Impotente ad avanzare sul campo, anzi dovendo subire l’umiliazione della ripresa di Kherson sotto controllo ucraino, gli obiettivi dell’”operazione speciale” di Putin sono diventati le principali città e infrastrutture strategiche del paese, costringendo al freddo e al buio milioni e milioni di civili.
Una sorta di vendetta, insomma, per gli smacchi subiti che, con l’aiuto del “generale Inverno” può mettere seriamente in difficoltà la forte fibra degli ucraini attraverso un metodo che non può che qualificarsi di crimine contro l’umanità, come giustamente rivendica Volodymyr Zelenski, tanto colpisce trasversalmente tutte le fasce della popolazione, comprese le più deboli e inermi, bambini, malati, anziani eccetera.
Si tratta di un ulteriore escalation di una guerra abbietta e spietata al cuore dell’Europa, che non può che suscitare ulteriore sdegno per il carattere indiscriminato dei raid, a prescindere dalla natura militare o strategica dei target da colpire.
La guerra, insomma, non è più tesa alla presunta “denazificazione” del paese, o debellare le sue forze armate, ma è condotta virtualmente contro l’intero popolo ucraino col risultato paradossale, peraltro, che i russi bombardano la stessa Kherson, di cui avevano solo poche settimane fa decretano l’annessione.
Bene ha fatto il Parlamento europeo a dichiarare, a larga maggioranza, che la Russia è “uno stato sponsor del terrorismo” che “utilizza mezzi terroristici”, invitando le istituzioni europee e i suoi Paesi a creare un quadro giuridico adeguato e considerare di aggiungere la Russia a tale lista.
Nel mirino anche i mercenari della famigerata “Brigata Wagner” e altri gruppi e milizie armate, Ciò farebbe scattare una serie ulteriore di misure nei confronti della Russia, tanto che si sta lavorando ad un nono pacchetto di sanzioni, a partire dal famoso “price cap” sulle forniture energetiche russe.
Il Parlamento chiede inoltre all’Unione europea di isolare ulteriormente la Russia a livello internazionale, anche per quanto riguarda l’adesione ad organizzazioni e organismi internazionali, di ridurre i legami diplomatici con la Russia e di limitare i contatti dell’UE con rappresentanti russi al minimo indispensabile.
A far saltare i nervi al leader del Cremlino c’è stato anche il mezzo fallimento del vertice di Erevan, in Armenia, con i capi di alcune delle ex repubbliche sovietiche che non hanno particolarmente sostenuto Putin nella sua strategia dominatrice – dal loro punto di vista in modo del tutto comprensibile, tanto che i russi non sono nemmeno riusciti a ottenere un comunicato congiunto finale.
Siamo, insomma, ad una fase forse cruciale del conflitto. E non ci si illuda eccessivamente: nella visione di Putin non c’è il pareggio, non sta giocando un campionato mondiale.
Sta giocando la finale, o vince o perde la partita della sua vita.