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    L’Ue al fianco della Moldova nella lotta contro i disordini sobillati dalla Russia: “Supporto incrollabile a Chișinău”

    Bruxelles – Dopo l’allarme, la reazione. Le autorità della Repubblica di Moldova hanno annunciato di aver arrestato sette persone con l’accusa di favoreggiamento di disordini durante le proteste antigovernative filo-russe di ieri (12 marzo). Una rete “orchestrata da Mosca” per destabilizzare la situazione interna al Paese candidato all’adesione all’Unione Europea, di cui farebbero parte cittadini moldavi e “agenti russi” inviati direttamente dal Cremlino per organizzare “disordini di massa” a Chișinău.
    Proteste anti-governative a Chișinău, Moldova, il 12 marzo 2023 (credits: Daniel Mihailescu / Afp)
    “Congratulazioni alla polizia moldava, che ha arrestato persone sospettate di aver pagato per promuovere disordini filorussi e antigovernativi”, è il commento della commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, ricordando che “il sostegno dell’Ue alla Moldova rimane essenziale“. Una dimostrazione è stata la riunione di venerdì (10 marzo) del Nucleo di sostegno Ue insieme alla ministra degli Interni moldava, Ana Revenco, in cui è stata firmata una lettera di intenti con Europol per garantire un supporto nella lotta al crimine organizzato. A margine dello stessa riunione a Bruxelles la ministra Revenco ha avvertito che “la Repubblica di Moldova è la seconda linea dell’aggressione russa contro l’Ucraina”. Nel corso della giornata di ieri migliaia di manifestanti filo-russi hanno marciato nella capitale del Paese, guidati da esponenti di Șor, il partito di Ilan Shor, oligarca moldavo sanzionato nell’ottobre dello scorso anno dagli Stati Uniti per la sua vicinanza al governo russo (la stessa cosa il governo moldavo chiede a Bruxelles di fare) e oggi in esilio in Israele per proteggersi da un furto bancario da 1 miliardo di dollari.
    Prima della riunione con la commissaria Johansson la ministra Revenco aveva fatto un riferimento implicito alle responsabilità anche di Shor nel rischio di colpo di Stato in Moldova, parlando di “sforzi e risorse di Mosca, gruppi di interesse e oligarchi fuggiti per aumentare il livello di destabilizzazione nel Paese”. Le autorità di polizia hanno anche informato che nell’ultima settimana è stato negato l’ingresso in Moldova a 182 cittadini stranieri – tra cui un “possibile rappresentante” del gruppo militare privato russo Wagner – mentre l’agenzia anti-corruzione ha effettuato un sequestro pari a oltre 200 mila euro per un presunto finanziamento illegale di Șor da parte di un gruppo di criminalità organizzata legato a Mosca. “La Moldova è uno dei Paesi più negativamente colpiti dalle conseguenze della guerra russa in Ucraina, negli ultimi mesi è diventato sempre più target degli attacchi ibridi e della disinformazione russa”, ha ricordato alla stampa il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna, Peter Stano: “L’obiettivo è chiaro, minare e destabilizzare il Paese e le sue riforme anti-corruzione del governo pro-Ue”.
    Nelle ultime settimane si sono svolte diverse proteste da parte del gruppo Movimento per il Popolo – che riunisce diversi gruppi, associazioni e partiti filo-russi come Șor – per spingere la presidente europeista Maia Sandu a rassegnare le dimissioni. Non è un caso se poco meno di un mese fa Sandu ha confermato un report dell’intelligence ucraina, secondo cui il Cremlino ha messo in atto un piano per “rompere l’ordine democratico e stabilire il controllo” russo sul Paese candidato all’adesione Ue: l’obiettivo sarebbe “un cambio di potere a Chișinău”, attraverso “azioni violente, mascherate da proteste della cosiddetta opposizione“, con il coinvolgimento di “cittadini stranieri”. Per sostenere la leadership moldava, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha telefonato ieri alla presidente Sandu: “Il sostegno dell’Ue è incrollabile“, ha confermato il numero uno del Consiglio, precisando che è necessario “continuare a lavorare insieme in questa nuova fase di relazioni strategiche”. La conversazione telefonica è stata anche un’occasione per discutere della seconda riunione della Comunità Politica Europea, che il primo giugno porterà i capi di Stato e di governo dei Paesi proprio a Chișinău, ma anche della “determinazione della Moldova a portare avanti le riforme e gli sforzi per avanzare sulla strada Ue”.
    Le tensioni interne in Moldova
    Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina il 24 febbraio 2022 sono aumentate le tensioni nella Repubblica di Moldova e in particolare nell’autoproclamata Repubblica filo-russa della Transnistria, nell’est del Paese, con attacchi a Tiraspol e lungo il confine con l’Ucraina (primi segnali di strategia di destabilizzazione russa e di tentativo di trovare un pretesto per un possibile intervento armato). Nell’ultimo mese si sono registrati sempre più numerosi atti di provocazione palese di Mosca, con missili che attraversano lo spazio aereo della Repubblica di Moldova in direzione del territorio ucraino, mentre lo scorso 9 febbraio il presidente Volodymyr Zelensky ha informato per primo i 27 leader Ue (come poi confermato dalla presidente Sandu) del piano del Cremlino per “rompere l’ordine democratico e stabilire il controllo” russo sul Paese che ha ottenuto lo status di candidato dal 23 giugno dello scorso anno.
    Sul piano politico la situazione è particolarmente delicata, con le dimissioni dimissioni a sorpresa dello scorso 10 febbraio da parte della prima ministra europeista, Natalia Gavrilița. A succederle è stato scelto l’ex-segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza ed ex-ministro degli Affari Interni, Dorin Recean, che ha subito tranquillizzato sul fatto che sicurezza, economia e integrazione Ue saranno le priorità del governo, a partire dalla “realizzazione di tutte le condizioni per l’adesione all’Unione Europea” nel più breve tempo possibile. La Moldova aveva fatto richiesta formale per aderire all’Ue il 3 marzo dello scorso anno, a una settimana dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, ricevendo il via libera della Commissione tre mesi più tardi e il successivo benestare del Consiglio Ue alla concessione dello status di Paese candidato il 23 giugno.

    La polizia ha arrestato sette persone legate al Cremlino durante le proteste antigovernative guidate da Șor, il partito filo-russo dell’oligarca Ilan Shor. Colloquio telefonico tra i presidenti del Consiglio Ue, Charles Michel, e del Paese candidato all’adesione Ue, Maia Sandu

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    Von der Leyen strappa a Biden un impegno su sussidi verdi e minerali critici

    Bruxelles – Un incontro “molto positivo”, che per Ursula von der Leyen dovrebbe spianare la strada a un dialogo tra Ue e Usa sugli incentivi per le tecnologie verdi e a un più ampio accordo vincolante per consentire l’accesso al mercato statunitense delle materie prime critiche europee. Il viaggio della presidente della Commissione europea a Washington della scorsa settimana per incontrare il capo della Casa Bianca Joe Biden si è chiuso venerdì così, con una dichiarazione congiunta e un impegno a lavorare per una distensione delle tensioni sull’Inflaction Reduction Act (Ira), il piano di sussidi verdi da 370 miliardi di dollari varato dall’amministrazione Biden per l’industria e la tecnologia pulita, che Bruxelles teme possa svantaggiare le imprese europee o costringerle alla delocalizzazione della produzione.
    Il dialogo sugli incentivi per l’energia pulita – si legge nella dichiarazione comune – servirà a coordinare “i rispettivi programmi di incentivi in ​​modo che si rafforzino a vicenda”, ovvero da una parte il Piano Ue per l’industria verde annunciato da von der Leyen e dall’altra l’Inflation Reduction Act di Biden. L’obiettivo si legge tra le righe ed è quello di evitare per quanto possibile la competizione industriale tra i due lati dell’Atlantico, soprattutto in chiave anti-Cina e alla sua corsa ai sussidi verdi. La presidente dell’Esecutivo comunitario ammette (e non è la prima volta) che l’IRA americana è un piano positivo per la transizione energetica globale perché consente un massiccio investimento verso l’energia verde che per Washington è inedito. Ma mentre l’Unione Europea fa da apripista livello mondiale in termini di strategia per ridurre le emissioni di carbonio, deve anche riuscire a evitare che l’impegno per la transizione verde di penalizzare l’industria o peggio, portare le industrie Ue a delocalizzare la produzione dove gli obiettivi climatici sono meno stringenti o i sussidi maggiori.

    On #IRA, two new major steps:
    → Starting on a critical raw materials agreement
    To secure strong supply chains for batteries in 🇪🇺 & ensure access to the 🇺🇸 market
    → Launching a dialogue on Clean Energy Incentives
    So our incentives reinforce each other rather than compete pic.twitter.com/xh6zWxGAMf
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) March 10, 2023

    Da quando l’amministrazione Biden ha presentato l’IRA in agosto, è stata istituita una task force Usa-Ue con cui Bruxelles sta cercando di ottenere agevolazioni per le imprese dell’Ue, un trattamento di favore come quello di cui godono Canada e Messico. Passi avanti nelle scorse settimane si sono registrati nell’ottenere l’accesso ai privilegi fiscali negli Stati Uniti per l’industria automobilistica europea, in particolare sulle auto elettriche aziendali in leasing. Rimane l’altra questione dei minerali per la produzione di batterie elettriche. L’Ira prevede fino a un massimo di 7.500 dollari di incentivi per le batterie elettriche, di cui 3.750 riguardano i minerali e 3.750 il resto della componentistica. Per la quota relativa ai minerali – quindi il 50 per cento – Bruxelles vuole che anche le batterie prodotte in Europa possano avvalersi degli incentivi fiscali americani.
    Venerdì si parlava della possibilità di raggiungere un accordo già durante il confronto tra i due leader, ma la strada sembra ancora lunga. Nella dichiarazione c’è l’impegno di Bruxelles e Washington a lavorare sulle materie prime critiche che sono state acquistate o lavorate nell’Unione europea e per dare loro l’accesso al mercato americano e ai suoi incentivi. “Lavoreremo su un accordo in merito”, ha annunciato von der Leyen in conferenza stampa al fianco di Biden. Saranno avviati “i negoziati su un accordo mirato sui minerali critici allo scopo di consentire ai minerali critici pertinenti estratti o lavorati nell’Unione europea di essere conteggiati ai fini dei requisiti per i veicoli puliti del credito d’imposta sui veicoli puliti” dell’IRA, spiega la dichiarazione comune.
    L’approvvigionamento di minerali critici per la transizione verde dipende quasi esclusivamente dalla Cina che lavora quasi il 90 per cento di terre rare e il 60 per cento di litio, indispensabile per la produzione di batterie. La Commissione presenterà questa settimana i dettagli legislativi del suo Piano industriale per il Green Deal, una strategia di lungo termine per la competitività dell’industria: il ‘Net-Zero Industry Act’, la proposta di regolamento per l’industria a emissioni zero, il ‘Critical Raw Material Act’ per non perdere la corsa all’approvvigionamento di materie prime critiche per la transizione e la riforma del mercato elettrico dell’Ue. I tre pilastri normativi del Piano per l’industria green saranno accompagnati da una più ampia comunicazione (non vincolante) sulla strategia Ue a lungo termine per la competitività. Le proposte finiranno sul tavolo dei capi di stato e governo al Vertice Ue del 23 e 24 marzo a Bruxelles.

    Il viaggio della presidente della Commissione a Washington si è chiuso venerdì l’idea di approfondire il dialogo sugli incentivi per le tecnologie verdi e spianare la strada a un più ampio accordo vincolante per consentire l’accesso al mercato statunitense delle materie prime critiche europee

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    La Moldova mette in guardia i Ventisette: “Ci troviamo sulla strada di Putin verso l’obiettivo di disunire l’Europa”

    Bruxelles – L’avvertimento che arriva da Chișinău è sempre più urgente. “La Repubblica di Moldova è la seconda linea dell’aggressione russa contro l’Ucraina, ci troviamo solo sulla strada di Mosca per rompere la stabilità e l’unione in Europa”, è l’allarme lanciato dalla ministra degli Interni moldava, Ana Revenco, a Bruxelles oggi (10 marzo) in occasione della quinta riunione del Nucleo di sostegno Ue al Paese dell’Europa orientale: “L’obiettivo di Putin sono la democrazia e la pace in Europa, noi dobbiamo lavorare con operazioni congiunte per affrontare tutte le conseguenze di questa guerra”.
    Approfondendo la questione, la ministra Revenco ha sottolineato che “la lotta degli ucraini mantiene distante il fronte da noi, ma in Moldova sentiamo ogni giorno le conseguenze e la complessità della crisi”, determinata dalla convergenza di “sforzi e risorse di Mosca, gruppi di interesse e oligarchi fuggiti per aumentare il livello di destabilizzazione nel Paese“. Poco meno di un mese fa la presidente della Moldova, Maia Sandu, ha confermato il report dell’intelligence ucraina, secondo cui il Cremlino ha messo in atto un piano per “rompere l’ordine democratico e stabilire il controllo” russo sul Paese candidato all’adesione Ue. Dopo diversi tentativi nel corso dell’ultimo anno il piano di Mosca “prevede azioni che coinvolgono diversivi con addestramento militare, camuffati in abiti civili, che avrebbero intrapreso azioni violente, effettuato attacchi a edifici di istituzioni statali o addirittura preso ostaggi”, è stato l’attacco della presidente Sandu in conferenza stampa lo scorso 13 febbraio. L’obiettivo sarebbe “un cambio di potere a Chișinău”, attraverso “azioni violente, mascherate da proteste della cosiddetta opposizione”, con il coinvolgimento di “cittadini stranieri”.
    A Bruxelles la ministra degli Interni moldava ha confermato che la situazione della sicurezza del Paese “continua a essere estremamente volatile“, con il rischio reale di “cambiare il corso democratico” in Moldova. “Questo influenza il modo in cui vediamo la pace e l’essere parte dell’Unione Europea”, ha ribadito Revenco, che nella richiesta di “unire gli sforzi per rispondere le minacce alla democrazia in Europa” ha trovato nella commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, una solida sponda: “La Moldova riveste un ruolo chiave per l’Ue, perché beneficia del nostro supporto ma fornisce anche un sostegno alla nostra sicurezza comune”. Con conferme alla visione di Chișinău sulle mire del Cremlino: “Putin non vuole solo distruggere l’Ucraina come Paese, popolo e cultura, Putin vorrebbe destabilizzare, disunire e distruggere tutta l’Unione Europea“.
    La situazione interna alla Repubblica di Moldova
    È dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina il 24 febbraio 2022 che sono aumentate le tensioni nell’autoproclamata Repubblica filo-russa della Transnistria, nell’est del Paese, lungo il confine con l’Ucraina. Nell’ultimo mese si sono però registrati sempre più numerosi atti di provocazione palese di Mosca, con missili che attraversano lo spazio aereo della Repubblica di Moldova in direzione del territorio ucraino. Il tutto a meno di tre mesi dalla seconda riunione della Comunità Politica Europea, che il primo giugno porterà i capi di Stato e di governo dei Paesi dell’intero continente proprio nella capitale del Paese che ha ottenuto lo status di candidato il 23 giugno dello scorso anno.
    Anche sul piano politico la situazione è particolarmente instabile. Non solo per le parole della presidente Sandu che hanno confermato il timore dei servizi segreti di piani russi per il rovesciamento del regime democratico nel Paese, ma anche per il cambio di governo a sorpresa. Lo scorso 10 febbraio si è dimessa la prima ministra europeista, Natalia Gavrilița, accusando l’opinione pubblica nazionale di non sostenere il processo verso l’adesione Ue “come i partner internazionali”. A succederle è stato scelto l’ex-segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza ed ex-ministro degli Affari Interni, Dorin Recean, che ha subito tranquillizzato sul fatto che sicurezza, economia e integrazione Ue saranno le priorità del governo: “A partire dalla Seconda Guerra Mondiale non abbiamo mai corso rischi come quelli attuali, dobbiamo consolidare il sistema di sicurezza in modo tale che tutti i cittadini si sentano protetti”, anche e soprattutto attraverso la “realizzazione di tutte le condizioni per l’adesione all’Unione Europea” nel più breve tempo possibile.

    In occasione della riunione del Nucleo di sostegno Ue la ministra degli Interni moldava, Ana Revenco, ha parlato di “situazione estremamente volatile” per la sicurezza del Paese, di fronte ai tentativi di destabilizzazione russi: “Siamo la seconda linea dell’aggressione all’Ucraina”

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    Prove d’intesa sul piano Usa di sussidi verdi. Von der Leyen vola da Biden e cerca l’accordo sui minerali critici

    Bruxelles – Unione europea e Stati Uniti, prove di distensione sui sussidi verdi. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è atterrata ieri sera (9 marzo) a Washington, dove oggi incontrerà il presidente statunitense Joe Biden. Al centro dei colloqui le preoccupazioni di Bruxelles sull’Inflaction Reduction Act (Ira), il piano di sussidi verdi da 370 miliardi di dollari varato dall’amministrazione Biden per l’industria e la tecnologia pulita, che Bruxelles teme possa svantaggiare le imprese europee o costringerle alla delocalizzazione della produzione. Bruxelles ha annunciato di voler rispondere al piano varato dalla Casa Bianca in agosto con un Piano industriale per il Green Deal, una spinta allo sviluppo e alla produzione di tecnologia pulita sul territorio europeo.
    Mentre lavora al suo piano industriale (di cui le tre proposte legislative saranno presentate la prossima settimana), la Commissione sta lavorando in bilaterale con Washington per ottenere agevolazioni per le imprese dell’Ue, un trattamento di favore come quello di cui godono Canada e Messico. Attraverso la task force Usa-Ue passi avanti si sono registrati nell’ottenere l’accesso ai privilegi fiscali negli Stati Uniti per l’industria automobilistica europea, in particolare sulle auto elettriche aziendali in leasing. Ma Bruxelles sta cercando di strappare anche un accordo sui minerali lavorati nell’Unione europea per la produzione di batterie elettriche.
    L’Ira prevede fino a un massimo di 7.500 dollari di incentivi per le batterie elettriche, di cui 3.750 riguardano i minerali e 3.750 il resto della componentistica. Per la quota relativa ai minerali – quindi il 50 per cento – anche le batterie prodotte in Europa potranno avvalersi degli incentivi fiscali americani. Von der Leyen e Biden dovrebbero annunciare un accordo Usa-Ue sui ‘minerali critici’, secondo quanto riporta il New York Times, citando un alto funzionario dell’amministrazione Usa, i due dovrebbero discutere infatti di un possibile accordo sui cosiddetti minerali critici, indispensabili per la transazione verso l’energia pulita, per ridurre la dipendenza dalla Cina da cui oggi l’Ue importa per il 98 per cento.
    I piani di von der Leyen per l’industria green
    Sul piano interno, la Commissione europea sta lavorando per presentare la prossima settimana i dettagli legislativi del suo Piano industriale per il Green Deal. Il nucleo duro del Piano sarà il ‘Net-Zero Industry Act’, la proposta di regolamento per l’industria a emissioni zero che sarà presentato il 14 marzo insieme al ‘Critical Raw Material Act’, mentre la riforma del mercato elettrico dell’Ue è in calendario per il 16 marzo: sono questi i tre pilastri normativi del Piano per l’industria green, che saranno accompagnati (sempre in data 16 marzo) da una più ampia comunicazione (non vincolante) sulla strategia Ue a lungo termine per la competitività. Le proposte finiranno sul tavolo dei capi di stato e governo al Vertice Ue del 23 e 24 marzo a Bruxelles.
    Le prime indiscrezioni sul Net-Zero – di cui Eunews ha letto la bozza – si pone l’obiettivo di introdurre un quadro normativo prevedibile e semplificato per lo sviluppo di tecnologia pulita, sulla scia del ‘Chips Act’ varato per i semiconduttori. L’atto normativo fissa l’obiettivo che entro il 2030 la capacità dell’Unione europea di produrre tecnologia net-zero dovrà soddisfare almeno il 40 per cento del fabbisogno annuo di tecnologia necessaria per raggiungere gli obiettivi del piano per l’indipendenza energetica ‘REPowerEU’ e del Green Deal. Introduce poi una categoria di cosiddetti “progetti di resilienza Net-Zero”, ovvero progetti considerati di importanza strategica dal punto di vista del contributo che possono dare alla transizione energetica. E che, secondo la Commissione Ue, devono poter godere di procedure accelerate per le autorizzazioni e di vedersi mobilitare fondi in via di priorità.
    Von der Leyen è a Washington anche per ultimare i lavori sul Critical Raw Material Act, la Legge per le materie critiche per la transizione. Litio, cobalto, tungsteno, gallio, silicio metallico per i semiconduttori e platino per le celle a idrogeno e le celle elettrolitiche: sono tutte materie prime che l’Ue considera critiche e strategiche per la produzione di tecnologie pulite necessarie alla transizione, ma su cui è quasi completamente dipendente da Paesi terzi, come la Cina. E’ nell’ottica del Raw Material Act che Bruxelles sta portando avanti il lavoro per un ‘Club delle materie prime critiche’, a cui cerca di far partecipare anche gli Stati Uniti. Un club di partner affidabili sulle materie prime critiche per garantire un approvvigionamento globale e sostenibile e conveniente di materie prime essenziali per la doppia transizione verde e digitale.

    Il nodo di tutte queste iniziative rimangono i finanziamenti. In attesa della proposta di un Fondo per la sovranità che arriverà non prima dell’estate, la Commissione ha proposto agli Stati di utilizzare tre leve finanziarie attingendo a risorse già esistenti: REPowerEu’, InvestEU e Fondo innovazione. Non solo. Dopo aver aperto una consultazione nelle scorse settimane, ieri la Commissione ha adottato le nuove norme sugli aiuti di Stato per la tecnologia verde, proprio nell’ottica di contrastare la minaccia per l’industria europea rappresentata dai sussidi statunitensi e cinesi. Le regole si applicheranno fino alla fine del 2025 e consente ai governi nazionali di sovvenzionare “la produzione di apparecchiature strategiche” come pannelli solari, batterie, pompe di calore ed elettrolizzatori per la produzione di idrogeno, nonché la produzione di componenti chiave e relative materie prime critiche. “Il quadro che abbiamo adottato oggi offre agli Stati membri la possibilità di concedere aiuti di Stato in modo rapido, chiaro e prevedibile”, ha affermato Margrethe Vestager, vicepresidente della Commissione europea responsabile della politica di concorrenza.

    La presidente della Commissione europea von der leyen a Washington per discutere con il capo della Casa Bianca delle conseguenze dell’Inflation Reduction Act. Sul tavolo un accordo commerciale sulle materie prime critiche necessarie alla transizione. La prossima settimana il piano per l’industria green

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    L’affondo della commissaria Johansson sulla legge sulla migrazione del Regno Unito: “Contro diritto internazionale”

    Bruxelles – È difficile sentire nelle sale stampa delle istituzioni comunitarie attacchi diretti alle politiche nazionali di Paesi terzi, soprattutto di quelli di altri Paesi europei extra-Ue. Ma il Regno Unito e la sua nuova proposta di legge sulla migrazione sono un’eccezione dettata non solo dall’appartenenza di Londra all’Unione fino a pochi anni fa, ma soprattutto dai punti particolarmente controversi della politica migratoria perseguita dal governo di Rishi Sunak.
    La commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson
    “Quando ho sentito di questa legge ho avuto subito l’impressione che si trattasse di una violazione degli accordi internazionali e della Convenzione di Ginevra“, è il commento senza filtri della commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, a margine del Consiglio Affari interni di ieri (9 marzo). Una prima “reazione a caldo” esternata anche alla segretaria di Stato per gli Interni britannica, Suella Braverman, nel corso di una conversazione telefonica “ancora prima che la proposta venisse presentata” alla Camera dei Comuni martedì (7 marzo): “Mi ha contattata due giorni fa, presentandomi per telefono la nuova proposta di legge” sulla migrazione del Regno Unito. “Le ho detto proprio di temere che questa misura potrebbe essere una violazione del diritto internazionale” e della Convenzione sullo status del rifugiati del 1951, ha reso noto la stessa commissaria Johansson, lasciando intendere un botta e risposta con Braverman: “Mi ha detto di non essere d’accordo, le ho risposto che esamineremo il progetto di legge e faremo una valutazione più approfondita“.
    “A prima vista” si tratterebbe di una violazione degli accordi internazionali sullo statuto dei rifugiati, come si legge nella Convenzione del 1951 sottoscritta dal Regno Unito: “I Paesi non devono imporre sanzioni ai rifugiati per il loro ingresso e la loro presenza illegale sul territorio, a condizione che si presentino alle autorità e dimostrino una buona causa”, e devono inoltre “consentire un accesso senza ostacoli alle procedure di asilo“. Il documento si basa sui principi di non discriminazione, non penalizzazione e non respingimento delle persone migranti, tutto il contrario del progetto di legge del governo Sunak. “La mia è una prima impressione”, ha precisato la commissaria Johansson, a cui dovrà seguire un esame “nei dettagli” che la stessa titolare per gli Affari interni del gabinetto von der Leyen si augura possa smentirla: “Spero che questa proposta rispetti il diritto internazionale“.
    Cosa prevede il progetto di legge del Regno Unito
    La nuova proposta di legge è un tentativo estremo del governo britannico di contrastare l’immigrazione irregolare dal Canale della Manica, il cui numero di arrivi di persone su imbarcazioni di fortuna dalla Francia è aumentato da circa 300 a più di 45 mila tra il 2018 e il 2022. Il progetto presentato alla Camera dei Comuni prevede che chiunque entri in modo irregolare nel Regno Unito sia posto in stato di fermo e poi espulso, o nel Paese di origine o in uno terzo “sicuro”, come il Rwanda. Non è un caso il riferimento esplicitato proprio dalla segretaria di Stato Braverman, dal momento in cui Londra ha già stretto il 13 aprile dello scorso anno un accordo con Kigali per il trasferimento di richiedenti asilo le cui domande devono ancora essere esaminate dal Regno Unito. Due mesi più tardi l’accordo è stato però bocciato dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo (Cedu), la cui sentenza del 14 giugno ha bloccato la partenza di un volo in partenza verso la capitale ruandese con sette persone richiedenti asilo a bordo.
    Da sinistra: la segretaria di Stato per gli Interni del Regno Unito, Suella Braverman, e la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson (17 novembre 2022)
    Ai tempi del governo Truss – in cui Braverman rivestiva sempre la carica di segretaria di Stato per gli Interni – l’esponente del partito conservatore aveva affermato a una convention dei tories che “vorrei vedere una prima pagina del Daily Telegraph con un aereo che decolla per il Rwanda, è il mio sogno, la mia ossessione“. Dichiarazioni che ora vanno sostanzialmente in questa direzione. La nuova legge – che deve essere approvata dalle due Camere di Westminster – si pone l’obiettivo di “fermare le imbarcazioni che portano decine di migliaia di persone sulle nostre coste” e di perseguire il “dovere di allontanare chi entra illegalmente nel Regno Unito” dalla possibilità di accedere al diritto di asilo, come ha dichiarato la segretaria di Stato per gli Interni.
    La proposta di legge consentirebbe la detenzione nei primi 28 giorni senza possibilità di cauzione o ricorso e non concederebbe a chi entra in modo irregolare nel Regno Unito di appellarsi alle leggi britanniche contro la schiavitù e la tratta di esseri umani del 2015. Alcune eccezioni sono previste per i minori di 18 anni, persone “gravemente malate” o a rischio di un “reale e irreversibile danno”. Tutti gli altri sarebbero arrestati, espulsi e la loro richiesta di asilo esaminata successivamente, in loro assenza. La prima valutazione “a caldo” della commissaria Johansson mette in luce tutta la criticità della proposta di legge del governo britannico in materia di migrazione.

    It’s very simple – it’s this country and government who should decide who comes here – not criminal gangs.
    Our new laws show we will do what is necessary to achieve that. pic.twitter.com/pbJ8o6YxKH
    — Conservatives (@Conservatives) March 7, 2023

    In una conversazione telefonica con la segretaria di Stato britannica, Suella Braverman, la titolare per gli Affari interni del gabinetto von der Leyen ha messo in chiaro che “a prima vista mi sembra una violazione della Convenzione di Ginevra” del 1951 sullo status dei rifugiati

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    Il partito di governo in Georgia ritirerà il progetto di legge sugli agenti stranieri dopo due giorni di proteste

    Bruxelles – Dopo due giorni di proteste e manifestazioni di piazza da parte di decine di migliaia di cittadini, la Georgia sta vivendo la sua Maidan. Come l’Ucraina nel 2014, i georgiani si sono opposti con la forza delle proprie speranze europeiste e con le bandiere dell’Unione Europea a un progetto di legge dai tratti spiccatamente filo-russi. E i risultati si stanno vedendo, con l’annuncio – ancora non formalizzato con un passaggio legale – da parte del partito al governo Sogno Georgiano sul ritiro del controverso progetto di legge sulla “trasparenza dell’influenza straniera”, approvato martedì (7 marzo) dal Parlamento in prima lettura.
    Le proteste dei manifestanti georgiani a Tbilisi contro il progetto di legge sulla “trasparenza dell’influenza straniera”, 7 marzo 2023 (credits: Afp)
    A rendere nota la decisione del governo guidato da Irakli Garibashvili è stato lo stesso partito Sogno Georgiano, con una nota pubblicata in risposta alla seconda serata di proteste davanti alla sede del Parlamento nazionale e all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sempre più marcata, in particolare nell’Unione a cui la Georgia ha chiesto formalmente di aderire il 4 marzo dello scorso anno. Il ritiro della legge “senza condizioni” si è reso necessario secondo il partito di governo per “senso di responsabilità” nei confronti della società georgiana, a fronte di una tensione interna in aumento. Gli esponenti del partito fondato e presieduto dall’oligarca Bidzina Ivanishvili – che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Europeo sull’imposizione di sanzioni personali – si sono però lamentati del fatto che la proposta è stata etichettata “ingiustamente” come filo-russa e hanno ribadito che, non appena “l’emotività si sarà placata”, spiegheranno ai cittadini l’importanza della legge sulla trasparenza dei finanziamenti esteri.
    Scritte contro la Russia durante le proteste a Tbilisi (7 marzo 2023)
    In sostanza c’è stato l’annuncio di un passo indietro del governo, ma non uno sconfessamento della legge che prevede la registrazione di tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero come ‘agente straniero’ (in modo sinistramente simile a quella in vigore in Russia dal primo dicembre dello scorso anno). Ed è per questo motivo che le opposizioni e la società civile georgiana hanno annunciato di voler proseguire le proteste – almeno fino a quando non saranno chiarite le modalità di ritiro del progetto di legge – mentre l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha definito “un buon segno” la decisione del governo, ma “ora devono seguire passi legali concreti“. Lo stesso Borrell ha definito “forte e commoventi” le proteste pacifiche nella capitale Tbilisi: “I georgiani sono scesi in piazza per esprimere la loro aspirazione alla democrazia e ai valori europei”.
    Ad accogliere per prima il ritiro del progetto di legge è stata la delegazione Ue in Georgia, che ha incoraggiato “tutti i leader politici” a “riprendere le riforme europee, in modo inclusivo e costruttivo e in linea con le 12 priorità per ottenere lo status di candidato” all’adesione all’Unione Europea. Se alle parole seguiranno i fatti, “la Georgia può continuare a contare sul nostro sostegno nel suo percorso verso l’Ue”, ha promesso il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Vàrhelyi.

    Georgians took the streets to express their aspiration for democracy and European values. These peaceful protest were strong and moving to see.
    Announcement to withdraw the draft law on “transparency of foreign influence” is a good sign, now concrete legal steps need to follow. pic.twitter.com/Zi4NJST6iZ
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) March 9, 2023

    Il sostegno degli eurodeputati ai manifestanti in Georgia
    I più sensibili alle proteste dei cittadini georgiani sono stati i membri del Parlamento Europeo, in modo trasversale e in particolare nella delegazione italiana. “Una vittoria per la democrazia, le libertà e per l’Europa“, ha esultato il capo-delegazione del terzo polo, Nicola Danti (Italia Viva), “ma non è finita, dobbiamo continuare a sostenere chi vuole il percorso europeista senza abbassare la guardia”. Il collega del gruppo liberale ed ex-premier del Belgio, Guy Verhofstadt, ha sottolineato che le manifestazioni dimostrano “quanto le persone abbiano a cuore la democrazia liberale quando e dove è minacciata”.

    Wow.
    This is how much people really care about liberal democracy whenever and wherever it’s under threat. Full support to democratic Georgia ! 🇪🇺✊🏻 pic.twitter.com/988goSbH2Y
    — Guy Verhofstadt (@guyverhofstadt) March 9, 2023

    Dopo le parole di sostegno della vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno, dalle fila del Partito Democratico anche Camilla Laureti ha messo in evidenza come “la forza dell’Europa non sono astratti convegni e seminari”, ma “la forza dell’Europa è essere simbolo e pratica di libertà“, come dimostrano le immagini della donna che sventola in piazza a Tbilisi la bandiera con le dodici stelle su campo blu, non cedendo ai getti dei cannoni ad acqua. Il collega olandese del gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D) al Parlamento Ue Thijs Reuten ha ribadito che “Georgia è Europa” e che “il popolo georgiano non potrebbe essere più chiaro: no alla legge russa”. Per questo motivo il gruppo S&D ha chiesto di inserire un dibattito alla sessione plenaria della settimana prossima sull’impatto della legge sugli agenti stranieri sulla prospettiva europea di Tbilisi, che sarà discussa nel pomeriggio di martedì (14 marzo) a Strasburgo.
    Dalle fila del gruppo dei Verdi/Ale Ignazio Corrao ha messo in guardia dal “disegno di Putin, il metodo è lo stesso”, come dimostrano le immagini da Tbilisi che “ci riportano indietro negli anni a quello che è successo in Ucraina“. Per questo motivo da Bruxelles arriva “sostegno e solidarietà al popolo georgiano che in questi giorni sta lottando in piazza per il suo futuro”.

    La forza dell’#Europa non sono astratti convegni e seminari.La forza dell’Europa è essere simbolo e pratica di #libertà #Georgia pic.twitter.com/ijKY72QhNf
    — Camilla Laureti (@camillalaureti1) March 9, 2023

    A Bruxelles accolta con favore la decisione di Sogno Georgiano di non dare seguito alla legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, osteggiata dai manifestanti europeisti. L’alto rappresentante Ue Borrell: “È un buon segno, ora devono seguire passi legali concreti”

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    Israele preoccupa l’Ue, Borrell chiede di “fermare l’espansione delle colonie illegali”

    Bruxelles – Le tensioni sempre più forti tra Israele e Palestina preoccupano l’Europa. La crescente violenza nei territori palestinesi occupati, culminata il 26 febbraio con l’attacco da parte di centinaia di israeliani al villaggio di Huwara, ha raggiunto livelli che ricordano sempre più il periodo della seconda intifada, nel 2006. Il dialogo tra il governo israeliano e l’Autorità nazionale Palestinese è praticamente inesistente, e a Tel Aviv si è insediato l’esecutivo più estremista di sempre, con ministri di destra che non nascondono posizioni radicalmente anti-palestinesi.
    Al primo ministro Benjamin Nethanyahu, in viaggio per Roma dove domani (10 marzo) incontrerà la premier Giorgia Meloni, si sono rivolti il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell. Il primo ha avuto una telefonata ieri sera con il premier israeliano, in cui ha ribadito il sostegno di Bruxelles alla “soluzione dei due Stati”, il secondo ha rilasciato un comunicato in cui chiede “ai leader israeliani e palestinesi di ridurre le tensioni e di astenersi da azioni che possano aumentarle”.
    Il capo della diplomazia europea non usa mezza termini, e va oltre la dichiarazione approvata all’unanimità due settimane fa dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, in cui gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono stati definiti “un ostacolo alla pace”. Borrell sottolinea invece che le colonie “sono illegali secondo il diritto internazionale”, ed esorta Israele a “fermare l’espansione degli insediamenti, prevenire la violenza dei coloni e garantire che gli autori siano ritenuti responsabili”. Difficile che il governo di estrema destra colga l’invito dell’alto rappresentante, vista l’intenzione di legalizzare in modo retroattivo avamposti in Cisgiordania finora considerati illegali.
    Autorità di Israele e Palestina si sono incontrate in Giordania
    Poco prima della distruzione del villaggio di Huwara, che ha causato una vittima e oltre trecento feriti tra la popolazione palestinese, si erano tenuti a Aqaba, in Giordania, dei colloqui tra le autorità israeliane e palestinesi con la mediazione di funzionari statunitensi ed egiziani, in cui le parti si erano impegnate a “ridurre le tensioni per raggiungere una pace giusta e duratura”. Ma sembra sempre più inverosimile interrompere il vortice di violenze che, da una parte e dall’altra, si susseguono con un drammatico effetto domino: la vicenda di Huwara ne è la prova lampante.
    Il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, in visita a Huwara (Photo by Zain Jaafar / AFP)
    Il 22 febbraio, in un’operazione militare l’esercito israeliano aveva ucciso 11 palestinesi a Nablus, vicino al villaggio di Huwara: la vendetta palestinese si è manifestata con l’uccisione di due coloni israeliani, che ha infine scatenato la feroce rappresaglia. L’ennesima smentita delle buone intenzioni messe nero su bianco anche ad Aqaba. “Lodiamo gli sforzi di Stati Uniti, Giordania ed Egitto per ridurre le tensioni e sostenere il comunicato di Aqaba”, ha dichiarato Borrell, ricordando che “tutte le parti devono rispettare gli accordi di Aqaba in buona fede”. Secondo questi accordi, Israele e Palestina si sono impegnate a non compiere azioni unilaterali per un periodo di 3-6 mesi e hanno deciso di rincontrarsi a Sharm el Sheikh nel mese di marzo.
    La visita di Benjamin Nethanyahu in Italia rischia già di peggiorare un’altra volta la situazione: il primo ministro, in un’intervista rilasciata a La Repubblica, ha dichiarato che insisterà con Meloni affinché “Roma riconosca Gerusalemme come la capitale di Israele da tremila anni”. La richiesta di Nethanyahu cozza totalmente con l’avvertimento dell’Ue, secondo cui “lo status quo dei Luoghi Santi deve essere mantenuto in linea con le precedenti intese”, perché “la convivenza pacifica tra cristiani, ebrei e musulmani deve essere mantenuta”.

    With @netanyahu discussed 🇪🇺-🇮🇱 relations and the Middle East Peace Process.
    We are committed to peace in the region and the two-state solution.
    The EU will work with 🇮🇱 based on shared values and interests. pic.twitter.com/3RUSKj8TrR
    — Charles Michel (@CharlesMichel) March 8, 2023

    Le tensioni crescenti tra Israele e Palestina sono culminate nell’attacco dei coloni al villaggio di Huwara, lo scorso 26 febbraio. Il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha telefonato al primo ministro Nethanyahu, che sarà in visita in Italia

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    L’Ue potrebbe mobilitare 2 miliardi di euro per munizioni a Ucraina. Cautela sulle notizie del sabotaggio di Nord Stream

    Bruxelles – Un piano in tre passi, per uno stanziamento complessivo da due miliardi di euro per la fornitura di munizioni. L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha anticipato oggi (8 marzo) alla stampa le intenzioni della Commissione Europea per un ulteriore sostegno all’Ucraina sul piano del sostegno militare, proprio mentre “la situazione militare sul campo rimane molto difficile, in particolare a Bakhmut, dove continuano le battaglie strada per strada, e le prossime settimane saranno critiche”.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Dal momento in cui Kiev “ha bisogno di continuo supporto, soprattutto di munizioni per l’artiglieria”, la soluzione a inizio 2023 da Bruxelles è un piano di “tre fasi complementari, che vanno insieme e non in modo isolato”, ha precisato con forza l’alto rappresentante Borrell. In primis una donazione di munizioni di artiglieria da 152/155 millimetri “dagli stock già esistenti”, il cui “rimborso arriverà attraverso un miliardo di euro dall’European Peace Facility”, lo strumento fuori bilancio per la prevenzione dei conflitti, la costruzione della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale. In secondo luogo, un altro miliardo per il “coordinamento della domanda per gli ordini di altre munizioni attraverso l’Agenzia Europea della Difesa”, per cui è necessaria “una procedura veloce, per abbattere il prezzo e i tempi di consegna”. E infine un “aumento della capacità manifatturiera europea e la diminuzione dei tempi di produzione”.
    Nel corso del Consiglio Difesa informale a Stoccolma è stata raggiunta “un’intesa in linea generale” a proposito della fornitura di munizioni all’Ucraina, ma “ci sono ancora questioni da discutere“, ha confessato Borrell: “Spero che al prossimo Consiglio [al momento calendarizzato per il 23 maggio, ndr] si raggiunga un accordo formale”. Le parole dell’alto rappresentante sono dure: “Serve una mentalità da guerra, perché siamo in guerra, sfortunatamente dobbiamo parlare così perché il conflitto continua”, anche se “dobbiamo tenere aperta la porta per ogni negoziato di pace“. Intanto gli ambasciatori dell’Ue hanno approvato l’ulteriore stanziamento da 2 miliardi di euro per il Fondo europeo per la pace, dando seguito all’intesa politica di dicembre tra i ministri Ue della Difesa.

    #COREPERII Today, EU Ambassadors approved an additional €2 billion to the European Peace Facility. This decision sends a clear signal of the EU’s enduring commitment to military support for Ukraine and other partners. pic.twitter.com/T4U44gak4Q
    — Swedish Presidency of the Council of the EU (@sweden2023eu) March 8, 2023

    Oltre le munizioni, le notizie su Nord Stream
    Fuoriuscita di gas metano nel Mar Baltico dal gasdotto Nord Stream 1 (27 settembre 2022)
    “È una cosa molto seria, ma non bisogna mai avere paura della verità, di nessuna verità”, è la cauta presa di posizione dell’alto rappresentante Borrell a proposito dell’altro tema che ha agitato i 27 ministri Ue a Stoccolma. Secondo quanto riportano il quotidiano tedesco Die Zeit e lo statunitense New York Times, dietro al sabotaggio dei due gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2 con la fuoriuscita di metano nel Mar Baltico di fine settembre dello scorso anno ci sarebbe un gruppo filo-ucraino. “Stiamo parlando di speculazioni, le indagini stanno ancora andando avanti in Svezia, Germania e Danimarca”, ha cercato di gettare acqua sul fuoco Borrell. Fino a quando non si arriverà alla fine delle investigazioni, “non possiamo giungere a conclusioni affrettate“.
    Secondo le rivelazioni dei due quotidiani, l’operazione potrebbe essere stata condotta in modo non ufficiale da un gruppo con legami con il governo o con i servizi di sicurezza ucraini. Anche se ci sono ancora molti buchi nella versione trapelata sulla stampa, gli investigatori tedeschi avrebbero identificato un’imbarcazione utilizzata per piazzare gli esplosivi, appartenente a una società registrata in Polonia e di proprietà di due cittadini ucraini. La squadra che avrebbe condotto l’operazione di sabotaggio ai danni dei due gasdotti sarebbe stata composta da sei individui di nazionalità sconosciuta. “Non c’entriamo nulla con l’operazione di sabotaggio ai danni dei gasdotti Nord Stream, sarebbe un bel complimento per i nostri servizi speciali ma quando si concluderanno le indagini si vedrà che l’Ucraina non ha nulla a che fare con tutto ciò“, si è smarcato da ogni tentativo di accusa il ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov, arrivando a Stoccolma, dove ha partecipato al vertice informale.
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    L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha anticipato il piano in tre step, che prevede donazioni immediate e coordinazione della domanda futura. Sulle speculazioni di gruppo pro-Kiev dietro al sabotaggio “non bisogna avere paura della verità, ma aspettare la fine delle indagini”