Bruxelles – Secondo l’ultima valutazione dell’Integrated Food Security Phase Classification (Ipc), l’intera popolazione della Striscia di Gaza è in condizioni di grave insicurezza alimentare. Ma nel Nord dell’enclave palestinese, il 70 per cento di chi è rimasto sta già affrontando la carestia. E nei governatorati centrali e meridionali, la metà della popolazione soffre un’insicurezza alimentare catastrofica. Alla luce del rapporto, l’alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, rilancia l’accusa a Israele: “Usa la fame come arma di guerra”.
Un’accusa durissima: affamare volontariamente una popolazione è un crimine di guerra, e rientra nelle azioni deliberate che costituiscono un atto di genocidio. Questa volta, accanto a Borrell – che aveva già lanciato l’accusa di fronte al Consiglio di Sicurezza dell’Onu – anche il commissario Ue per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič. I due hanno rilasciato un comunicato congiunto in cui, commentando l’analisi degli esperti dell’Ipc, ribadiscono che “la fame non può essere usata come arma di guerra” e che “quello a cui stiamo assistendo non è un rischio naturale, ma un disastro provocato dall’uomo, ed è nostro dovere morale fermarlo“.
Nel frattempo, a Bruxelles è in corso la riunione dei ministri degli Esteri dei 27, e la crisi umanitaria a Gaza è in agenda. Borrell, arrivando in Consiglio, ha rincarato la dose. Perché “ci sono derrate alimentari accumulate per mesi, che aspettano di entrare a Gaza, mentre al di là del confine si muore di fame”. Per il capo della diplomazia europea “prima della guerra Gaza era una grande prigione a cielo aperto, oggi è un grande cimitero a cielo aperto, anche per quello che riguarda il rispetto delle regole internazionali”.
A far rabbrividire non è solo la situazione attuale fotografata dall’Ipc, in cui 2,2 milioni di persone affrontano “alti livelli di insicurezza alimentare”, ma le proiezioni per i prossimi mesi: “Da metà marzo a metà luglio, nello scenario più probabile e nell’ipotesi di un’escalation del conflitto che includa un’offensiva di terra a Rafah, metà della popolazione si troverà ad affrontare il rischio di carestia“. Nella scala da 1 a 5 utilizzata dall’Ipc, la carestia rappresenta il livello più grave dell’insicurezza alimentare acuta.
“È una situazione senza precedenti. Nessuna analisi dell’Ipc ha mai registrato tali livelli di insicurezza alimentare in nessuna parte del mondo“, sottolineano Borrell e Lenarčič . Nella Striscia il 50 per cento degli edifici sono stati danneggiati o distrutti. Abitazioni, negozi, ospedali e scuole, ma anche impianti idrici, igienici e le infrastrutture necessarie per la produzione e la distribuzione di cibo. Limitando notevolmente la funzionalità del sistema alimentare. Il rapporto dell’Icp snocciola anche le cifre degli ingressi di aiuti via terra: “Da una media pre-escalation di 500 camion al giorno, di cui 150 che trasportavano cibo, nel periodo tra il 7 ottobre 2023 e il 24 febbraio 2024, solo 90 camion al giorno, di cui solo 60 che trasportavano cibo, sono entrati nella Striscia di Gaza”.
Dopo cinque mesi e mezzo di conflitto, Israele non ha ancora aperto tutti i varchi ai convogli umanitari e anzi, di aiuti ne entrano sempre meno. Le responsabilità di Tel Aviv sono sotto gli occhi di tutti: anche il cancelliere tedesco, Olaf Scholz – uno dei più prudenti sul denunciare le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele – ha sottolineato al premier israeliano Netanyahu che “non possiamo stare a guardare i palestinesi morire di fame”, precisando la situazione “è interamente opera dell’uomo” e deriva “da chi impedisce che il sostegno umanitario entri a Gaza“.
Tajani: “Posizione non concordata”. Israele nega le accuse
Ma l’accusa lanciata dal capo della diplomazia europea non è condivisa da tutti a Bruxelles. A partire dal vicepremier e ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, che ha commentato: “È una posizione di Borrell, non l’ha concordata con nessuno”. A Tel Aviv invece, non l’hanno presa proprio bene: Borrell “la smetta di attaccare Israele e riconosca il nostro diritto all’autodifesa contro i crimini di Hamas”, ha replicato con un post su X il ministro degli Esteri, Israel Katz.
In un documento che le autorità israeliane hanno sottomesso alla Corte di Giustizia Internazionale relativamente al procedimento intentato dal Sudafrica per il possibile genocidio a Gaza, Israele nega con fermezza di ostacolare l’arrivo di beni di prima necessità per la popolazione palestinese. L’insicurezza alimentare a Gaza “è una sfida seria” ma “non è una questione semplice”, sostengono i legali di Tel Aviv, ribandendo che “Israele si è impegnata, insieme a una serie di parti interessate, a compiere sforzi costanti ed estesi per affrontare questa sfida”. Un impegno che dimostrerebbe “l’esatto contrario di un intento genocida o di un tentativo di affamare la popolazione”.
Anzi: Israele si starebbe prodigando per la “continua facilitazione dell’ingresso dei carichi di aiuti umanitari a Gaza e l’utilizzo di ulteriori vie di comunicazione a tale scopo e il rafforzamento della capacità di quelle esistenti”. Le autorità israeliane puntano il dito contro la “spregevole strategia di Hamas”, che “assume il controllo delle forniture umanitarie” e le “devia dalla loro destinazione civile”.