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    Moldova, l’adesione è sempre più vicina. Ma la Russia rimane una minaccia esistenziale

    Bruxelles – La Moldova si muove a passi da gigante verso l’adesione al club a dodici stelle. Ma non deve mollare la presa sulle riforme, se vuole aprire nei prossimi mesi i primi capitoli negoziali. E, soprattutto, deve continuare a difendersi dalle interferenze russe. A partire da quelle tramite cui, con ogni probabilità, il Cremlino tenterà di far deragliare le elezioni parlamentari in programma per il prossimo settembre, ripetendo un copione già andato in scena lo scorso autunno.“La Moldova ha fatto buoni progressi nel suo percorso verso l’Ue“, ha certificato oggi pomeriggio (4 giugno) l’Alta rappresentante Kaja Kallas durante una conferenza stampa congiunta al termine della nona riunione del consiglio d’associazione Ue-Moldova. Nello specifico, ha sottolineato, ci sono stati “progressi impressionanti nel contrasto alla corruzione, nell’avanzamento della riforma giudiziaria e nella tutela dei valori democratici“.Certo, ha concesso, “le riforme rimangono essenziali per mantenere il ritmo”, ma nessuno a Bruxelles o a Chisinau nutre seri dubbi sulle capacità del piccolo Paese balcanico di realizzarle. “La Moldova appartiene all’Europa“, ha scandito il capo della diplomazia comunitaria. Il mese prossimo si terrà il primo summit di alto livello Ue-Moldova, durante il quale si discuterà tra le altre cose di energia, digitale ed istruzione.Da sinistra: il primo ministro moldavo Dorin Recean, l’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas e la commissaria all’Allargamento Marta Kos (foto: Consiglio europeo)La commissaria all’Allargamento, Marta Kos, parla addirittura di “velocità record“, e non esclude che Chisinau possa arrivare ad aprire tutti e 33 i capitoli negoziali entro la fine dell’anno, come vorrebbe il primo ministro moldavo Dorin Recean. Sulla carta, non è impossibile. Secondo gli esperti, Chisinau si muove ad un ritmo doppio rispetto agli altri Paesi candidati e tutto il lavoro tecnico potrebbe essere completato entro la fine del 2027.Per il premier, “l’adesione all’Ue non è più solo un sogno, ma sta avendo luogo di fatto“. La Commissione, come ricordato da Kos, ha già inoltrato agli Stati membri tre relazioni – una sul primo cluster (fondamentali), una sul secondo (mercato interno) e una sul sesto (relazioni esterne) – e si aspetta ora dal Consiglio una decisione sull’apertura dei primi capitoli negoziali “il prima possibile”.Di fatto, Chisinau gode già degli effetti dell’integrazione graduale. Secondo questo approccio, Bruxelles permette ai cittadini dei Paesi candidati di sperimentare in anticipo i benefici dell’adesione all’Ue, prima ancora che entrino effettivamente nel club, estendendo alcune delle politiche interne (soprattutto quelle relative al mercato unico).Great to meet HRVP @kajakallas ahead of the EU–Moldova Association Council & thank for the great support we receive for Moldova’s reform progress,regional security & the EU integration path.Together, we’re building a future rooted in resilience, democracy & a shared EU destiny. pic.twitter.com/jYH7jz8uYq— Dorin Recean (@DorinRecean) June 4, 2025Nel caso della Moldova, sono all’opera almeno tre strumenti di questa strategia: il Piano di crescita da 1,9 miliardi di euro stipulato il mese scorso per sostenere lo sviluppo infrastrutturale (la cui prima tranche dovrebbe arrivare nel giro di qualche settimana), l’estensione allo Stato balcanico dell’area unica per i bonifici in euro – meglio nota con l’acronimo inglese Sepa – e la possibilità di partecipare al fondo Safe da 150 miliardi per il riarmo del Vecchio continente, attraverso l’acquisto congiunto o la produzione di armamenti per i Paesi partecipanti.Ma il percorso verso l’Ue non è tutto rose e fiori, specialmente per chi ha gravitato nell’orbita dell’Unione sovietica. Il Cremlino ha varie armi a sua disposizione per tentare di impedire a nuovi Stati di avvicinarsi all’Ue. Una di queste è il ricatto energetico. Lo scorso inverno, Bruxelles ha messo in campo una strategia biennale per proteggere la sicurezza energetica della Moldova.Inoltre, Chisinau deve proteggersi dalle interferenze russe nei suoi processi democratici, come quelle registrate lo scorso autunno in occasione delle presidenziali, poi vinte dall’europeista Maia Sandu, e del referendum che ha portato all’inclusione in Costituzione dell’obiettivo di aderire all’Ue.La presidente della Moldova, Maia Sandu (foto: Daniel Mihaliescu/Afp)Il prossimo settembre, gli elettori saranno chiamati a rinnovare il Parlamento nazionale. Secondo Kallas, quell’appuntamento con le urne “sarà uno dei bersagli principali della guerra ibrida di Mosca“,  che ricorrerà probabilmente ad “una ragnatela di soldi, contenuti online e coercizione per cercare di influenzare il voto”. Bruxelles offrirà tutto il sostegno possibile a Chisinau, ha assicurato l’ex premier estone: una missione civile e una squadra di esperti per smantellare le reti di finanziamento illecito, nonché un team di contrasto alle minacce ibride. Basterà?A sentire Recean, il Cremlino starebbe puntando a truccare le elezioni per installare a Chisinau un governo fantoccio filorusso che acconsenta all’invio di “10mila soldati” di Mosca in Transnistria. L’obiettivo della Federazione sarebbe quello di provocare una “crisi umanitaria” nella regione secessionista e “usarla contro l’Ucraina e la Romania“.

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    Allargamento, Costa difende la Macedonia (e punzecchia la Bulgaria): “Si metta in pratica quanto pattuito”

    Bruxelles – Il penultimo stop del tour di António Costa nei Balcani occidentali è la Macedonia del nord. Il presidente del Consiglio europeo l’ha visitata stamattina (15 maggio), per ribadire al premier Hristijan Mickoski il proprio impegno personale a portare a termine il processo di adesione di Skopje all’Unione europea. Ma, come sottolineato dal padrone di casa, a bloccare il percorso della piccola nazione verso il club a dodici stelle c’è soprattutto l’ostruzionismo della Bulgaria, rispetto al quale lo stesso Costa è parso insofferente.Con un ritardo di un’ora abbondante (dovuto ad un bilaterale “esteso ma molto costruttivo”), il presidente del Consiglio europeo António Costa e il primo ministro macedone Hristijan Mickoski hanno tenuto una breve conferenza stampa congiunta nella tarda mattinata di oggi. Il socialista portoghese si è congratulato col leader conservatore per “l’eccellente lavoro compiuto dalla Macedonia del nord e dal vostro governo sull’agenda delle riforme” e per i progressi fatti fin qui, a cominciare dall’allineamento con la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione (Pesc).Ora serve “tirare dritto con le riforme” e sfruttare l’opportunità di “concludere investimenti strategici”, ha aggiunto Costa, notando che Skopje e Bruxelles “si stanno già avvicinando” come dimostrato dal partenariato sulla difesa e la sicurezza stipulato lo scorso novembre. Il processo d’adesione “è una maratona, non uno sprint”, ha tuttavia segnalato Costa, esortando il suo interlocutore a “mantenere la rotta” e a tenere duro attraverso un “sentiero che può essere impegnativo“.Il primo ministro della Macedonia del nord, Hristijan Mickoski (foto: Robert Atanasovski/Afp)Una frase profetica, e una nota dolente per il padrone di casa. Il quale non ha perso l’occasione per puntare il dito contro la vicina Bulgaria, che da tempo si è messa di traverso bloccando di fatto il cammino macedone verso l’Unione. “Stiamo camminando lungo il più difficile dei sentieri“, ha ammesso Mickoski, per poi chiedersi se “stiamo realmente camminando” poiché, ha lamentato, “siamo nello stesso punto dove ci trovavamo 20 anni fa“.“Siamo convinti che il futuro dei cittadini macedoni sia all’interno della famiglia europea“, ha detto, rimarcando tuttavia che il suo Paese merita di essere trattato “dignitosamente” sia da candidato sia, eventualmente, da membro dell’Ue. “Abbiamo un problema con la Bulgaria e vogliamo risolverlo“, certifica il premier, “ma è una strada a due corsie” e, sostiene, solo una delle due parti si sta realmente impegnando per fare passi avanti.“Abbiamo fatto molto per entrare in Ue“, ha ribadito Mickoski riferendosi alle varie modifiche apportate nel corso degli anni alla Costituzione, alla bandiera e al nome stesso del Paese, aggiungendo di essere disposto “a sedermi al tavolo, discutere e trovare una soluzione“. Ma per ora, dice, non si vede a Sofia una disponibilità analoga. “Il processo d’integrazione dovrebbe essere guidato dai valori e non dai negoziati bilaterali”, ha concluso, sostenendo di non poter “modificare per l’ennesima volta la Costituzione sapendo che uno Stato membro mette in discussione la nostra identità nazionale“.Da Costa è arrivata una sponda. “Questo processo è durato troppo, ora è il momento dei risultati“, ha concordato, sottolineando che tanto la Macedonia quanto la Bulgaria devono mettere in pratica i contenuti dell’accordo raggiunto nel luglio 2022. Quel patto prevedeva il riconoscimento della minoranza bulgara da parte della Macedonia (che aveva modificato la Carta fondamentale) e la rimozione del veto di Sofia all’accesso di Skopje.Il presidente del Consiglio europeo, António Costa (foto: European Council)Ma il perdurare dell’opposizione bulgara aveva portato, lo scorso autunno, ad un rallentamento dei negoziati di adesione. “Ciò che è stato concordato è stato concordato“, ha tagliato corto il presidente del Consiglio europeo, “e bisogna assicurarsi che nessuno chieda ora qualcosa in più di quanto già pattuito“. Chi doveva intendere, intenda.Quella di Skopje è la quinta tappa del tour balcanico di Costa. Negli scorsi giorni, ha fatto quattro visite in altrettanti Paesi della regione: martedì in Serbia (dove ha incontrato il presidente Aleksandar Vučić, fresco di un viaggio alla corte di Vladimir Putin) e Bosnia-Erzegovina, ieri in Montenegro (per congratularsi dei progressi “impressionanti” di Podgorica verso l’adesione) e a Pristina, la capitale del Kosovo (che pure non è riconosciuto, ad oggi, da cinque Stati membri su 27).La destinazione finale di Costa è Tirana, verso cui si sta dirigendo in queste ore. Lì, l’ex premier portoghese incontrerà domani (16 maggio) i leader di una quarantina di Paesi del Vecchio continente in occasione del sesto summit della Comunità politica europea per discutere di sicurezza, competitività, migrazione e democrazia.

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    Costa in Montenegro: “Progressi impressionanti” verso l’adesione

    Bruxelles – Continua il tour di António Costa nei Balcani occidentali. Dopo aver toccato ieri Serbia e Bosnia-Erzegovina, il presidente del Consiglio europeo visita oggi Montenegro e Kosovo. A Podgorica ha incontrato il presidente della Repubblica, Jakov Milatović, col quale si è congratulato per i progressi sulla strada dell’adesione al club a dodici stelle.Podgorica sta tirando la volata verso l’ingresso in Ue. Parola di António Costa, che stamattina (14 maggio) era in visita nella capitale montenegrina. “Il Montenegro è uno dei migliori esempi dello slancio positivo dell’Ue verso l’allargamento“, ha dichiarato l’ex premier portoghese in una conferenza stampa congiunta accanto al capo di Stato, Jakov Milatović.Podgorica si sta muovendo ad un ritmo “impressionante” con l’implementazione delle riforme pre-adesione, ha osservato Costa, sottolineando in particolare “il pieno allineamento” con la politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, la Pesc, a partire dal sostegno all’Ucraina. Rispetto agli altri Paesi candidati, Montenegro e Albania sono chiaramente in pole position per entrare nell’Unione.Inspiring to see Montenegro’s progress on its European path.Today in Podgorica, I commended President @JakovMilatovic and PM @MickeySpajic on the country’s ambition, hard work and focus to become an EU member.Now is time to make the most of the positive momentum – the pace… pic.twitter.com/dKUg5hPpvy— António Costa (@eucopresident) May 14, 2025Il padrone di casa incassa e rilancia. Il piccolo Paese balcanico è “orgoglioso di essere in testa fra quelli che aspirano all’integrazione europea” e l’obiettivo rimane quello – già ripetuto svariate volte – di “diventare il 28esimo Stato membro nel 2028“. Obiettivo ambizioso ma realizzabile, sostiene Milatović.“Un ottimo slogan”, ha commentato il suo ospite, ma meglio ancora “arrivarci prima”. Costa ha ribadito che tra le condizioni essenziali per entrare nell’Unione c’è il rispetto dell’acquis communautaire (cioè il diritto Ue), nonché la stabilità istituzionale e i buoni rapporti di vicinato, tanto con gli altri Paesi della regione quanto con i Ventisette.Da ieri, il presidente del Consiglio europeo è in viaggio attraverso i sei partner dei Balcani occidentali. Partenza a Belgrado, dove ha incontrato il presidente serbo Aleksandar Vučić (col quale è stato particolarmente morbido, nonostante l’allineamento con la Pesc sia decisamente di altro tenore), e seconda tappa a Sarajevo con i leader della presidenza tripartita della Bosnia-Erzegovina.In queste ore Costa si trova a Pristina, in Kosovo, dove ha in programma un bilaterale con la presidente Vjosa Osmani. Domani si recherà a Skopje, in Macedonia del Nord, per poi chiudere il tour a Tirana, in Albania, dove parteciperà al sesto vertice della Comunità politica europea.

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    Costa incontra Vučić, ma non condanna lo scivolamento di Belgrado verso Mosca

    Bruxelles – L’Ue abbandona il bastone e sceglie la carota con la Serbia di Aleksandar Vučić, nonostante il leader autoritario continui a tenersi in stretti rapporti con Vladimir Putin e a gestire il Paese come un feudo personale. Il presidente del Consiglio europeo António Costa, in visita ufficiale nella capitale, ha mostrato un volto amichevole, incoraggiando lo Stato candidato a proseguire sulla via delle riforme e chiudendo un occhio sulle violazioni dello Stato di diritto.Inizia a Belgrado il tour di António Costa nei Balcani occidentali: tre giorni di incontri nelle cancellerie della regione, che si muovono in ordine sparso (e a velocità diverse) verso l’adesione al club a dodici stelle. Stamattina (13 maggio) è in Serbia, nel pomeriggio si sposterà in Bosnia-Erzegovina; quindi Montenegro, Kosovo, Macedonia del nord e infine Albania, dove venerdì (16 maggio) si terrà il sesto summit della Comunità politica europea.Adesione e riformeIl principale impegno istituzionale di Costa è stato un bilaterale con Aleksandar Vučić, il capo di Stato nazionalista al potere dal 2014 che sta trasformando la democrazia serba in un regime autoritario e sta spostando Belgrado sempre più lontana da Bruxelles e sempre più vicina a Mosca. Le rispettive delegazioni, riunitesi dopo il faccia a faccia tra i leader, si sono confrontate soprattutto sulle relazioni Ue-Serbia nella prospettiva dell’allargamento dell’Unione ai Balcani occidentali, nonché sulle opportunità di cooperazione economica.There is a positive momentum for enlargement and a clear opportunity for Serbia to seize it.During my meetings today in Belgrade with President @avucic, PM Macut @SerbianGov and Parliament speaker @anabrnabic, I stressed the importance of progressing towards EU accession… pic.twitter.com/alm4DhzBGA— António Costa (@eucopresident) May 13, 2025Durante una conferenza stampa congiunta al palazzo presidenziale, i due non hanno lesinato sulle buone maniere e i convenevoli. Costa si è detto compiaciuto di sapere che “l’integrazione nell’Ue rimane una priorità assoluta” del governo serbo e ha lodato la traiettoria di quello che ha definito un “Paese stabile, pacifico e prospero, che ha affrontato l’eredità del passato e ha scelto di abbracciare il suo futuro democratico ed europeo”.Il processo di adesione, ha sottolineato il presidente del Consiglio europeo, non è un’imposizione di Bruxelles ma “una libera scelta di ogni Stato” cui va dato seguito attraverso una serie di azioni concrete. Per tenere fede agli impegni presi, il governo serbo deve ora lavorare alacremente alle riforme. Il terzo cluster dei negoziati verrà aperto quando Belgrado avrà compiuto progressi sufficienti sulla libertà dei media, il contrasto alla corruzione e la riforma della legge elettorale.L’asse Belgrado-Mosca (che imbarazza Bruxelles)Ma c’erano un paio di grossi elefanti nella stanza che ospitava Costa, Vučić e i giornalisti. Il primo è la vicinanza politica del presidente serbo all’omologo russo Vladimir Putin, particolarmente scomoda in questa fase storica. Una relazione tossica che, almeno teoricamente, dovrebbe creare forti imbarazzi al leader di un Paese candidato all’ingresso in Ue ma che, a quanto pare, non scalfisce eccessivamente la prima carica dello Stato balcanico.Non è passata inosservata ai cronisti la partecipazione dell’uomo forte di Belgrado alla parata della vittoria sulla Piazza Rossa a Mosca, lo scorso 9 maggio. Un vero e proprio schiaffo in faccia al capo della diplomazia comunitaria Kaja Kallas, che il mese scorso aveva esortato Stati membri e Paesi candidati a non recarsi alla corte dello zar con un ammonimento scivolato addosso tanto al presidente serbo quanto al premier slovacco Robert Fico.Il presidente russo Vladimir Putin durante le celebrazioni per l’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista, il 9 maggio 2025 a Mosca (foto: Vyacheslav Prokofyev/Sputnik via Afp)Ma Costa ha gettato acqua sul fuoco, sostenendo che la visita di Vučić nella capitale della Federazione fosse unicamente intesa a “celebrare un evento del passato” (cioè gli 80 anni della vittoria sovietica sulla Germania nazista nel 1945), mentre “nel presente la Serbia è pienamente impegnata nel processo di adesione“, come certificato dal suo interlocutore.Affinché questo processo vada in porto, ha rimarcato tuttavia l’ex premier portoghese, Belgrado deve garantire “pieno allineamento” con la politica estera e di sicurezza comune (Pesc) dell’Unione, che passa attraverso la condanna dell’invasione russa dell’Ucraina e il sostegno a Kiev. “Non possiamo celebrare la liberazione di 80 anni fa e non condannare l’invasione di altri Paesi oggi“, ha osservato Costa. Per poi tornare però a tendere la mano a Vučić: “Non abbiamo la stessa visione su tutto”, ha ammesso, ma “l’unico modo per affrontare le divergenze è parlare e capirsi“.Il silenzio sulle proteste antigovernativeIl secondo elefante nella stanza era la gestione di Vučić dello Stato serbo, dove la corruzione dilaga e l’impunità ostacola un vero cambiamento. Da mesi, anziché placarsi continuano a ingrossarsi quelle che potrebbero essere le più grosse proteste antigovernative nel Paese almeno dai tempi della cacciata del leader comunista Slobodan Milošević a inizio millennio, dopo il crollo della Jugoslavia. Manifestazioni oceaniche che l’apparato di sicurezza di Belgrado reprime con la violenza ricorrendo, pare, anche a strumenti banditi dalle convenzioni internazionali come i cosiddetti “cannoni sonici“.Da quando, lo scorso novembre, è crollata una pensilina a Novi Sad uccidendo 15 persone, un’ondata di malcontento popolare ha sconvolto il Paese balcanico minacciando di far traballare la presa di Vučić sul potere. Ad animare le piazze serbe è soprattutto un movimento studentesco motivato e organizzato, che giusto ieri (12 maggio) è arrivato a Bruxelles dopo una maxi-maratona a staffetta di quasi 2mila chilometri per portare di fronte al Berlaymont la protesta – ormai ampiamente trasversale e intergenerazionale – di un popolo che vuole costruire per sé un futuro europeo anziché rimanere un satellite del Cremlino.Manifestanti a Belgrado, il 15 marzo 2025 (foto: Andrej Isakovic/Afp)Su questo aspetto (un punto su cui la stessa Commissione Ue ha iniziato ad alzare la voce negli ultimi tempi), tuttavia, i due leader hanno glissato diplomaticamente. Non una parola sull’erosione dello Stato di diritto o sulla repressione del dissenso, due dinamiche che pure non si sposano troppo bene coi criteri di Copenaghen che i Paesi candidati devono soddisfare per aderire all’Unione.Per ora, Costa preferisce mantenere un tono conciliante. Da quando ha assunto l’incarico di presidente del Consiglio europeo lo scorso dicembre, si è fatto vanto di aver posto al centro dell’attenzione i partner dei Balcani occidentali nell’ottica dell’allargamento del club a dodici stelle. Prima di ripartire alla volta di Sarajevo, l’ex premier portoghese ha incontrato anche il premier Duro Macut e la presidente del Parlamento, Ana Brnabić.

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    Armenia, il Parlamento chiede l’avvio dei negoziati per l’adesione all’Ue

    Bruxelles – Un passo alla volta, Yerevan continua sulla sua strada per avvicinarsi all’Europa. E contemporaneamente allontanarsi dalla Russia. Il Parlamento armeno ha approvato un disegno di legge che impegna il governo ad avviare al più presto i negoziati d’adesione all’Ue. Il prossimo passaggio dovrebbe essere ora un referendum popolare.Nella mattinata di oggi (26 marzo) i deputati dell’ex repubblica sovietica hanno adottato a larga maggioranza – 64 voti a favore e 7 contrari alla seconda lettura – un provvedimento che chiede all’esecutivo di mettere in moto il lungo e complesso processo per diventare uno Stato membro del club a dodici stelle. L’iter era stato messo in moto da una petizione popolare che aveva superato la soglia legale delle 50mila firme, portando il primo ministro Nikol Pashinyan a mettere sul tavolo dell’Aula la questione dell’adesione lo scorso 9 gennaio.Sostenendo che si tratta di una volontà condivisa dalla maggioranza della popolazione, il premier ribadisce da tempo la necessità di portare il Paese caucasico nell’orbita europea, sganciandolo parallelamente da quella di Mosca. Ma non sarà facile recidere il cordone ombelicale che ancora lo lega alla Federazione, soprattutto in termini economici ed energetici, e il Cremlino ha già minacciato ripercussioni se il governo di Yerevan procederà per la sua strada.Il presidente del Consiglio europeo, António Costa (sinistra), e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan (foto: Frederic Sierakowski via Imagoeconomica)L’adozione odierna da parte dell’emiciclo apre le porte alla consultazione referendaria, richiesta dai firmatari della petizione popolare per iniziare formalmente i negoziati con Bruxelles. Ma quello dell’adesione all’Ue è un percorso accidentato e tutto in salita, che può durare anni e non garantisce a priori un esito positivo, come dimostrano le esperienze di Turchia e Georgia, solo per citarne un paio.Due eurodeputati, il socialista lettone Nils Ušakovs e la popolare slovacca Miriam Lexmann, hanno salutato positivamente il voto del Parlamento di Yerevan: “Prendiamo atto di questa decisione e la accogliamo come un’altra chiara espressione del fermo impegno dell’Armenia nei confronti dei nostri valori condivisi e del percorso democratico del Paese”, si legge in un comunicato congiunto. Pashinyan ha già segnalato la volontà di intraprendere al più presto un dialogo con Bruxelles per mettere nero su bianco una roadmap che porti all’adesione attraverso misure concrete come ad esempio la liberalizzazione dei visti.A metà mese, l’Armenia ha trovato un’intesa (provvisoria) col vicino Azerbaigian sulla stipula di un accordo di pace per mettere fine a decenni di relazioni conflittuali, dovute principalmente alla contesa territoriale nel Nagorno-Karabakh.

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    La pro europea Maia Sandu ha vinto al secondo turno le presidenziali in Moldova

    Bruxelles – L’esito finale delle presidenziali moldave regala un sospiro di sollievo alle cancellerie occidentali, con la conferma del capo dello Stato uscente, l’europeista Maia Sandu, per altri quattro anni. Dopo il primo turno dello scorso 20 ottobre, gli elettori hanno premiato nel ballottaggio la presidente della Repubblica in carica, che vuole blindare il percorso di Chisinau verso l’Ue. Secondo le autorità, il voto è stato inquinato per l’ennesima volta dalle interferenze di Mosca. Di sicuro, per l’ennesima volta, c’è che Sandu è stata “salvata” dalla diaspora, mentre in patria avrebbe vinto lo sfidante filorusso.I numeri della sfidaA scrutinio quasi completato (99,86 per cento dei seggi) il quadro che emerge dalle presidenziali moldave di ieri (3 novembre) è chiaro: la presidente uscente Maia Sandu ha vinto il secondo turno con il 55,41 per cento dei consensi, staccando di oltre dieci punti l’ex procuratore generale filorusso Alexandr Stoianoglo, fermo al 44,59 per cento. Il capo dello Stato ha commentato così il responso delle urne: “Moldova, oggi sei vincitrice. Insieme, abbiamo dimostrato la forza della nostra unità, democrazia e impegno per un futuro dignitoso”.Moldova, today you are victorious. Together, we’ve shown the strength of our unity, democracy, and commitment to a dignified future.Thank you, dear Moldovans, at home and abroad. Walk with pride—you are freedom, hope, and resilience. I am proud to serve you all. pic.twitter.com/yGGlrjAMEC— Maia Sandu (@sandumaiamd) November 3, 2024I dati aggregati non restituiscono pienamente la dinamica del voto. Per farsi un’idea più completa occorre considerare la provenienza geografica dei consensi espressi. Nei 1988 collegi in cui è divisa la Moldova, Stoianoglo ha sorpassato Sandu di oltre due punti (51,19 a 48,81 per cento), mentre la presidente in carica ha stravinto il voto dall’estero: con 228 su 231 collegi scrutinati, Sandu si è portata a casa l’82,77 per cento delle preferenze degli expat moldavi, mentre Stoianoglo è rimasto inchiodato al 17,23 per cento. Nella capitale Chisinau, il vantaggio di Sandu sullo sfidante è di una quindicina di punti: 57,38 contro 42,62 per cento.Gioco sporco?Fino alla chiusura delle urne, il ballottaggio si annunciava particolarmente combattuto e il suo esito difficile da prevedere. Sandu, un’ex economista della Banca mondiale candidatasi come indipendente di area del Partito di azione e solidarietà (Pas), la forza di governo liberale ed europeista, aveva ottenuto il 42,5 per cento al primo turno, mentre Stoianoglo si era attestato al 26,5 per cento. Ma quest’ultimo, appoggiato dal Partito dei socialisti (Psrm), filo-russo, aveva ricevuto l’endorsement di diversi altri candidati sconfitti il 20 ottobre.Un altro ostacolo alla riconferma di Sandu, almeno stando alle dichiarazioni delle autorità moldave e della stessa presidente, è stata poi l’ennesima campagna di interferenza orchestrata dalla Russia di Vladimir Putin, che avrebbe preso di mira il processo democratico del Paese balcanico tramite fake news, disinformazione, propaganda e varie forme di coercizione degli elettori, inclusa la minaccia di attacchi ai seggi all’estero. Il segretario di Stato per la sicurezza, Stanislav Secrieru, ha denunciato il trasporto coatto di centinaia di elettori moldavi da parte russa, mentre il premier Dorin Recean ha affermato che diversi cittadini hanno ricevuto “minacce di morte anonime tramite chiamate telefoniche”.Sandu ha parlato di “attacchi senza precedenti” mossi da “forze ostili fuori dal Paese”, e ha accusato lo sfidante (che lei stessa aveva destituito dall’incarico di procuratore generale l’anno scorso) di essere un “cavallo di Troia” putiniano. Stoianoglo ha contrattaccato dipingendosi come l’uomo del dialogo sia con l’Occidente che con la Russia e imputando al capo dello Stato una retorica “divisiva” in un Paese in cui, affianco alla maggioranza romena, abita una nutrita comunità russofona.La partita geopoliticaL’esito del voto è fondamentale per la collocazione internazionale della Moldova e potrebbe anticipare le dinamiche che caratterizzeranno le prossime elezioni legislative, che si terranno entro la prima metà del 2025. Con la riconferma della presidente in carica per un altro mandato di quattro anni, il piccolo Paese balcanico parrebbe essersi ancorato più saldamente nel campo occidentale, ma non è ancora detto che il Pas (al potere dal 2021) riesca a mantenere il controllo del governo il prossimo anno.La stessa Sandu ha dichiarato che l’ingresso nel club europeo sarà l’imperativo strategico più importante della politica estera di Chisinau e che si augura di centrare l’obiettivo entro la fine del decennio. “Entrare nell’Unione europea è il piano Marshall della Moldova”, ha dichiarato, riferendosi al piano di investimenti monstre con cui gli Stati Uniti hanno sostenuto la ricostruzione dell’Europa occidentale nel secondo dopoguerra. Bruxelles ha recentemente adottato un pacchetto di finanziamenti da quasi 2 miliardi di euro per assistere Chisinau nel suo percorso verso l’Ue.L’alternativa, per la piccola repubblica balcanica, è il ritorno nell’orbita del Cremlino. La Moldova è uno degli Stati che costituiscono il cosiddetto spazio post-sovietico: una “cintura” di Paesi che secondo molti analisti Putin vorrebbe mantenere sottoposti alla Federazione Russa al fine di creare una zona cuscinetto in funzione anti-Nato, e che cerca di trattenere tramite interventi più o meno diretti, militari e ibridi. Oltre alle interferenze nei processi elettorali moldavi, Mosca mantiene da decenni delle truppe nella regione separatista della Transnistria, un lembo di terra moldava al confine con l’Ucraina.Bruxelles festeggia SanduEcco perché a Bruxelles la vittoria di Sandu è stata salutata con particolare sollievo. “Ci congratuliamo con le autorità moldave per il successo delle elezioni, nonostante le interferenze senza precedenti della Russia, anche con schemi di compravendita di voti e disinformazione”, si è complimentato l’Alto rappresentante per la politica estera comunitaria Josep Borrell, che ha denunciato i “tentativi ibridi” del Cremlino “di minare le istituzioni democratiche del Paese e il suo percorso nell’Ue”.Lo stesso giorno in cui si è tenuto il primo turno delle presidenziali, i moldavi avevano anche votato in un referendum che li interrogava sull’eventualità di introdurre in Costituzione l’obiettivo di aderire all’Ue. Sandu aveva convocato la consultazione popolare sperando in un plebiscito a favore del “sì”, ma alla fine il fronte europeista ha vinto sul filo del rasoio, sempre grazie al voto della diaspora e della capitale. Anche in quell’occasione erano state denunciate forti ingerenze di Mosca, facilitate da schemi di frodi elettorali ricondotti dagli inquirenti all’oligarca filorusso Ilan Shor.La domanda di adesione moldava risale al marzo 2022 e lo status di candidato è arrivato lo scorso dicembre. A giugno di quest’anno si è tenuta la prima conferenza intergovernativa Ue-Moldova, con cui sono stati formalmente avviati i negoziati per l’ingresso in Ue.

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    Allargamento Ue 3/ Quando Mosca è troppo vicina: gli ostacoli all’adesione di Georgia, Serbia e Turchia

    Bruxelles – Tra i Paesi candidati ad entrare in Unione europea, tre sembrano al momento piuttosto lontani. Si tratta di Georgia, Serbia e Turchia. Ognuno di loro presenta varie criticità su diversi livelli, ma un elemento che accomuna Tbilisi, Belgrado e Ankara è lo scollamento da Bruxelles su un punto fondamentale: la politica estera e di sicurezza. Che, a partire dall’aggressione dell’Ucraina di due anni e mezzo fa, comprende l’imperativo di non allinearsi alla Russia di Vladimir Putin.La Serbia, tallone d’Achille dei BalcaniTra i sei Paesi candidati della regione balcanica, la Serbia (che ha avanzato la sua domanda di adesione nel 2012) è decisamente la più problematica dal punto di vista del disallineamento rispetto alle priorità strategiche della politica estera comunitaria. Nella sua relazione annuale sul progresso del processo di adesione (chiamata anche “pacchetto sull’allargamento“), presentata mercoledì (30 ottobre) dall’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell e dal commissario all’Allargamento e al vicinato Olivér Várhelyi, si legge che “il ritmo dei negoziati” per l’ingresso di Belgrado nel club europeo “continuerà a dipendere dalle riforme sullo Stato di diritto e dalla normalizzazione delle relazioni della Serbia con il Kosovo”.Per quanto riguarda il primo punto, le riforme su cui il Paese balcanico deve concentrare i propri sforzi hanno a che fare soprattutto con la libertà della società civile e dei media e la lotta contro la disinformazione e le interferenze dall’estero. Tradotto: va ridotta l’esposizione alle campagne ibride del Cremlino, che fanno presa in questo Stato più che negli altri della regione.Ma è soprattutto sul difficile rapporto con il Kosovo che si stanno giocando le prospettive europee della Serbia. Belgrado non ha mai riconosciuto l’indipendenza di Pristina (proclamata unilateralmente nel 2008 e riconosciuta da oltre metà degli Stati membri dell’Onu), e il dialogo tra le due nazioni – facilitato dall’Ue – non sta compiendo progressi significativi. Il che è un eufemismo, considerati i momenti di crisi acuta negli ultimi tempi (ad esempio la disputa sulle targhe albanesi sfociata poi nell’episodio di sangue presso il monastero di Banjska nel settembre 2023). Del resto, il governo serbo guidato da Miloš Vučević ha ribadito che intende continuare sulla linea del non-riconoscimento di quella che considera una parte del territorio nazionale.A preoccupare Bruxelles è parallelamente anche la vicinanza di Belgrado a Mosca, un altro problema dell’esecutivo di Vučević (ma anche di quelli precedenti), di cui fanno parte due politici sanzionati dagli Stati Uniti per il loro legame alla Russia di Vladimir Putin: l’ex capo dell’intelligence Aleksandar Vulin e l’imprenditore Nenand Popović. L’esecutivo comunitario sottolinea che la Serbia “non è ancora allineata alle misure restrittive” adottate dall’Ue “contro la Federazione Russa” e altri Paesi come Bielorussia, Corea del Nord e Iran e “non si è allineata alla maggior parte delle dichiarazioni dell’Alto rappresentante” rivolte al Cremlino. Oltre a ciò, continua il rapporto, Belgrado “ha mantenuto relazioni di alto livello” con Mosca e “intensificato” quelle con Pechino, “sollevando dubbi circa la direzione strategica della Serbia”.La Georgia, un Paese in bilicoUn altro Stato candidato che sta pericolosamente pendendo verso Mosca è la Georgia. Nonostante la sua popolazione sia fortemente filo-occidentale, il governo – dal 2012 saldamente nelle mani di Sogno georgiano, il partito-macchina dell’oligarca Bidzina Ivanishvili – ha assunto nel corso dell’ultimo anno posizioni sempre più marcatamente filorusse, forzando peraltro l’approvazione parlamentare di due provvedimenti liberticidi (una legge sugli “agenti stranieri” e una sulla famiglia che discrimina i membri della comunità Lgbtq+) modellati sull’esempio di analoghe norme russe, che sono costati a Tbilisi il congelamento del percorso di avvicinamento all’Ue (avviato nel 2022) e la sospensione dell’erogazione dei fondi comunitari.La situazione non è affatto migliorata con l’ultima tornata elettorale dello scorso sabato (26 ottobre), durante la quale gli osservatori locali e internazionali hanno denunciato una lunga serie di irregolarità e violazioni e che le opposizioni si sono impegnate a non riconoscere, rifiutandosi di insediarsi nel nuovo Parlamento. Secondo la presidente della Repubblica, Salomé Zourabichvili, le elezioni sono state “rubate” ai georgiani da “un’operazione dei servizi segreti russi” e anche a Bruxelles si teme che l’esito del voto possa spingere il piccolo Stato caucasico verso l’orbita di Mosca in maniera irrimediabile.Secondo l’analisi della Commissione europea, “il tasso di allineamento con la politica estera e di sicurezza dell’Ue rimane considerevolmente basso”, anche se Tbilisi ha “cooperato con l’Ue per prevenire la circonvenzione delle sanzioni” comminate alla Federazione Russa. Una cooperazione che potrebbe venir meno nell’immediato futuro.Il limbo eterno della TurchiaRimangono decisamente esigue anche le speranze della Turchia di entrare in Ue: il Paese anatolico ha fatto domanda di adesione nel lontano 1999 ma, per una lunga serie di motivi, non ha mai avuto una prospettiva concreta di far parte del club a dodici stelle e ora la sua pratica è bloccata dal 2018. Tra i maggiori ostacoli ci sono la questione cipriota, le dispute con la Grecia per il controllo di alcuni tratti di mare (e dei sottostanti giacimenti di idrocarburi) nel Mediterraneo orientale, il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali (inclusi quelli delle minoranze e delle donne) e, pure in questo caso, il disallineamento in politica estera tra Ankara e Bruxelles.Sotto la presidenza di Recep Tayyip Erdoğan, la Turchia si è mossa con relativa disinvoltura (i critici direbbero con spregiudicatezza) sulla scena internazionale, instaurando un rapporto ambivalente con la Russia di Putin. Su alcuni fronti di crisi, come quello siriano, i due leader si sono trovati su posizioni opposte, ma i due Paesi sono in realtà strettamente legati da una crescente relazione che investe il piano politico (Ankara starebbe ambendo ad entrare nei Brics, che l’uomo forte di Mosca definisce l’alternativa globale all’Occidente), strategico (dall’Africa all’Ucraina passando per il Caucaso), economico (con uno scambio commerciale in continuo aumento) ed energetico (la Turchia sembra puntare a diventare l’hub per far entrare il gas russo in Europa nell’epoca in cui le sanzioni impediscono agli Stati Ue di rifornirsi direttamente dalla Federazione).L’esecutivo comunitario ribadisce che Ankara “si è rifiutata di allinearsi alle misure restrittive dell’Ue contro la Russia riguardo all’aggressione russa dell’Ucraina”, e suggerisce che la Turchia dovrebbe impegnarsi maggiormente per ridurre la circonvenzione delle sanzioni dei beni diretti verso la Federazione impedendo il “falso transito” di articoli particolarmente sensibili attraverso il proprio territorio. La repubblica anatolica dovrebbe inoltre “cooperare più attivamente con le autorità inquirenti dell’Ue sui casi di falsificazione dell’origine dei beni sanzionati provenienti dalla Russia che entrano illegalmente nel mercato unico” dei Ventisette. Nelle parole di Borrell, l’allineamento tra la politica estera comunitaria e quella turca è “particolarmente basso e in diminuzione”.

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    La Georgia si gioca nelle urne il suo futuro europeo

    Bruxelles – Ha tutto il sapore di un appuntamento con la Storia, quella con la S maiuscola, il voto che si terrà domani (26 ottobre) in Georgia per il rinnovo del Parlamento. I cittadini si recheranno alle urne in un clima di esasperata tensione politica e di crescente repressione del dissenso da parte delle autorità di Tbilisi, che stanno cercando di mantenere il Paese caucasico nella sfera d’influenza di Mosca contro il desiderio della maggioranza della popolazione di avvicinarsi all’Unione europea. Il partito al potere, Sogno georgiano, farà di tutto per mantenere la presa sullo Stato, che tiene ormai in mano da oltre un decennio.Le forze in campoAll’appuntamento elettorale di domani si presentano due campi contrapposti. Da un lato, il partito di governo, Sogno georgiano, che esprime l’attuale primo ministro Irakli Kobakhidze. È stato fondato nel 2012 dall’oligarca Bidzina Ivanishvili in opposizione al Movimento nazionale unito (Enm), allora al governo: dalle elezioni di quell’anno, il partito di Ivanishvili è rimasto saldamente al potere e ha infiltrato progressivamente le strutture statali (come avvenuto, in Ue, nell’Ungheria di Viktor Orbán).Il partito, nel frattempo, si è trasformato sempre più in una macchina per il mantenimento del potere personale dell’oligarca (tra i più ricchi del mondo), che di fatto tiene in pugno il Paese da due decenni nel corso dei quali si è gradualmente spostato su posizioni sempre più filorusse, soprattutto a partire dall’invasione dell’Ucraina del febbraio 2022. Alle precedenti elezioni politiche, Sogno georgiano ha conquistato 90 dei 150 seggi del Parlamento monocamerale nazionale, dove la maggioranza è fissata a 76.Dall’altro lato, le forze dell’opposizione (la più grande delle quali rimane l’Enm) non sono state in grado di dare vita ad una larga coalizione elettorale, creando invece diverse alleanze dal perimetro più circoscritto nella speranza di intercettare più efficacemente il discontento delle differenti fasce della popolazione. La presidente della Repubblica, l’europeista Salomé Zourabichvili, aveva lanciato lo scorso maggio un appello alle forze democratiche pro-Ue per la sottoscrizione di una “Carta georgiana” nella quale mettere nero su bianco il proprio impegno a rimettere il Paese sulla strada verso Bruxelles.Il clima pre-elettoraleLa campagna elettorale è stata estremamente polarizzata. Il partito di governo ha messo in campo una strategia di comunicazione particolarmente aggressiva, in cui ha affiancato alcune fotografie delle devastazioni provocate dalla guerra in corso in Ucraina e immagini della vita “pacifica” in Georgia, alludendo al fatto che una vittoria delle forze europeiste rischierebbe di trascinare il Paese in un conflitto militare con Mosca.Lo slogan di Sogno georgiano, che nei suoi poster elettorali affianca alla bandiera nazionale quella con le dodici stelle dell’Ue, è “Sì all’Unione europea, ma con dignità”. Ma per tutti gli osservatori, in caso di vittoria l’adesione al club europeo (un obiettivo inserito nella Costituzione nel 2018) verrà portato avanti solo nominalmente, e con ogni probabilità finirà definitivamente in naftalina.La tensione politica nel frattempo è aumentata a dismisura. Le proteste oceaniche dei cittadini (la cui ampia maggioranza è favorevole ad entrare nell’Unione) lambiscono la capitale Tbilisi da almeno due anni, con il picco della violenza raggiunto la scorsa estate dopo l’approvazione definitiva della controversa “legge sugli agenti stranieri”, che costringe tutte le organizzazioni che ricevano almeno un quinto dei propri finanziamenti dall’estero a registrarsi come “agenti di una potenza straniera”. Tra le altre cose, Sogno georgiano ha promesso di bandire tutti i partiti d’opposizione se vincerà nuovamente le elezioni.Si sono moltiplicati anche gli episodi di aggressioni e intimidazioni ai rappresentanti delle opposizioni e agli attivisti anti-governativi, ma anche di arresti arbitrari e raid nelle abitazioni private di giornalisti, ricercatori e altre voci indipendenti del Paese in un giro di vite contro il dissenso imposto dal governo e portato avanti dalle forze dell’ordine e dagli apparati di sicurezza. Crescono così i timori per l’integrità del processo elettorale, a monitoraggio del quale la Commissione europea ha tuttavia annunciato di non aver inviato osservatori, accontentandosi di quelli già presenti in loco e delle delegazioni diplomatiche dell’Unione e degli Stati membri.Un esito incertoNon è facile prevedere con precisione l’esito del voto di domani: i sondaggi variano sensibilmente a seconda che a emetterli siano entità vicine all’area governativa o all’opposizione. La maggior parte degli osservatori internazionali sembrano concordare sul fatto che il partito-macchina attualmente al potere uscirà nuovamente vincitore dalle urne, ma la vera domanda è con quanto vantaggio rispetto agli avversari: la forchetta va dal 30 al 60 per cento dei consensi, in base alle diverse proiezioni.Probabilmente Sogno georgiano non avrà i numeri sufficienti a governare da solo (tantomeno con la supermaggioranza richiesta per modificare la Costituzione): in quel caso, potrebbe cercare l’appoggio di altre formazioni minori per mantenere comunque il potere, da aggiungere ai seggi che otterrà dalla ridistribuzione dei voti delle liste che non supereranno la soglia di sbarramento del cinque per cento. Ma tutti gli altri partiti si sono impegnati, almeno teoricamente, a non entrare in alleanze post-elettorali con il partito di Ivanishvili: se manterranno la promessa potrebbe dunque essere a loro portata un governo di coalizione.Tal coalizione sarebbe però talmente ampia da risultare probabilmente instabile. Non sono pochi infatti i dubbi sulla coesione di un’eventuale alleanza delle opposizioni che, come detto, non si presenteranno alle urne in un fronte unitario, anche se hanno concordato di lasciare alla presidente Zourabichvili la facoltà di nominare, se del caso, un candidato per la guida del governo. Il capo dello Stato, da parte sua, ha ventilato la possibilità di aprire i negoziati di adesione all’Ue già la prossima estate nel caso in cui le opposizioni andassero governo.Ad ogni modo, uno dei rischi maggiori potrebbe essere quello per cui la parte sconfitta – qualunque essa sia – rifiuti di concedere la vittoria agli avversari. Per Sogno georgiano, non mantenere il governo significherebbe perdere il controllo sulle istituzioni statali e andare incontro a una stagione di epurazioni, come accaduto in Polonia dopo il cambio della guardia tra il PiS e la coalizione guidata da Donald Tusk. Per evitare un esito simile, non si può escludere che il partito di Ivanishvili tenti un colpo di mano, con tutte le imprevedibili conseguenze del caso. Viceversa, anche una sconfitta delle opposizioni acuirebbe le tensioni sociali, gettando il Paese in un caos ancora peggiore di quello visto finora.La battaglia tra Russia e OccidenteUna Georgia divisa, del resto, è esattamente quello che fa comodo al presidente russo Vladimir Putin, che sulla frammentazione del cosiddetto spazio post-sovietico – e l’allontanamento dei Paesi che ne fanno parte (soprattutto Armenia, Azerbaigian, Moldova e Ucraina) dall’Occidente, cioè dall’Ue e dalla Nato – ha incentrato la sua strategia di politica estera. Le truppe di Mosca sono presenti in Abcasia e Ossezia del sud, due repubbliche autoproclamatesi indipendenti da Tbilisi in seguito alla dissoluzione dell’Urss, e dopo l’invasione del 2008 non se ne sono mai andate.Dall’altra parte, la Georgia ha fatto domanda per entrare in Ue nel marzo 2022 e ha ricevuto lo status di Paese candidato lo scorso dicembre. Ma da allora il suo cammino è stato de facto congelato. A Bruxelles non sono andate giù le leggi approvate dal Parlamento georgiano nell’ultimo anno e mezzo – proprio quelle che hanno innescato le proteste popolari più partecipate degli ultimi trent’anni – e il progressivo deterioramento dello Stato di diritto, tanto che sono stati sospesi i finanziamenti comunitari a Tbilisi.Il questo clima e con questo contesto l’Europa teme le ingerenze della Russia e i suoi tentativi di influenzare il voto e il suo esito. A Bruxelles si teme che la promessa di ingresso in Europa a Tblisi non sia più così attraente rispetto a quello che potrebbe mettere sul piatto, o promettere, Mosca, che sul Paese ha interessi non solo economici.