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    Sdegno internazionale per gli spari israeliani sui diplomatici a Jenin. Kallas: “Inaccettabile, Tel Aviv faccia chiarezza”

    Bruxelles – Roma, Parigi, Madrid. E Bruxelles. Immediate le condanne delle cancellerie europee per l’episodio di Jenin, dove le forze di difesa israeliane hanno sparato dei colpi d’avvertimento nei confronti di una delegazione diplomatica in visita nella Cisgiordania occupata. “È inaccettabile“, ha dichiarato l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, che ha chiesto a Tel Aviv di indagare sull’incidente e di portare davanti alla giustizia i responsabili. Il governo italiano, il cui vice console è stato coinvolto nell’incidente, ha convocato l’ambasciatore israeliano a Roma.L’esercito israeliano ha rilasciato a stretto giro una dichiarazione di scuse, annunciando accertamenti e spiegando che “la delegazione ha deviato dal percorso approvato ed è entrata in un’area dove non era permesso stare”, motivo per cui “i soldati che operano nell’area hanno sparato colpi di avvertimento per tenerli lontani”. Resta il fatto che “le minacce contro i diplomatici sono inaccettabili”, ha dichiarato il vicepremier italiano, Antonio Tajani, e che – come ricordato dal capo della diplomazia Ue – Israele è firmatario della Convenzione di Vienna e “ha l’obbligo di garantire la sicurezza di tutti i diplomatici stranieri”.La notizia dello spiacevole “incidente” – va ricordato che a Gaza, dall’ottobre del 2023, sono stati uccisi centinaia di operatori umanitari, alcuni volontariamente presi di mira dai bombardamenti israeliani, nonostante il diritto internazionale umanitario preveda la protezione degli operatori umanitari negli scenari di guerra – è giunta a Bruxelles proprio nel giorno in cui, al Parlamento europeo, si è tornato a parlare con urgenza della risposta dell’Ue al piano del governo israeliano di occupare la Striscia di Gaza.Socialisti, verdi e sinistra chiedono a gran voce azioni decisive. “La decisione presa ieri dall’Ue di rivedere l’accordo di associazione non è sufficiente. Avrebbe dovuto essere presa molto tempo fa. Ora è il momento di sospenderlo. Una revisione non è sufficiente. Sospendiamo l’accordo di associazione, imponiamo un embargo totale sulle armi a Israele e sanzioni individuali ai membri di spicco del governo Netanyahu”, ha dichiarato in plenaria la leader socialista Iratxe Garcia Perez. Sulla stessa linea i Verdi, secondo cui “il governo e l’esercito israeliani sono responsabili delle più gravi violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani, non possiamo restare a guardare”.La protesta di The Left, Verdi e S&d davanti al Parlamento europeo [Ph: Account X The LEft]Per Benedetta Scuderi, eurodeputata dei Verdi rientrata dalla ‘Carovana solidale’ a Rafah con l’Intergruppo per la pace, “a Gaza è piu’ facile morire che sopravvivere”. E “a volte è meglio morire”, le avrebbe detto una cittadina di Gaza che è riuscita a scappare. “Siamo stanche dei dibattiti in plenaria mentre la gente muore. Cosa ancora deve accadere per sanzionare Israele, per interrompere l’accordo di commercio, porre un embargo totale sulle armi?”, ha attaccato Scuderi.Prima del dibattito, i deputati europei della sinistra, dei Verdi e dei Socialisti, insieme a attivisti e funzionari dell’Ue, si sono sdraiati a terra davanti al Parlamento di Bruxelles, rappresentando le decine di migliaia di persone uccise a Gaza dall’Idf negli ultimi 20 mesi. Per il gruppo The Left “è evidente che l’articolo 2 dell’accordo di associazione UE-Israele è stato sistematicamente violato da Israele, che ha perpetrato un genocidio a Gaza. Il processo di revisione annunciato questa settimana dall’Ue è solo una manovra dilatoria”.Nella giornata di ieri (20 maggio), il Consiglio dell’Ue ha deciso che procederà ad un esercizio di revisione dell’articolo 2 dell’Accordo di associazione con Israele, che impone alle parti il rispetto dei diritti umani. Per la prima volta dopo più di un anno e mezzo di guerra e 53 mila vittime palestinesi, una maggioranza di 17 Paesi membri si è detta a favore della revisione. Italia e Germania si sono opposte.

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    Il Vaticano è “disponibile” ad ospitare i negoziati Ucraina-Russia

    Bruxelles – Il Vaticano come cornice per nuovi negoziati tra Russia e Ucraina? È la domanda che sta serpeggiando tra le cancellerie di mezzo mondo nelle ultime ore, dopo una serie di contatti tra Washington, le capitali dell’Ue, quella italiana e la Santa Sede. Intorno alla città eterna – e al nuovo pontefice Leone XIV – sembrano stringersi le maglie della diplomazia internazionale per portare al tavolo delle trattative Mosca e Kiev, superando i fallimenti dei round negoziali precedenti.A dare nuova linfa alle speculazioni sul potenziale ruolo del Vaticano nei negoziati tra Russia e Ucraina è stata, nella serata di ieri (21 maggio), una scarna nota di Palazzo Chigi che rendeva conto di una conversazione telefonica tra la premier Giorgia Meloni e il nuovo papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost.La presidente del Consiglio ha trovato “nel Santo Padre la conferma della disponibilità ad ospitare in Vaticano i prossimi colloqui tra le parti“, si legge nel comunicato. Il confronto tra i due ha dato seguito, si scopre, alla “richiesta” di Donald Trump di sondare il terreno presso la Santa Sede rispetto ad un potenziale coinvolgimento della diplomazia pontificia nei negoziati in corso (o meglio in stallo) sulla guerra d’Ucraina.Da sinistra: il vicepresidente statunitense JD Vance, la premier italiana Giorgia Meloni e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto via Imagoeconomica)Poco dopo l’elezione al soglio di Pietro, il papa ha espresso il desiderio di dare una nuova centralità al Vaticano come mediatore nei conflitti globali, pur senza menzionare direttamente il conflitto in Ucraina. Negli scorsi giorni, Leone XIV ha incontrato Volodymyr Zelensky e il numero due della Casa Bianca, JD Vance, accompagnato dal Segretario di Stato Marco Rubio. In quello che è stato sbandierato dal governo italiano come un successo politico per la premier, Vance si è confrontato anche con Ursula von der Leyen, che finalmente sembra venire presa in qualche considerazione da Trump.Il capo della diplomazia a stelle e strisce si aspetta che il Cremlino presenti i propri termini per un cessate il fuoco in breve tempo, “forse tra qualche giorno”. La proposta russa sarà a quel punto esaminata dall’amministrazione statunitense, sostiene Rubio, per determinare la “serietà” di Vladimir Putin rispetto ad un processo negoziale inceppato da mesi e che sta indispettendo non poco Washington, che ha già minacciato più volte di sfilarsi dalle trattative.Nonostante le dichiarazioni pubbliche di apertura a colloqui diretti con la dirigenza ucraina, i gesti concreti dello zar non lasciano intendere per ora alcuna disponibilità ad intavolare reali negoziati con Kiev. A dimostrarlo, sotto la luce del sole, ci sono i buchi nell’acqua collezionati finora negli incontri tra le delegazioni dei belligeranti: quello indiretto di Riad, lo scorso marzo, e quello diretto di Istanbul della scorsa settimana.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Del resto, non sembrano esserci grandi incentivi per Mosca per cessare le ostilità, almeno in questa fase. Sul campo, la situazione è favorevole all’esercito russo, mentre diplomaticamente il fronte degli alleati di Kiev si è scoperto particolarmente fragile da quando Trump ha deciso di prendere in mano personalmente la questione, mostrandosi esageratamente morbido nei confronti dell’aggressore e offrendo addirittura a quest’ultimo opportunità commerciali con gli Stati Uniti.Lo zar, peraltro, non ha mai riconosciuto esplicitamente la legittimità di Zelensky né dell’Ucraina come nazione sovrana e indipendente. Anzi, le richieste massimaliste che la squadra negoziale russa continua a mettere sul tavolo – tra cui “neutralizzazione” dello Stato ucraino, rinuncia all’adesione alla Nato e cessione de jure dei territori occupati alla Federazione – sembrano andare nella direzione opposta. Questo almeno il leitmotiv a Bruxelles, dove giusto ieri i Ventisette hanno dato il via libera al 17esimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino per continuare a “mettere pressione” su Putin.I had a good conversation with the President of the Council of Ministers of Italy @GiorgiaMeloni. As always, cool ideas.We discussed yesterday’s talks with President Trump and European leaders. We are coordinating our positions. Italy supports all efforts aimed at achieving a… pic.twitter.com/YdEl26IZ3g— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) May 20, 2025Sia come sia, la diplomazia internazionale non vuole ancora darsi per vinta. La chiamata Meloni-Prevost è l’ennesima di un’incessante girandola di telefonate che sta facendo squillare freneticamente gli apparecchi delle cancellerie in molti Paesi. Da Tirana a Washington, da Bruxelles a Istanbul, da Londra a Varsavia, da Parigi a Helsinki, da Berlino a Kiev passando, appunto, per Roma e il Vaticano.“È stato concordato di mantenere uno stretto coordinamento tra i partner in vista di un nuovo ciclo di negoziati per un cessate il fuoco e un accordo di pace”, fa sapere Palazzo Chigi. Le dietrologie sui pasticci diplomatici tra alleati si sprecano e alimentano il dibattito politico nazionale (e non solo). I prossimi incontri, a sentire gli interessati, adotteranno formati “fluidi” e potranno prevedere geometrie variabili. Resta sempre da vedere quanto tali incontri siano in grado di avvicinare sul serio una soluzione diplomatica alla crisi che da 11 anni sta dilaniando il cuore dell’Europa.

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    L’Ue ha aperto alla revisione dell’accordo di associazione con Israele. Ma saltano le sanzioni ai coloni

    Bruxelles – Gli alleati di Israele – dall’Unione europea al Regno Unito, fino ad un “frustrato” Donald Trump – sono sempre più in difficoltà di fronte ai deliberati crimini di Tel Aviv contro la popolazione civile a Gaza. Ieri, la durissima dichiarazione congiunta di Francia, Regno Unito e Canada contro le “azioni scandalose portate avanti dal governo” di Benjamin Netanyahu. Oggi (20 maggio), a più di un anno e mezzo da quando è stato messo sul tavolo la prima volta, l’Unione europea ha deciso che procederà a una revisione dell’accordo di associazione con Israele.L’ha annunciato Kaja Kallas, l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, a margine della riunione con i ministri degli Esteri dei 27. “Una forte maggioranza dei Paesi membri è a favore della revisione dell’articolo 2 del nostro accordo di associazione” con Israele – quello che prevede che i rapporti tra Bruxelles e Tel Aviv siano basati sul rispetto dei diritti umani -, ha dichiarato il capo della diplomazia europea. Ci aveva provato il suo predecessore, Josep Borrell, dando seguito alla richiesta di Spagna e Irlanda di fronte al silenzio della Commissione europea, salvo poi sbattere sulle resistenze delle altre capitali.Gaza City, il 4 maggio 2025 (Photo by Omar AL-QATTAA / AFP)L’estone, molto più cauta nel criticare le operazioni militari israeliane a Gaza, ha preferito in un primo momento convocare un Consiglio di associazione per discuterne apertamente con il partner israeliano, celebrato lo scorso 20 febbraio 2025. Una kermesse che non ha portato ad alcun risultato, e che anzi ha solo contribuito a far percepire l’Unione europea come complice del governo estremista di Netanyahu. Ora, la strategia cambia, e gli Stati membri “avvieranno questo esercizio”, sperando che questo basti a fermare Israele.Il gruppo della Sinistra al Parlamento europeo, il più risoluto nel denunciare gli orrori commessi a Gaza, ha commentato amaramente: “Il mondo intero ha assistito a un genocidio, proprio davanti ai nostri occhi, eppure l’Unione europea ha impiegato 20 mesi solo per prendere in considerazione un’azione contro i crimini di guerra israeliani”. Marc Botenga, coordinatore del gruppo per gli Affari esteri, ha rilanciato: “Abbiamo bisogno di un embargo totale sulle armi contro Israele e dell’immediata cancellazione dell’accordo di associazione Ue-Israele”.In realtà, perché la verifica del rispetto degli obblighi sui diritti umani porti a un’effettivo riposizionamento dell’Ue nei confronti di Tel Aviv, la strada è lunga e complicata. Per una sospensione, anche parziale, dell’Accordo di associazione, serve un voto all’unanimità. E già oggi è bastato uno Stato membro – l’Ungheria, rivelano fonti diplomatiche – per bloccare nuove sanzioni ai coloni israeliani violenti in Cisgiordania.Sanzioni chieste esplicitamente verso “alcuni ministri” del governo Netanyahu dalla ministra degli Esteri svedese, Maria Malmer Stenegard. In un messaggio all’Afp, ha dichiarato: “La Svezia è amica di Israele, ma ora dobbiamo alzare ancora il tono. Ci batteremo per le sanzioni europee contro alcuni ministri israeliani” che “sostengono una politica di insediamento illegale e si oppongono attivamente a una futura soluzione dei due Stati”. Anche l’omologa slovena, Tanja Fajon, ha annunciato che Lubiana “sta valutando, insieme a Francia e Irlanda, la possibilità di imporre sanzioni contro Israele”.

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    Ucraina, l’Ue adotta il 17esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – Approvato un pacchetto, se ne fa un altro. L’Ue non crede a Vladimir Putin, accusandolo di non essere realmente interessato a sedersi al tavolo col suo omologo Volodymyr Zelensky per negoziare una tregua in Ucraina. E così, il giorno dopo la telefonata di Donald Trump con lo zar, i Ventisette hanno dato il disco verde all’ennesimo giro di vite contro Mosca (il 17esimo dall’inizio della guerra) e si sono già messi al lavoro sul prossimo.Tra i file sul tavolo del Consiglio Affari esteri di oggi (20 maggio) c’era di nuovo quello delle sanzioni alla Russia. I ministri dei Ventisette hanno formalmente adottato il 17esimo pacchetto dall’inizio dell’invasione su larga scala nel febbraio 2022, che era stato approvato dagli ambasciatori la scorsa settimana. Niente di eclatante a livello di contenuti: si tratta sostanzialmente di un’estensione delle misure restrittive già in piedi, soprattutto per quanto riguarda le navi della cosiddetta “flotta ombra” con cui il Cremlino aggira l’embargo sul suo greggio.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Il mantra di Bruxelles è sempre lo stesso: le sanzioni servono per mettere pressione su Mosca e spingere lo zar Vladimir Putin a sedersi al tavolo delle trattative. “Penso sia importante, come abbiamo stabilito tutti e 27, che ci debba essere un cessate il fuoco completo e incondizionato“, ha ripetuto per l’ennesima volta Kaja Kallas ai giornalisti arrivando al Palazzo Europa. “L’Ucraina l’ha già accettato più di 60 giorni fa, e abbiamo concordato che se la Russia non accetta, come abbiamo visto ieri, allora aumenteremo la pressione“, ha aggiunto l’Alta rappresentante.Il riferimento è alla lunga telefonata (più di due ore) di ieri tra Donald Trump e l’inquilino del Cremlino, della quale tuttavia i due hanno dato due resoconti piuttosto diversi. Il presidente Usa si è detto molto soddisfatto della chiamata e ha annunciato trionfalmente sul suo social Truth che i due belligeranti “avvieranno immediatamente i negoziati per un cessate il fuoco e, cosa più importante, per la fine della guerra“.Putin, invece, si è limitato a dire che Mosca è pronta a lavorare con Kiev ad un “memorandum su un possibile futuro accordo di pace“. Il presidente russo ha sostenuto che tale documento potrebbe includere elementi come “i princìpi di una soluzione, i tempi di un possibile accordo di pace e così via, compreso un possibile cessate il fuoco per un certo periodo di tempo se si raggiungono accordi adeguati“, senza tuttavia fornire ulteriori dettagli.Per gli europei quello di Putin è un bluff. E dunque, garantisce il capo della diplomazia comunitaria, “continueremo a lavorare al prossimo forte pacchetto di sanzioni“: “Parliamo del tetto al prezzo del petrolio, del settore energetico e bancario“, spiega. E tira la giacca a Trump affinché faccia lo stesso: “Dagli Stati Uniti abbiamo sentito che senza una tregua ci sarebbero state delle reazioni forti, delle conseguenze, e ora vogliamo vedere queste conseguenze“, ha concluso l’ex premier estone lamentando l’assenza di “serie pressioni” da parte dell’amministrazione a stelle e strisce nei confronti del Cremlino.Tra i Ventisette la linea sembra essere condivisa. Per il titolare della Difesa tedesco, Boris Pistorius, Putin “non sembra ancora realmente interessato alla pace o a un cessate il fuoco, almeno non a condizioni che siano accettabili” per Kiev e i suoi alleati. Secondo il ministro socialdemocratico, il presidente russo sta “giocando col tempo” e non ha ancora rinunciato alle condizioni massimaliste che ripete da oltre tre anni.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Più soddisfatto della mediazione di Washington è parso invece il capo dell’Alleanza nordatlantica Mark Rutte, che partecipava al Consiglio Difesa di stamattina. “Sono davvero contento che Donald Trump abbia assunto un ruolo di leadership“, ha commentato, sostenendo che “l’amministrazione americana è molto coinvolta e sta dialogando con i colleghi dell’Ue“. Secondo il numero uno della Nato, non ci si deve aspettare risultati immediati perché “si tratta di un conflitto molto complesso”, ma “è importante che Trump abbia aperto canali di comunicazione” diretti con Putin.La chiamata tra Casa Bianca e Cremlino (la terza da quando il tycoon è ritornato allo Studio ovale) è arrivata in seguito al sostanziale buco nell’acqua dei colloqui di Istanbul, dove il leader ucraino aveva provocatoriamente invitato il suo omologo russo – che non si è mai presentato – a incontrarsi di persona per avviare trattative di alto livello su una tregua nei combattimenti e gettare le basi per futuri negoziati di pace. Ma l’unica cosa concordata dalle delegazioni di Mosca e Kiev è stato uno scambio di prigionieri e l’impegno a organizzare, in futuro, un faccia a faccia tra i rispettivi presidenti.

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    Ue-Uk, il riavvicinamento dopo la Brexit. Dalla difesa agli Erasmus, si apre un “nuovo capitolo”

    Bruxelles – Difesa, energia, commercio, pesca, migrazioni, giovani. Al primo summit tra la “Gran Bretagna indipendente e gli alleati in Europa” – come l’ha definito il primo ministro laburista Keir Starmer -, celebrato oggi (19 maggio) nella City, Bruxelles e Londra riprendono in mano l’intricato tessuto dei rapporti Ue-Regno Unito e rammendano alcuni degli strappi traumatici inflitti dalla Brexit.Il riavvicinamento non può che essere figlio delle maggiori crisi di questi tempi. E parte dunque dalla partecipazione di Londra a Safe, il nuovo strumento Ue per finanziare l’industria della difesa degli Stati membri, e passa per una maggiore integrazione del Regno Unito nel mercato unico, in risposta alle minacce commerciali che arrivano da oltreoceano. Ursula von der Leyen, Antonio Costa e Kaja Kallas, tutti e tre presenti al summit – accompagnati dal commissario europeo per il Commercio, Maroš Šefčovič – tornano a casa con “tre risultati concreti”: una dichiarazione congiunta, un partenariato per la sicurezza e la difesa e un documento di intesa comune tra la Commissione europea e il Regno Unito.“Questi accordi riflettono i nostri impegni comuni”, ha affermato il presidente del Consiglio europeo Costa durante la conferenza stampa congiunta con von der Leyen e Starmer. Rivolgendosi al primo ministro britannico, ha aggiunto: “Siamo vicini, alleati, partner, e siamo amici”. Sulla stessa linea la presidente della Commissione europea, per cui le due sponde della Manica sono “partner storici e naturali”. Più cauto Starmer – che deve rendere conto a chi nove anni fa scelse di tagliare il cordone ombelicale con le imposizioni di Bruxelles -, per cui l’accordo di oggi è stato raggiunto “nell’interesse nazionale” e “nello stesso spirito con cui abbiamo raggiunto accordi con gli Stati Uniti e l’India”.Sulla destra: la delegazione Ue a Londra, con Maros Sefcovic, Antonio Costa, Ursula von der Leyen e Kaja Kallas al Eu-Uk Summit a LondraAccordi, quelli di libero scambio con Nuova Delhi e sui dazi con Washington, che secondo Starmer hanno permesso a Londra di presentarsi al vertice con l’Ue “da una posizione di forza“. E così, a  meno di un decennio dalla Brexit, Londra si garantisce “un accesso senza precedenti” al mercato unico, “il migliore di qualsiasi Paese al di fuori dell’Ue”. Nel tentativo di convincere i più scettici, Starmer ha snocciolato l’elenco dei vantaggi del riavvicinamento: la riapertura del mercato unico verso la Manica “darà impulso alle esportazioni britanniche“, la partnership sulla difesa “offrirà nuove opportunità alle industrie”, mentre la cooperazione in materia di scambio di quote di emissioni “eviterà alle imprese britanniche di dover pagare 800 milioni di sterline in tasse europee sul carbonio“.Il tutto – ha garantito il primo ministro – senza oltrepassare la linea rossa del manifesto con cui ha varcato la soglia di Downing Street: “Non rientrare né nel mercato unico né nell’Unione doganale, non tornare alla libertà di circolazione“. Bruxelles, viceversa, ha sottolineato l’importanza del prolungamento per dodici anni, fino al 30 giugno 2038, del pieno accesso reciproco delle acque per la pesca. E del capitolo sull’energia, che apre la strada alla partecipazione del Regno Unito al mercato elettrico Ue: “Positivo per la stabilità dei flussi energetici, per la nostra sicurezza energetica comune, per abbassare i prezzi”, ha spiegato von der Leyen.Ursula von der Leyen, Keir Starmer and Antonio Costa al Eu-Uk Summit a LondraPer quanto riguarda l’accesso a Safe, il fondo comune da 150 miliardi per la difesa, in un primo momento Londra avrà la possibilità di aderire agli appalti congiunti, ma poi – attraverso “ulteriori accordi bilaterali” – l’idea è che anche le imprese britanniche possano essere ammissibili al programma. Sempre che tale strumento venga approvato così com’è dal Consiglio dell’Ue, dove è ancora in discussione.C’è poi il nodo mobilità, giovani, Erasmus: tra le ‘vittime’ innocenti e indiscriminate della Brexit, da entrambe le sponde della Manica, ci sono senz’altro loro, le centinaia di migliaia di studenti e giovani lavoratori britannici ed europei a cui la fuoriuscita del Regno Unito dai 27 ha tolto opportunità di formazione e di crescita. “Ricordo il periodo in cui ero studente qui a Londra”, ha enfatizzato von der Leyen, che si è detta “molto lieta” dell’accordo – ancora da definire – per l’associazione del Regno Unito al programma Erasmus+ dell’Unione europea. Le cui “condizioni specifiche, comprese le condizioni finanziarie”, dovrebbero “garantire un giusto equilibrio per quanto riguarda i contributi e i benefici per il Regno Unito”. Sul tavolo c’è anche un programma di esperienze per i giovani, da istituire con un regime di visti a tempo determinato, per facilitare la partecipazione a “varie attività, quali il lavoro, gli studi, il soggiorno alla pari, il volontariato o semplicemente i viaggi”.L’accelerata impressa oggi al riavvicinamento tra Regno Unito e Unione europea è notevole. Come dichiarato dal direttore generale di BusinessEurope Markus J. Beyrer, “ha dato slancio al nostro fondamentale partenariato economico, ma ora occorre compiere progressi concreti per facilitare gli scambi di beni e servizi“. Secondo Sandro Gozi, eurodeputato liberale e presidente della delegazione all’Assemblea parlamentare di partenariato Ue-Regno Unito, “perché questa svolta sia credibile dobbiamo ricostruire una fiducia reale, che si traduca in accordi solidi su difesa, sicurezza, energia e pesca” e ancor più “su mobilità giovanile, cooperazione digitale, intelligenza artificiale e ricerca”.

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    A Tirana si sono riuniti i leader europei, ma tutti pensavano a Istanbul

    Bruxelles – “La nuova Europa in un mondo nuovo“. È con questo motto che si è svolto oggi a Tirana il sesto summit della Comunità politica europea (Cpe), il forum informale che riunisce i leader di 47 Paesi dell’Europa geografica. Co-presieduto dal premier albanese Edi Rama e il presidente del Consiglio europeo, António Costa, l’incontro si è focalizzato su sicurezza, competitività e immigrazione. Tra i temi più caldi anche la guerra d’Ucraina, con Volodymyr Zelensky che ha criticato il buco nell’acqua dei colloqui di Istanbul e i vertici dell’Ue che hanno promesso nuove sanzioni contro Mosca.Si sono dati appuntamento oggi (16 maggio) a Tirana i “grandi” del Vecchio continente: i leader dei Ventisette e quelli di quasi tutti i Paesi extra-Ue (con l’eccezione di Russia e Bielorussia), i vertici comunitari e quelli di organizzazioni multilaterali come Nato e Consiglio d’Europa.La riunione è stata co-presieduta dal padrone di casa, il primo ministro albanese Edi Rama fresco di rielezione (la quarta consecutiva, seppur con qualche ombra), e da António Costa, il presidente del Consiglio europeo che ha appena concluso un tour di tre giorni nei Balcani occidentali per sottolineare l’impegno di Bruxelles sul dossier allargamento.Il primo ministro albanese Edi Rama (sinistra) e il presidente del Consiglio europeo António Costa (foto: European Council)Un palcoscenico internazionale non da poco per il leader del piccolo Paese balcanico, che vorrebbe far entrare Tirana nel club a dodici stelle entro il 2030 e che, a questo punto, può contare su buone connessioni politiche sia a Bruxelles sia tra i Ventisette (vedi il protocollo Italia-Albania sui famigerati centri di rimpatrio).Ma tutti gli occhi (o quasi) erano puntati su Volodymyr Zelensky, che dal summit di Tirana ha commentato l’esito, piuttosto deludente, dei primi colloqui diretti tra le delegazioni di Mosca e Kiev dal marzo 2022, svoltisi in mattinata a Istanbul alla presenza dei mediatori turchi e statunitensi.Come la maggior parte degli osservatori si aspettava, l’incontro (durato meno di due ore) non ha portato ad alcun accordo sul cessate il fuoco – che al momento rimane una chimera – ma ha dato il disco verde allo scambio di 1.000 prigionieri per parte. Le squadre negoziali avrebbero discusso, in maniera preliminare, alcune proposte per una tregua e, pare, anche l’eventualità di un incontro al massimo livello tra Zelensky e Vladimir Putin.Spoke with @POTUS together with President Macron, Federal Chancellor Merz, Prime Ministers Starmer and Tusk. We discussed the meeting in Istanbul.Ukraine is ready to take the fastest possible steps to bring real peace, and it is important that the world holds a strong stance.… pic.twitter.com/CG3pAnN5Ip— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) May 16, 2025Il presidente ucraino ha avuto uno scambio sul tema con l’omologo francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il primo ministro britannico Keir Starmer e quello polacco Donald Tusk. I cinque hanno parlato brevemente al telefono con Donald Trump (il quale ha annunciato di voler vedere al più presto l’omologo russo), per ribadire che “la pressione sulla Russia deve essere mantenuta fino a quando la Russia non sarà pronta a porre fine alla guerra”. Assente invece alla riunione ristretta la premier italiana Giorgia Meloni, che sembra essersi fatta bastare i siparietti con Rama.In risposta all’indisponibilità di Mosca di sedersi al tavolo delle trattative, Ursula von der Leyen e Kaja Kallas hanno annunciato dalla cornice della Cpe che Bruxelles si metterà al lavoro per confezionare un nuovo round di sanzioni contro il Cremlino, a distanza di pochi giorni dall’approvazione (a livello di ambasciatori degli Stati membri) del 17esimo pacchetto di misure restrittive.Il capo dell’esecutivo comunitario ha sottolineato che verranno incluse, tra le altre cose, “sanzioni su Nord Stream 1 e Nord Stream 2” (i gasdotti che collegano la Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico), mentre l’Alta rappresentante ha ripetuto che l’assenza di Putin ad Istanbul dimostra che lo zar “non è serio” sul processo negoziale. Opinione condivisa anche dal Segretario generale della Nato Mark Rutte, per il quale è stato “un errore” da parte della Federazione inviare nel Bosforo una delegazione di basso livello.La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto: Aurore Martignoni/European Commission)Dopo la prima sessione plenaria (e una cerimonia d’apertura in cui su un maxischermo sono state proiettate delle versioni “infantili” dei leader presenti al vertice, generate con l’intelligenza artificiale), i capi di Stato e di governo si sono seduti intorno a tre tavole rotonde tematiche, ciascuna co-presieduta da un leader Ue e da uno extra-Ue.La prima si è occupata di sicurezza (incluso, naturalmente, il dossier ucraino) e resilienza democratica; la seconda di competitività economica; la terza di migrazione, mobilità e giovani. In chiusura dei lavori, una seconda plenaria per dare appuntamento ai leader al prossimo summit della Cpe, fissata per l’autunno in Danimarca.

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    Ucraina, tutti gli occhi su Istanbul (ma senza Putin e Zelensky)

    Bruxelles – La Turchia torna prepotentemente al centro della diplomazia internazionale. Nonostante Vladimir Putin abbia disertato l’appuntamento con Volodymyr Zelensky, a Istanbul esiste ancora la possibilità che si incontrino le delegazioni negoziali di Mosca e Kiev per la prima volta dal 2022, anche se le speranze per una svolta decisiva sono minime. Il presidente ucraino ha visto l’omologo turco Recep Tayyip Erdoğan ad Ankara, mentre ad Antalya si sono riuniti gli alleati Nato per discutere del futuro aumento delle spese militari.La soluzione diplomatica della guerra d’Ucraina potrebbe passare per la Turchia? È la speranza delle cancellerie di mezzo mondo, che da stamattina (15 maggio) osservano col fiato sospeso – ma non troppe illusioni – gli sviluppi in corso tra Ankara ed Istanbul. Lì i rappresentanti di Mosca e Kiev potrebbero vedersi già in serata per discutere i termini di un cessate il fuoco anche con gli emissari turchi e statunitensi, come annunciato qualche ora fa da Volodymyr Zelensky.Da quando, ieri sera, Vladimir Putin ha lasciato cadere nel vuoto l’offerta avanzata dal leader ucraino per incontrarsi di persona nella millenaria città sul Bosforo, è apparso evidente che la tanto attesa svolta negoziale per porre fine alla guerra non sarebbe arrivata tanto presto. Lo stesso Donald Trump, che pure aveva ipotizzato di recarsi a Istanbul per partecipare a eventuali colloqui, ha disertato l’appuntamento una volta saputo dell’assenza dello zar.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Ma Zelensky si è comunque presentato ad Ankara per vedere il suo omologo turco Recep Tayyip Erdoğan. Al termine del bilaterale, il presidente ucraino ha criticato la decisione del Cremlino di inviare una delegazione di basso livello (non ne fanno parte né il titolare degli Esteri, Sergei Lavrov, né il consigliere presidenziale Yuri Ushakov), descrivendola come una dimostrazione del fatto che “la Russia non ritiene di dover porre fine” alla guerra che ha scatenato oltre tre anni fa.“Il che significa che non c’è abbastanza pressione politica, economica e di altro tipo” su Mosca, ha ragionato, chiedendo “sanzioni adeguate” se i negoziati di Istanbul non porteranno ad un’intesa per una tregua nei combattimenti (una mossa già compiuta dall’Ue). Zelensky si è anche tolto un sassolino nella scarpa nei confronti del tycoon newyorkese: “Bisogna fare pressione sulla parte che non vuole porre fine alla guerra”, ha detto, aggiungendo che dal suo punto di vista Washington ha “fatto pressione più su di noi che sui russi“, senza ottenere i risultati sperati.Kiev, insieme ai suoi alleati occidentali, chiede da tempo un cessate il fuoco totale di 30 giorni come precondizione per avviare trattative più ampie. Una posizione che il Cremlino ha finora rigettato, preferendo avviare eventuali colloqui senza nel mentre sospendere i bombardamenti e gli attacchi. La disponibilità di Mosca a considerare l’opzione diplomatica si è registrata solo in seguito alla riconquista, da parte delle truppe russe, dell’oblast’ di Kursk invasa dagli ucraini lo scorso agosto.I had a good and productive meeting with President of Türkiye @RTErdogan in Ankara. It focused on bringing peace closer and guaranteeing security.I thank President Erdoğan and all of Türkiye for their support of our state, and for supporting all the real steps toward a full,… pic.twitter.com/dk3lPdooJE— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) May 15, 2025Non è chiaro, al momento attuale, quali risultati ci si possa aspettare dai colloqui di Istanbul. La delegazione ucraina è guidata dal consigliere presidenziale Andrij Yermak, mentre a capo della squadra russa c’è Vladimir Medinsky, ex ministro ultraconservatore della Cultura considerato un falco del Cremlino. Trump ha commentato che “non succederà nulla finché io e Putin non ci incontreremo”.“Siamo pronti a lavorare e a riprendere i colloqui“, ha dichiarato Medinsky, sostenendo che la sua delegazione “è determinata a essere costruttiva e a cercare possibili soluzioni e un terreno comune“. Ma, ribadendo per l’ennesima volta che la Russia punta a “eliminare le cause alle radici del conflitto“, ha fatto intendere che le posizioni massimaliste della Federazione non sono cambiate.Tuttavia, il fatto che si possa riaprire un canale di comunicazione diretta tra Kiev e Mosca è già un successo. La prima e unica volta che i due belligeranti si sono seduti allo stesso tavolo risale al marzo 2022, sempre a Istanbul. Allora, i negoziati erano deragliati in seguito alla scoperta dell’ecatombe di Bucha da parte degli ucraini, ma difficilmente avrebbero portato a qualche accordo date le richieste avanzate dal Cremlino.Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan (foto: Sara Minelli via Imagoeconomica)Erdoğan sta cercando di riposizionare la Turchia come mediatore chiave in questa delicatissima partita diplomatica. Oltre ai colloqui del marzo di tre anni fa, il sultano aveva anche mediato, nel luglio dello stesso anno, la stipula della cosiddetta iniziativa del Mar Nero, che permise per 12 mesi di continuare a esportare nel mondo il grano ucraino e i fertilizzanti russi.A Istanbul, peraltro, dovrebbero arrivare nelle prossime ore anche due pezzi da novanta dell’amministrazione a stelle e strisce: il Segretario di Stato Marco Rubio e l’inviato speciale della Casa Bianca Steve Witkoff. Il primo ha partecipato, ieri e oggi, alla ministeriale della Nato ad Antalya, nel sudovest del Paese.Lì, i titolari degli Esteri dei 32 membri dell’Alleanza hanno discusso della proposta statunitense di aumentare le spese militari fino al 5 per cento del Pil, una questione che terrà banco al summit dell’Aia in calendario per il 24-25 giugno. Ad oggi, nove Paesi tra cui l’Italia non raggiungono nemmeno il target del 2 per cento concordato nel 2014 (a spendere di meno di tutti, in proporzione, è la Spagna).

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    Allargamento, Costa difende la Macedonia (e punzecchia la Bulgaria): “Si metta in pratica quanto pattuito”

    Bruxelles – Il penultimo stop del tour di António Costa nei Balcani occidentali è la Macedonia del nord. Il presidente del Consiglio europeo l’ha visitata stamattina (15 maggio), per ribadire al premier Hristijan Mickoski il proprio impegno personale a portare a termine il processo di adesione di Skopje all’Unione europea. Ma, come sottolineato dal padrone di casa, a bloccare il percorso della piccola nazione verso il club a dodici stelle c’è soprattutto l’ostruzionismo della Bulgaria, rispetto al quale lo stesso Costa è parso insofferente.Con un ritardo di un’ora abbondante (dovuto ad un bilaterale “esteso ma molto costruttivo”), il presidente del Consiglio europeo António Costa e il primo ministro macedone Hristijan Mickoski hanno tenuto una breve conferenza stampa congiunta nella tarda mattinata di oggi. Il socialista portoghese si è congratulato col leader conservatore per “l’eccellente lavoro compiuto dalla Macedonia del nord e dal vostro governo sull’agenda delle riforme” e per i progressi fatti fin qui, a cominciare dall’allineamento con la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione (Pesc).Ora serve “tirare dritto con le riforme” e sfruttare l’opportunità di “concludere investimenti strategici”, ha aggiunto Costa, notando che Skopje e Bruxelles “si stanno già avvicinando” come dimostrato dal partenariato sulla difesa e la sicurezza stipulato lo scorso novembre. Il processo d’adesione “è una maratona, non uno sprint”, ha tuttavia segnalato Costa, esortando il suo interlocutore a “mantenere la rotta” e a tenere duro attraverso un “sentiero che può essere impegnativo“.Il primo ministro della Macedonia del nord, Hristijan Mickoski (foto: Robert Atanasovski/Afp)Una frase profetica, e una nota dolente per il padrone di casa. Il quale non ha perso l’occasione per puntare il dito contro la vicina Bulgaria, che da tempo si è messa di traverso bloccando di fatto il cammino macedone verso l’Unione. “Stiamo camminando lungo il più difficile dei sentieri“, ha ammesso Mickoski, per poi chiedersi se “stiamo realmente camminando” poiché, ha lamentato, “siamo nello stesso punto dove ci trovavamo 20 anni fa“.“Siamo convinti che il futuro dei cittadini macedoni sia all’interno della famiglia europea“, ha detto, rimarcando tuttavia che il suo Paese merita di essere trattato “dignitosamente” sia da candidato sia, eventualmente, da membro dell’Ue. “Abbiamo un problema con la Bulgaria e vogliamo risolverlo“, certifica il premier, “ma è una strada a due corsie” e, sostiene, solo una delle due parti si sta realmente impegnando per fare passi avanti.“Abbiamo fatto molto per entrare in Ue“, ha ribadito Mickoski riferendosi alle varie modifiche apportate nel corso degli anni alla Costituzione, alla bandiera e al nome stesso del Paese, aggiungendo di essere disposto “a sedermi al tavolo, discutere e trovare una soluzione“. Ma per ora, dice, non si vede a Sofia una disponibilità analoga. “Il processo d’integrazione dovrebbe essere guidato dai valori e non dai negoziati bilaterali”, ha concluso, sostenendo di non poter “modificare per l’ennesima volta la Costituzione sapendo che uno Stato membro mette in discussione la nostra identità nazionale“.Da Costa è arrivata una sponda. “Questo processo è durato troppo, ora è il momento dei risultati“, ha concordato, sottolineando che tanto la Macedonia quanto la Bulgaria devono mettere in pratica i contenuti dell’accordo raggiunto nel luglio 2022. Quel patto prevedeva il riconoscimento della minoranza bulgara da parte della Macedonia (che aveva modificato la Carta fondamentale) e la rimozione del veto di Sofia all’accesso di Skopje.Il presidente del Consiglio europeo, António Costa (foto: European Council)Ma il perdurare dell’opposizione bulgara aveva portato, lo scorso autunno, ad un rallentamento dei negoziati di adesione. “Ciò che è stato concordato è stato concordato“, ha tagliato corto il presidente del Consiglio europeo, “e bisogna assicurarsi che nessuno chieda ora qualcosa in più di quanto già pattuito“. Chi doveva intendere, intenda.Quella di Skopje è la quinta tappa del tour balcanico di Costa. Negli scorsi giorni, ha fatto quattro visite in altrettanti Paesi della regione: martedì in Serbia (dove ha incontrato il presidente Aleksandar Vučić, fresco di un viaggio alla corte di Vladimir Putin) e Bosnia-Erzegovina, ieri in Montenegro (per congratularsi dei progressi “impressionanti” di Podgorica verso l’adesione) e a Pristina, la capitale del Kosovo (che pure non è riconosciuto, ad oggi, da cinque Stati membri su 27).La destinazione finale di Costa è Tirana, verso cui si sta dirigendo in queste ore. Lì, l’ex premier portoghese incontrerà domani (16 maggio) i leader di una quarantina di Paesi del Vecchio continente in occasione del sesto summit della Comunità politica europea per discutere di sicurezza, competitività, migrazione e democrazia.