con la minaccia velata che “la mancata attenuazione delle tensioni avrà conseguenze negative”. A causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo, che prevedono anche la sospensione del lavoro degli organi dell’Accordo di stabilizzazione e associazione. Per eliminare queste misure (“non sanzioni”, come ricorda Bruxelles) è stata concordata il 12 luglio una tabella di marcia con quattro tappe, che Pristina sta implementando ancora a fatica.
    Come si è arrivati a questo complesso 2023
    Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, con le nuove targhe l’immatricolazione di tutti i veicoli nel Paese (credits: Afp)
    Ricostruire le tensioni tra Serbia e Kosovo è come affrontare un domino. Per ogni tessera caduta bisogna risalire a quella precedente, caduta a sua volta per colpa di un’altra più dietro. Dopo le due riunioni estive del 2021 tra il premier Kurti e il presidente Vučić a Bruxelles mediate dall’Ue, a metà settembre dello stesso anno è scoppiata per la prima volta nel nord del Kosovo la cosiddetta ‘battaglia delle targhe‘ tra i due Paesi, scatenata dalla decisione del governo di Pristina di imporre il cambio delle targhe ai veicoli serbi in entrata nel territorio kosovaro. La questione è stata momentaneamente risolta grazie alla mediazione Ue, ma l’assenza di una soluzione definitiva ha poi infiammato la seconda metà del 2022. A fine luglio sono comparsi blocchi stradali e barricate delle frange più estremiste della minoranza serbo-kosovara e due riunioni fallimentari tra Vučić e Kurti a Bruxelles non hanno portato a nessuno sbocco politico.
    La situazione si è però aggravata ancora di più il 5 novembre, con le dimissioni di massa di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali in protesta contro il piano graduale per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe serbe e contro quella che Lista Srpska ha definito una “violazione del diritto internazionale e dell’Accordo di Bruxelles” del 2013. Tra i dimissionari c’erano anche i sindaci di Kosovska Mitrovica, Zubin Potok, Zvecan e Leposavić e per questo motivo si è reso necessario tornare alle urne nelle quattro città: in programma inizialmente per il 18 dicembre, sono state poi rinviate al 23 aprile. Parallelamente è stata raggiunta una soluzione di compromesso sulle targhe nella notte tra il 23 e il 24 novembre tra il leader serbo e quello kosovaro, anche se prima del vertice Ue-Balcani Occidentali del 6 dicembre a Tirana si è registrato un altro episodio di tensione politica tra Pristina e Belgrado, sempre legata alla questione del nord del Kosovo.
    Le barricate ai valichi di frontiera nel nord del Kosovo a dicembre 2022
    Il presidente serbo ha minacciato di boicottare il vertice di Tirana a causa della nomina di Nenad Rašić come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi all’interno del governo kosovaro: Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado e concorrente di Lista Srpska il cui leader, Goran Rakić, si è dimesso dal ministero riservato alla minoranza serba nel Paese a inizio novembre. A pochi giorni dal vertice Ue-Balcani Occidentali, il 2022 si è chiuso con una nuova escalation di tensione ai valichi di frontiera nel nord del Kosovo, dopo la decisione di Pristina di inviare alcune centinaia di forze di polizia per sopperire alla mancanza di agenti dimessisi sempre a novembre. Le barricate delle frange serbo-kosovare più estremiste sono state smantellate solo dopo alcune settimane grazie allo sforzo diplomatico dei partner europei e statunitensi. L’appuntamento alla nuova crisi doveva attendere solo cinque mesi.

    Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

    Nulla di fatto al nuovo round di colloqui di alto livello mediato dall’alto rappresentante Ue, Josep Borrell. Scontro tra il presidente serbo, Aleksandar Vučić, che vuole l’immediata istituzione della comunità, e il premier kosovaro, Albin Kurti, che esige prima il riconoscimento de-facto

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    Anche i leader dei Balcani Occidentali dicono di poter essere pronti all’allargamento Ue entro – “ma non oltre” – il 2030

    Bruxelles – Alla vaghezza del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, i sei leader balcanici rispondono con il massimo della chiarezza possibile, senza abbandonare quel filo di ambiguità che permette di mantenere buoni rapporti con Bruxelles: “Sia l’Ue sia i Balcani Occidentali dovrebbero essere pronti all’allargamento, il prima possibile, ma non oltre il 2030“. Anche nella dichiarazione finale dell’ultima riunione del Processo di Brdo rimane quel non meglio precisato “essere pronti” all’allargamento Ue – così come era stato nelle parole del leader dell’istituzione comunitaria al Bled Strategic Forum di fine agosto – ma la data temporale non ammette eccezioni per l’obiettivo di fine decennio.
    Riunitisi ieri (11 settembre) a Skopje, in Macedonia del Nord, per l’incontro di alto livello dell’iniziativa nata nel 2010 per la collaborazione tra i Paesi dei Balcani Occidentali – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – nel percorso di avvicinamento all’Unione Europea, i sei presidenti hanno dato priorità a tre macro-tematiche: accelerazione del processo di adesione Ue, lotta ai cambiamenti climatici e cercare un freno all’emigrazione giovanile dalla regione. La parte del leone la fa senz’ombra di dubbio il processo “più diretto al mantenimento della pace e della stabilità e più che mai questione geopolitica”. Ecco perché il punto di partenza è quella data – il 2030 – menzionata dal presidente del Consiglio Ue, ma che già aveva creato notevoli controversie al vertice Ue-Balcani Occidentali del 2021 (proprio a Brdo, in Slovenia). Agli occhi dei leader balcanici non può essere superata come termine ultimo, anche alla luce delle “ricadute” della “continua aggressione russa contro l’Ucraina”. Da parte delle sei capitali viene riconosciuto il fatto che “riforme politiche, economiche e sociali di ampio respiro sono fondamentali per l’adesione all’Ue” e la promessa è quella di un impegno per “intensificare gli sforzi per l’attuazione” nel campo dello Stato di diritto, del funzionamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione.
    Non passa inosservato il riferimento alla “cooperazione regionale e le relazioni di buon vicinato”, definite “essenziali” perché i singoli Paesi possano avanzare nei rispettivi percorsi verso l’Unione. Un dettaglio da tenere a mente in vista del nuovo round di colloqui di alto livello del dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’Ue, annunciato oggi (12 settembre) dal Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), e che vedrà la presenza del presidente serbo, Aleksandar Vučić, e del premier kosovaro, Albin Kurti, a quasi tre mesi dall’ultima riunione molto delicata. “Ci impegniamo a collaborare per promuovere un’atmosfera di fiducia reciproca, di comprensione, di risoluzione pacifica e duratura delle restanti questioni bilaterali e di solidarietà reciproca”, si legge nel testo della dichiarazione del Processo di Brdo. Altro aspetto di particolare interesse è il richiamo alle suggestioni di Michel su una possibile “apertura di percorsi che consentano ai Balcani Occidentali di esplorare le opportunità di accesso a politiche, iniziative e fondi specifici dell’Ue e di portare alcuni dei benefici ai cittadini” anche “prima dell’adesione formale”.
    La riunione di alto livello del Processo di Brdo a Skopje, Macedonia del Nord (11 settembre 2023)
    Trova spazio nella dichiarazione la questione della lotta agli effetti del cambiamento climatico, considerata una “responsabilità condivisa, che richiede sforzi collaborativi” tra governi, privati e partner internazionali, “coordinati con l’Ue e i suoi programmi correlati”. In questo capitolo rientrano la transizione verde, la protezione della biodiversità, il “rafforzamento della diversificazione energetica” e la “transizione verso la produzione di energia rinnovabile e l’efficienza”, anche attraverso “investimenti ecocompatibili in fonti idroelettriche, solari, eoliche e geotermiche“. Di nuovo ritorna il rapporto con Bruxelles, in particolare per quanto riguarda il pacchetto di sostegno energetico di un miliardo di euro “con cui l’Ue ha esteso le stesse misure di solidarietà adottate all’interno” dell’Unione dopo l’aggressione russa all’Ucraina.
    E infine uno dei temi più urgenti e drammatici per i Balcani Occidentali: l’emigrazione diventata ormai quasi di massa tra le fasce più giovani della popolazione. “Ha implicazioni significative per la vitalità a lungo termine delle nostre società, per la crescita economica sostenibile e per il progresso sociale”, è l’allarme lanciato dai sei presidenti, che cercano un modo per “trattenere i giovani” all’interno della regione e “sfruttare il potenziale per far progredire le nostre società”. Con l’Ue è “fondamentale” un partenariato “per garantire il successo dell’attuazione delle strategie” che si basano sulla promozione di “società inclusive e aperte”. Tutto parte da una “istruzione di qualità”, motivo per cui dovrà essere impostato un lavoro per “migliorare i sistemi educativi”, ma anche per “creare un ambiente commerciale attraente e competitivo che incoraggi l’innovazione, l’imprenditorialità e la creazione di posti di lavoro” per i giovani con idee che possano trasformare i Balcani Occidentali. Che – proprio come in Italia e in altri Paesi membri Ue più in difficoltà su questo fronte – vogliono “fermare la fuga dei cervelli” e fornire “migliori prospettive” a lungo termine.
    A che punto è l’allargamento Ue nei Balcani Occidentali
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e uno ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo.
    Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.

    È quanto emerge dalla dichiarazione dell’ultima riunione a Skopje del Processo di Brdo, l’iniziativa per la collaborazione dei sei Paesi della regione. Tra gli obiettivi l’accelerazione del processo di adesione Ue, la lotta ai cambiamenti climatici e il freno all’emigrazione giovanile

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    Una data per l’allargamento Ue ai Balcani Occidentali. Michel: “Entrambe le parti devono essere pronte entro il 2030”

    Bruxelles – Ora la data è fissata, anche se la questione davvero complessa sarà convincere gli attuali 27 Paesi membri Ue a navigare tutti nella stessa direzione. “Se vogliamo essere credibili mentre prepariamo la nostra agenda strategica, dobbiamo parlare di tempistiche: credo che dobbiamo essere pronti, da entrambe le parti, ad allargarci entro il 2030“. Parola del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Al Bled Strategic Forum (in Slovenia), la conferenza internazionale annuale che ospita i leader dell’Europa centrale e sudorientale, il numero uno dell’istituzione comunitaria ha messo sul tavolo ciò che fino a due anni fa – prima dello stravolgimento della guerra russa in Ucraina e delle conseguenze geopolitiche che ha scatenato – non si poteva nemmeno nominare, ovvero una data-limite entro cui aver compiuto tutti i passi necessari per l’allargamento Ue ai Balcani Occidentali.
    Al vertice Ue-Balcani Occidentali del 2021 – svoltosi allora per pura coincidenza proprio in Slovenia – non era passata la richiesta di Lubiana di inserire nel testo della dichiarazione il 2030 come “data ultima su cui basare il calendario dei negoziati”, mentre oggi (28 agosto) a Bled proprio il presidente del Consiglio Ue ha fornito un’indicazione temporale precisa che coincide con la fine del decennio. “L’Europa deve mantenere le sue promesse“, iniziate ufficialmente al vertice di Salonicco del 2003. Come ricordato la scorsa settimana alla cena informale di Atene, “la lentezza di questo cammino ha deluso molti, sia nella regione sia nell’Ue” e per Michel “è tempo di sbarazzarsi delle ambiguità e affrontare le sfide con chiarezza e onestà”. Perché i Balcani Occidentali – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – sono una regione “nel cuore dell’Europa, circondata dall’Ue” e per i Ventisette è arrivato il momento di un cambio di paradigma: “Ci accontentiamo di un’Unione che si limita a gestire le crisi o vogliamo essere un attore globale che plasma il futuro? Vogliamo essere più influenti per dare forma a un mondo migliore”. E questo riguarda anche la sfida dell’allargamento Ue: “Lo dobbiamo fare sia per noi sia per i futuri Stati membri, sì, è così che dovremmo chiamare così i Paesi che hanno confermato la prospettiva europea“.
    Mantenere le promesse significa spingere un processo di allargamento Ue che “non è più un sogno”, considerato quanto accaduto al Consiglio Europeo di giugno 2022: “Abbiamo conferito lo status di candidati all’Ucraina e alla Moldova, lo stesso attende la Georgia quando avrà completato i passi necessari”. Anche se “c’è ancora molto lavoro da fare” per i Sei balcanici la strada è più tracciata, con obiettivi che possono essere fissati a rialzo: “Il prossimo budget pluriennale Ue dovrà includere obiettivi comuni, servirà per spingere le riforme e generare interesse negli investimenti”. Sarà un tema di confronto tra i Ventisette ai prossimi Consigli di ottobre e dicembre, ma anche in occasione del nuovo vertice Ue-Balcani Occidentali che “si terrà a dicembre a Bruxelles e servirà per affiancare il Consiglio Europeo”. A questo punto però si attendono soprattutto proposte concrete su quello che più di un anno fa lo stesso Michel aveva presentato come “un processo più rapido, graduale e reversibile” all’allargamento Ue e che oggi è stato riproposto: “Un’integrazione dei Paesi candidati all’adesione in campi specifici, con vantaggi tangibili una volta che sono rispettate le condizioni di base“. Per esempio, “partecipare allo specifico Consiglio una volta che sono conclusi i negoziati in quel capitolo negoziale”.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, al Bled Strategic Forum (28 agosto 2023)
    A fare i “compiti a casa” per raggiungere l’obiettivo 2030 sull’allargamento Ue dovranno essere sia i Paesi dei Balcani Occidentali sia l’Unione Europea. Per i primi sarà necessario continuare sulla strada delle riforme e dello Stato di diritto, ma anche ricordando che “non c’è cooperazione senza riconciliazione, non c’è spazio per i conflitti del passato all’interno dell’Ue“. Un avvertimento colto soprattutto da Serbia e Kosovo, anche considerato come Michel ha continuato il suo discorso: “L’ideale sarebbe un ingresso contemporaneo, ma i futuri Stati membri si trovano in fasi diverse” e per evitare stalli da parte dei primi privati “una soluzione potrebbe essere aggiungere la cosiddetta clausola di fiducia nei Trattati di adesione, per garantire che i Paesi che hanno appena aderito non possano bloccare quelli futuri”. Parallelamente anche i Ventisette devono prepararsi all’allargamento Ue e “non riformarci prima sarebbe uno sbaglio enorme”. Perché non sarà indifferente l’impatto su “politiche, programmi e fondi, il budget dovrà aiutare tutti”, ma anche il processo decisionale “ha mostrato alcune falle”. Ed è qui che rientra superamento del voto all’unanimità, su cui Michel si è tolto qualche sassolino dalla scarpa: “Abolirla completamente significherebbe gettare il bambino con l’acqua sporca, perché l’unità è al centro della forza dell’Ue”. E perciò bisognerà piuttosto ragionare su “come e quando utilizzare” sia la maggioranza qualificata sia “l’astensione costruttiva”.
    Il panel dei leader dei Balcani Occidentali al Bled Strategic Forum (28 agosto 2023)
    Fiduciosi ma cauti i sei leader dei Paesi balcanici, intervenuti in un panel dedicato al Bled Strategic Forum. “Non credo che saremo dentro l’Ue nel 2030, ma se ci saranno passi in avanti sarà ottimo“, è l’augurio del primo ministro dell’Albania, Edi Rama. Per l’omologo montenegrino, Dritan Abazović, “il 2030 è troppo distante, noi sappiamo bene cosa vogliamo”. Il premier macedone, Dimitar Kovačevski, ha invece fatto notare che “c’è frustrazione per i blocchi che arrivano uno dopo l’altro per questioni domestiche” degli Stati membri. La presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, ha voluto mettere in chiaro che “nonostante siamo uno Stato complesso a livello di eticità ed entità, speriamo di iniziare quanto prima i negoziati” per l’adesione. Duro scambio di battute tra i premier di Kosovo, Albin Kurti, e Serbia, Ana Brnabić, sulla normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado, anche se il focus singolarmente rimane sull’accesso all’Unione. “Ci sono piccoli passi concreti perché si uniscano alla maggioranza dei Paesi membri”, è il commento del primo sul non-riconoscimento dell’indipendenza di Pristina da parte di Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia. “C’è molto euroscetticismo in Serbia, perché ormai sono passati 10 anni dall’avvio dei negoziati”, ha commentato la premier Brnabić, sottolineando un elemento spesso poco considerato quando si parla dei Balcani Occidentali: “Noi siamo Paesi europei e siamo al centro del continente, questo non è un allargamento ma un’inclusione“.
    A che punto è l’allargamento Ue
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada, su iniziativa rispettivamente del primo ministro georgiano, Irakli Garibashvili, e della presidente moldava Sandu. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio dell’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.

    Al Bled Economic Forum il presidente del Consiglio Europeo ha anticipato i temi di confronto sull’assorbimento dei “futuri Paesi membri” al prossimo vertice con i Sei balcanici in programma a Bruxelles a dicembre: date-limite, ‘clausola di fiducia’ e riforme dell’Unione (unanimità inclusa)

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    L’Ue contro le sanzioni penali per diffamazione in Republika Srpska: “Non in linea con lo status di candidato della Bosnia”

    Bruxelles – Gli avvertimenti delle istituzioni comunitarie non hanno sortito alcun effetto e ora nella Republika Srpska gli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione sono entrati in vigore. Ma questo non significa che Bruxelles molli la presa per riportare Banja Luka su un percorso più coerente con lo Stato di diritto: “La legge va contro le aspettative che hanno accompagnato la concessione dello status di candidato all’Ue e contro gli interessi di tutti i cittadini della Bosnia ed Erzegovina, compresi quelli residenti nella Republika Srpska”, è la condanna del portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, all’ultima sfida portata dal presidente dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico, Milorad Dodik.
    Il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik (credits: Elvis Barukcic / Afp)
    Secondo l’Ue “queste modifiche legislative impongono restrizioni inutili e sproporzionate ai media indipendenti e alla società civile” e la nuova legge ha “un forte impatto sull’ambiente della società civile”, dal momento in cui “limita la libertà di espressione e dei media nella Repubblica Srpska”. In altre parole, “si tratta di un deplorevole e innegabile passo indietro nella tutela dei diritti fondamentali“, mette in chiaro Stano. Gli emendamenti al Codice Penale in questione erano stati adottati a fine marzo – con 48 voti a favore e 21 contrari all’Assemblea nazionale della Repubblica Srpska – e dopo un periodo di consultazione pubblica di 60 giorni è stato avviato l’iter per l’adozione definitiva. Ora nell’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”.
    Ignorata la richiesta di Bruxelles di ritirare gli emendamenti, a questo punto “l’Ue si aspetta che tutte le autorità lavorino in modo costruttivo” per affrontare le priorità-chiave delineate dalla Commissione Europea perché venga raccomandata al Consiglio l’apertura dei negoziati di adesione con la Bosnia ed Erzegovina. In particolare la priorità numero 12, secondo cui il Paese candidato all’adesione Ue dal 15 dicembre 2022 deve “garantire la libertà di espressione e dei media e la protezione dei giornalisti“. Il tempo scorre e, con la misura adottata dal più controverso partner dell’Ue, sembra essere sempre più difficile che nel Pacchetto Allargamento 2023 (atteso per ottobre) il gabinetto von der Leyen sblocchi la via per i negoziati di adesione di Sarajevo in vista del Consiglio Europeo di dicembre, quando il dossier sarà analizzato dai 27 leader Ue. Ecco perché l’esortazione da Bruxelles non cambia: “Siamo impegnati a sostenere i media e la società civile in Bosnia ed Erzegovina, in particolare nell’entità della Republika Srpska”, ha ribadito il portavoce del Seae.
    La Republika Srpska tra secessionismo, Russia e sanzioni
    È dall’ottobre del 2021 che Dodik è diventato una spina nel fianco dell’Ue, facendosi promotore di un progetto secessionista in Republika Srpska. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche (le stesse che le fonti precisano essere in stallo) e dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme necessarie sul piano elettorale e costituzionale nel Paese balcanico.
    Alle provocazioni secessioniste si è affiancato dal 24 febbraio dello scorso anno il non-allineamento alla politica estera dell’Unione e alle sanzioni internazionali contro il Cremlino: insieme alla Serbia la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese europeo a non aver adottato le misure restrittive Ue a causa dell’opposizione della componente serba della presidenza tripartita. Già il 20 settembre dello scorso anno Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale da parte del Cremlino delle regioni ucraine Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio di quest’anno con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco.
    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 20 settembre 2022 (credits: Alexey Nikolsky)
    Parallelamente sono continuati i tentativi di imporre un sistema di controllo sui media e la libertà di stampa che ricorda molto da vicino quello russo. A fine marzo l’Assemblea nazionale della Repubblica Srpska ha votato a favore di emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per la diffamazione, entrati in vigore cinque mesi più tardi. Allo stesso tempo il governo dell’entità serba della Bosnia ed Erzegovina ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero: il modello è simile a quello adottato a Mosca dal primo dicembre dello scorso anno, che ha ampliato l’utilizzo politico dell’etichetta ‘agente straniero’ già utilizzata dal 2012 per colpire media indipendenti e Ong.

    Da Bruxelles nuove dure critiche dopo l’entrata in vigore degli emendamenti al Codice Penale dell’entità a maggioranza serba: “Restrizioni inutili e sproporzionate ai media indipendenti e alla società civile, è un deplorevole e innegabile passo indietro nella tutela dei diritti fondamentali”