Bruxelles – Mentre si moltiplicano le accuse di genocidio nei confronti del governo di Benjamin Netanyahu, responsabile della carneficina in corso da oltre 21 mesi nella Striscia di Gaza, l’Unione europea fa fatica a mettere in campo azioni concrete per mettere pressione sull’alleato mediorientale. Gli Stati membri hanno discusso la proposta della Commissione di sospendere parzialmente i fondi Horizon+, il programma Ue che finanzia la ricerca accademica e industriale dentro e fuori l’Ue, ma sono già emerse divisioni.
L’operato del governo di Benjamin Netanyahu (dallo scorso novembre ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità) sta ricevendo critiche sempre più pesanti sia dai partner internazionali di Tel Aviv – persino Donald Trump ha espresso dubbi sulle più recenti mosse dell’alleato mediorientale – sia dalle stesse ong israeliane, che ora parlano apertamente di genocidio contro i palestinesi di Gaza.
Eppure, nonostante si proclami paladina dei diritti e del diritto, l’Ue non è ancora riuscita ad adottare misure concrete e realmente efficaci nei confronti dello Stato ebraico, per indurlo a porre fine alla strage dei palestinesi nell’enclave costiera. Un mese fa, il Servizio europeo di azione esterna (Seae) ha certificato la violazione dell’articolo 2 dell’accordo di associazione Ue-Israele, che prescrive il rispetto dei diritti umani fondamentali e del diritto internazionale da parte di Tel Aviv.
Il rapporto è arrivato mentre era già in corso il processo di revisione dell’accordo in questione. Come reazione a quella rilevazione, l’esecutivo a dodici stelle ha approvato ieri sera (28 luglio) una proposta interpretata soprattutto come un segnale politico, cioè la sospensione parziale dei fondi erogati a Israele nel quadro del programma Horizon+, con cui Bruxelles sostiene la ricerca accademica e industriale negli Stati membri e in alcuni Paesi terzi.
Più che una dura sanzione, tuttavia, appare poco più che una misura cosmetica: se non altro perché, come confermano i funzionari del Berlaymont, non vengono toccati i fondi già stanziati nell’attuale bilancio comunitario per i progetti attualmente in corso, ma si parlerebbe di uno stop a partire dal 2028. Difficile vedere come Tel Aviv possa sentirsi sotto pressione per porre fine alle ostilità fin da ora.
Oggi gli ambasciatori dei Ventisette hanno fatto un primo giro di tavolo per avviare la discussione sul tema, ma si sono già registrate le consuete divisioni. Stando a fonti comunitarie, un gruppo di Paesi, guidato dalla Germania, starebbe tirando il freno mentre almeno una decina sarebbe favorevole allo stop. Per approvarlo serve la maggioranza qualificata: almeno il 55 per cento degli Stati membri che rappresentino almeno il 65 per cento della popolazione Ue.
Se mai questa verrà raggiunta, il divieto si applicherà alle aziende basate nello Stato ebraico che lavorano ad innovazioni dirompenti e tecnologie emergenti con potenziali applicazioni a duplice uso, alle quali non sarà concesso di chiedere sovvenzioni a Bruxelles nell’ambito del cosiddetto Acceleratore del Consiglio europeo dell’innovazione.
L’esecutivo comunitario stima che, se lo stop fosse stato attivo già per l’attuale periodo di bilancio (2021-2027), i fondi “congelati” per Israele ammonterebbero oggi intorno ai 200 milioni di euro, cioè circa il 22 per cento dei 900 milioni che Tel Aviv ha ricevuto dal programma Horizon+ in cinque anni.
La Commissione parla di una “misura appropriata e proporzionata” e sottolineano che si percepisce una “urgenza speciale” di reagire alla crescente devastazione a Gaza. Non ci sono precedenti storici analoghi di sospensioni totali o parziali dei fondi Horizon+. I casi di Regno Unito e Svizzera – che hanno visto chiudersi i rubinetti rispettivamente tra il 2020 e il 2023 e tra il 2021 e il 2024 – sono diversi perché quei congelamenti erano avvenuti mentre Londra e Berna non erano formalmente associate al programma.