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    Acquisto di tre Airbus tramite Gambia, via Emirati Arabi: così la Bielorussia evade le sanzioni UE

    Bruxelles – Acquisti di aerei di fabbricazione europei, in barba alle sanzioni UE, attraverso un operatore del Gambia e l’intermediazione degli Emirati Arabi: così la Bielorussia di Alexsandr Lukashenko avrebbe aggirato le restrizioni dell’Unione europea imposte per l’aiuto fornito alla Russia di Vladimir Putin nella guerra contro l’Ucraina. Una triangolazione che avrebbe finito col favorire Belavia, compagnia di bandiera di Minsk. Un’operazione condotta in modo esemplare, tanto da rifornire la flotta con tre esemplari Airbus A330 con cui potenziare i collegamenti della Bielorussia con Cina e sud-est asiatico.Un vero e proprio ‘affronto’ per l’europarlamentare polacco Mariusz Kamiński (ECR), che chiede lumi ad una Commissione europea che non può fare altro che prendere atto di quanto accaduto. “Siamo a conoscenza” dell’accaduto, ammette Maria Luis Albuquerque, commissaria per i Servizi finanziari. “Le sanzioni dell’UE sulla Bielorussia vietano agli operatori dell’UE di fornire servizi, come la manutenzione, e di mettere a disposizione altre risorse economiche alle persone o entità elencate, tra cui Belavia”. Tuttavia, riconosce, “in base alle relazioni a disposizione della Commissione, sembra che la vendita sia stata effettuata al di fuori della giurisdizione dell’UE”.Tra sanzioni, violazioni dei diritti umani e traffico di migranti: l’anno in cui i rapporti tra UE e Bielorussia si sono frantumatiLukashenko e il suo governo sarebbero dunque riusciti a ‘farla sotto il naso’ della Commissione, con la complicità di attori contro cui a Bruxelles si medita vendetta. “Se necessario la Commissione, insieme all’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’UE, può proporre nuove sanzioni”, ricorda Albuquerque. “Ciò include l’imposizione di sanzioni a nuovi obiettivi, come le persone responsabili di elusione” delle restrizioni europee. Nel mirino Magic Air, compagnia aerea gambiana, già gestita dalla compagnia aerea turca Onur Air, che avrebbe acquistato i velivoli Airbus per conto non tanto di Belavia, quanto “molto probabilmente” per conto di una società con sede negli Emirati Arabi Uniti che poi avrebbe girato gli acquisti a Minsk.

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    Cipro: L’Eurocamera condanna la detenzione di cinque ciprioti nel filo-turco Nord

    Bruxelles – “L’Unione europea non può tollerare la violazione dei diritti dei suoi cittadini. La detenzione di queste persone è inaccettabile”. A scatenare l’ira del commissario europeo per la Democrazia, la Giustizia, lo Stato di diritto e la Tutela dei consumatori, Michael McGrath, è stata la detenzione di cinque cittadini ciprioti nell’autoproclamata Repubblica filoturca di Cipro del Nord.Per le autorità filo-turche i cinque soggetti arrestati il 19 luglio erano delle pericolose spie; per l’Unione europea, invece, semplici cittadini. Nella tornata elettorale di oggi, la plenaria di Strasburgo ha votato a grande maggioranza (597 a favore e 5 astenuti) una risoluzione che condanna la condotta di Cipro del Nord invitando “la Turchia a rispettare pienamente i diritti umani sanciti dal diritto internazionale”.Per gli eurodeputati questo atteggiamento aggressivo, portato avanti attraverso “rapimenti, ha l’intenzione di intensificare l’intimidazione (di Cipro del Nord, ndr) nei confronti di Cipro. L’intenzione della Turchia è quella di scoraggiare i ciprioti a fare ritorno nelle loro proprietà nella zona occupata.”L’arresto delle cinque “spie”Secondo fonti greco-cipriote, il punto sarebbe proprio questo. Il 19 luglio, Antonis Louka, Andreas Kyprianou, Annie Kyprianou, Niki Gregoriou e Gregoris Gregoriou, si stavano recando nelle loro proprietà in territorio occupato. I cinque sono stati arrestati dalla polizia militare mentre si trovavano vicino alle loro abitazioni.Per i media turco-ciprioti il gruppo sarebbe stato fermato dopo essere entrato senza permesso in un resort turistico nella zona di Trikomo. Durante una perquisizione del veicolo, la polizia turco-cipriota avrebbe trovato numerose mappe, documenti immobiliari e fascicoli. Per questo i militari hanno deciso di procedere, motivando il fermo come un caso di “spionaggio contro proprietà turche” e di “violazione di una zona militare proibita”. Solo, ieri, dopo una pesante pressione diplomatica, tre dei cinque detenuti sono stati liberati su cauzione.Nell’isola, situazioni come queste non sono nuove. Il cortocircuito legislativo sta nel fatto che la Repubblica di Cipro è l’unica riconosciuta a livello internazionale e, per questo, avrebbe il controllo giuridico sull’intero territorio. Di fatto, però, la situazione non è così, poiché le autorità filo-turche controllano il nord del Paese dal 1974. Nonostante questo, in teoria, a proteggere le azioni dei cinque cittadini, ci sarebbe la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) del 1996. I giudici di Strasburgo avevano affermato che ostacolare il diritto dei greco-ciprioti a beneficiare delle proprietà nel nord del Paese sarebbe stata una violazione dei diritti umani. Cipro del Nord, naturalmente, non riconosce l’autorità della CEDU.Il rapporto con AnkaraLa risoluzione approvata oggi dal Parlamento è un forte segnale di sostegno all’autorità di Nicosia, ma rappresenta al contempo un momento di rottura nei confronti di Ankara. Il rapporto tra Bruxelles e la Turchia si sta incrinando in quest’ultimo periodo. Il Parlamento europeo, già a maggio, si era trovato a condannare l’aggressività turca. L’Eurocamera aveva denunciato il regresso democratico del Paese, acuitosi dopo l’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu.

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    L’Eurocamera trova un denominatore comune (minimo) su Gaza. Il Ppe si spacca, esultano i socialisti

    Bruxelles – Il Parlamento europeo, dopo due anni di dibattiti, ha approvato oggi (11 settembre) la sua prima risoluzione su Israele e Gaza. Un passo avanti e un’occasione persa: se è vero che gli eurodeputati invocano finalmente alcune misure per mettere fine al conflitto, riescono nell’impresa di farlo addirittura dopo la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e di non andare in alcun modo oltre le sue parole pronunciate ieri. E a ben vedere, il testo finale adottato dall’Aula scontenta quasi tutti.Condanna del blocco degli aiuti umanitari da parte di Israele, rispetto del diritto internazionale, cessate il fuoco immediato, rilascio degli ostaggi, sì alla sospensione parziale dell’accordo di associazione Ue-Israele in materia commerciale e alle sanzioni contro i ministri più estremisti del governo guidato da Benjamin Netanyahu, invito agli Stati membri a riconoscere lo Stato di Palestina. Questi i paletti messi nero su bianco dalla risoluzione presentata da socialisti, liberali e verdi e adottata con 305 voti favorevoli, 151 contrari e 122 astensioni. Si spacca il Partito Popolare, che già ieri si era sfilato rifiutando di firmare la risoluzione congiunta con gli altri gruppi della maggioranza: tra i cristiano democratici, 82 favorevoli, 56 contrari e 6 astenuti. Tra i sì, mancano quelli dei Conservatori e Riformisti (Ecr) e dell’estrema destra di Patrioti e Sovranisti. E di una parte del gruppo della Sinistra europea.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro delle finanze Bezalel Smotrich, già sanzionato da UK e diversi alleati dell’Ue (Photo by RONEN ZVULUN / POOL / AFP)I socialisti mettono in luce il bicchiere mezzo pieno: secondo Sandro Ruotolo, del Partito democratico, “oggi il Parlamento europeo ha scelto di stare dalla parte del diritto e della dignità dei popoli”. Per il dem l’invito a riconoscere lo Stato di Palestina è un “messaggio storico”, e la sospensione parziale dell’Accordo di associazione Ue-Israele “significa che le relazioni politiche ed economiche con Israele non possono proseguire come se nulla fosse, mentre a Gaza si continua a violare il diritto internazionale e a colpire la popolazione civile”. I liberali di Renew rivendicano di aver “compiuto ogni sforzo per ottenere una maggioranza a favore di un’azione urgente volta a porre fine alla crisi umanitaria e alla carestia causate dal governo israeliano e a raggiungere un cessate il fuoco permanente”.Dal testo finale però, ogni volta che si parla di carestia è sparito ogni riferimento al fatto che sia “causata dall’uomo”. Così come due paragrafi in cui si mettevano a nudo le responsabilità delle istituzioni europee per non aver “reagito con l’urgenza che la gravità della situazione catastrofica a Gaza richiede” e si invitava a riflettere sui gravi danni che questo ha comportato per “la credibilità dell’Ue non solo agli occhi del Sud del mondo, ma anche agli occhi dei nostri cittadini”.Sono alcuni degli “emendamenti migliorativi” di cui parla Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia all’Eurocamera. Ma non sufficienti per “raggiungere l’equilibrio che avremmo voluto e che il dramma di Gaza avrebbe richiesto”. La delegazione della premier Giorgia Meloni, la più numerosa in Ecr, si è chiamata fuori, insieme al resto del gruppo.Così come la delegazione del Movimento 5 Stelle, che evidenzia il bicchiere mezzo vuoto: per Danilo della Valle la risoluzione “è debolissima”, perché priva di qualsiasi riferimento all’intento genocidario del governo israeliano a Gaza. “Ritirare a pochi minuti dal voto l’emendamento sottoscritto dai Socialisti in cui si condanna il genocidio rappresenta un tradimento della memoria di oltre 60 mila civili uccisi negli attacchi e nei bombardamenti dell’esercito israeliano”, sottolinea il pentastellato, che bolla il messaggio scaturito dal testo come un “imbarazzato buffetto a Netanyahu che non servirà a niente per fermarlo”.A ben vedere, qualcosa manca davvero, e qualcuno ne è consapevole anche nella famiglia socialista: “Avremmo voluto ci fosse anche il riferimento al genocidio in corso e la sospensione dell’Accordo di Associazione Ue-Israele nella sua interezza, non solo per la parte commerciale”, ammette l’eurodeputata dem Cecilia Strada. E promette: “Sono battaglie su cui continueremo a impegnarci a partire da domani”.

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    Salpano verso Gaza le navi italiane della Global Sumud Flotilla. Scuderi: “La popolazione ci ringrazia, i governi si attivino”

    Bruxelles – Dopo giorni di attesa, sciolgono gli ormeggi le decine di imbarcazioni che dall’Italia si uniranno alla Global Sumud Flotilla nel tentativo di rompere il blocco israeliano e consegnare aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Raggiunta da Eunews a Siracusa, l’eurodeputata Benedetta Scuderi, del gruppo dei Verdi, ha raccontato le fasi concitate prima della partenza: “Le persone ci ringraziano, speriamo che i governi si attivino se i nostri diritti verranno violati”.Il primo gruppo di barche, ancorate al porto di Sidi Bou Said, nei pressi di Tunisi, ha issato le vele ieri. Tra loro, le due imbarcazioni colpite da ordigni incendiari lanciati da piccoli droni nelle scorse notti. In un comunicato, gli equipaggi della Flotilla si dicono “ancora più determinati nel portare avanti” la missione dopo questi attacchi intimidatori. Dopo una conferenza stampa  – prevista alle 14:00 – ed un presidio alla marina di Ortigia, sarà il turno di tutte le barche riunitesi in Sicilia nei giorni scorsi da vari porti d’Italia.La Family Boat e altre imbarcazioni della Global Sumud Flotilla ancorate a Sidi Bou Said, Tunisi (Photo by FETHI BELAID / AFP)“Imbarcazioni abbastanza piccole, dagli 11 ai 15 metri, a vela, civili e non commerciali”, che in sostanza “hanno la possibilità di navigare in acque territoriali”, spiega Scuderi. Sulla sua, a bordo saranno in 11. Oltre agli aiuti umanitari caricati ieri al porto di Augusta. “L’obiettivo è quello di far arrivare gli aiuti, c’è la volontà effettiva di creare il corridoio umanitario“, aggiunge. Per questo le due eurodeputate italiane – Scuderi e la dem Annalisa Corrado – e i due parlamentari nazionali – Marco Croatti (M5S) e Arturo Scotto (Pd) – a bordo, hanno chiesto “fin dall’inizio il supporto del governo e del ministero degli Esteri”.Da Roma, finora “quel che è stato detto è stato detto a singhiozzi”, denuncia Scuderi. La premier Meloni ha affermato inizialmente che “tutelerà i cittadini”, il ministro degli Esteri Tajani ha chiesto oggi al suo omologo israeliano, Gideon Sa’ar, di garantire i diritti degli italiani sulla Flotilla. “Siamo ben lontani dalla protezione diplomatica” annunciata da Madrid per i cittadini spagnoli a bordo, ammette l’eurodeputata, ma “spero che il governo si attivi se dovesse succedere qualcosa”.Gli scenari sono diversi, alcuni molto rischiosi, e gli equipaggi ne sono stati messi al corrente prima della partenza. Nel 2010, i militari israeliani avevano aperto il fuoco su un’imbarcazione della Freedom Flotilla e ucciso 10 attivisti. Negli ultimi due tentativi, a giugno e luglio del 2025, le navi Madleen e Handala sono state intercettate e abbordate dalla marina israeliana, e i membri dell’equipaggio trattenuti ed in seguito espulsi da Tel Aviv.Il ministro israeliano per la Sicurezza nazionale, l’estremista religioso Itamar Ben-Gvir, ha avvertito che Israele “tratterà gli attivisti alla stregua di terroristi“. Vuol dire che saranno trattenuti in celle d’isolamento, senza accesso a privilegi speciali come tv, radio e cibo specifico. “È un altro tentativo di intimidazione”, commenta Scuderi, sottolineando che “trattare persone che vogliono portare aiuti umanitari come terroristi sarebbe un comportamento gravissimo”.Pochi giorni fa, un portavoce della Commissione europea ha negato il supporto di Bruxelles alla missione civile, affermando anzi che “azioni di questo genere rischiano di portare a un’escalation”. Ieri, di fronte al Parlamento europeo, per la prima volta dopo due anni di conflitto Ursula von der Leyen ha annunciato che proporrà una sospensione parziale dell’accordo di Associazione Ue-Israele e sanzioni contro i ministri israeliani più estremisti (tra cui Ben-Gvir) . “Un ritardo che non ha giustificazioni“, sottolinea Scuderi, e proposte “inferiori a quanto si dovrebbe fare. Proposte in ogni caso figlie di “tutta la pressione della Flotilla, della mobilitazione dal basso, e di una mozione di sfiducia nei suoi confronti” anche a causa della complicità con Israele.

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    Gaza, von der Leyen si allontana da Israele (e si nasconde dietro le divisioni degli Stati membri)

    Bruxelles – Sospensione del sostegno bilaterale a Israele, sanzioni a ministri del governo di Benjamin Netanyahu e ai coloni violenti, sospensione parziale dell’accordo di Associazione che lega Bruxelles a Tel Aviv. Tre misure invocate a gran voce da milioni di cittadini europei, organizzazioni non governative e rappresentanti politici in diversi Stati membri. A metterle sul piatto, oggi (10 settembre), per la prima volta, “l’amica di lunga data del popolo israeliano”, come lei stessa si definisce: la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.Bersaglio di pesanti critiche a causa dei prolungati silenzi, del mancato supporto a chi da mesi denuncia le atrocità israeliane a Gaza, degli interventi poco felici a fianco di un governo guidato da un criminale di guerra ricercato da una corte internazionale, von der Leyen ha scelto il discorso annuale sullo stato dell’Unione, di fronte all’Eurocamera, per divincolarsi. Alla vigilia del giorno in cui la stessa Aula di Strasburgo metterà per la prima volta ai voti una risoluzione per chiedere un’azione più decisa per fermare il conflitto.“Quello che sta accadendo a Gaza ha scosso la coscienza del mondo. Persone uccise mentre chiedevano cibo. Madri che stringono tra le braccia i propri figli senza vita. Queste immagini sono semplicemente catastrofiche”, ha esordito la leader Ue, accusando Israele di “un cambiamento sistematico inaccettabile”. Il “soffocamento finanziario” dell’Autorità palestinese, i piani di insediamento per isolare Gerusalemme Est dalla Cisgiordania occupata, le azioni e le dichiarazioni di ministri “che incitano alla violenza”. È tutto alla luce del sole, e nemmeno von der Leyen può voltare più le spalle, anche se “davvero addolorata nel pronunciare queste parole”.Il calcolo politico fa la sua parte, perché von der Leyen è consapevole che “per molti cittadini l‘incapacità dell’Europa di concordare una linea comune da seguire è altrettanto dolorosa”. Il rischio è che su questo file l’Unione europea – e inevitabilmente, la sua leader – perdano definitivamente ogni credibilità agli occhi degli elettori e del mondo. Finora, la Commissione aveva proposto solamente una parziale sospensione dei finanziamenti a Israele per la ricerca, attraverso il programma Horizon. Proposta bloccata in Consiglio dell’Ue da un manipolo di Paesi membri.“Non possiamo permetterci di rimanere paralizzati”, ha proseguito von der Leyen, assicurando che da ora in avanti “la Commissione farà tutto il possibile da sola“. Può farlo nel caso del sostegno bilaterale: “Interromperemo tutti i pagamenti in questi settori, senza compromettere la nostra collaborazione con la società civile israeliana o con Yad Vashem (il museo sull’Olocauso, ndr)”, ha annunciato. Un portavoce ha poi specificato che, nell’ambito dello strumento Ue di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale (NDICI), Israele avrebbe dovuto ricevere “in media 6 milioni all’anno tra il 2025 e il 2027“. Oltre alla sospensione delle dotazioni annuali rimanenti, la Commissione congelerà “circa 14 milioni di euro destinati a progetti in corso”. Progetti di cooperazione istituzionale e programmi di gemellaggio.Lo spazio di manovra dell’esecutivo si ferma qui, dopodiché la Commissione proporrà ai Paesi membri di adottare sanzioni nei confronti dei “ministri estremisti” e dei coloni violenti e di sospendere parzialmente l’accordo di associazione per quanto riguarda le questioni commerciali.“Sono consapevole che sarà difficile trovare una maggioranza” e che “qualsiasi azione sarà eccessiva per alcuni e insufficiente per altri”, ha ammesso von der Leyen, chiamando Parlamento e Consiglio ad “assumersi le proprie responsabilità“. Dopo 23 mesi di conflitto e 64 mila vittime palestinesi, von der Leyen ha iniziato a farlo oggi. E la prima reazione da Tel Aviv è già arrivata: il ministro degli Esteri, Gideon Sa’ar, ha definito “deplorevoli” le parole di von der Leyen, che “fanno eco alla falsa propaganda di Hamas e dei suoi alleati”.

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    Tusk: La Polonia non è in guerra, ma i droni russi sul nostro territorio superano il limite delle normali provocazioni

    Bruxelles – Il sorvolo dei droni russi nei cieli della Polonia la scorsa notte “è una violazione senza precedenti dello spazio aereo polacco e al rischio che ne deriva, ovvero il rischio di un conflitto aperto”. Il premier polacco Donald Tusk ha riferito oggi al Parlamento (Sejm) su quanto accaduto nella notte, insistendo più volte sull’unità della risposta delle diverse istituzioni del Paese, nel quale il presidente della Repubblica, il nazionalista euroscettico Karol Nawrocki, è espressione dell’opposizione parlamentare, con la quale il dialogo è di norma quasi inesistente.Tusk ha spiegato che “ieri, alle 22:06, l’esercito ha ricevuto le prime informazioni sull’inizio di un massiccio attacco aereo da parte della Federazione Russa contro l’Ucraina. Non ci sarebbe nulla di insolito in questo – ha aggiunto -, se non fosse per la portata dell’attacco e il numero di droni e missili coinvolti”. Nella zona sono stati inviati: due aerei F-35, due F-16 e elicotteri MI-24, MI-17 e Black Hawk. Verso le 23:30 è stata registrata la prima violazione dello spazio aereo del Paese. L’ultima è avvenuta intorno alle 6:30, “il che – ha detto il primo ministro – dà un’idea della portata di questa operazione. Sono state registrate e localizzate con precisione diciannove incursioni specifiche nel nostro spazio aereo”, ma i dati non sono ancora definitivi.La novità “nel senso peggiore del termine, è la direzione da cui provenivano i droni che hanno violato lo spazio aereo polacco. Per la prima volta durante questa guerra, non provenivano dall’Ucraina a causa di errori, ma una parte significativa di questi droni è volata in Polonia direttamente dalla Bielorussia”, ha denunciato Tusk. I droni abbattuti sono stati almeno tre, e non ci sono informazioni che qualcuno sia rimasto ferito o ucciso a seguito dell’azione russa “secondo quanto risulta al momento”.Tusk ha dunque spiegato che “l’abbattimento di quei droni che minacciavano direttamente la nostra sicurezza è ovviamente un successo delle nostre forze armate e di quelle della NATO, ma cambia la situazione politica. Pertanto ha annunciato il premier sono state avviate consultazioni con gli alleati che “hanno assunto la forma di una richiesta formale di invocare l’articolo 4 del Trattato del Nord Atlantico”. Un salto di qualità, in una situazione che “ci avvicina tutti a un conflitto aperto, più vicino che mai dalla Seconda guerra mondiale”.L’articolo 4 recita: “Le Parti si consulteranno ogni volta che, a giudizio di una di esse, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle Parti sarà minacciata”.Il premier ha poi ringraziato i partner per la solidarietà espressa dopo la notte di attacchi, però “le parole di solidarietà sono necessarie, ma non bastano. Oggi bisogna dirlo a voce alta e chiara a tutto il mondo occidentale, a tutti i nostri alleati. L’articolo 4 è solo l’introduzione a una cooperazione più profonda per la sicurezza del nostro cielo e del nostro confine, che è il confine della NATO. E dalle consultazioni politiche tra le capitali ci aspettiamo un sostegno decisamente maggiore”.Pr quanto riguarda la Polonia, politicamente profondamente divisa, Tusk ha sottolineato che “uno degli obiettivi politici (della Russia, ndr) è quello di influenzare la situazione interna del Paese attaccato o provocato. Il fatto che oggi – e spero anche in futuro – siamo in grado di presentare una posizione politica assolutamente uniforme su queste questioni è la nostra grande risorsa e riduce al minimo i rischi legati alle attività sovversive e alla disinformazione”.Comunque il premier ha voluto tranquillizzare i suoi concittadini: “Voglio sottolineare con forza che oggi non c’è motivo di affermare che siamo in stato di guerra. Ma non c’è dubbio che questa provocazione superi i limiti precedenti e sia incomparabilmente più pericolosa dal punto di vista della Polonia rispetto a tutte le altre, tutte quelle precedenti”.Però, sottolinea Tusk, “abbiamo già qualcosa che supera il limite delle normali provocazioni qui, nel nostro cielo. E forse oggi dobbiamo dire ancora una volta molto forte e chiaro: la Polonia oggi ha un nemico politico che non nasconde le sue intenzioni ostili oltre il nostro confine orientale. Dobbiamo concentrare i nostri sforzi, tutta la nostra attenzione, tutte le nostre capacità sulla difesa della Polonia dal vero nemico, dalla vera minaccia”.Il compito che si assegna Tusk è ora “la mobilitazione totale di tutto l’Occidente, affinché la Polonia non si ritrovi mai più in una situazione in cui ci sembrava di avere alleanze reali e poi si è scoperto che erano alleanze di carta”. Questa, ha insistito, “è una responsabilità comune di tutta la NATO, di tutti gli alleati, dell’intera Unione Europea”.Comunque “la Polonia sarà con l’Ucraina, la Polonia sosterrà l’Ucraina, perché oggi è l’Ucraina a sopportare il peso principale della resistenza alla politica aggressiva della Russia. Ricordiamolo. È importante per noi, è molto importante per la nostra sicurezza”.

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    La risoluzione su Gaza divide l’Aula di Strasburgo. È scontro sul termine genocidio

    Bruxelles – Che redigere un testo comune sulla tragedia umanitaria in atto a Gaza fosse un compito difficile, lo dimostra il fatto che – a quasi due anni dal 7 ottobre 2023 – il Parlamento europeo si è sempre finora sottratto dall’incombenza. I gruppi politici metteranno per la prima volta ai voti una risoluzione giovedì 11 settembre, e le negoziazioni sono serrate. Il rischio di incagliarsi su punti di vista inconciliabili è altissimo, a partire dalla questione ‘genocidio sì’ o ‘genocidio no’.A insistere per riconoscere l’intento genocidario dell’azione militare israeliana è la famiglia socialista. A costo di fratture con la destra moderata. L’eurodeputata del Partito Democratico, Lucia Annunziata, l’ha affermato chiaramente in Aula: “Se per uscire dall’impasse in cui siamo oggi dobbiamo dividerci sul genocidio, dividiamoci pure”. Che gli oltre 64 mila morti palestinesi, il blocco agli aiuti umanitari, le evacuazioni forzate e le occupazioni coatte costituiscano un genocidio, ne è sicura anche la capogruppo S&d, Iratxe Garcia Perez, che tuttavia mantiene una certa cautela: “Quello che sta succedendo è un genocidio. Se ci sono problemi con il modo in cui lo chiamiamo, negozieremo. Sono disposta a negoziare”, ha aperto in mattinata la socialista spagnola.Chi non sembra disposto a scendere a compromessi, sono i 46 del gruppo della Sinistra europea: “Quello che vogliamo è una condanna chiara al genocidio, sostegno alla Corte penale internazionale” e “sanzioni a Netanyahu”, ha elencato il copresidente Martin Schirdewan. Nel testo depositato dal gruppo compaiono anche una dura critica ai leader delle istituzioni europee, colpevoli di “silenzi prolungati e mancanza di chiare condanne” dei crimini commessi da Israele, la richiesta di un embargo totale sulle armi a Tel Aviv e la “cessazione immediata” dell’accordo Ue-Israele nella sua interezza.La capogruppo S&D Iratxe García Pérez e il capogruppo Ppe Manfred Weber (foto: EP)Numeri alla mano, è difficile che l’ambizioso testo proposto dalla sinistra radicale venga accolto dall’Aula. D’altra parte, le mozioni messe sul tavolo dai gruppi di destra ed estrema destra – Conservatori (Ecr) e Patrioti (PfE) – non contengono nessun elemento capace di aumentare la pressione sul governo di Netanyahu. Anzi, Ecr chiede che il Parlamento “respinga le accuse infondate secondo cui Israele starebbe commettendo un genocidio a Gaza”, ed entrambi incoraggiano una “continua cooperazione” con Tel Aviv nell’ambito dell’Accordo di associazione.Verosimilmente, il compromesso sarà raggiunto al centro, tra Popolari e Socialisti, con l’appoggio dei liberali di Renew e del gruppo dei Verdi. Sulla questione genocidio, la linea ufficiale dei primi è che “non spetta al Parlamento europeo decidere“, ma alle “procedure in corso presso organismi internazionali”, mentre il negoziatore dei Verdi per la risoluzione, Villy Søvndal, ha preferito parlare di “spargimento di sangue”, senza ricorrere al termine genocidio. Per il resto, i paletti fissati da liberali ed ecologisti ricalcano quelli indicati da S&d: sanzioni ai ministri estremisti israeliani, la sospensione del pilastro commerciale dell’accordo di associazione Ue-Israele e lo stop alla vendita e al trasferimento di armi verso Tel Aviv. Oltre che un cessate il fuoco immediato e l’ingresso di aiuti umanitari in larga scala nella Striscia di Gaza.Nessuno di questi punti è però presente nel testo redatto dal Ppe. Il suo leader, Manfred Weber, ha affermato questa mattina che “non aiuta avere un dibattito sulla formulazione, sulla parola genocidio o no”, ma che “quello che conta è trovare unità, trovare un approccio comune”. Per i popolari, il Parlamento europeo deve limitarsi a lanciare un appello per “un cessate il fuoco immediato, per il rilascio degli ostaggi detenuti da Hamas e per un flusso senza ostacoli di generi alimentari e aiuti umanitari per la popolazione di Gaza”, ha spiegato il relatore Michael Gahler. Aggiungendo che “non deve esserci alcuna evacuazione forzata dei civili che vivono nella città di Gaza”.L’esercito israeliano ha però già ordinato l’evacuazione immediata di Gaza City. E per quanto riguarda le altre richieste, i capi di Stato e di governo dell’Ue e l’Alta rappresentante le ripetono come un disco rotto da mesi, senza che abbiano sortito alcun effetto. Il rischio è, come paventato dalla leader socialista Perez, il Ppe metta gli altri gruppi di fronte a una “risoluzione vuota”, che “dice la stessa cosa che abbiamo sentito negli ultimi mesi, ovvero niente”. In definitiva, che l’Eurocamera si scopra effettivamente incapace di fare la propria parte per mettere fine alla sofferenza di oltre un milione di civili palestinesi. Genocidio o no.

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    Ucraina, per Commissione e Parlamento è ora di aprire i negoziati di adesione sul ‘cluster 1’

    Bruxelles – Sostegno all’Ucraina, militare, economico e ancor più politico. Di fronte a un conflitto russo-ucraino ancora in corso e dagli scenari di difficile definizione, il Parlamento europeo chiede l’apertura dei negoziati di adesione per mettere ancora più sotto pressione l’aggressore russo e ribadire che il Paese non è zona d’influenza del Cremlino. A mettere sotto assedio il Consiglio e il consesso degli Stati membri, che sul tema devono deliberare all’unanimità, è l’Aula dell’europarlamento e la Commissione europea, unite nel chiedere un cambio di passo.“E’ tempo di aprire i negoziati sul cluster 1“, scandisce l’Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Kaja Kallas. Il cluster 1 è l’insieme dei capitoli che riguardano i diritti fondamentali (giustizia, magistratura, appalti, controllo finanziario, statistiche) e da cui solitamente si inizia il processo vero e proprio di avvicinamento all’Unione europea. “L’adesione dell’Ucraina all’UE è una questione di sopravvivenza e di sicurezza di lungo periodo“, aggiunge Marta Kos, la commissaria per l’Allargamento che si rivolge all’Aula immediatamente dopo Kallas. “In questo momento un segnale di sostegno non è solo simbolico ma strategico“, insiste Kos.Il dibattito d’Aula sull’Ucraina [Strasburgo, 9 settembre 2025]L’invito ad avviare i negoziati viene sostenuto dalle principali forze politiche all’interno dell’emiciclo. Popolari (PPE), socialisti (S&D) e conservatori (ECR) si esprimono a favore dell’apertura dei primi capitoli negoziali, con Verdi e liberali (RE) che pur non esprimendosi direttamente a favore non hanno nulla da obiettare e anzi insistono sulla necessità di “sostegno” a Kiev. Alla fine a pronunciarsi contro le richieste di Commissione UE e resto dell’Aula sono i sovranisti (PfE) e i nazionalisti euro-scettici (ESN).Dalle fila de laSinistra ‘no’ anche del Movimento 5 Stelle: “Voteremo contro contro il rapporto sull’adesione dell’Ucraina in UE“, anticipa Danilo Della Valle. La relazione, ricorda per spiegare le ragioni della contrarietà dei pentastellati, “ribadisce la richiesta di una maggiore assistenza militare e cooperazione in materia di difesa, compresa l’integrazione dell’industria degli armamenti ucraina nei quadri dell’UE e della NATO. Non prevede nessuna richiesta di cessate il fuoco o di apertura formale dei negoziati”.Il dibattito d’Aula su un tema che comunque mostra posizioni diverse registra anche nuovi, ennesimi, malumori contro l’Ungheria di Viktor Orban. Nella necessaria ricerca di un consenso unanime sul tema dell’allargamento è Budapest che punta i piedi, fin dal primo momento dal via libera per poter procedere ai negoziati con Kiev. Una linea non più accettabile per Pekka Toveri e il suo PPE: “L’Ungheria lavora con la Russia per sabotare il processo di adesione dell’Ucraina“, denuncia. Contrattacca Kinga Gal (PfE), ungherese di Fidesz, partito di governo di Orban: “L’Ucraina è lontana dall’essere pronta. L’adesione è un errore politico“.Metsola: “Per l’Ucraina adesione all’UE e pace, ma non ad ogni costo”Nell’emiciclo tutt’altro che gremito di Strasburgo i toni del dibattito si surriscaldano quando dai banchi dei liberali Petras Austrevivius propone di “estendere il sistema di difesa, ampliare l’esercito comune”, realizzare “cielo sicuro in Ucraina” e lo “schieramento di soldati in Ucraina“. Richieste che trovano la sponda di Sandra Kalniete (PPE): “Continuiamo ad armare l’Ucraina, e integriamola nell’industria della difesa” europea, propone. Parole che producono la levata di scudi dell’ultra-destra: “L’unico motivo di sicurezza per l’Europa è un ritorno dell’Ucraina alla neutralità”, sostiene Hans Neuhoff (ESN). Mentre Kinga Gal avverte: “Così si avvicina la guerra” all’Unione europea.Thijs Reuten, a nome dei socialisti, chiede all’Unione europea tutta un cambio di passo vero. Questo implica accesso di Kiev nel club a dodici stelle, certo, perché “il nostro sostegno alla sua adesione è incrollabile”. Ma “è tempo che l’Europa non si limiti a sostenere, ma assuma un ruolo guida”. Perché fin qui, lamenta, “il ciclo è sempre lo stesso: gli Stati Uniti accennano alla pressione, Putin finge i negoziati, l’Europa esita, e quindi Putin intensifica la sua azione”.