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    L’Ue condanna le elezioni amministrative “illegali” dopo i referendum farsa del 2022 nelle regioni occupate in Ucraina

    Bruxelles – Era solo una questione di tempo, dopo i referendum farsa e l’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina occupate dalla Russia dopo l’inizio dell’invasione del 24 febbraio 2022. Tra l’8 e il 10 settembre anche a Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson – così come in Crimea e nella città di Sebastopoli – sono andate in scena le elezioni amministrative, in corrispondenza di quelle locali e regionali sul territorio russo. Elezioni che sono state immediatamente definite “illegali” dalla comunità internazionale e dall’Unione Europea, tanto quanto lo erano stati i plebisciti di un anno fa che avrebbero sancito la presunta volontà popolare di farsi inglobare da Mosca.
    Operazioni di voto nell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, 10 settembre 2023 (credits: Afp)
    “L’Unione Europea condanna fermamente lo svolgimento di queste cosiddette ‘elezioni’ illegittime nei territori dell’Ucraina temporaneamente occupati dalla Russia”, è la condanna dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che – nel respingere “con forza” l’appuntamento elettorale – lo ha definito piuttosto un “ulteriore futile tentativo” da parte del Cremlino di “legittimare o normalizzare il suo controllo militare illegale e il tentativo di annessione di parti dei territori ucraini”. L’ennesima “palese” violazione del diritto internazionale non è tollerata da Bruxelles, che “non riconosce e non riconoscerà né lo svolgimento di queste cosiddette ‘elezioni’ né i loro risultati“. Al contrario “la leadership politica russa e coloro che sono coinvolti nell’organizzazione delle elezioni dovranno affrontare le conseguenze di queste azioni illegali”, è la minaccia di Borrell.
    Sembra scontato ricordarlo, ma è già solo il contesto (oltre all’invasione armata) a dimostrare come queste elezioni non possano essere considerate un appuntamento elettorale democratico o spontaneo: dalla concessione forzata di passaporti russi – “anche ai bambini” – ai trasferimenti e le deportazioni forzate, dalle violazioni e gli abusi “diffusi e sistematici” dei diritti umani, fino all’intimidazione e la crescente repressione dei cittadini ucraini da parte delle autorità d’occupazione. L’alto rappresentante Ue ha voluto rivolgere un incoraggiamento ai residenti ucraini “che si sono opposti al voto fittizio e continuano a resistere all’occupazione russa”, ribandendo che Mosca “deve ritirare immediatamente, completamente e incondizionatamente tutte le sue truppe e i suoi equipaggiamenti militari all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti”. Fuori anche dalla penisola di Crimea, dove dal 2014 è stata istituita (sempre in modo illegale secondo il diritto internazionale) una Repubblica autonoma che è di fatto parte della Russia.
    Operazioni di voto a Mosca, 10 settembre 2023 (credits: Natalia Kolesnikova / Afp)
    A questo si aggiunge quanto accaduto nel corso del fine settimana nella stessa Russia, dove ormai nessuno considera più gli appuntamenti alle urne delle vere elezioni (ben prima di quelle del 2021). “Si sono svolte in un contesto estremamente ristretto, alimentato dall’aggressione all’Ucraina“, ha attaccato Borrell, ricordando che “le autorità hanno amplificato la repressione interna introducendo la censura di guerra e reprimendo ulteriormente” i politici dell’opposizione, le organizzazioni della società civile, i media indipendenti e altre voci critiche “con l’uso di leggi repressive e sentenze politicamente motivate“. Tutto questo ha inevitabilmente comportato restrizioni dei diritti civili e politici, “precludendo a molti candidati la possibilità di candidarsi e limitando la scelta degli elettori russi e l’accesso a informazioni accurate”.
    I referendum farsa del 2022 nelle regioni occupate in Ucraina
    È passato quasi un anno esatto da quel 27 settembre 2022, quando nelle quattro regioni dell’Ucraina occupata era andato in scena uno spettacolo a dir poco desolante. Il 99 per cento dei votanti si era espressa a favore dell’annessione alla Russia, ma – dati alla mano – con una partecipazione quasi irrisoria di cittadini ucraini, senza contare le minacce armate dei soldati russi casa per casa per costringere la popolazione ad andare a votare nelle quattro regioni che rappresentano circa il 15 per cento del territorio dell’Ucraina. Per esempio, nella regione di Zaporizhzhia avevano votato in totale in 39.367 su una popolazione complessiva di 1.666.515 persone, ovvero il 2,3 per cento. O ancora, nell’Oblast di Donetsk – solo parzialmente controllato dall’esercito russo – avrebbe votato il 97 per cento degli aventi diritto al voto, ma ‘dimenticando’ di contare più della metà degli elettori. Tutto ciò condito da uno scrutinio effettuato con modalità del tutto illecite.
    L’autocrate russo, Vladimir Putin, e i quattro leader separatisti dei territori occupati dalla Russia in Ucraina, alla cerimonia di annessione al Cremlino (30 settembre 2022)
    In ogni caso l’autocrate russo, Vladimir Putin, ha utilizzato questi finti plebisciti per dichiarare l’annessione delle quattro regioni pochi giorni più tardi. Il 30 settembre 2022 i leader filo-russi delle autoproclamate Repubbliche popolari hanno siglato il Trattato di adesione alla Russia al Cremlino, in una cerimonia-parata nel solito stile di grandezza ostentata di Putin. “Voglio che mi sentano a Kiev, che mi sentano in Occidente: le persone che vivono a Luhansk, Donetsk, Kherson e Zaporizhzhia diventano nostri cittadini per sempre”, ha minacciato l’autocrate russo. Il 18 marzo del 2014 i rappresentanti separatisti della Crimea avevano anticipato i tempi e otto anni più tardi il copione si è ripresentato quasi uguale a se stesso. A tre giorni dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina Mosca aveva riconosciuto l’indipendenza di Donetsk e Luhansk e aveva poi fatto lo stesso sette mesi più tardi con Kherson e Zaporizhzhia, prima di inglobare tutte le regioni ucraine separatiste all’interno del progetto della Grande Russia.

    Organizzata una tornata elettorale a Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson in corrispondenza del voto locale e regionale in Russia. “Un ulteriore futile tentativo di legittimare o normalizzare il suo tentativo di annessione”, è la condanna dell’alto rappresentante Ue, Josep Borrell

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    I referendum farsa nelle regioni occupate dell’Ucraina sono state un plebiscito (forzato) per l’annessione alla Russia

    Bruxelles – Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Si sono concluse ieri sera (martedì 27 settembre) le operazioni di voto nelle quattro province occupate dall’esercito russo in Ucraina e l’esito del referendum è stato un plebiscito: il 99 per cento dei votanti si è espressa a favore dell’annessione alla Russia. Questa è la versione di Mosca, ma il filtro è quello degli occupanti, in un Paese invaso da ormai più di cinque mesi. La realtà dei fatti è che quanto messo in piedi dal Cremlino nelle quattro regioni orientali e meridionali dell’Ucraina sono dei referendum farsa, organizzati in maniera illegale e a cui, dati alla mano, ha partecipato una quota quasi irrisoria di cittadini ucraini, senza contare le minacce armate dei soldati russi sulla popolazione al momento del voto.
    L’esito non era minimamente in discussione, ma ora si apre una fase nuova per la guerra in Ucraina. Perché l’autocrate russo, Vladimir Putin, utilizzerà il risultato di questi referendum illegali per dichiarare l’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina occupata alla Russia: in altre parole – nella visione propagandistica del Cremlino – il conflitto si trasformerà da una “operazione speciale” offensiva a una guerra di difesa dei nuovi territori inglobati e, allo stesso tempo, la controffensiva dell’esercito ucraino sarà considerata un attacco alla sovranità russa. Non è la prima volta che Mosca ribalta a 360 gradi causa ed effetto degli eventi (basti ricordare le motivazioni dell’attacco armato a un Paese sovrano, ‘giustificate’ dalla legittima richiesta dell’Ucraina di aderire all’Unione Europea e alla Nato), ma questo momento rappresenta senza dubbio un punto di svolta per lo scenario bellico sul continente europeo. Anche perché nel frattempo sono iniziate le operazioni di arruolamento dei 300 mila riservisti russi, nonostante l’ondata di proteste e la fuga di decine di migliaia di persone dal Paese.
    Per la conferma basterà aspettare venerdì (30 settembre) quando, secondo quanto riportano le fonti d’intelligence britanniche, Putin terrà un discorso in entrambe le Camere del Parlamento (l’Assemblea Federale e la Duma di Stato), con la “realistica possibilità” che annunci formalmente l’annessione delle regioni occupate come “rivendicazione” dei successi della “operazione militare speciale”. In questo scenario, l’annessione dovrebbe avvenire già il giorno seguente, consentendo a Mosca la coscrizione forzata di civili ucraini per combattere contro il loro stesso Paese. Putin si sente forte del plebiscito dei risultati del referendum-farsa nelle quattro regioni che rappresentano circa il 15 per cento del territorio dell’Ucraina, ma sono impietosi i dati sul numero di cittadini che – in modo forzato e pilotato – hanno partecipato al voto. Nella regione di Zaporizhzhia hanno votato in totale in 39.367 su una popolazione complessiva di 1.666.515 persone, ovvero il 2,3 per cento. Nell’Oblast di Donetsk – solo parzialmente controllato dall’esercito russo – avrebbe votato il 97 per cento degli aventi diritto al voto, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa statale Ria Novosti, ma non coincidono dati sulla popolazione: per il Cremlino sarebbero poco più di due milioni, ma al gennaio 2022 Kiev ne contava oltre quattro milioni. Tutto ciò accompagnato dai soldati russi che tra il 23 e il 27 settembre si recavano casa per casa per costringere i cittadini ucraini a votare e lo scrutinio effettuato con modalità del tutto illecite.
    Rimane alta l’attenzione anche a Bruxelles sulla situazione nell’est dell’Ucraina, con le condanne a pioggia per i “referendum illegali” di annessione alla Russia, sulla falsariga di quello in Crimea nel 2014. “L’Ue denuncia lo svolgimento di referendum illegali e il loro esito falsificato, si tratta di un’altra violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, in mezzo a sistematici abusi dei diritti umani”, è l’attacco dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica sicurezza, Josep Borrell: “Lodiamo il coraggio degli ucraini, che continuano a opporsi e a resistere all’invasione russa”. Senza troppi giri di parole la condanna del presidente del Consiglio Ue, Charles Michel: “Referendum fasulli, risultati fasulli. Non riconosciamo nessuno dei due”. Le istituzioni comunitarie si preparano a varare un nuovo pacchetto di misure restrittive contro i responsabili dei referendum farsa nelle regioni occupate dell’Ucraina e il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, avverte che la Commissione ritiene “certamente un’opzione” imporre sanzioni individuali anche ai cittadini europei che sostengono quest’azione illegale di Mosca: “Tutto dipenderà dal livello di partecipazione, la responsabilità di capire se vanno adottate misure caso per caso è degli Stati membri”.

    Sham referenda.
    Sham results.
    We recognize neither.
    — Charles Michel (@CharlesMichel) September 27, 2022

    Nelle operazioni di voto “illegali” e truccate dal Cremlino negli Oblast di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia, il “sì” avrebbe vinto con il 99 per cento: Putin potrebbe dichiarare il 30 settembre l’ampliamento del territorio nazionale. Dura condanna Ue: “Altra violazione della sovranità di Kiev”

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    Le province separatiste dell’Ucraina indicono referendum per farsi annettere dalla Russia. L’Ue: “Illegali, nulli e invalidi”

    Bruxelles – Ora la guerra di resistenza contro Mosca potrebbe assumere un nuovo significato per Kiev. Non più solo una controffensiva per riconquistare i territori sottratti dall’esercito russo dall’inizio dell’invasione lo scorso 24 febbraio, ma soprattutto un recupero delle province separatiste annesse alla Russia. Non si parla più esclusivamente della Crimea – da cui tutto è iniziato nel 2014 – perché la novità sono ora i referendum che saranno organizzati tra il 23 e il 27 settembre nelle autoproclamate Repubbliche separatiste filo-russe di Donetsk e Luhansk (nel sud-est dell’Ucraina) per l’annessione alla Russia. Si tratta proprio di quei territori che Putin aveva riconosciuto come entità indipendenti il 21 febbraio, pochi giorni prima di iniziare l’offensiva militare su larga scala che dura ormai da sette mesi.
    La sfida alle autorità di Kiev non si ferma qui. Perché nei prossimi giorni è attesa la stessa decisione sui referendum di annessione alla Russia da parte dei separatisti delle regioni di Kherson, Kharkiv e Zaporizhzhia, con implicazioni cruciali per il proseguo della guerra di Putin in Ucraina. Per comprenderne la portata basta considerare le parole del vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, che ha affermato che “i referendum nel Donbass sono di grande importanza non solo per la protezione sistemica dei residenti” delle Repubbliche separatiste  e “degli altri territori liberati”, ma anche “per il ripristino della giustizia storica”. Il fatto che questo voto “cambierebbe completamente il vettore dello sviluppo della Russia per decenni” non è solo una questione di proclami altisonanti, ma ha una conseguenza tangibile: “Dopo aver incorporato nuovi territori alla Russia, la trasformazione geopolitica nel mondo diventerà irreversibile”, ha aggiunto Medvedev, minacciando l’Ucraina e l’Occidente che “l’invasione del territorio della Russia è un crimine, la cui commissione consente l’uso di tutte le forze di autodifesa“.
    Dichiarazioni che arrivano non solo mentre la controffensiva dell’esercito ucraino sta obbligando la Russia a ritirarsi dall’Oblast di Kharkiv, ma anche in concomitanza della mobilitazione parziale dichiarata da Putin, con il richiamo alle armi dei militari della riserva, e degli emendamenti al Codice Penale russo per il rafforzamento delle pene in caso di “mobilitazione”, “legge marziale”, “tempo di guerra” e “conflitto armato” (la renitenza alla leva sarà punita con una pena fino a dieci anni di reclusione). Si aggiunge poi la minaccia di ricorrere a “ogni mezzo necessario per la difesa della Russia”, compresa l’arma nucleare. Tutti segnali che evidenzierebbero il livello di grave difficoltà dell’autocrate russo nel condurre una guerra che sta diventando sempre più un fallimento su quasi tutta la linea, come sostiene Kiev, ma anche Bruxelles: “Queste decisioni dimostrano la disperazione di Putin e la mancanza di volontà a cercare la pace, vuole solo continuare la sua guerra distruttiva”, ha sottolineato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, nel corso del punto quotidiano con la stampa europea.
    L’autocrate russo, Vladimir Putin, al momento della firma della dichiarazione di riconoscimento d’indipendenza delle autoproclamate Repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk (21 febbraio 2022)
    La condanna delle istituzioni comunitarie si estende anche ai referendum delle autoproclamate Repubbliche separatiste in Ucraina per l’annessione alla Russia. “L’Unione Europea condanna fermamente questi referendum illegali pianificati che vanno contro le autorità ucraine legalmente e democraticamente elette”, è la condanna dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “I risultati di tali azioni saranno nulli e non saranno riconosciuti dall’Ue e dai suoi Stati membri”. Il voto non può essere considerato “in nessun caso” una libera espressione della volontà popolare in queste regioni, per diverse ragioni: la fuga di una “parte significativa della popolazione” dopo l’invasione dell’esercito del Cremlino, la “costante minaccia e intimidazione militare russa”, la “sostituzione con la forza” di funzionari locali e la libertà di espressione “fortemente limitata”. Dal momento in cui Mosca intende modificare con la forza i confini dell’Ucraina, “in chiara violazione della Carta delle Nazioni Unite”, la Russia, la sua leadership politica e tutti i soggetti coinvolti nello svolgimento dei referendum di annessione “saranno ritenuti responsabili”, mentre a Bruxelles saranno prese in considerazione “ulteriori misure restrittive”, ha annunciato Borrell.

    The EU strongly condemns the illegal “referenda” in Luhansk, Kherson & Donetsk, which are in violation of Ukraine’s independence, sovereignty and territorial integrity, and in blatant breach of international law. Results of such actions will be null & void https://t.co/kqOwZYrXwG
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) September 20, 2022

    L’incognita balcanica
    Come se la situazione non fosse sufficientemente calda, dalla Bosnia ed Erzegovina arrivano dichiarazioni incendiarie del membro serbo della presidenza tripartita, Milorad Dodik, a proposito della guerra russa in Ucraina e del parallelismo con la Republika Srpska (una delle due entità in cui è diviso il Paese balcanico, a maggioranza serba). “A 15 milioni di russi in Ucraina le autorità hanno negato il diritto alla propria lingua, ecco perché l’operazione speciale della Russia è giustificata dalla necessità di proteggere il suo popolo“, ha ribadito in un’intervista all’agenzia di stampa russa Tass il suo non-allineamento alla posizione del resto dell’Europa. Nemmeno il presidente serbo, Aleksandar Vučić, che rivendica una posizione di neutralità tra Mosca e l’Occidente e in questo modo giustifica la sua contrarietà alle sanzioni contro la Russia, si è mai spinto a tanto. È proprio alla Serbia che Dodik guarda con speranza, illustrando le similitudini con il Donbass ucraino: “Qui è la stessa cosa, non possiamo condividere le stesse scuole e gli stessi libri di testo con i musulmani“, ha attaccato, con riferimento ai tentativi di secessionismo che sta portando avanti nella Republika Srpska. La volontà del leader serbo-bosniaco, a meno di due settimane dalle elezioni politiche nel Paese, è quella di incontrare personalmente Putin, per confrontarsi su “progetti energetici concreti e del comportamento dell’Occidente”, ha anticipato alla Tass.
    Il membro serbo della presidenza tripartita di Bosnia, Milorad Dodik
    È anche per il rischio di un’escalation della tensione e della destabilizzazione russa nella regione dei Balcani Occidentali che Bruxelles non può permettersi di allentare il rapporto anche con i Paesi più irrequieti. Non a caso l’alto rappresentante Borrell ha incontrato ieri (martedì 20 settembre) i sei leader balcanici per un pranzo informale a New York, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dopo aver ripreso la tradizione delle cene informali a Bruxelles nel maggio dello scorso anno. Come si legge in una nota del Seae, la discussione “si è concentrata sull’impatto globale e regionale della guerra illegale” della Russia in Ucraina, in particolare “sui prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia e sulla stabilità e sicurezza in Europa e nel mondo”. Al pranzo erano presenti il premier montenegrino, Dritan Abazović, gli omologhi albanese, Edi Rama, e macedone, Dimitar Kovačevski, e i presidenti della Serbia, Aleksandar Vučić, del Kosovo, Vjosa Osmani, e della Bosnia ed Erzegovina, Šefik Džaferović (membro bosgnacco della presidenza tripartita). Proprio a sottolineare quanto l’Ue sia un partner irrinunciabile per i Balcani Occidentali, Borrell ha sottolineato il sostegno di Bruxelles per “rafforzare la sicurezza energetica e affrontare le minacce ibride“, comprese l’interferenza informatica e delle informazioni straniere, come ha dimostrato il recente caso di attacco hacker iraniano contro le istituzioni dell’Albania.

    We are living in difficult times. With the #WesternBalkans – our closest partners & future EU members – we will keep joining forces even more to respond to the challenges we all meet as consequences of Russia’s aggression against Ukraine.https://t.co/HTwZsoocJm pic.twitter.com/hffBv5eL9L
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) September 20, 2022

    Sull’esempio della Crimea nel 2014, le province occupate di Donetsk e Luhansk hanno indetto una consultazione popolare tra il 23 e il 27 settembre e presto potrebbe arrivare la stessa decisione a Kharkiv, Kherson e Zaporizhzhia. Intanto Putin annuncia la mobilitazione parziale alle armi

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    Ucraina, il Papa: Si scongiuri il disastro nucleare a Zaporizhzhia

    Roma – Intorno alla centrale di Zaporizhzha si continua a combattere. Lo spettro della catastrofe nucleare aleggia sull’Europa e scuote anche Papa Francesco: “Auspico che si intraprendano passi concreti per mettere fine alla guerra e scongiurare il rischio di un disastro”, è l’appello al termine dell’udienza generale. Il Pontefice ricorda i prigionieri, “soprattutto quelli che si trovano in condizioni fragili” e chiede alle autorità responsabili di “adoperarsi per la loro liberazione”.
    Cita l’attentato a Darya Dugina, morta nell’esplosione della propria auto il 20 agosto scorso mentre faceva ritorno a Mosca: “Penso alla povera ragazza volata in aria per una bomba sotto il sedile. Gli innocenti pagano la guerra, gli innocenti”. Riflette sulla “crudeltà”, sui civili che stanno pagando “la pazzia, la pazzia, la pazzia di tutte le parti”, ripete. “Perché la guerra è una pazzia e nessuno che è in guerra può dire ‘No, io non sono pazzo’”, avverte.
    In attesa di una ispezione dell’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (che sarà “imminente”, assicura il direttore generale Rafael Mariano Grossi), nel Consiglio di Sicurezza di ieri Mosca e Kiev si sono nuovamente accusate a vicenda di aver messo in pericolo la centrale. “Le forze armate ucraine continuano a bombardare il territorio quasi ogni giorno, creando un rischio reale di incidente radioattivo con conseguenze catastrofiche per l’intero continente europeo”, denuncia l’ambasciatore russo Vasily Nebenzia. E invita l’Occidente a “smettere di coprire il loro protetto ucraino”: “Abbiamo l’impressione che i nostri colleghi stiano vivendo in una realtà parallela in cui l’esercito russo sta bombardando il sito che sta proteggendo”, dichiara. “Nessuno può immaginare che l’Ucraina prenda di mira una centrale nucleare e crei un enorme rischio di disastro nucleare sul proprio territorio”, la risposta dell’ambasciatore ucraino Sergiy Kyslytsya, che bolla i comportamenti russi come “provocazioni e azioni terroristiche”.
    Dal palco del Meeting di Rimini, il presidente del Consiglio Mario Draghi cita Papa Francesco: “Non posso che associarmi alle parole del Santo Padre perché si eviti un disastro nucleare”. “Speravo fino a ieri che la decisione di permettere l’accesso della centrale nucleare di Zaporizhzhia a ispettori dell’Onu fosse un segno” di dialogo tra le parti, confessa. “Purtroppo stanotte missili russi hanno bombardato la zona intorno alla centrale. In ogni caso – assicura -, in questa ricerca della pace è essenziale che le promesse siano sincere, che siano seguite da azioni concrete e che, soprattutto, sia l’Ucraina a decidere quali termini di pace siano accettabili“.
    Nella ricorrenza della Festa Nazionale ucraina, Sergio Mattarella scrive a Volodomyr Zelensky per esprimere la sua solidarietà: “Desidero rinnovare, in quest’ora così drammatica, a lei e a tutti i suoi concittadini l’espressione più convinta di vicinanza e sostegno della Repubblica Italiana”, si legge nel messaggio. Il Capo dello Stato classifica l’aggressione russa come “brutale e ingiustificata”. “L’Italia sostiene fermamente l’integrità territoriale, la sovranità, l’indipendenza e la libertà del suo Paese – garantisce – e ribadisce il suo impegno ad assistere il popolo ucraino anche sotto il profilo umanitario e della ricostruzione”. Il cessate il fuoco è necessario e dev’essere immediato. Solo così, insiste Mattarella, si potrà avviare “un processo negoziale in vista di una soluzione pacifica, giusta, equa e sostenibile per l’Ucraina”.

    Continuano i bombardamenti intorno alla centrale. Alle parole del Pontefice si associa l’appello del premier italiano Mario Draghi. Mattarella scrive a Zelensky. Attesa la visita di ispezione dell’Aiea