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    Allargamento Ue 3/ Quando Mosca è troppo vicina: gli ostacoli all’adesione di Georgia, Serbia e Turchia

    Bruxelles – Tra i Paesi candidati ad entrare in Unione europea, tre sembrano al momento piuttosto lontani. Si tratta di Georgia, Serbia e Turchia. Ognuno di loro presenta varie criticità su diversi livelli, ma un elemento che accomuna Tbilisi, Belgrado e Ankara è lo scollamento da Bruxelles su un punto fondamentale: la politica estera e di sicurezza. Che, a partire dall’aggressione dell’Ucraina di due anni e mezzo fa, comprende l’imperativo di non allinearsi alla Russia di Vladimir Putin.La Serbia, tallone d’Achille dei BalcaniTra i sei Paesi candidati della regione balcanica, la Serbia (che ha avanzato la sua domanda di adesione nel 2012) è decisamente la più problematica dal punto di vista del disallineamento rispetto alle priorità strategiche della politica estera comunitaria. Nella sua relazione annuale sul progresso del processo di adesione (chiamata anche “pacchetto sull’allargamento“), presentata mercoledì (30 ottobre) dall’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell e dal commissario all’Allargamento e al vicinato Olivér Várhelyi, si legge che “il ritmo dei negoziati” per l’ingresso di Belgrado nel club europeo “continuerà a dipendere dalle riforme sullo Stato di diritto e dalla normalizzazione delle relazioni della Serbia con il Kosovo”.Per quanto riguarda il primo punto, le riforme su cui il Paese balcanico deve concentrare i propri sforzi hanno a che fare soprattutto con la libertà della società civile e dei media e la lotta contro la disinformazione e le interferenze dall’estero. Tradotto: va ridotta l’esposizione alle campagne ibride del Cremlino, che fanno presa in questo Stato più che negli altri della regione.Ma è soprattutto sul difficile rapporto con il Kosovo che si stanno giocando le prospettive europee della Serbia. Belgrado non ha mai riconosciuto l’indipendenza di Pristina (proclamata unilateralmente nel 2008 e riconosciuta da oltre metà degli Stati membri dell’Onu), e il dialogo tra le due nazioni – facilitato dall’Ue – non sta compiendo progressi significativi. Il che è un eufemismo, considerati i momenti di crisi acuta negli ultimi tempi (ad esempio la disputa sulle targhe albanesi sfociata poi nell’episodio di sangue presso il monastero di Banjska nel settembre 2023). Del resto, il governo serbo guidato da Miloš Vučević ha ribadito che intende continuare sulla linea del non-riconoscimento di quella che considera una parte del territorio nazionale.A preoccupare Bruxelles è parallelamente anche la vicinanza di Belgrado a Mosca, un altro problema dell’esecutivo di Vučević (ma anche di quelli precedenti), di cui fanno parte due politici sanzionati dagli Stati Uniti per il loro legame alla Russia di Vladimir Putin: l’ex capo dell’intelligence Aleksandar Vulin e l’imprenditore Nenand Popović. L’esecutivo comunitario sottolinea che la Serbia “non è ancora allineata alle misure restrittive” adottate dall’Ue “contro la Federazione Russa” e altri Paesi come Bielorussia, Corea del Nord e Iran e “non si è allineata alla maggior parte delle dichiarazioni dell’Alto rappresentante” rivolte al Cremlino. Oltre a ciò, continua il rapporto, Belgrado “ha mantenuto relazioni di alto livello” con Mosca e “intensificato” quelle con Pechino, “sollevando dubbi circa la direzione strategica della Serbia”.La Georgia, un Paese in bilicoUn altro Stato candidato che sta pericolosamente pendendo verso Mosca è la Georgia. Nonostante la sua popolazione sia fortemente filo-occidentale, il governo – dal 2012 saldamente nelle mani di Sogno georgiano, il partito-macchina dell’oligarca Bidzina Ivanishvili – ha assunto nel corso dell’ultimo anno posizioni sempre più marcatamente filorusse, forzando peraltro l’approvazione parlamentare di due provvedimenti liberticidi (una legge sugli “agenti stranieri” e una sulla famiglia che discrimina i membri della comunità Lgbtq+) modellati sull’esempio di analoghe norme russe, che sono costati a Tbilisi il congelamento del percorso di avvicinamento all’Ue (avviato nel 2022) e la sospensione dell’erogazione dei fondi comunitari.La situazione non è affatto migliorata con l’ultima tornata elettorale dello scorso sabato (26 ottobre), durante la quale gli osservatori locali e internazionali hanno denunciato una lunga serie di irregolarità e violazioni e che le opposizioni si sono impegnate a non riconoscere, rifiutandosi di insediarsi nel nuovo Parlamento. Secondo la presidente della Repubblica, Salomé Zourabichvili, le elezioni sono state “rubate” ai georgiani da “un’operazione dei servizi segreti russi” e anche a Bruxelles si teme che l’esito del voto possa spingere il piccolo Stato caucasico verso l’orbita di Mosca in maniera irrimediabile.Secondo l’analisi della Commissione europea, “il tasso di allineamento con la politica estera e di sicurezza dell’Ue rimane considerevolmente basso”, anche se Tbilisi ha “cooperato con l’Ue per prevenire la circonvenzione delle sanzioni” comminate alla Federazione Russa. Una cooperazione che potrebbe venir meno nell’immediato futuro.Il limbo eterno della TurchiaRimangono decisamente esigue anche le speranze della Turchia di entrare in Ue: il Paese anatolico ha fatto domanda di adesione nel lontano 1999 ma, per una lunga serie di motivi, non ha mai avuto una prospettiva concreta di far parte del club a dodici stelle e ora la sua pratica è bloccata dal 2018. Tra i maggiori ostacoli ci sono la questione cipriota, le dispute con la Grecia per il controllo di alcuni tratti di mare (e dei sottostanti giacimenti di idrocarburi) nel Mediterraneo orientale, il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali (inclusi quelli delle minoranze e delle donne) e, pure in questo caso, il disallineamento in politica estera tra Ankara e Bruxelles.Sotto la presidenza di Recep Tayyip Erdoğan, la Turchia si è mossa con relativa disinvoltura (i critici direbbero con spregiudicatezza) sulla scena internazionale, instaurando un rapporto ambivalente con la Russia di Putin. Su alcuni fronti di crisi, come quello siriano, i due leader si sono trovati su posizioni opposte, ma i due Paesi sono in realtà strettamente legati da una crescente relazione che investe il piano politico (Ankara starebbe ambendo ad entrare nei Brics, che l’uomo forte di Mosca definisce l’alternativa globale all’Occidente), strategico (dall’Africa all’Ucraina passando per il Caucaso), economico (con uno scambio commerciale in continuo aumento) ed energetico (la Turchia sembra puntare a diventare l’hub per far entrare il gas russo in Europa nell’epoca in cui le sanzioni impediscono agli Stati Ue di rifornirsi direttamente dalla Federazione).L’esecutivo comunitario ribadisce che Ankara “si è rifiutata di allinearsi alle misure restrittive dell’Ue contro la Russia riguardo all’aggressione russa dell’Ucraina”, e suggerisce che la Turchia dovrebbe impegnarsi maggiormente per ridurre la circonvenzione delle sanzioni dei beni diretti verso la Federazione impedendo il “falso transito” di articoli particolarmente sensibili attraverso il proprio territorio. La repubblica anatolica dovrebbe inoltre “cooperare più attivamente con le autorità inquirenti dell’Ue sui casi di falsificazione dell’origine dei beni sanzionati provenienti dalla Russia che entrano illegalmente nel mercato unico” dei Ventisette. Nelle parole di Borrell, l’allineamento tra la politica estera comunitaria e quella turca è “particolarmente basso e in diminuzione”.

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    La Georgia si gioca nelle urne il suo futuro europeo

    Bruxelles – Ha tutto il sapore di un appuntamento con la Storia, quella con la S maiuscola, il voto che si terrà domani (26 ottobre) in Georgia per il rinnovo del Parlamento. I cittadini si recheranno alle urne in un clima di esasperata tensione politica e di crescente repressione del dissenso da parte delle autorità di Tbilisi, che stanno cercando di mantenere il Paese caucasico nella sfera d’influenza di Mosca contro il desiderio della maggioranza della popolazione di avvicinarsi all’Unione europea. Il partito al potere, Sogno georgiano, farà di tutto per mantenere la presa sullo Stato, che tiene ormai in mano da oltre un decennio.Le forze in campoAll’appuntamento elettorale di domani si presentano due campi contrapposti. Da un lato, il partito di governo, Sogno georgiano, che esprime l’attuale primo ministro Irakli Kobakhidze. È stato fondato nel 2012 dall’oligarca Bidzina Ivanishvili in opposizione al Movimento nazionale unito (Enm), allora al governo: dalle elezioni di quell’anno, il partito di Ivanishvili è rimasto saldamente al potere e ha infiltrato progressivamente le strutture statali (come avvenuto, in Ue, nell’Ungheria di Viktor Orbán).Il partito, nel frattempo, si è trasformato sempre più in una macchina per il mantenimento del potere personale dell’oligarca (tra i più ricchi del mondo), che di fatto tiene in pugno il Paese da due decenni nel corso dei quali si è gradualmente spostato su posizioni sempre più filorusse, soprattutto a partire dall’invasione dell’Ucraina del febbraio 2022. Alle precedenti elezioni politiche, Sogno georgiano ha conquistato 90 dei 150 seggi del Parlamento monocamerale nazionale, dove la maggioranza è fissata a 76.Dall’altro lato, le forze dell’opposizione (la più grande delle quali rimane l’Enm) non sono state in grado di dare vita ad una larga coalizione elettorale, creando invece diverse alleanze dal perimetro più circoscritto nella speranza di intercettare più efficacemente il discontento delle differenti fasce della popolazione. La presidente della Repubblica, l’europeista Salomé Zourabichvili, aveva lanciato lo scorso maggio un appello alle forze democratiche pro-Ue per la sottoscrizione di una “Carta georgiana” nella quale mettere nero su bianco il proprio impegno a rimettere il Paese sulla strada verso Bruxelles.Il clima pre-elettoraleLa campagna elettorale è stata estremamente polarizzata. Il partito di governo ha messo in campo una strategia di comunicazione particolarmente aggressiva, in cui ha affiancato alcune fotografie delle devastazioni provocate dalla guerra in corso in Ucraina e immagini della vita “pacifica” in Georgia, alludendo al fatto che una vittoria delle forze europeiste rischierebbe di trascinare il Paese in un conflitto militare con Mosca.Lo slogan di Sogno georgiano, che nei suoi poster elettorali affianca alla bandiera nazionale quella con le dodici stelle dell’Ue, è “Sì all’Unione europea, ma con dignità”. Ma per tutti gli osservatori, in caso di vittoria l’adesione al club europeo (un obiettivo inserito nella Costituzione nel 2018) verrà portato avanti solo nominalmente, e con ogni probabilità finirà definitivamente in naftalina.La tensione politica nel frattempo è aumentata a dismisura. Le proteste oceaniche dei cittadini (la cui ampia maggioranza è favorevole ad entrare nell’Unione) lambiscono la capitale Tbilisi da almeno due anni, con il picco della violenza raggiunto la scorsa estate dopo l’approvazione definitiva della controversa “legge sugli agenti stranieri”, che costringe tutte le organizzazioni che ricevano almeno un quinto dei propri finanziamenti dall’estero a registrarsi come “agenti di una potenza straniera”. Tra le altre cose, Sogno georgiano ha promesso di bandire tutti i partiti d’opposizione se vincerà nuovamente le elezioni.Si sono moltiplicati anche gli episodi di aggressioni e intimidazioni ai rappresentanti delle opposizioni e agli attivisti anti-governativi, ma anche di arresti arbitrari e raid nelle abitazioni private di giornalisti, ricercatori e altre voci indipendenti del Paese in un giro di vite contro il dissenso imposto dal governo e portato avanti dalle forze dell’ordine e dagli apparati di sicurezza. Crescono così i timori per l’integrità del processo elettorale, a monitoraggio del quale la Commissione europea ha tuttavia annunciato di non aver inviato osservatori, accontentandosi di quelli già presenti in loco e delle delegazioni diplomatiche dell’Unione e degli Stati membri.Un esito incertoNon è facile prevedere con precisione l’esito del voto di domani: i sondaggi variano sensibilmente a seconda che a emetterli siano entità vicine all’area governativa o all’opposizione. La maggior parte degli osservatori internazionali sembrano concordare sul fatto che il partito-macchina attualmente al potere uscirà nuovamente vincitore dalle urne, ma la vera domanda è con quanto vantaggio rispetto agli avversari: la forchetta va dal 30 al 60 per cento dei consensi, in base alle diverse proiezioni.Probabilmente Sogno georgiano non avrà i numeri sufficienti a governare da solo (tantomeno con la supermaggioranza richiesta per modificare la Costituzione): in quel caso, potrebbe cercare l’appoggio di altre formazioni minori per mantenere comunque il potere, da aggiungere ai seggi che otterrà dalla ridistribuzione dei voti delle liste che non supereranno la soglia di sbarramento del cinque per cento. Ma tutti gli altri partiti si sono impegnati, almeno teoricamente, a non entrare in alleanze post-elettorali con il partito di Ivanishvili: se manterranno la promessa potrebbe dunque essere a loro portata un governo di coalizione.Tal coalizione sarebbe però talmente ampia da risultare probabilmente instabile. Non sono pochi infatti i dubbi sulla coesione di un’eventuale alleanza delle opposizioni che, come detto, non si presenteranno alle urne in un fronte unitario, anche se hanno concordato di lasciare alla presidente Zourabichvili la facoltà di nominare, se del caso, un candidato per la guida del governo. Il capo dello Stato, da parte sua, ha ventilato la possibilità di aprire i negoziati di adesione all’Ue già la prossima estate nel caso in cui le opposizioni andassero governo.Ad ogni modo, uno dei rischi maggiori potrebbe essere quello per cui la parte sconfitta – qualunque essa sia – rifiuti di concedere la vittoria agli avversari. Per Sogno georgiano, non mantenere il governo significherebbe perdere il controllo sulle istituzioni statali e andare incontro a una stagione di epurazioni, come accaduto in Polonia dopo il cambio della guardia tra il PiS e la coalizione guidata da Donald Tusk. Per evitare un esito simile, non si può escludere che il partito di Ivanishvili tenti un colpo di mano, con tutte le imprevedibili conseguenze del caso. Viceversa, anche una sconfitta delle opposizioni acuirebbe le tensioni sociali, gettando il Paese in un caos ancora peggiore di quello visto finora.La battaglia tra Russia e OccidenteUna Georgia divisa, del resto, è esattamente quello che fa comodo al presidente russo Vladimir Putin, che sulla frammentazione del cosiddetto spazio post-sovietico – e l’allontanamento dei Paesi che ne fanno parte (soprattutto Armenia, Azerbaigian, Moldova e Ucraina) dall’Occidente, cioè dall’Ue e dalla Nato – ha incentrato la sua strategia di politica estera. Le truppe di Mosca sono presenti in Abcasia e Ossezia del sud, due repubbliche autoproclamatesi indipendenti da Tbilisi in seguito alla dissoluzione dell’Urss, e dopo l’invasione del 2008 non se ne sono mai andate.Dall’altra parte, la Georgia ha fatto domanda per entrare in Ue nel marzo 2022 e ha ricevuto lo status di Paese candidato lo scorso dicembre. Ma da allora il suo cammino è stato de facto congelato. A Bruxelles non sono andate giù le leggi approvate dal Parlamento georgiano nell’ultimo anno e mezzo – proprio quelle che hanno innescato le proteste popolari più partecipate degli ultimi trent’anni – e il progressivo deterioramento dello Stato di diritto, tanto che sono stati sospesi i finanziamenti comunitari a Tbilisi.Il questo clima e con questo contesto l’Europa teme le ingerenze della Russia e i suoi tentativi di influenzare il voto e il suo esito. A Bruxelles si teme che la promessa di ingresso in Europa a Tblisi non sia più così attraente rispetto a quello che potrebbe mettere sul piatto, o promettere, Mosca, che sul Paese ha interessi non solo economici.

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    “Non perdiamo lo slancio”: al Cese si discute di come preparare l’allargamento

    Bruxelles – La nuova Commissione europea dev’essere la “Commissione dell’allargamento”. È questo, in sintesi, uno dei principali messaggi che emergono dalla plenaria del Comitato economico e sociale europeo (Cese) a Bruxelles, dove tra gli ospiti spicca, oltre al presidente Oliver Röpke, il commissario uscente agli Affari sociali Nicolas Schmit. E mentre il capo dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen continua il suo tour nei Balcani occidentali, nella capitale Ue i rappresentanti della società civile sottolineano l’importanza del coinvolgimento delle parti sociali dei Paesi candidati per preparare al meglio l’adesione.Il dibattito al CeseSono settimane intense per i nove Stati insigniti dello status di candidati all’ingresso in Ue (Albania, Georgia, Kosovo, Macedonia del nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina), e soprattutto per i cinque nei Balcani occidentali che giusto ieri si sono visti sbloccare l’esborso della prima tranche di fondi nel quadro del Piano per la crescita ideato da Bruxelles.Oggi (24 ottobre) nella capitale europea il Cese ospita il Forum di alto livello sull’allargamento, nel secondo giorno della sua 591esima plenaria, con una serie di ospiti d’onore tra cui il commissario Schmit, il suo collega titolare dell’Allargamento Olivér Várhelyi (che ha inviato un messaggio pre-registrato) e una serie di ministri con deleghe al Lavoro e agli Affari sociali: la greca Niki Kerameus e il tedesco Rolf Schmachtenberg in rappresentanza degli Stati membri dell’Unione e, in quota Paesi candidati, la montenegrina Naida Nišić e l’albanese Olta Majani.Il fulcro dei dibattiti, che si sono inoltrati nel pomeriggio con tre sessioni tematiche, è ruotato intorno alla partecipazione attiva della società civile nel preparare la strada all’adesione degli Stati candidati all’ingresso. Si tratta di un tema su cui il Cese sta insistendo da tempo: l’idea, in sostanza, è di permettere a questi Paesi di predisporre in anticipo – cioè prima dell’adesione formale al club europeo – le strutture democratiche, socio-economiche e culturali che si riveleranno fondamentali per la vita nell’Unione. E così, per la prima volta, oltre 140 rappresentanti della società civile dagli Stati in questione sono stati accolti ad una sessione plenaria dell’istituzione, nel contesto dell’iniziativa pilota Enlargement candidate members (Ecm).Allargamento dal bassoNelle parole di Röpke, è un modo “per fare in modo che l’allargamento sia un successo per tutti”: per i nuovi arrivati e per i membri esistenti, “e per renderlo quanto più inclusivo e partecipato possibile” tramite lo sforzo per “costruire un ponte tra la società civile e il policy-making europeo”. “Non si tratta di espandere l’Ue“, ha spiegato, “ma di preparare i futuri Stati membri a partecipare attivamente nel plasmare l’Unione, assicurandoci che siano pienamente equipaggiati per fronteggiare le sfide che ci aspettano“. Sulla stessa linea anche Schmit: “L’allargamento riguarda il coinvolgimento dei popoli e delle società, nei Paesi candidati come negli Stati membri”, ha dichiarato in un punto stampa ai margini del Forum, sottolineando l’importanza di “avvicinare la società civile e le parti sociali dei Paesi candidati ai processi politici e decisionali dell’Ue”.Una “integrazione graduale” che parta dal basso, insomma. Ad esempio, un punto fondamentale affrontato durante il convegno riguarda i mercati del lavoro nazionali dei Paesi candidati, che vanno progressivamente armonizzati con quelli degli Stati membri: si tratta di un lavoro tanto complesso quanto importante, perché, come ricordato da tutti gli ospiti, l’obiettivo della prosperità economica all’interno del mercato unico a dodici stelle deve andare di pari passo con la protezione sociale e la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori.Chiaramente, non c’è un calendario predefinito per l’allargamento: alcuni Paesi si sono dati unilateralmente un obiettivo specifico (ad esempio l’Albania ha fissato il 2030 come obiettivo per l’adesione, e la viceministra Manjani ha assicurato che “entrare nell’Ue è il sogno degli albanesi fin dagli anni Novanta”), ma è fondamentale mantenere un forte impegno e offrire “segnali chiari” alle opinioni pubbliche in questione perché percepiscano concretamente i benefici dell’appartenenza all’Unione, ancora prima di entrare ufficialmente nel club a dodici stelle. “C’è bisogno di storie di successo”, ha sottolineato il presidente del Cese, “e i Paesi che ottengono successi vanno ricompensati” con effettivi avanzamenti nel loro percorso di avvicinamento a Bruxelles.La dimensione geopoliticaMa, ha avvertito Schmit, “l’allargamento dev’essere un successo anche per ragioni geopolitiche”: come dimostrato dalle recenti elezioni moldave (dove, ha assicurato Röpke, la disinformazione ha raggiunto livelli inauditi) ma anche dalla situazione in Ucraina e in Georgia, Mosca ha tutto l’interesse a destabilizzare l’area tra i suoi confini e quelli dell’Ue per impedire che altri Paesi imbocchino la traiettoria europea (“l’unica possibile per noi”, secondo la ministra montenegrina Nišić). “I tempi sono cambiati”, ha scandito il commissario uscente, e “nuove divisioni stanno emergendo in Europa” decenni dopo la dissoluzione della Cortina di ferro: la sfida, di fronte alla “fatica dell’allargamento che la Russia sta sfruttando” è quella di “mantenere il messaggio positivo” dei benefici dell’ingresso nella famiglia europea, di “mantenere lo slancio e mostrare a questi Paesi che l’Europa porta a termine i propri impegni”.È anche questo, del resto, il senso del nuovo Piano per la crescita che, con una dotazione di 6 miliardi di euro, mira a stimolare le economie dei Balcani occidentali con investimenti mirati (ad esempio sulla produzione energetica da fonti rinnovabili e sulla mobilità sostenibile) che puntano alla convergenza socio-economica degli Stati della regione con il resto dell’Ue. Come ribadito dalla stessa von der Leyen, che nella seconda tappa del suo tour balcanico ha toccato Skopje.Parlando ai giornalisti accanto al primo ministro Hristijan Mickoski, la presidente della Commissione ha dichiarato che l’obiettivo di Bruxelles è “aprire i negoziati sul cluster dei capitoli fondamentali al più presto”, non appena la Macedonia del nord avrà apportato le modifiche alla sua Costituzione richieste dai Ventisette circa la protezione della minoranza linguistica bulgara. Il premier ha detto di aspettarsi “sforzi condivisi, cooperazione , dialogo e comprensione reciproca” dai partner europei.Il cammino di Skopje verso l’Ue è tuttavia stato rallentato recentemente da alcuni passi falsi, culminati con la vittoria alle elezioni dello scorso maggio del partito conservatore Vmro-Dpmne di Mickoski, la cui retorica nazionalista ha reso più tesi i rapporti con Sofia e Atene. Fino a quando Bruxelles ha deciso il mese scorso di spacchettare il percorso di adesione della Macedonia del nord da quello dell’Albania, che sta ora procedendo più spedita rispetto al proprio vicino orientale.

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    Von der Leyen annuncia l’esborso di 6 miliardi di euro per i Balcani occidentali

    Bruxelles – Comincia dall’Albania la visita di Ursula von der Leyen nei Balcani occidentali, che da mercoledì (23 ottobre) durerà fino a sabato (26 ottobre). Ad accoglierla il premier Edi Rama, con il quale la presidente dell’esecutivo comunitario ha lodato i progressi di Tirana nel suo percorso di avvicinamento all’Ue, che potrebbe essere più veloce di quello degli altri partner regionali.Nonostante il controverso accordo stipulato con l’Italia per l’esternalizzazione della gestione delle procedure d’asilo sia finito al centro della bufera giudiziaria nostrana e dello scontro politico europeo, il premier albanese Edi Rama può comunque presentarsi alla propria opinione pubblica rivendicando un altro successo. Vale a dire l’inizio del processo di adesione all’Ue, avviato ufficialmente lo scorso 15 ottobre con l’apertura del primo cluster sui capitoli fondamentali.A sentire von der Leyen, che ha partecipato ad una conferenza stampa congiunta con il capo dell’esecutivo albanese al termine del loro bilaterale, “potremmo aprire tutti i cluster (dei negoziati, ndr) entro la fine dell’anno prossimo”, anche se ha ammesso che, più che fissare scadenze rigide, è importante portare a termine le riforme propedeutiche all’adesione. “La prossima settimana avremo il rapporto sullo stato dell’arte dell’allargamento”, ha aggiunto, sottolineando che “i risultati dell’Albania sono eccellenti”, come certificato anche dal Comitato economico e sociale europeo.Oggi (23 ottobre) è arrivata anche l’approvazione, da parte della Commissione, delle agende di riforme nazionali da cui dipende l’esborso dei 6 miliardi di euro del Piano per la crescita dei Balcani occidentali elaborato da Bruxelles per stimolare l’economia e promuovere la convergenza dei sei partner dell’area (Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia del nord, Montenegro e Serbia), come promesso lo scorso 14 ottobre al summit di Berlino dalla stessa von der Leyen.Rama ha ribadito di fronte ai giornalisti l’impegno del suo Paese verso l’ingresso nel club a dodici stelle: “Noi albanesi siamo divisi su quasi ogni argomento”, ha detto di fronte ai giornalisti, “ma c’è solo una cosa che gli albanesi non mettono mai in discussione, ed è che il nostro posto è nell’Unione europea e che il futuro dei nostri figli va costruito nell’Unione europea”. Al suo fianco, von der Leyen ha assicurato che “l’allargamento rimarrà una massima priorità” nel suo secondo mandato alla guida dell’esecutivo comunitario.La presidente della Commissione è tornata sul Piano per la crescita, annunciando che l’Ue dovrebbe inviare a Tirana i primi 64 milioni entro la fine dell’anno su un totale di 920 milioni previsti per l’Albania. Von der Leyen ha inoltre ricordato come il Paese abbia già ricevuto da Bruxelles 1,4 miliardi nel quadro del Piano di investimenti per i Balcani occidentali, che serve tra le altre cose a incentivare lo sviluppo economico della regione in linea con gli obiettivi climatici dell’Ue. Il terzo punto toccato dalla leader tedesca è stato l’inaugurazione della nuova sede del College of Europe nella capitale albanese, mentre sulla questione bollente dei centri di rimpatrio italiani in Albania (una “soluzione innovativa” per il futuro della politica migratoria targata Ue su cui lei stessa si è espressa favorevolmente solo la settimana scorsa) si è limitata a osservare che trattandosi di un accordo bilaterale “non lo commenteremo, ma ne monitoreremo lo sviluppo”.Von der Leyen incontrerà domani (24 ottobre) il presidente albanese Bajram Begaj e partirà poi alla volta di Skopje, dove avrà colloqui con il premier nord-macedone Hristijan Mickoski e la presidente Gordana Siljanovska-Davkova. Si recherà quindi in Bosnia-Erzegovina, dove visiterà Jablanica, un’area colpita dalle recenti alluvioni, mentre venerdì (25 ottobre) incontrerà a Sarajevo la premier Borjana Krišto e la presidenza tripartita del Paese (composta da Denis Bećirović, Željka Cvijanović e Željko Komšić). A Belgrado, lo stesso giorno, von der Leyen incontrerà il presidente serbo Aleksander Vučić e il premier Miloš Vučević, per spostarsi sabato (26 ottobre) a Pristina per incontrare la presidente kosovara Vjosa Osmani e il primo ministro Albin Kurti. Terminerà infine il suo tour a Podgorica insieme al presidente montenegrino Jakov Milatović e il premier Milojko Spajić.

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    Allargamento, il Cese: “L’integrazione sia graduale, coinvolgendo la società civile”

    Bruxelles – L’allargamento è un “investimento strategico” per l’Unione, ma la “precondizione” perché funzioni è coinvolgere la società civile. A dirlo è Oliver Röpke, presidente del Comitato economico e sociale europeo (Cese), l’organo consultivo dell’Ue in cui sono rappresentati gli interessi delle organizzazioni dei lavoratori, dei datori di lavoro, del terzo settore e, in generale, le istanze delle organizzazioni della società civile. L’austriaco, che guida il Comitato dall’anno scorso, insiste perché l’integrazione dei Paesi candidati sia “graduale”, permettendo loro di partecipare già prima del loro ingresso formale alla vita comunitaria.La società civile al centroAd un incontro con la stampa martedì (22 ottobre), Röpke ha spiegato l’approccio che la sua istituzione sta seguendo in materia di allargamento, un tema destinato ad assumere un’importanza centrale nei prossimi anni, a partire dal ciclo istituzionale che si è aperto con le europee dello scorso giugno. “Vediamo l’allargamento come un investimento strategico” e una “storia di successo”, ha dichiarato ai giornalisti, specificando che “la precondizione” per realizzarlo correttamente è quella di “avere un coinvolgimento della società civile e dei partner sociali” che sia il più strutturata possibile.“I problemi reali”, ha sottolineato il presidente del Cese, sono da individuarsi nelle “strutture” democratiche dei Paesi candidati: ad esempio quelle “per tutelare lo Stato di diritto, per proteggere lo spazio civico e per avere un robusto dialogo” tra le parti sociali che porti, tra le altre cose, ad una contrattazione collettiva soddisfacente. Dovremmo cioè “cominciare a rafforzare queste strutture nei Paesi candidati già ora”, anche se il loro ingresso nell’Unione avverrà in un secondo momento.L’integrazione graduale dei Paesi candidatiLa soluzione, per Röpke, è quella che ha definito “integrazione graduale”: permettere cioè ai Paesi cui Bruxelles riconosce lo status di candidati di partecipare, in qualità di osservatori, al funzionamento dell’Unione, come avviene già ad esempio con le riunioni informali del Consiglio. Il contributo del Cese a questo movimento di progressiva inclusione si è concretizzato nel progetto pilota ribattezzato Enlargement candidate members (Ecm), tramite cui il Comitato ha coinvolto 146 rappresentanti della società civile dei Paesi candidati nelle proprie attività per contribuire alla stesura di una dozzina di opinioni riguardanti tra le altre cose la politica di coesione, il mercato unico, la sostenibilità, il settore agrifood e lo Stato di diritto. Un’iniziativa che dovrebbe concludersi a fine anno ma che è piaciuta molto ai diretti interessati, come sottolineato dal premier albanese Edi Rama secondo cui questo modello andrebbe esteso anche all’Eurocamera, e che Röpke si è impegnato a trasformare da estemporanea a permanente.Del resto, si tratta della medesima strada indicata dalla presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, nelle lettere d’incarico inviate ai commissari designati: lì “viene menzionato esplicitamente che ogni commissario deve promuovere l’integrazione graduale dei Paesi candidati”, ha sottolineato Röpke, il che coincide appunto con una delle richieste principali del Cese “per vedere cosa ogni istituzione può fare per integrare passo dopo passo gli Stati candidati già prima l’adesione completa all’Ue”.I progressi verso l’adesioneDiverse cancellerie tra le nove in questione (Albania, Bosnia-Erzegovina, Georgia, Macedonia del nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia ed Ucraina) vorrebbero centrare l’obiettivo dell’adesione entro la fine del decennio, ma bisognerà vedere come procederà il loro percorso. Per ora, Röpke ha registrato “non solo il supporto dei partner sociali e della società civile ma anche una grande volontà da parte almeno di alcuni governi di impegnarsi” per “migliorare le proprie strutture” al fine di “soddisfare i criteri” per entrare nel club europeo. Alcuni dei progressi migliori, secondo il presidente del Cese, si sono visti in Albania e in Macedonia del nord (anche se il cammino di Tirana e Skopje verso Bruxelles è stato recentemente spacchettato), mentre ci sono stretti contatti con governo e società civile serbi e con la società civile georgiana.Quanto alla Moldova, un grosso problema – soprattutto in alcune regioni, come la Gagauzia – è la pervasività della disinformazione russa, che è quasi riuscita a far vincere il “no” al referendum popolare celebratosi domenica scorsa che interrogava i cittadini sull’opportunità di includere l’obiettivo dell’adesione all’Ue nella Costituzione nazionale. Alla fine, ha prevalso il fronte del “sì”, il che secondo il capo del Comitato è un “risultato notevole” dati i pronostici, ma nel Paese balcanico c’è “ancora molto da fare” per consolidare le strutture democratiche di cui si parlava.L’incontro di stamattina è servito tra le altre cose a Röpke per presentare alla stampa il Forum di alto livello sull’allargamento che si terrà il prossimo 24 ottobre a Bruxelles sotto il patrocinio del Cese (che sarà in sessione plenaria il 23 e 24 ottobre) e della Commissione, in cui verranno discussi con una serie di politici (sia dei Paesi candidati che degli Stati membri), accademici e rappresentanti della società civile i temi sociali che saranno al centro della prossima stagione di espansione del club europeo. A sua volta, questo evento anticiperà la pubblicazione, da parte dell’esecutivo Ue, del rapporto annuale sull’allargamento (anche noto come enlargement package), che quest’anno cadrà il prossimo 31 ottobre.

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    Il doppio voto in Moldova avvicina Chisinau all’Europa

    Bruxelles – Per il rotto della cuffia i cittadini moldavi hanno deciso che il futuro del loro Paese è quello di entrare nell’Unione europea. Il “sì” al referendum popolare sull’adesione è passato in testa lunedì mattina (21 ottobre), il giorno dopo la chiusura delle urne, e pare che la volata sia stata tirata dai residenti all’estero. Ma domenica si è votato anche per le presidenziali: la presidente uscente Maia Sandu, un’europeista che ha ripetutamente denunciato ingerenze russe nel processo democratico nazionale, è in vantaggio, ma dovrà andare al ballottaggio tra due settimane.Chisinau verso BruxellesSembrava fosse già l’ora di intonare il de profundis delle ambizioni europee della Moldova, con il fronte contrario all’ingresso nell’Ue del piccolo Paese esteuropeo sembrava in netto vantaggio fino alle prime ore di lunedì. Ma all’ultimo miglio dello scrutinio si è registrato il sorpasso, spinto dal voto della diaspora che è stato conteggiato solo alla fine e a quello della Capitale Chisinau, arrivato all’alba di oggi. Per tutta la notte tra domenica e lunedì era rimasto saldamente in testa (con una percentuale che oscillava tra il 55 e il 57) il “no” al referendum, ma poi la situazione si è ribaltata – almeno stando ai dati preliminari forniti dalla commissione elettorale centrale.Il distacco tra i due schieramenti corre sulla lama di un rasoio, ma sarebbe sufficiente a far vincere il fronte europeista: 50,39 contro 49,61 per cento con oltre il 99 per cento dei voti scrutinati. Lo scarto sarebbe di poche migliaia di voti, poco più di 11mila su una popolazione totale da 2 milioni e mezzo di abitanti. L’affluenza è stata ampiamente superiore alla soglia necessaria ai fini della validità del referendum (33,3 per cento), con oltre la metà degli aventi diritto (51,68 per cento) che si sono recati alle urne.Nel quesito referendario si chiedeva ai cittadini se inserire nella carta fondamentale l’impegno dell’ex repubblica sovietica verso l’integrazione nel club europeo. Nello specifico, il preambolo della Costituzione dovrebbe ora venire arricchito da due nuovi paragrafi per “riconfermare l’identità europea del popolo della Repubblica di Moldova e l’irreversibilità del percorso europeo” e per “dichiarare l’integrazione nell’Unione Europea un obiettivo strategico della Repubblica di Moldova”.Ombre russeSecondo molti osservatori, il successo del fronte anti-Ue sarebbe dovuto anche ad una pesante campagna di interferenza orchestrata da Mosca, che ha tutto l’interesse a tenere la Moldova lontana da Bruxelles. Quando il “no” al referendum era ancora in vantaggio, Sandu ha accusato “gruppi criminali” legati al Cremlino di aver interferito con il voto, per impedire all’ex repubblica sovietica di abbandonare l’orbita russa. “Abbiamo prove chiare che questi gruppi criminali hanno tentato di comprare 300mila voti”, ha dichiarato, con l’obiettivo “di minare un processo democratico” e di “diffondere paura e panico nella società”.Da Bruxelles le ha fatto eco il portavoce per gli Affari esteri dell’esecutivo comunitario, Peter Stano: “Abbiamo notato che questa votazione si è svolta sotto un’interferenza e un’intimidazione senza precedenti da parte della Russia” e di altri attori riconducibili alla Federazione, ha dichiarato durante una conferenza stampa, “con l’obiettivo di destabilizzare i processi democratici nella Repubblica di Moldova”. Del resto, non si tratta certo di un fulmine a ciel sereno. “Questa interferenza straniera e manipolazione delle informazioni” da parte del Cremlino “ha molti volti, e sta accadendo in molte forme non solo pochi giorni prima del voto”, ha aggiunto Stano, parlando di “uno sforzo a lungo termine” che è finito nel mirino della Commissione “molto tempo fa”.Le autorità moldave avevano già smantellato un massiccio schema di compravendita di voti a inizio mese, che avevano ricondotto alle ingerenze dell’oligarca Ilan Shor, vicino a Mosca e attualmente residente in Russia. La settimana scorsa, hanno sventato un altro complotto in cui erano coinvolti oltre un centinaio di giovani che avrebbero ricevuto un addestramento da parte di gruppi militari privati russi su come creare disordini in occasione del doppio voto di domenica scorsa.Le aspirazioni europee della leadership in caricaUn’ex repubblica sovietica, la Moldova è guidata dal 2021 da un governo filo-occidentale e dalla presidente pro-Ue Maia Sandu eletta l’anno precedente.Esecutivo e capo dello Stato stanno cercando di sganciare la nazione balcanica da quella che il presidente russo Vladimir Putin continua a considerare la “sfera d’influenza” della Federazione. Da decenni Chisinau è alle prese con i separatisti della Transnistria, un lembo di terra al confine con l’Ucraina che si è autoproclamata indipendente nel 1990 e continua a sfidare la sovranità e l’integrità territoriale moldave grazie all’appoggio della Russia.Nel marzo 2022 la Moldova ha fatto domanda per entrare in Ue insieme all’Ucraina ed ha ottenuto lo status di Paese candidato nel giugno di quello stesso anno, sempre in tandem con Kiev. Lo scorso dicembre, il Consiglio europeo ha dato il via libera per avviare formalmente i negoziati di adesione, una decisione concretizzatasi a giugno di quest’anno con la prima conferenza intergovernativa.Ballottaggio presidenzialeMa l’appuntamento elettorale di domenica era doppio. Oltre ad esprimersi sul futuro europeo di Chisinau, i moldavi erano anche chiamati a scegliere il nuovo capo dello Stato, che si dovrà insediare alla scadenza del mandato della presidente uscente, la 52enne Sandu (il prossimo dicembre).L’attuale presidente (la prima donna a ricoprire tale incarico, già prima ministra per qualche mese nel 2019) ha ottenuto il 42,31 per cento dei consensi a scrutinio quasi completo, che la posizionano saldamente in testa ma non le hanno permesso di centrare il bis al primo turno. Ora dovrà sfidare il candidato filorusso Alexandr Stoianoglo (che ha preso il 26,09 per cento) al ballottaggio in calendario per il 3 novembre.

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    L’Unione europea ha formalmente avviato i negoziati di adesione con l’Albania

    Bruxelles – Mentre la prima barca che trasportava 16 migranti dall’Italia arrivava in Albania nella mattinata di martedì (15 ottobre), i rappresentanti dello Stato balcanico stavano partecipando in Lussemburgo alla seconda conferenza intergovernativa con i partner Ue. Si è trattato della luce verde ufficiale per l’avvio dei negoziati di adesione di Tirana al club europeo, con l’apertura del cluster contenente i capitoli cosiddetti “fondamentali”.Il primo ministro albanese, Edi Rama, ha partecipato di persona alla riunione nel Granducato. “È una montagna da scalare”, ha dichiarato alla stampa, aggiungendo che il suo Paese sta “già camminando con idee molto chiare, una volontà molto forte e senza alcun dubbio” di centrare l’obiettivo di portare “l’Albania nell’Unione europea entro il 2030”. Rama si è detto pronto a “iniziare finalmente con la parte più pesante del lavoro”, riferendosi all’apertura del cluster dei “fondamentali” che contiene “i cinque capitoli più coerenti, più i tre criteri che ci faranno andare oltre e concludere entro la nostra scadenza molto ambiziosa” il processo di adesione.Anche dal lato europeo si registra soddisfazione. Il commissario uscente all’Allargamento, l’ungherese Olivér Várhelyi, si è congratulato con le autorità albanesi per il “traguardo importante”, che è stato possibile raggiungere “poiché l’Albania ha portato a termine le riforme richieste” con “determinazione” e “impegno”. Gli ha fatto eco il suo connazionale titolare degli Esteri, Péter Szijjártó, che ha dichiarato, sempre dal Lussemburgo, che “una delle priorità più importanti della presidenza ungherese (del Consiglio, ndr) che abbiamo messo in cima all’agenda è stata l’accelerazione dell’allargamento” dell’Ue nei Balcani occidentali.I capitoli aperti formalmente oggi sono il 5 (appalti pubblici), 18 (statistiche), 23 e 24 (i cosiddetti capitoli sullo Stato di diritto: sistema giudiziario e diritti fondamentali da un lato, giustizia, libertà e sicurezza dall’altro) e 32 (controllo finanziario), cui si aggiungono i negoziati sul funzionamento delle istituzioni democratiche, sulla riforma della pubblica amministrazione e sui criteri economici per l’ingresso nell’Unione. Solo quando saranno stati centrati i parametri intermedi fissati dai capitoli 23 e 24, nonché quelli relativi ad altri elementi orizzontali del cluster, i negoziati potranno proseguire anche per il resto dei capitoli.A seguito della riforma del processo di adesione, risalente al 2020, i cluster negoziali sono sei in totale e il primo, quello dei fondamentali, va aperto per primo e chiuso per ultimo, determinando il “ritmo” dei negoziati nel complesso. Gli altri cinque riguardano il mercato interno, la competitività e la crescita inclusiva, l’agenda verde e la connettività sostenibile, le risorse, l’agricoltura e la coesione e, da ultimo, le relazioni esterne.La prima conferenza intergovernativa Albania-Ue si era tenuta nel luglio 2022, ma in quella circostanza non erano stati aperti capitoli negoziali, essendosi trattato solo dell’avvio del processo di adesione. Il percorso di Tirana, che era stato accoppiato a quello di Skopje, si era poi complicato a causa del riaccendersi di vecchie cicatrici nazionaliste tra Macedonia del Nord e Grecia, ma soprattutto per nuovi attriti con la Bulgaria. Alla fine, il Consiglio dell’Ue ha sbloccato l’impasse il mese scorso, con lo “spacchettamento” dell’adesione dei due Paesi.L’obiettivo annunciato dal premier Rama è ambizioso: quello per entrare nell’Unione è un cammino complesso, che non ha una durata predeterminata. Molto dipenderà dalla velocità con cui Tirana riuscirà a mettere in campo le riforme che permetteranno al Paese balcanico di “mettersi al pari” con il resto dei partner europei. Ma anche una volta che la Commissione avrà valutato positivamente gli sforzi albanesi, la decisione finale sull’ingresso spetta agli Stati membri.Lo scorso giugno, l’Ue ha aperto i negoziati di adesione con l’Ucraina e la Moldova, mentre il percorso di avvicinamento della Georgia è stato de facto sospeso negli ultimi mesi a seguito dei controversi provvedimenti adottati dal governo filo-russo del Paese caucasico.

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    Con la nuova legge sulla famiglia, la Georgia si allontana sempre più dall’Europa

    Bruxelles – Come i gamberi, così Tbilisi. La Georgia sembra continuare a fare passi indietro nel suo percorso di adesione all’Unione europea, che da mesi è di fatto congelato per via delle preoccupazioni di Bruxelles sulla situazione della democrazia, delle libertà civili e dello Stato di diritto. Ora, l’ultima aggiunta alla lista di scelte problematiche compiute dal Paese caucasico è una legge sui valori della famiglia che, secondo i vertici comunitari, mettono a serio rischio le minoranze. In una nota sul suo sito, il Servizio di azione esterna europeo (Seae) ha deplorato l’adozione da parte del Parlamento georgiano del pacchetto legislativo sui “valori della famiglia e la protezione dei minori”. Le nuove norme, approvate dai deputati in seconda lettura mercoledì (4 settembre), modificano l’articolo 30 della Costituzione inserendo nella carta fondamentale il riferimento a diverse questioni come il matrimonio, l’adozione e l’affidamento di minori, gli interventi medici legati all’identità di genere, il riconoscimento del genere nei documenti e l’uso di termini legati al genere nei comunicati ufficiali e nella sfera mediatica. In sostanza, ora la Georgia riconosce come famiglia – e tutela in quanto tale – solo l’unione di un uomo (“biologicamente maschio”) e di una donna (“biologicamente femmina”). La nuova legge “mina i diritti fondamentali della popolazione georgiana e rischia di stigmatizzare e discriminare ulteriormente una parte della popolazione”, si legge nel comunicato del Seae, che constata come “una legislazione con importanti ripercussioni sul percorso di integrazione nell’Ue sia stata approvata senza le dovute consultazioni pubbliche e senza un’analisi approfondita della sua conformità agli standard europei e internazionali”. Il Servizio, che fa capo all’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Josep Borrell, sottolinea che “la garanzia e il rispetto dei diritti umani sono al centro del processo di allargamento” e che “il processo di adesione della Georgia è di fatto interrotto”, esortando le autorità di Tbilisi a tornare sui propri passi.Con l’adozione della nuova legislazione, dunque, il Paese del Caucaso meridionale si allontana ancora di più dalla prospettiva dell’adesione al blocco dei Ventisette, allungando la lista di provvedimenti incompatibili con gli standard europei per quanto riguarda soprattutto la tenuta della democrazia e dello Stato di diritto. Dalla famigerata legge sugli “agenti stranieri”, che pochi mesi fa aveva portato in piazza decine di migliaia di manifestanti e che aveva spinto il Consiglio europeo a giudicare “di fatto arrestato” il percorso di adesione di Tbilisi all’Ue, fino alla prospettiva, basata su quella stessa legge e per ora solo ventilata, di bandire i partiti di opposizione dopo le elezioni in calendario per il mese prossimo. Una brusca battuta di arresto per l’obiettivo, ormai lontanissimo, di diventare il primo Stato candidato ad accedere all’Unione entro il 2030.