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    Allargamento, von der Leyen incentiva gli investimenti in Montenegro e Bosnia ed Erzegovina. E sprona i governi sulle riforme

    Bruxelles – Seconda tappa del tour balcanico di Ursula von der Leyen. Dopo aver visitato l’Albania, ieri sera (13 ottobre) la presidente della Commissione europea si è recata in Montenegro. A Tivat, sulla costa adriatica, ha incontrato il capo dello Stato, Jakov Milatović, e il primo ministro Milojko Spajić. “Ogni volta che vengo in Montenegro sento battere il cuore dell’Europa“, ha scritto su X appena arrivata, lodando la nazione per essere “all’avanguardia nel processo di adesione” all’Unione.La numero uno del Berlaymont si è nuovamente complimentata per la rapidità con cui Podgorica sta avanzando lungo il sentiero dei negoziati per entrare nel club a dodici stelle: “L’obiettivo dell’adesione del Montenegro all’Ue è davvero vicino al raggiungimento“, ha detto rivolgendosi alla platea, dichiarando di vedere nel piccolo Paese balcanico “un potenziale incredibile“.Ad oggi, il Montenegro ha aperto tutti i 33 capitoli negoziali – organizzati in sei cluster tematici, che indicano i macro-ambiti rispetto ai quali i Paesi candidati devono allinearsi all’acquis communautaire per diventare Stati membri dell’Unione – e ne ha chiusi provvisoriamente sette (l’ultimo lo scorso giugno). Spajić punta a chiuderli tutti “entro la fine del 2026”, con l’obiettivo di “diventare membri del blocco entro la fine del 2028“, portando le cancellerie dell’Ue da 27 a 28.No need to wait for accession to invest in Montenegro.The opportunities are right here, right now.Montenegro is a great place to do business.Today we’re launching 14 projects that show just this ↓ https://t.co/L3Cn8qmrwh— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) October 14, 2025“Si tratta di un obiettivo ambizioso“, ammette von der Leyen, “ma noi amiamo l’ambizione“. Tra le altre cose, Bruxelles apprezza l’allineamento di Podgorica con la politica estera dell’Unione, come evidenziato dalla “vostra decisione di inviare soldati montenegrini a sostegno della nostra missione di addestramento in Ucraina“. La scorsa settimana, il Montenegro è entrato a far parte dell’area unica dei pagamenti in euro (Sepa) insieme ad Albania e Macedonia del Nord, mentre dovrebbe essere imminente l’introduzione del roaming europeo per il traffico internet da rete cellulare.Tuttavia, nota ancora von der Leyen, rimane altra strada da fare per quanto riguarda le riforme nel campo dello Stato di diritto, del contrasto alla corruzione, della trasparenza negli appalti pubblici e della solidità delle infrastrutture democratiche nazionali. La vera difficoltà, in effetti, non sta tanto nell’aprire i capitoli negoziali quanto, piuttosto, nel chiuderli. Il prossimo appuntamento con Bruxelles è fissato per il 4 novembre, quando la Commissione pubblicherà le sue relazioni annuali sui progressi dei Paesi candidati.Ma c’è anche una dimensione economica dell’integrazione continentale, che passa attraverso l’estensione del mercato unico europeo ai Paesi candidati. Da Luštica, nei pressi di Tivat, il capo dell’esecutivo comunitario ha inaugurato stamattina la prima conferenza sugli investimenti Ue-Montenegro, sulla falsa riga di quella svoltasi ieri a Tirana. “Gli investimenti non sono ancora all’altezza del potenziale del Paese”, ha lamentato von der Leyen, ammonendo che “non dovremmo aspettare l’adesione per investire in Montenegro“, pena il rischio di “perdere le opportunità che già esistono”.Il padrone di casa ha annunciato per i prossimi anni un ciclo di investimenti da oltre 3 miliardi di euro: “Il Montenegro è aperto agli affari e ora è il momento di investire” nell’economia nazionale, ha scandito Spajić di fronte agli operatori economici presenti in sala, inclusi attori istituzionali come la Banca europea per gli investimenti (Bei) e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers). La conferenza di Luštica è servita per stipulare 14 contratti di investimento in diversi settori, con un focus soprattutto sulla sostenibilità nel turismo e nei trasporti.Oltre agli investimenti privati, del resto, ci sono pure i fondi europei erogati a Podgorica tramite il veicolo del Piano di crescita per i Balcani occidentali, uno strumento ad hoc con una dotazione di 6 miliardi di euro – ripartiti tra i sei Paesi beneficiari in proporzione alla popolazione e al Pil (al Montenegro sono stati destinati un totale di 383,5 milioni, il 6,8 per cento del totale) – il cui obiettivo è trainare lo sviluppo economico regionale prima ancora dell’accesso all’Ue. Una volta soddisfatte le condizioni per l’erogazione, verrà presto liquidata a Podgorica una tranche da 8 milioni, ha dichiarato von der Leyen, esortando il governo a “continuare con le riforme” per accedere all’intera somma.Terminata la tappa montenegrina, la presidente della Commissione ha ripreso il suo viaggio alla volta della Bosnia ed Erzegovina. Il primo luogo che ha visitato è stato il memoriale di Srebrenica, dove ha commemorato le vittime del genocidio perpetrato dall’esercito serbo trent’anni fa, nel luglio 1995. Da lì si è quindi diretta a Sarajevo, dove ha incontrato i leader della presidenza tripartita (in rappresentanza delle tre comunità nazionali: bosgnacchi, croati e serbi) e la premier Borjana Krišto per rinnovare l’appello all’unità interna, indispensabile per avanzare lungo la strada dell’adesione.La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, commemora le vittime del genocidio di Srebrenica, in Bosnia ed Erzegovina, nel trentesimo anniversario del massacro, il 14 ottobre 2025 (foto: Dati Bendo/Commissione europea)La situazione in Bosnia ed Erzegovina rimane tesa, complici gli attriti tra le autorità centrali e la Republika Srpska, dove si sono riaccesi (ma non si sono mai realmente sopiti) i sentimenti separatisti. Qui si terranno, il prossimo 23 novembre, delle elezioni per scegliere il nuovo presidente dopo che il tribunale federale bosniaco ha fatto decadere Milorad Dodik dalla carica lo scorso agosto. L’esito del voto, che tiene sulle spine tanto Sarajevo quanto Bruxelles, potrebbe complicare ulteriormente il percorso della Bosnia ed Erzegovina verso l’Ue.Lo ha dimostrato plasticamente il ritardo nella presentazione dell’Agenda delle riforme che lo Stato balcanico deve inviare al Berlaymont come condizione per ricevere gli esborsi comunitari legati, appunto, alle riforme pre-adesione nel quadro del Piano per la crescita regionale. Il documento è stato recapitato nell’ultimo giorno utile, il 30 settembre, e verrà ora esaminato dalla Commissione. Sarajevo ha già perso 100 milioni la scorsa estate, proprio per l’incapacità di sottoporre a Bruxelles l’Agenda entro le scadenze previste.

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    Allargamento, von der Leyen in Albania per spingere gli investimenti. Tirana “è sulla strada giusta verso l’Ue”

    Bruxelles – Doppia apparizione pubblica a Tirana oggi (13 ottobre) per Ursula von der Leyen. In mattinata la presidente della Commissione ha avuto un bilaterale col primo ministro albanese Edi Rama, elogiandolo per i progressi compiuti dal Paese balcanico verso l’adesione all’Ue. Nel pomeriggio, ha poi incontrato operatori economici regionali ed europei per incentivare gli investimenti nella regione, sempre più integrata nel mercato unico a dodici stelle.“Il mio primo messaggio è molto chiaro”, ha dichiarato la numero uno del Berlaymont al termine del faccia a faccia col premier socialdemocratico: “L’Albania è sulla strada giusta verso l’Unione europea“, ha scandito, complimentandosi per la “accelerazione straordinaria ed eccezionale” registrata negli ultimi “tre o quattro anni” a livello di riforme pre-adesione.Glad to begin my annual tour of the Western Balkans in Tirana.Albania is on the right track towards the EU.With record-speed acceleration in the past three years.We are ready to support you every step of the way. pic.twitter.com/tLX6Ndh369— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) October 13, 2025Tirana sta correndo spedita verso l’ingresso nel club europeo, e finora sono stati aperti cinque cluster di capitoli negoziali su un totale di sei. “Prevediamo di aprire l’ultimo questo autunno“, dice von der Leyen, accogliendo positivamente l’impegno di Rama e del suo governo a “chiudere i negoziati entro il 2027“. Si tratta di “un obiettivo ambizioso”, riconosce, ma fattibile. Del resto, ricorda, l’Albania è già pienamente allineata con la politica estera comunitaria, a differenza ad esempio della Serbia di Aleksandar Vućič.Lo stesso Rama, rispondendo alle domande dei cronisti, ha difeso questo ambizioso obiettivo. “Abbiamo attraversato alcuni momenti difficili” negli anni scorsi a causa dell’ostruzionismo di alcuni Stati membri, ha detto il premier, ma ora “stiamo vivendo una nuova realtà nelle relazioni” tra Tirana e Bruxelles, addirittura un “allineamento totale“.“Da parte nostra, dobbiamo completare tutti i nostri compiti per avere successo”, spiega: “Ogni compito che viene portato a termine con successo”, ragiona, “rende l’Albania più forte e molto più funzionale“. Al punto che, sostiene, l’intero processo negoziale “è per noi un processo di costruzione di uno Stato democratico“.Il primo ministro albanese Edi Rama (foto: Dati Bendo/Commissione europea)Ma non finisce qui. “Avvicinarsi (all’Ue, ndr) non è solo una questione di geopolitica”, ha ragionato ancora von der Leyen, ma “è anche una mossa commerciale intelligente“. Bruxelles ha messo a disposizione della regione 6 miliardi di euro nel quadro del Piano di crescita per i Balcani occidentali, uno strumento dedicato specificamente a trainare lo sviluppo economico dei Paesi dell’area come contropartita per la realizzazione delle riforme pre-adesione.“Le porte del nostro mercato unico sono aperte alle vostre imprese e le nostre imprese ottengono un mercato comune più ampio“, spiega von der Leyen. E annuncia che sta per venire staccato un nuovo assegno da “quasi 100 milioni di euro” per Tirana. “Ora si tratta di passare alla fase di attuazione“, nota: per implementare tutte le riforme e accedere all’esborso dei restanti fondi del Piano, per un valore complessivo di “quasi un miliardo”. I cittadini albanesi stanno già beneficiando dell’inclusione del Paese nell’area unica dei pagamenti in euro (Sepa) e beneficeranno presto del roaming europeo per la navigazione su internet da cellulare.Di economia, nello specifico, von der Leyen ha parlato nella sua seconda apparizione odierna. “Tutti i Paesi che hanno aderito alla nostra Unione hanno registrato un’incredibile crescita economica“, ha detto rivolgendosi alla platea di imprenditori e investitori provenienti dai Paesi della regione e dai Ventisette, riunita per il primo Forum degli investimenti Ue-Balcani occidentali. E succederà anche agli Stati dell’area, promette: “Non sto parlando di un futuro lontano”, assicura, ma del “prossimo decennio”.Il meccanismo è chiaro: “Insieme alle riforme arrivano gli investimenti“, spiega, dal momento che le imprese sapranno di poter operare in condizioni di parità e di libera concorrenza. Gli accordi commerciali stipulati oggi (una decina) e quelli in discussione domani (altri 24), certifica von der Leyen, “potrebbero portare oltre 4 miliardi di euro di nuovi investimenti nella regione”, agendo da volano per raddoppiare il Pil regionale da qui al 2035.Soprattutto, prosegue, “con questi progetti stiamo inserendo i Balcani occidentali nella politica industriale della nostra Unione“. Ad esempio per quanto riguarda l’intelligenza artificiale (Bruxelles vuole costruire delle “factory dell’Ia” in Macedonia del Nord e in Serbia) e l’energia pulita (i Balcani occidentali dovranno diventare hub di produzione, stoccaggio e trasporto, una “nuova dorsale energetica” per il Vecchio continente). “Se scegliete i Balcani occidentali, scegliete l’Europa“, conclude von der Leyen. Il prossimo futuro ci dirà se il suo appello verrà ascoltato.

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    La Moldova al voto sulla lama del rasoio tra Ue e Russia

    Bruxelles – Le imminenti elezioni in Moldova sono descritte da diversi osservatori come le più cruciali nella storia recente della giovane democrazia balcanica. Domenica, gli elettori si giocheranno nelle urne il futuro del proprio Paese. Nel rinnovare il Parlamento di Chișinău, gli elettori dovranno scegliere se rimanere sul sentiero europeista tracciato dalla presidente della Repubblica Maia Sandu o ascoltare le sirene delle opposizioni virando verso l’orbita di Mosca.Al momento attuale, nessun partito o coalizione sembrerebbe in grado di ottenere la maggioranza assoluta nell’assemblea di 101 membri, fissata a quota 51 seggi. Virtualmente tutti i sondaggi dipingono un quadro generale di profonda incertezza ed elevata frammentazione. Un’eventuale stallo complicherebbe i negoziati per formare un esecutivo, rischiando di paralizzare il piccolo ma strategico Paese balcanico lasciandolo particolarmente esposto alle forti tensioni geopolitiche regionali, e mettendo potenzialmente in naftalina anche l’avvicinamento all’Ue.Le proiezioni della vigiliaDa un lato, il Partito di azione e solidarietà (Pas) di Sandu – il cui candidato di punta è il presidente della Camera Igor Grosu – è in caduta libera. Dopo il folgorante successo alle ultime parlamentari del 2021, quando ha ottenuto il 52,8 per cento dei consensi e 63 seggi, la principale forza europeista nazionale è data oggi in una forchetta tra il 34 e il 48 per cento.Il presidente del Parlamento moldavo Igor Grosu (foto: Antoine Tardy via Imagoeconomica)Gli elettori sono scettici delle promesse non mantenute dai liberal-conservatori, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei pesanti impatti economici causati dalla guerra in Ucraina e la mancata realizzazione dell’agenda riformatrice. L’unica cosa certa, se tali stime verranno confermate, è che il Pas perderà la maggioranza assoluta che ha detenuto nella legislatura uscente e dovrà dar vita ad una coalizione per governare.D’altro canto, a insidiare da vicino il Pas c’è il Blocco patriottico (Bep), un cartello elettorale composto dai socialisti del Psrm, i comunisti del Pcrm, il Cuore della Moldova (Prim) e il Futuro della Moldova (Pvm). Complessivamente, questa variegata alleanza di forze della sinistra – raccoltasi dietro il leader socialista Igor Dodon, predecessore di Sandu alla presidenza della Repubblica – potrebbe attestarsi tra il 21 e il 36 per cento delle preferenze, contendendosi il primo posto col Pas. Il Bep spinge per un approccio geopolitico più “equilibrato”: un riavvicinamento a Mosca, pur senza strappare con Bruxelles, e la neutralità strategica di Chișinău (che rimarrebbe dunque fuori dalla Nato).Altri partiti tendenzialmente filorussi sono il Nostro partito (Pn), guidato da Renato Usatîi e accreditato con un tesoretto tra l’8 e il 12 per cento dei voti, e il Blocco alternativo (BeA), altra coalizione di centro-sinistra sedicente europeista ma legata indirettamente al Bep, che viaggia attualmente sul 7-8 per cento. Anche se finissero in vantaggio le sfaccettate forze della sinistra filorussa, ad ogni modo, la strada per la formazione di un governo non sarebbe necessariamente in discesa. Dodon potrebbe doversi fare da parte, lasciando a una figura terza (magari un tecnico) l’incarico di primo ministro e guidando dalle retrovie l’azione dell’esecutivo.Il leader del Psrm, Igor Dodon (foto: Daniel Mihailescu/Afp)In realtà, l’accuratezza dei sondaggi è limitata anche dal fatto che, nella gran parte dei casi, non prendono in considerazione i moldavi della diaspora. Come già accaduto nelle tornate elettorali dello scorso autunno, sono stati proprio i voti dall’estero (circa l’8 per cento del totale) a ribaltare risultati che parevano solidi, facendo pendere la bilancia dalla parte di Sandu e del Pas sia nei due turni delle presidenziali sia nel referendum costituzionale sull’adesione all’Ue.La dimensione geopoliticaLa posta in gioco in queste elezioni, più che la guida del governo, sembra dunque essere la stessa traiettoria geopolitica della Moldova. Secondo gli analisti, si tratterà del voto più importante dall’indipendenza del 1991: su un piatto c’è il cammino di Chișinău verso l’ingresso nel club a dodici stelle, sull’altro il ritorno della nazione balcanica nell’orbita del Cremlino, abbandonata dopo la dominazione sovietica.Il Paese è ufficialmente candidato dal giugno 2022, il via libera politico all’avvio dei negoziati di adesione risale al dicembre 2023 e la prima conferenza intergovernativa coi Ventisette è stata convocata nel giugno 2024, in parallelo a quella dell’Ucraina. Al momento, si registrano progressi sostanziali soprattutto in ambito di giustizia, anticorruzione e smantellamento delle strutture oligarchiche ereditate dall’Urss. Tuttavia, dato l’accoppiamento informale con quella di Kiev (sulla quale permane il veto di Budapest), anche la pratica di Chișinău rimane bloccata nonostante l’esecutivo comunitario ritenga entrambe le nazioni “pronte” per aprire il cluster dei Fondamentali.Il Paese balcanico è del resto cruciale anche da un punto di vista geostrategico per il sostegno occidentale a Kiev. Dall’avvio dell’aggressione russa nel 2022, ha ospitato oltre un milione e mezzo di rifugiati ucraini e fornisce attualmente protezione a oltre 100mila profughi. Soprattutto, la Moldova rappresenta una base fondamentale per il trasferimento dei rifornimenti militari al Paese invaso, e allo stesso modo costituisce uno snodo chiave per il trasporto di prodotti cerealicoli da e per l’Ucraina. A questo si aggiungano i rischi connessi alla presenza militare russa in Transnistria, la regione separatista pro-Cremlino.Le interferenze di MoscaDa diversi mesi, e con insistenza sempre maggiore nelle ultime settimane, Sandu e i suoi alleati europei stanno suonando l’allarme circa le massicce campagne di interferenza elettorale orchestrate dalla Federazione per sabotare il voto di domenica. Seguendo il copione già visto nell’ultimo anno non solo nella stessa Moldova (si stima che 130mila voti siano stati comprati dalla Russia lo scorso autunno) ma anche in Romania e in Georgia, Mosca starebbe facendo ricorso a tattiche ibride online e offline, già ampiamente note a Bruxelles.Oltre alla tradizionale compravendita di voti, le autorità moldave hanno segnalato una serie di campagne di disinformazione che hanno come bersaglio sia Bruxelles sia il Pas, anche tramite contenuti generati con l’intelligenza artificiale per discreditare personalmente i politici pro-Ue più in vista. Siti web fasulli imitano ad arte le testate giornalistiche reali per diffondere in rete la propaganda filorussa e addirittura falsi proclami governativi, e parrebbe essersi mobilitata addirittura la Chiesa ortodossa russa.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Vyacheslav Prokofyev/Sputnik via Afp)A inizio mese, Sandu ha invocato di fronte all’Eurocamera il sostegno dell’Ue in difesa della fragile democrazia moldava. A fine agosto, un trio di pesi massimi del calibro di Emmanuel Macron, Friedrich Merz e Donald Tusk si erano recati a Chișinău per mostrare simbolicamente la vicinanza dei Ventisette. Giusto ieri (24 settembre), il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ammonito l’Assemblea generale dell’Onu sui pericoli della manipolazione elettorale russa.Per la capogruppo dei liberali di Renew a Strasburgo, Valérie Hayer, “il futuro della Moldova risiede in un’Ue forte e unita”. “Siamo al fianco di tutti i moldavi che difendono la loro democrazia”, ha dichiarato, aggiungendo che “i tentativi della Russia di interferire nella democrazia moldava sono riprovevoli e devono avere delle conseguenze“. Secondo il suo vice Dan Barna, “l’Ue deve rafforzare la resilienza della Moldova e garantire l’integrità del voto“.La portavoce del Berlaymont per gli Affari esteri, Anitta Hipper, ha dichiarato stamattina che Bruxelles ripone “piena fiducia nelle autorità moldave” e garantisce “supporto completo” a Chișinău, incluso tramite un nuovo “hub europeo di monitoraggio dei media digitali” nonché i 1,9 miliardi di euro erogati nel quadro del Piano di crescita per la Moldova approntato dall’Unione nell’autunno 2024. “L’Ue sta addestrando, consigliando e offrendo equipaggiamento tecnico” al Paese, ha aggiunto Hipper.

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    Marta Kos in Bosnia ed Erzegovina: “Se non accelerate sulle riforme, rischiate di perdere i fondi europei”

    Bruxelles – Spronare la Bosnia ed Erzegovina a procedere ventre a terra con le riforme pre-adesione. Questa la missione di Marta Kos, la commissaria all’Allargamento, durante il suo viaggio di tre giorni che prende il via oggi (22 settembre) nel Paese balcanico, mentre si acuiscono le tensioni con la minoranza serba.Il tour di Kos è cominciato stamattina a Sarajevo, dove ha incontrato la premier Borjana Krišto e i leader della presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina, cioè i rappresentanti eletti delle tre comunità nazionali: bosgnacchi, croati e serbi. “Credo nel futuro europeo di questo Paese“, ha esordito Kos parlando accanto a Krišto in una conferenza stampa congiunta.La commissaria ha reiterato il sostegno di Bruxelles per gli sforzi di Sarajevo verso l’ingresso nel club a dodici stelle, ma ribadendo la necessità di superare l’opposizione di una parte della complessa macchina statale bosniaca, cioè quella serba. “Abbiamo visto alcuni passi positivi“, ha continuato, per ammonire però sulle “rinnovate sfide poste dalla legislazione incostituzionale e secessionista adottata dalla Republika Srpska“, l’entità della comunità serbo-bosniaca che insieme alla Federazione di Bosnia ed Erzegovina – quella delle comunità bosgnacca e croata – costituisce la Repubblica federale in base agli accordi di Dayton del 1995.I met chairwoman @KristoBorjana to discuss how to advance Bosnia and Herzegovina’s EU accession path: judicial reforms, adoption of the Reform Agenda still this month & appointment of a chief negotiator. The EU needs a counterpart in BiH to move forward with technical work. pic.twitter.com/qlHPujQqUn— Marta Kos (@MartaKosEU) September 22, 2025“Le istituzioni democratiche devono essere rispettate“, ha scandito la commissaria prima di esortare l’esecutivo di Krišto a “riprendere il percorso delle riforme“, a cominciare da quella del sistema giudiziario, e a mettere in campo “tutte le misure necessarie” a far partire la prima conferenza intergovernativa e aprire formalmente i primi capitoli negoziali con l’Ue.Sarajevo, dice, “deve inviare al più presto l’Agenda delle riforme per non perdere i fondi del Piano per la crescita“, lo strumento da 6 miliardi con cui la Commissione sta cercando di stimolare l’economia dei Balcani occidentali per creare uno slancio propedeutico all’adesione di questi Paesi candidati. Un appello, quello ad accelerare sulle riforme, tutt’altro che nuovo da parte dell’esecutivo comunitario, che ha già congelato l’anno scorso alcuni fondi destinati alla Bosnia ed Erzegovina proprio per l’incapacità di sbloccare questo punto.La padrona di casa si è detta “ottimista” sulla possibilità di fare presto progressi sul dossier delle riforme, ma ha riconosciuto che finora il Consiglio dei ministri non è riuscito a trovare alcun accordo. “Le riforme sono nell’interesse di tutti”, ha osservato, “e dobbiamo portarle a termine”. Soprattutto, ha evidenziato, “i rappresentanti politici devono mostrare un approccio responsabile e funzionale“: “Dobbiamo smetterla con gli alibi, dobbiamo prenderci le nostre responsabilità di fronte ai nostri elettori”, ha rimarcato.Ma potrebbe non essere così semplice. Milorad Dodik, ex presidente della Republika Srpska e leader del partito di governo Snsd, ha annunciato che lui e il suo partito boicotteranno tutti gli incontri con Kos, incluso il discorso finale al Parlamento bicamerale di Sarajevo (in calendario per dopodomani). La stessa commissaria, del resto, considera Dodik un “separatista” e rifiuta di interloquire con chi mina l’unità del Paese balcanico.L’ex leader serbo è stato recentemente raggiunto da una sentenza del tribunale federale bosniaco che lo ha condannato ad un anno di carcere per inadempienza ai suoi doveri istituzionali nel quadro della leale collaborazione tra le entità federate, dichiarandolo ineleggibile alla carica di presidente della Republika Srpska per sei anni. Il suo mandato è dunque decaduto e sono state indette nuove elezioni per il prossimo 23 novembre.La scorsa settimana, Dodik ha visto il titolare degli Esteri russo, Sergei Lavrov, per cercare la sponda di Mosca con l’obiettivo di mantenere il potere. Verso fine agosto, l’Snsd ha votato nell’assemblea nazionale della Republika Srpska per indire un referendum sulla decadenza dell’ex presidente dalla carica, nonché sulla sua estromissione dai pubblici uffici. La consultazione popolare – che tecnicamente non potrebbe modificare la decisione della corte – è stata fissata per il 25 ottobre.Da diverso tempo, la Bosnia ed Erzegovina è attraversata da una crisi politica legata principalmente all’irrigidimento delle posizioni della Republika Srpska, che sta ponendo in discussione l’autorità di Sarajevo. E mettendo a repentaglio, di riflesso, l’avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina al club a dodici stelle. Nel marzo 2024 il Consiglio europeo ha dato il via libera politico all’avvio dei negoziati, ma non è ancora stata convocata la prima conferenza intergovernativa per l’apertura formale dei capitoli negoziali.

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    INTERVISTA / Nataša Kovačev: “In Serbia, i manifestanti si sentono abbandonati da Bruxelles”

    Bruxelles – Da una decina di mesi, la Serbia è sconvolta dalle proteste popolari più partecipate della sua storia recente. In gioco, nelle strade dove gli studenti vengono manganellati e i giornalisti assaliti, non c’è solo la tenuta democratica di un Paese che, sulla carta, è candidato ad entrare nell’Unione europea. C’è anche la credibilità della stessa Ue, che rischia di sgretolarsi sotto il peso dell’inazione. La giornalista serba Nataša Kovačev ha condiviso con Eunews le sue riflessioni sulle dinamiche perverse che si stanno innescando nel suo Paese, alimentate anche dalla freddezza della reazione comunitaria.“Le persone che stanno protestando da oltre 10 mesi – cioè da quando una quindicina di persone sono rimaste uccise nel crollo di una pensilina a Novi Sad (la città natale di Kovačev) lo scorso novembre, scatenando una risposta popolare mai vista dall’implosione della Yugoslavia – si aspettavano una reazione più decisa da parte dell’Ue“, scandisce Kovačev. Invece, negli ultimi mesi, sono arrivati solo mezzi silenzi: come quello del presidente del Consiglio europeo António Costa e quello dell’Alta rappresentante Kaja Kallas.Nataša Kovačev (foto: Nataša Kovačev/LinkedIn)Quello che arriva da Bruxelles, continua, è invece un desolante combinato di “reazioni tiepide e segnali contrastanti“, una cacofonia politica che confonde e scoraggia chi ha creduto in un futuro europeo per la Serbia. E che ora ci crede sempre meno. “Se guardiamo i sondaggi, notiamo che oggi solo il 33 per cento degli intervistati sostiene convintamente la prospettiva dell’adesione” al club a dodici stelle, illustra la giornalista. Nel 2015, l’anno dopo l’apertura dei primi capitoli negoziali con Belgrado, questa cifra si aggirava intorno al 59 per cento.Gli studenti e i loro alleati nel movimento di protesta, già impegnati a resistere coi propri corpi (timpani inclusi) alla brutale repressione messa in campo dall’autoritario presidente Aleksandar Vućič, temono ora di venire abbandonati anche da quelle stesse istituzioni a cui hanno rivolto accorati appelli, affinché li aiutassero a difendere quanto rimane della democrazia e dello Stato di diritto in Serbia.Lo spettacolo che arriva dai rappresentanti comunitari, in effetti, è tutt’altro che edificante. “Durante l’ultima plenaria a Strasburgo, abbiamo sentito cose piuttosto diverse”, spiega: “Marta Kos (la commissaria all’Allargamento, ndr) ha parlato chiaramente della situazione in Serbia e ha preso una posizione netta al riguardo”, ragiona Kovačev, mentre la numero uno del Berlaymont, Ursula von der Leyen, “non si è neanche disturbata a menzionare quello che succede nel suo discorso sullo stato dell’Unione”.D’altro canto, concede la giornalista, Manfred Weber – capo-padrone del Partito popolare europeo, la più potente forza politica del Vecchio continente, da cui proviene anche la presidente della Commissione – “ha ventilato l’ipotesi di sospendere l’Sns (il Partito progressista serbo di Vućič, ndr) dal Ppe”, nel quale è attualmente un membro osservatore. Tuttavia, puntualizza, “è una decisione unilaterale di un partito politico, non una mossa comune dell’Unione”.Il presidente serbo Aleksandar Vućič (foto: Alex Halada/Afp)“Forse qualcosa sta iniziando a muoversi“, rileva con cautela Kovačev, “e pare che tra i vertici comunitari si cominci ad avvertire la necessità di una risposta più incisiva“. “Spero che questo si traduca presto in un’azione concreta, soprattutto per ridare speranza a chi continua a scendere in piazza“, osserva. Auspica un segnale inequivocabile per mettere in chiaro che, oltre alla retorica stucchevole, Bruxelles intende davvero “tutelare lo Stato di diritto ovunque, a maggior ragione in un Paese candidato“.Finora, sotto il regime illiberale di Vućič la spirale di violenza non sembra accennare a fermarsi. In diverse occasioni, spiega Kovačev, il presidente si è dichiarato disponibile a discutere direttamente coi leader della protesta. “Ma i manifestanti non vogliono parlare con lui, vogliono che le istituzioni facciano il loro lavoro, che la corruzione finisca, che lo Stato serbo funzioni“, dice. Invece, ammette, “la repressione del dissenso si fa più asfissiante e si moltiplicano le detenzioni arbitrarie ed extragiudiziali“.Peraltro, aggiunge, “ogni qualvolta Vućič apre a qualche forma di dialogo, si registrano nuovi incidenti“. Come quello dello scorso gennaio, quando a Novi Sad alcuni uomini affiliati all’Sns hanno rincorso degli studenti che stavano affiggendo manifesti, aggredendoli fisicamente. “Hanno tirato fuori una mazza da baseball e li hanno picchiati, rompendo la mascella ad una ragazza“, racconta. Così, alla successiva mano tesa fintamente dal capo dello Stato ai manifestanti, questi hanno risposto per le rime: “Difficile parlare con la mascella rotta”, si leggeva nei comunicati dell’epoca.Poliziotti in tenuta antisommossa a Belgrado (foto: Marko Djokovic/Afp)Il problema, nota Kovačev, è “l’impunità pressoché assoluta” di cui godono le forze dell’ordine. Nel caso di gennaio, ricorda, “quegli uomini furono arrestati e processati, ma a processo ancora in corso Vućič li graziò, prima che venisse emessa qualunque sentenza”. Anche lei ha visto coi propri occhi queste dinamiche, dato che, ci dice, “il dibattito pubblico e lo spazio mediatico sono estremamente polarizzati e ci sono frequenti attacchi contro giornali e giornalisti”.Come certificato da Media freedom rapid response nel suo ultimo rapporto, la situazione in Serbia è “emergenziale”. Nei primi sei mesi di quest’anno si sono verificate 96 aggressioni contro operatori mediatici: una dozzina in più di quelle commesse nell’arco di tutto il 2024 (84) e quasi il doppio del 2023 (49). “Persino se documenti gli attacchi, se li riprendi, non accade nulla“, lamenta Kovačev. Lo scorso novembre, ci racconta, il suo cameraman è stato scaraventato a terra di fronte agli uffici dell’Sns a Novi Sad mentre stava filmando le proteste.Ad aggredirlo era stato un uomo uscito dall’edificio stesso, dopo aver confabulato con alcuni membri della sezione locale del partito. “Avevamo l’incidente sul nastro“, sottolinea la giornalista, “e lo portammo alla polizia e al procuratore, ma nulla si mosse per mesi”. Poi, quando Kovačev e colleghi riuscirono a dimostrare che l’aggressore era uno stretto alleato del sindaco, furono chiamati a testimoniare dal procuratore. Eppure, alla fine, tutto si risolse in una bolla di sapone e gli inquirenti “derubricarono l’incidente ad un banale alterco tra privati, anziché considerarlo un reato penale”.In Serbia, come in altri Paesi candidati (su tutti la Georgia), l’impunità di un potere che prevarica i suoi stessi cittadini è un problema urgente e gravissimo. Da un’Ue che tanto ama dipingersi come paladina del diritto e dei diritti, illudendosi di poter ancora proiettare all’esterno qualche tipo di soft power, ci si aspetterebbe un intervento risoluto contro lo scivolamento autoritario delle fragili democrazie ai suoi stessi confini.Tanto più che, spesso, nell’allontanarsi da Bruxelles questi Paesi si avvicinano a Mosca, a Pechino e ad altri attori geopolitici che l’Europa considera come antagonisti. Magari, ipotizza Kovačev, è precisamente la consapevolezza di trovarsi su un piano inclinato così ripido a “innervosire le gerarchie comunitarie“. “Sanno benissimo che in Serbia le violazioni sono estese, ma forse l’assenza di reazioni deriva dalla paura di spingere Vućič ancora di più tra le braccia della Russia o della Cina“, ragiona.

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    L’Albania corre verso l’Ue. Per Rama l’Unione è “l’impero dei valori e dei diritti”

    Bruxelles – L’Albania procede spedita nella sua corsa verso l’adesione all’Ue. Certo, la strada è tutt’altro che conclusa, ma secondo l’esecutivo comunitario i progressi compiuti da Tirana sono “impressionanti”. Il primo ministro Edi Rama punta ad aprire gli ultimi capitoli negoziali entro la fine dell’anno e a chiudere il lavoro tecnico entro la fine del 2027.Si è tenuta stamattina (16 settembre) la sesta conferenza intergovernativa Ue-Albania a Bruxelles, alla presenza del primo ministro Edi Rama. Oggi è stato ufficialmente aperto il cluster numero quattro (intitolato “Agenda verde e connettività sostenibile” e contenente quattro capitoli negoziali), portando così i cluster aperti da Tirana a cinque su sei in poco meno di un anno per un totale di 28 capitoli sui 33 in cui è condensato l’acquis communautaire (l’immenso corpus giuridico dell’Unione, che i Paesi candidati devono trasporre nella propria legislazione domestica).Nello specifico, i capitoli aperti oggi riguardano trasporti, energia, reti trans-europee e, infine, tutela dell’ambiente e contrasto al cambiamento climatico. Rimangono dunque da aprire i cinque capitoli relativi al quinto cluster (“Risorse, agricoltura e coesione“) che trattano tra le altre cose di agricoltura, sviluppo rurale, sicurezza alimentare, pesca e politiche regionali. Dallo scorso ottobre l’Albania ha già aperto quattro cluster, nell’ordine: “Fondamentali”, “Relazioni esterne”, “Mercato interno” e “Competitività e crescita inclusiva”.La commissaria all’Allargamento Marta Kos (foto: Consiglio europeo)Per l’ennesima volta, le padrone di casa – la commissaria all’Allargamento Marta Kos e la ministra danese agli Affari europei Marie Bjerre – si sono sperticate nell’elogiare il ritmo sostenuto con cui il premier socialdemocratico sta mettendo in campo le riforme pre-adesione, a partire dalla riforma della giustizia e dalla lotta anti-corruzione.“La conferenza intergovernativa mostra che l’allargamento sta procedendo e che le vere riforme producono risultati concreti“, ha evidenziato Bjerre incontrando i giornalisti al termine dei lavori. “Avete fatto la vostra parte, e meritate che questo venga riconosciuto“, ha rimarcato rivolgendosi al suo ospite, pur concedendo che “rimane ancora molto lavoro” da fare ma ribadendo che “un futuro dell’Ue con l’Albania è molto importante per tutti noi”.Le ha fatto eco Kos, osservando che “la velocità dell’Albania è davvero impressionante“. Secondo la commissaria, “le riforme che chiediamo non sono facili ma l’Albania dimostra che il cambiamento positivo è possibile e che l’Ue lo ricompensa”. Un messaggio rivolto agli altri Paesi candidati, soprattutto quelli dove i progressi sono più lenti. Come Rama, Kos è convinta di riuscire a chiudere tutti i capitoli negoziali entro la fine del 2027. “Non è semplice aprire i cluster, ma è ancora più difficile chiudere i capitoli“, ha scandito, incoraggiando il suo ospite a “fare di tutto” per centrare questo ambizioso obiettivo.Le riforme che Tirana si impegna ad implementare con l’apertura del quarto cluster, continua la commissaria, servono a “coniugare la crescita economica con la protezione delle ricchezze naturali“, ma anche a “modernizzare le strade, espandere le reti ferroviarie e integrare pienamente l’Albania” nei sistemi europei di mobilità e connettività. Infine, si tratterà di “promuovere la concorrenza leale, espandere le fonti rinnovabili e rafforzare la sicurezza energetica“.Tra gli immancabili siparietti, Rama ha rimarcato che, per quanto difficile, quella delle riforme “è l’unica strada” per entrare nell’Unione. “Per la prima volta nella nostra storia possiamo scegliere liberamente con chi ci vogliamo sposare“, ha proseguito: “Siamo stati sposati forzatamente con altri imperi nel passato”, ha puntualizzato, “ma questo è un impero di cui vogliamo far parte, un impero di valori, diritti e sicurezza“. E ha concluso la sua serie di lusinghe sostenendo che l’Ue sia “la benedizione del nostro Paese e di altri come noi nella regione”, dal momento che essa “ti fornisce gli strumenti per reinventarti come nazione, come Paese e come Stato“. “Dobbiamo amare l’Europa con tutta la nostra passione”, ha aggiunto.Se tutto continuerà a procedere per questo verso, l’Albania e il Montenegro saranno i primi ad entrare nel club a dodici stelle. Sulla carta, Podgorica è più avanti (ha aperto tutti i capitoli negoziali e ne ha già chiusi sette), ma negli ultimi mesi Tirana ha tirato una vera e propria volata. Al momento della verità, tuttavia, potrebbero venire al pettine anche alcuni nodi che sembrano per il momento trascurati: come la reale salute dello Stato di diritto (incluse l’indipendenza della magistratura e la libertà dei media), la conduzione opaca delle ultime elezioni politiche e il rispetto dei diritti umani nonché del diritto internazionale nel caso dei controversi centri per i migranti costruiti dall’Italia in Albania.

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    Macron, Merz e Tusk in Moldova per sostenere il percorso europeo di Chisinau

    Bruxelles – L’Unione europea rimane salda al fianco della Moldova, nella sua resistenza all’assertività della Russia e nel suo percorso verso l’adesione. O almeno questo è il messaggio consegnato da Emmanuel Macron, Friedrich Merz e Donald Tusk alla presidente della Repubblica, Maia Sandu. La visita, in occasione del 34esimo anniversario dell’indipendenza di Chisinau, arriva ad un mese da elezioni legislative che si preannunciano ad alta tensione a causa delle temute interferenze del Cremlino.Il presidente francese Emmanuel Macron ha offerto il “sostegno determinato” di Parigi alla Moldova nel suo percorso per aderire all’Ue, ammonendo sulle “menzogne” russe durante una visita nella capitale con il cancelliere tedesco Friedrich Merz e il primo ministro polacco Donald Tusk. I tre leader europei, rappresentanti del cosiddetto triangolo di Weimar, si sono recati in Moldova oggi (27 agosto) per mostrare a Chisinau la vicinanza di Bruxelles in questa delicata fase storica.La padrona di casa, la presidente pro-europea Maia Sandu, ha accolto il trio con tutti gli onori, sottolineando che la presenza dei leader “dimostra non solo il vostro sostegno alla Moldova, ma anche che il progetto europeo continua e che noi ne facciamo parte”. “Non c’è alternativa all’Europa“, ha scandito la presidente, in un momento in cui “la nostra indipendenza, la nostra sovranità e la nostra pace sono messe alla prova forse più che mai“.So glad to welcome our dear friends @EmmanuelMacron, @donaldtusk, @_FriedrichMerz — honoured to celebrate Moldova’s Independence Day together. pic.twitter.com/QTvA0WZMJG— Maia Sandu (@sandumaiamd) August 27, 2025La scelta della data è tutt’altro che casuale. Il simbolismo politico richiama il passato ma parla anche al presente e all’immediato futuro del piccolo ma strategico Paese balcanico. Il 27 agosto 1991, Chisinau dichiarò la propria indipendenza dall’Unione sovietica, tre giorni dopo Kiev.Quanto al presente, la visita odierna va letta nel contesto regionale di crescente volatilità geopolitica, acuita dall’aggressione russa dell’Ucraina. Tra un mese, il prossimo 28 settembre, gli elettori saranno chiamati alle urne per rinnovare il Parlamento monocamerale moldavo, in un voto cruciale che segnerà anche la traiettoria geopolitica del Paese per i prossimi anni. Il timore, a Chisinau come a Bruxelles, è che il Cremlino scateni l’ennesima campagna di interferenze elettorali.È già accaduto lo scorso novembre, quando Sandu centrò il bis per il rotto della cuffia e l’ultranazionalista filorusso Călin Georgescu vinse a sorpresa il primo turno delle presidenziali romene, sprofondando Bucarest in una profonda crisi politico-istituzionale. L’incubo peggiore sarebbe uno sviluppo analogo a quello avvenuto in Georgia, scivolata (di nuovo) nell’orbita di Mosca a seguito delle elezioni truccate di ottobre.“La propaganda del Cremlino ci dice che gli europei vogliono prolungare la guerra e che l’Ue opprime i popoli: queste sono menzogne”, ha dichiarato Macron. “A differenza della Russia, l’Ue non minaccia nessuno e rispetta la sovranità di tutti“, ha aggiunto intervenendo alla conferenza stampa congiunta accanto alla sua omologa moldava.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Vyacheslav Prokofyev/Sputnik via Afp)Sandu suona da tempo l’allarme circa il rischio di “un’ingerenza elettorale senza precedenti” nel prossimo appuntamento con le urne. Ad oggi, i sondaggi pre-elettorali danno il suo Partito di azione e solidarietà (Pas), di centro-destra, in vantaggio con circa il 39 per cento dei consensi, mentre il Partito socialista (Psrm), filorusso, si attesta nei dintorni del 15 per cento. Alle elezioni del 2021, il Pas aveva ottenuto poco meno del 53 per cento.Del resto, Mosca può far ricorso a varie armi nel suo ampio arsenale di guerra ibrida: non solo disinformazione e interferenze elettorali, ma anche la strumentalizzazione dei flussi energetici, ad esempio. Una tecnica già collaudata proprio nella regione separatista moldava della Transnistria, lasciata senza elettricità lo scorso inverno con l’obiettivo di mettere sotto pressione Chisinau.Infine, il viaggio dei leader europei a Chisinau aveva anche l’obiettivo di riaffermare l’impegno dei Ventisette ad accogliere la nazione balcanica nel club a dodici stelle nel futuro prossimo, magari nel giro di qualche anno. “La porta dell’Ue è aperta per la Moldova“, ha dichiarato Merz, aggiungendo che Berlino “farà tutto il possibile per aprire il primo capitolo dei negoziati in autunno“.Il Paese è ufficialmente candidato dal giugno 2022 ma i negoziati di adesione sono cominciati due anni dopo, in parallelo a quelli dell’Ucraina. Nonostante i progressi compiuti dallo Stato balcanico, riconosciuti in diverse occasioni dai vertici comunitari, al momento attuale non è aperto nessuno dei 35 capitoli negoziali per allineare le leggi moldave all’acquis communautaire.Nelle ultime settimane è addirittura circolata l’ipotesi di un disaccoppiamento delle domande d’adesione di Moldova e Ucraina, dato che sulla seconda continua a mettersi di traverso l’Ungheria di Viktor Orbán. Tra i corridoi di Bruxelles si ragionerebbe sulla possibilità di aprire a breve il primo cluster per Chisinau, prima delle elezioni, per consentire a Sandu – che ha fatto dell’adesione all’Ue, considerata “irreversibile”, un pilastro centrale della propria piattaforma politica – di tirare la volata nelle urne.Ma potrebbe trattarsi di una mossa politicamente rischiosa, capace d’incrinare i rapporti con Kiev nel momento in cui la diplomazia internazionale sembra brancolare nel buio e non si vede all’orizzonte una fine della guerra con la Russia. Gli stessi ucraini si dicono fiduciosi che l’intercessione di Donald Trump nei confronti del premier magiaro possa sbloccare l’impasse.

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    Serbia, Vučić tenta la carta del dialogo coi manifestanti: “Discutiamo insieme”

    Bruxelles – Aleksandar Vučić, l’autoritario presidente della Serbia al potere dal 2014, tenta l’azzardo per provare ad ammorbidire il movimento di protesta che sta scuotendo da mesi il Paese balcanico, che manifesta contro la corruzione e lo scivolamento verso l’orbita di Mosca. Ma la sua offerta di dialogo non sembra convincere studenti e opposizioni, che vogliono le dimissioni dell’uomo forte di Belgrado.Con una mossa piuttosto inaspettata, il presidente serbo Aleksandar Vučić ha teso la mano ai manifestanti che da oltre nove mesi riempiono le piazze del Paese balcanico per chiedere la fine della corruzione dilagante e un generale ricambio della classe politica. Incluso il capo dello Stato: “Arrestate Vučić” è uno dei cartelli che capita di leggere alle proteste, scoppiate lo scorso novembre in seguito al crollo di una pensilina a Novi Sad, nel quale sono morte 16 persone.Così, in un discorso alla nazione trasmesso in tv oggi (22 agosto), il presidente ha azzardato la sua proposta, offrendosi di intrattenere “discussioni e dibattiti su tutte le nostre televisioni, su tutti i nostri siti, coi rappresentanti legittimi” del movimento di protesta. Vučić si dice intenzionato ad “affrontare le diverse visioni” allo scopo di “risolvere la questione attraverso il dialogo e il confronto” e con l’obiettivo ultimo di “ricostruire il Paese, per riportarlo alla situazione in cui si trovava nove mesi fa”.Fino ad oggi, l’autoritario leader sembrava avviato irrevocabilmente sulla strada della repressione, delegata a forze dell’ordine autorizzate a ricorrere anche a dispositivi illegali come i cannoni sonici per disperdere i contestatori. Negli ultimi giorni, la tensione era salita pericolosamente con scontri anche violenti tra manifestanti e fazioni filogovernative, conditi da assalti ad alcune sedi dei partiti che compongono l’esecutivo e diffusi abusi di potere commessi dagli apparati di sicurezza.Le proteste per le strade di Belgrado, il 15 agosto 2025 (foto: Marko Djoković/Afp)Ma i critici di Vučić – sia in piazza sia in Parlamento – non sembrano disposti a bersi la storia del suo improvviso ravvedimento. “Un presidente che ricorre alla violenza non è qualcuno con cui si può discutere di questioni politiche, questo è un governo corrotto che calpesta la democrazia e i diritti umani“, il commento caustico di Savo Manojlović, leader del partito centrista Kreni-Promeni.Opposizioni e studenti chiedono a Vučić di dimostrare la sua buona fede facendosi da parte e convocando al più presto elezioni presidenziali anticipate, prima del 2027 quando scadrà il suo secondo mandato (e anche l’ultimo, a rigor di Costituzione). Il capo dello Stato “non ha una risposta alla ribellione popolare“, si legge in una nota degli studenti dell’Università di Belgrado, in cui accettano di discutere ma solo “durante la campagna elettorale“.Finora, l’unico risultato concreto a cui hanno portato le oceaniche proteste popolari – probabilmente le più ampie nella storia del Paese balcanico da quando è implosa la Jugoslavia – è rappresentato dalle dimissioni dell’ex primo ministro Miloš Vučević, rassegnate a fine gennaio nel tentativo, egregiamente fallito, di placare i manifestanti.Da anni, l’uomo forte di Belgrado pone un dilemma geopolitico di non poco conto all’Ue. La Serbia è ufficialmente un Paese candidato all’adesione al club a dodici stelle ma, oltre alla repressione delle proteste e alle violazioni di massa dei diritti fondamentali, a provocare forti grattacapo a Bruxelles c’è anche l’imbarazzante vicinanza di Vučić a Vladimir Putin.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Vyacheslav Prokofyev/Sputnik via Afp)Incurante degli ammonimenti dell’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas, il presidente serbo si è recato a Mosca lo scorso 9 maggio per celebrare l’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista, in tribuna d’onore sulla Piazza Rossa insieme allo zar e al premier slovacco Robert Fico, uno dei due enfants terribles dell’Unione. Con l’altro, il primo ministro ungherese Viktor Orbán, Vučić sta lavorando per prolungare l’oleodotto Druzhba e far arrivare fino in Serbia il greggio della Federazione, acuendo ulteriormente la frizione diplomatica tra Budapest e Kiev.Allo stesso tempo, tuttavia, Vučić si mostra ambivalente nei confronti dell’Ucraina. A giugno si è presentato a sorpresa a Odessa, dove ha partecipato ad una riunione convocata da Volodymyr Zelensky in persona, e da qualche tempo Mosca sta accusando Belgrado di aver tradito la tradizionale amicizia tra i due Paesi vendendo armi a Kiev.Le alte sfere di Bruxelles hanno sempre sostenuto di stare dalla parte degli studenti, ma nelle loro più recenti visite nella capitale serba tanto Kallas quanto António Costa, presidente del Consiglio europeo, sono stati piuttosto morbidi nel mettere Vučić di fronte alle proprie responsabilità. Per una curiosa coincidenza, del resto, la Commissione europea ha incluso la Serbia tra gli 11 Paesi terzi in cui finanzierà progetti per l’approvvigionamento delle materie prime critiche, essenziali per mantenere la competitività del Vecchio continente nel XXI secolo.