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    Da oggi nell’UE è sospesa la diffusione della propaganda di Russia Today e Sputnik: “In guerra, le parole contano”

    Bruxelles – È anche una guerra di disinformazione e propaganda quella scatenata dalla Russia contro l’Ucraina. Mosca sta cercando di diffondere immagini e narrazioni dell’invasione in atto da una settimana totalmente manipolate sia in patria sia all’estero. Ed è questo che l’Unione Europea non può più accettare. Dopo l’annuncio della presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, di domenica (27 febbraio), sono state adottate oggi le sanzioni contro gli organi di propaganda del regime di Vladimir Putin, attraverso la sospensione della distribuzione dei media statali Russia Today e Sputnik su tutto il territorio dell’Unione.
    La decisione è stata presa dal Consiglio dell’UE all’interno del nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia di Putin, che hanno colpito, oltre alla propaganda di regime, anche la Banca centrale russa e l’accesso di sette banche al sistema di pagamenti internazionali Swift. “Russia Today e Sputnik sono essenziali e strumentali nel portare avanti e sostenere l’aggressione della Russia contro l’Ucraina”, si legge nella nota del Consiglio. Per Bruxelles si tratta di “una minaccia significativa e diretta” all’ordine pubblico e alla sicurezza dell’Unione Europea, dal momento in cui “entrambi fanno parte di uno sforzo coordinato di manipolazione delle informazioni”, come documentato dalla task force East StratCom del Servizio europeo di azione esterna (SEAE) contro la disinformazione. Già la settimana scorsa, nel pacchetto di sanzioni contro la cerchia più stretta di Putin, era stata inclusa la caporedattrice della sezione inglese di Russia Today, Margarita Simonyan, per i contenuti di disinformazione che prendevano di mira l’Ucraina e il suo presidente, Volodymyr Zelensky.
    “Data la gravità della situazione” e “in risposta alle azioni di propaganda della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina”, l’UE ha ritenuto “necessario e coerente con i diritti e le libertà fondamentali” introdurre nuove sanzioni per sospendere le attività di trasmissione dei due organi di disinformazione attraverso tutti i mezzi di distribuzione: cavo, satellite, IPTV (sistema di trasmissione di segnali televisivi su reti informatiche), piattaforme, siti web e app. Licenze, autorizzazioni e accordi di distribuzione sono “immediatamente sospesi” sul territorio di tutti i 27 Stati membri.
    “In questo tempo di guerra, le parole contano“, ha attaccato la presidente von der Leyen. È per questo motivo che “non permetteremo agli apologeti del Cremlino di versare le loro bugie tossiche che giustificano la guerra di Putin o di seminare i semi della divisione nella nostra Unione”, dopo aver preso di mira “in modo oltraggioso un Paese libero e indipendente”. Durissimo anche l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “La manipolazione sistematica dell’informazione è applicata come strumento operativo nell’assalto all’Ucraina”. Borrell ha definito le sanzioni contro la propaganda della Russia come “un passo importante contro l’operazione di manipolazione di Putin, chiudendo il rubinetto dell’UE ai media controllati dallo Stato“.

    In this time of war, words matter.
    The EU adopted sanctions against the Kremlin’s disinformation and information manipulation assets.
    State-owned outlets Russia Today and Sputnik are suspended across the EU, as of today.
    Learn more → https://t.co/EmOYaxmQ9f pic.twitter.com/xsbcr1lmMt
    — European Commission 🇪🇺 (@EU_Commission) March 2, 2022

    Nel nuovo pacchetto di misure restrittive contro la Russia è stata inclusa la sospensione della distribuzione dei due media statali su tutti i mezzi, per arginare la disinformazione sull’invasione dell’Ucraina da parte del regime di Putin

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    Gli eurodeputati allineati su prospettiva UE dell’Ucraina (tranne l’estrema destra): “È il nostro Whatever It Takes”

    Bruxelles – Tutt’altro contesto, tutt’altra emergenza. Ma, a dieci anni dalla celebre frase dell’allora presidente della BCE, Mario Draghi, l’Unione Europea si ritrova ancora forte dietro a un whatever it takes che sa di esortazione a non mollare e a prendere decisioni coraggiose. Questa volta “whatever it takes” l’ha pronunciato la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, e il contesto è l’impegno che i Ventisette dovranno dimostrare per spingere la prospettiva UE dell’Ucraina. Come ricordato nel toccante intervento del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, da remoto alla sessione plenaria del Parlamento Europeo, Kiev ha fatto richiesta formale per l’adesione immediata all’UE. E tutti i gruppi politici all’Eurocamera – fatta eccezione per l’estrema destra di Identità e Democrazia – hanno risposto con forza all’appello.
    La manifestazione a sostegno dell’Ucraina davanti alla sede del Parlamento UE a Bruxelles (1 marzo 2022)
    La risoluzione votata oggi (martedì primo marzo) con 637 voti a favore, 13 contrari e 26 astenuti invita le istituzioni dell’UE a “concedere all’Ucraina lo status di candidato all’Unione“, ma specificando che questo deve essere “basato sul merito” e in linea con l’articolo 49 del Trattato sull’Unione Europea (TUE). Cioè quello che definisce il processo di allargamento dell’Unione Europea, secondo condizioni ben determinate sui criteri da rispettare e sulla procedura da seguire. Come ha evidenziato durante il dibattito in plenaria il presidente del gruppo di Renew Europe, Stéphane Séjourné, “sarà un processo che richiederà anni, ma è importante che i cittadini ucraini eroici facciano già parte della comunità di destini dell’Unione Europea”. Nel frattempo, sarà necessario “continuare a lavorare per l’integrazione dell’Ucraina nel Mercato unico dell’UE, secondo le linee dell’Accordo di associazione”, precisa il testo approvato dal Parlamento Europeo.
    La presidente del Parlamento UE, Roberta Metsola, alla manifestazione in sostegno all’Ucraina (1 marzo 2022)
    “Il 24 febbraio è una data spartiacque per l’Europa”, ha dichiarato il presidente del gruppo del PPE, Manfred Weber, ricordando l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Un giorno che “ci fa dare risposte chiare”, ha aggiunto: “Sì, siete i benvenuti e appartenete all’Unione Europea”. Gli ha fatto eco la presidente del gruppo di S&D, Iratxe García Pérez: “Servono decisioni storiche, come abbiamo fatto nell’ultima settimana”, perché “non c’è in gioco solo l’integrità dell’Ucraina, ma anche in che mondo vivremo”. Il capo-delegazione del Partito Democratico, Brando Benifei, ha messo in chiaro che “dopo l’aggressione, tutto è aperto” e che “non è un processo che si concluderà domani, ma bisogna supportare la domanda dell’Ucraina”
    Secondo l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle, Fabio Massimo Castaldo, “gli ucraini fanno già parte della famiglia europea, ora serve un segnale forte”. Anche il co-leader del gruppo dei Verdi/ALE, Philippe Lamberts, ha confermato che “dovremo avere la saggezza di affrontare la situazione assieme all’Ucraina, rimanendo uniti”.
    Dalle fila di Renew, Sandro Gozi ha affermato che “siamo entrati nell’era dell’Europa, che si assume le sue responsabilità, anche militari, per proteggere e stare dalla parte di chi si batte e muore per i nostri valori, per la democrazia, per lo Stato di diritto, per le libertà e la stabilità”. Il co-presidente del gruppo di ECR al Parlamento Europeo, Ryszard Legutko, ha chiesto a Bruxelles di “cambiare rotta e permettere all’Ucraina di entrare nell’UE”, mentre la collega di partito Anna Fotyga si è detta “onorata della vostra richiesta, lo faremo appena possibile”, perché “noi abbiamo bisogno di voi e voi di noi”.
    Se il gruppo della Sinistra non parla esplicitamente di adesione UE e punta più sulla “necessità di riportare in Europa la pace che la la mia generazione, post-Guerra Fredda, ha sempre conosciuto” – come dichiarato dalla co-leader, Manon Aubry – l’estrema destra di ID ha ballato tra l’ambiguità e la contrarietà. Nessuna presa di posizione da parte del presidente del gruppo, il leghista Marco Zanni, mentre il francese Jordan Bardella ha affermato a chiare lettere che “l’allargamento a est dell’UE e della NATO sono ulteriori provocazioni alla Russia di Putin”.

    Nella risoluzione dell’Eurocamera sull’aggressione russa dell’Ucraina viene ribadita la necessità di riconoscere a Kiev lo status di Paese candidato, ma in linea con criteri e procedure delineate nel Trattato sull’Unione Europea (TUE)

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    Putin: Sarà pace solo quando l’Ucraina sarà neutrale, denazificata e la Crimea sarà riconosciuta nostra

    Bruxelles – L’invasione dell’Ucraina finirà solo alle condizioni poste da Mosca, non ci sono negoziati possibili. E’ quello che è scritto in un comunicato diffuso dal Cremlino dopo una telefonata tra Vladimir Putin ed Emmanuel Macron.
    Mentre in una nota il presidente francese metteva in evidenza come quello russo fosse disposto ad alleggerire la pressione sui civili, da Mosca veniva diffusa una nota nella quale si spiega il prezzo della fine dell’aggressione all’Ucraina, che potrà avvenire solo se si terrà conto “in modo incondizionato” dei “legittimi interessi della Russia nella sfera della sua sicurezza”. Così avrebbe detto Putin a Macron, riferisce la nota, elencando poi le richieste: “Riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea, la demilitarizzazione e la denazificazione dello Stato ucraino e la garanzia dello status neutrale dell’Ucraina”.
    Secondo il francese invece il presidente russo sarebbe disposto a negoziare la fine degli attacchi contro i civili in Ucraina.  Macron, riferisce la nota dell’Eliseo, “ha ribadito la richiesta della comunità internazionale di porre fine all’offensiva russa contro l’Ucraina e ha ribadito la necessità di attuare un cessate il fuoco immediato“.
    Considerando poi l’avvio oggi a Gomel, in Bielorussia, delle discussioni tra le delegazioni russa e ucraina, il presidente francese ha chiesto a Putin che siano rispettati tre punti fondamentali: 1) fermare tutti gli attacchi contro i civili e i luoghi di residenza; 2) protezione di tutte le infrastrutture civili; 3) messa in sicurezza delle strade principali, in particolare le strade a sud di Kiev. “Il presidente Putin – afferma la nota dell’Eliseo – ha confermato la sua volontà di impegnarsi su questi tre punti”.
    Macron ha anche chiesto il rispetto del diritto internazionale umanitario e la protezione delle popolazioni civili nonché la consegna degli aiuti, in conformità con la risoluzione presentata dalla Francia al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
    Il presidente francese ha infine proposto al russo “di rimanere in contatto nei prossimi giorni per evitare che la situazione peggiori. Il presidente Putin – afferma la nota – ha dato il suo consenso”. 

    In una telefonata con Macron il presidente russo si sarebbe mostrato disponibile a non colpire i civili durante l”aggressione

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    La guerra parallela di Lukashenko. La Bielorussia abbandona lo status di Paese non-nucleare: può ospitare le armi russe

    Bruxelles – Da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – ma senza dubbio anche prima – l’autoproclamato presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, ha iniziato una sua personalissima guerra a fianco di Mosca, per stringere ancora di più i legami con il suo protettore Vladimir Putin. Ormai la Bielorussia sembra sempre meno uno Stato sovrano e indipendente e sempre più una succursale de facto del Cremlino, sin dall’inizio delle esercitazioni militari delle forze russe (e il loro stanziamento) sul territorio bielorusso a inizio mese. Con gli eventi delle ultime ora, però, Lukashenko ha deciso di trascinare tutto il popolo giù per una china inquietante: un referendum (farsa) ha dato il via libera alla nuova Costituzione della Bielorussia, che cancella lo status di Paese non-nucleare e permette il dispiegamento di armamenti nucleari russi sul territorio nazionale.
    La presenza militare russa in Bielorussia
    Secondo quanto rende noto la commissione elettorale centrale bielorussa, il 65,2 per cento degli elettori che si sono recati alle urne ieri (domenica 27 febbraio) ha votato a favore degli emendamenti costituzionali. Un risultato per nulla sorprendente, in linea con le volontà dell’ultimo dittatore d’Europa (se non vogliamo ancora considerare tale anche Putin) in un Paese che di democratico non ha più nulla sicuramente dalle elezioni-farsa dell’agosto 2020. Quello che cambia è però il nuovo pericolo nucleare che arriva per Minsk e per l’Europa intera dalla Bielorussia di Lukashenko, in un momento in cui l’ex-Repubblica sovietica è già una base di partenza per le truppe russe che stanno invadendo da nord l’Ucraina e dopo le dichiarazioni minacciose del Cremlino sullo stato di allerta nucleare.
    Si tratta del terzo emendamento della Carta costituzionale introdotto da Lukashenko da quanto è saluto al potere nel 1994. Ma è la prima volta in assoluto dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica che viene autorizzato il dispiegamento dell’arma nucleare sul suolo della Bielorussia. Tra le altre novità introdotte in Costituzione c’è anche una nuova Assemblea Popolare che agirà come struttura parallela al Parlamento (presieduta da Lukashenko) con ampi poteri in politica estera, di sicurezza ed economica. Proprio per Lukashenko è prevista la possibilità di essere rieletto almeno altre due volte, conferendogli la possibilità di rimanere in carica per altri  13 anni (fino alle elezioni del 2035) e l’immunità dai procedimenti giudiziari anche dopo la fine del mandato. A chiunque abbia lasciato temporaneamente il Paese negli ultimi 20 anni sarà impossibile diventare presidente della Repubblica, una misura diretta in particolare contro la leader legittima secondo l’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya.
    Nessuno in Occidente è intenzionato a riconoscere i risultati del referendum e questo aggrava ulteriormente l’isolamento del dittatore bielorusso, che ormai ha solo il Cremlino come interlocutore: “Se trasferirete le armi nucleari in Polonia o Lituania, ai nostri confini, allora mi rivolgerò a Putin per farci restituire quelle di cui ci eravamo liberati senza alcuna condizione”, ha minacciato Lukashenko le potenze europee. “La cancellazione del riferimento nell’articolo 18 allo status non-nucleare della Bielorussia è un altro elemento preoccupante”, ha condannato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, senza dimenticare il “forte sostegno a una Bielorussia indipendente, sovrana e democratica”, dove non ci siano “più di 1070 prigionieri politici e uno spazio per un autentico dibattito pubblico completamente chiuso”.
    La sala dei negoziati tra le delegazioni di Mosca e Kiev al confine tra Bielorussia e Ucraina
    Sul fronte militare, oltre alle 30 mila truppe russe di stanza a tempo indeterminato in Bielorussia, le ultime notizie dal fronte orientale – ancora non verificate – danno l’esercito bielorusso pronto a unirsi nella guerra in Ucraina “nel giro di ore”, riporta il Kyiv Independent, parlando di circa 17 mila soldati in mobilitazione. Intanto però è tutto pronto al confine tra Bielorussia e Ucraina per i colloqui tra le delegazioni di Mosca e di Kiev a Gomel. La parte ucraina è già arrivata nell’area del fiume Pripyat ed è rappresentata dal ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, e da David Arakhamia, leader del partito ‘Servitore del popolo’ del presidente, Volodymyr Zelensky. Proprio Zelensky si è detto “scettico” sulle possibilità che possa uscire qualcosa dall’incontro, ma ha aperto alla possibilità di “almeno provarci”. Nelle prossime ore si dovrebbe conoscere l’esito del confronto.
    Da Bruxelles la reazione nei confronti della minaccia nucleare della Bielorussia è stata durissima. “Il regime di Lukashenko è complice di questo feroce attacco contro l’Ucraina, perciò lo colpiremo con un nuovo pacchetto di sanzioni“, ha puntato il dito la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, nel corso della conferenza stampa di presentazione delle nuove misure restrittive contro la Russia di ieri. Il regime bielorusso condividerà le stesse sanzioni di Mosca: “Prenderemo di mira i loro settori più importanti, fermeremo le loro esportazioni di prodotti dai combustibili minerali al tabacco, legno e legname, cemento, ferro e acciaio“, ha spiegato von der Leyen, precisando che saranno estese anche alla Bielorussia “le esportazioni che abbiamo introdotto sui beni a doppio uso per la Russia”, in modo da “evitare qualsiasi rischio di elusione delle nostre misure contro Mosca”.
    Anche dal presidente francese, Emmanuel Macron, titolare della presidenza di turno del Consiglio dell’UE, è arrivato un ammonimento a Lukashenko, nel corso di una telefonata tra i due: “Il ritiro delle truppe russe dalla Bielorussia deve avvenire il più rapidamente possibile, perché stanno conducendo una guerra unilaterale e ingiusta”. Macron ha cercato di fare leva sulla “fratellanza tra i popoli bielorusso e ucraino” per instillare a Minsk il pensiero di “rifiutare di essere vassallo della Russia e complice nella guerra contro l’Ucraina“. Ma le ultime decisioni del regime non sembrano andare in questa direzione.

    Third, we will target the other aggressor in this war, Lukashenko’s regime, with a new package of sanctions, hitting their most important sectors.
    All these measures come on top of the strong package presented yesterday,agreed by our international partners. pic.twitter.com/ikN99V14zU
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) February 27, 2022

    È stato approvato il referendum-farsa che cancella il riferimento alla neutralità del Paese nell’articolo 18 della Costituzione. Il presidente Lukashenko sempre più isolato e dipendente da Putin, ma organizza l’incontro tra le delegazioni di Kiev e Mosca

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    L’Unione davanti alla Storia: dall’accoglienza dei profughi ucraini all’invio di armi a Kiev, le scelte inedite dell’UE

    Bruxelles – La storia, quella con la S maiuscola, è fatta di momenti ben riconoscibili e quello a cui ci troviamo di fronte da una settimana è proprio uno di quei momenti. Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin, l’UE ha reagito con una prova di unità quasi inattesa. Sicuramente non nella logica del dittatore russo, che probabilmente immaginava di inchiodare i Ventisette con le spalle al muro, facendo leva sulle ben note divisioni e difficoltà a trovare posizioni condivise in ambito di politica estera.
    Ma dalla prima tornata di sanzioni annunciata lunedì scorso (21 febbraio) ai successivi due pacchetti – che hanno portato al congelamento degli asset di Putin, all’esclusione russa dal circuito di pagamenti Swift e alla chiusura dello spazio aereo e dei canali di propaganda del Cremlino – l’Unione ha davvero parlato con una sola voce. Oggi l’UE ha fatto molto di più: ha annunciato due decisioni mai viste prima, una in ambito militare e una di migrazione e asilo.
    Per quello che riguarda l’aspetto militare, l’annuncio è arrivato direttamente dalla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, nel pomeriggio: “Per la prima volta, l’UE finanzierà l’acquisto e la consegna di armi e attrezzature a un Paese sotto attacco“. Non era mai successo prima nella storia dell’Unione e questo segna un precedente di portata storica. Fino a questa mattina si parlava, secondo copione, dei finanziamenti e invii di materiale bellico all’Ucraina dei singoli Paesi membri UE (tra cui anche l’Italia, attraverso finanziamenti economici). Ma con quanto comunicato in conferenza stampa, è cambiato tutto: ora anche Bruxelles si fa carico di questo compito, coordinando i governi nazionali. “Un altro tabù è caduto, quello che voleva l’Unione Europea non finanziare una guerra“, ha sottolineato l’alto rappresentante, Josep Borrell, che domani (lunedì 28 febbraio) dovrebbe ricevere l’appoggio dei ministri UE della Difesa.
    “Stiamo organizzando la consegna d’emergenza di attrezzature militari difensive. Fucili, munizioni, razzi e carburante stanno arrivando alle truppe ucraine”, ha fatto sapere in serata il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Si tratta di 500 milioni di euro, di cui 450 per “armamenti letali”. Grazie al via libera degli ambasciatori dei Ventisette riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper), si attiverà la European Peace Facility, lo strumento fuori bilancio per la prevenzione dei conflitti, la costruzione della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale, attraverso il finanziamento di azioni operative nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (PESC) che hanno implicazioni nel settore militare o della difesa. Grazie al “pilastro Misure di assistenza”, l’UE può sostenere Paesi terzi (in questo caso l’Ucraina) a rafforzare le capacità belliche, secondo quanto concordato dal Consiglio Affari Esteri nel marzo dello scorso anno.

    LIVE NOW: Press Statement by HR/VP @JosepBorrellF and President Ursula @vonderleyen on further measures to respond to the Russian invasion of Ukraine https://t.co/KMRZPQZjy1
    — EUSecurityDefence (@EUSec_Defence) February 27, 2022

    Ma c’è anche l’aspetto migrazione e asilo da non sottovalutare. Nel corso del vertice di oggi dei ministri UE per la Giustizia e gli affari interni è stato deciso di mettere sul tavolo l’applicazione della Direttiva europea sulla protezione temporanea del 2001, quella che stabilisce uno status di protezione di gruppo, che può essere applicato in situazioni di crisi derivanti da un afflusso massiccio di persone in fuga da una situazione di grande pericolo. Lo ha fatto sapere la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, lasciando intendere che la data fissata per una (quasi sicura) applicazione sarà giovedì (3 marzo), nel corso del prossimo Consiglio Affari Generali.
    Con l’attivazione del meccanismo – che servirà ad accogliere un numero di persone in fuga dalla guerra che si attesterà presto a 400 mila (stando alle stime dell’alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi) – l’UE sta mandando un altro segnale importante sia all’Ucraina, sia ai Paesi UE sulla frontiera orientale. La direttiva del 2001 prevede un principio di redistribuzione delle persone migranti tra i Paesi membri (la commissaria Johansson ha già fatto sapere che chi ha amici o parenti nell’UE si potrà dirigere verso di loro), un’assistenza speciale garantita di tre anni – 12 mesi mesi rinnovabili due volte – con il riconoscimento automatico del diritto di lavoro. Ma soprattutto per il via libera non serve l’unanimità dei Paesi membri, ma la maggioranza qualificata: “È già schiacciante al momento”, ha assicurato il ministro degli Interni francese e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Gérald Darmanin.
    Nonostante da più di 20 anni esista questa base legislativa e normativa per l’applicazione dei corridoi umanitari, la direttiva non è mai stata usata da quando è entrata in vigore. Non senza polemiche, l’ultima volta che l’argomento si è presentato all’ordine del giorno a Bruxelles è stato esattamente sei mesi fa, con la crisi in Afghanistan dopo la presa di potere dei talebani. Nonostante l’appello di 76 eurodeputati, allora non era stato attivato il meccanismo per dare accoglienza ai cittadini afghani in fuga da quella che difficilmente non poteva non essere considerata “una crisi derivante da un afflusso massiccio di persone in fuga da una situazione di grande pericolo”. Questo momento unico per l’UE nel rispondere alla Storia passa anche dall’applicazione della direttiva che darà accoglienza ai profughi in arrivo dall’Ucraina. A patto che questo non costituisca un precedente per fare – come ha affermato un politico italiano che non si è mai distinto per umanità nella gestione delle politiche di accoglienza – un distinguo tra “i profughi veri che scappano da una guerra vera” e quelli esclusi per discriminazioni puramente etniche e razziali.

    Actions en matière d’accueil et de solidarité : nous avons évoqué la possibilité d’activer la directive “protection temporaire”, afin d’offrir une protection immédiate pour les Ukrainiens déplacés, le temps que la crise le nécessitera. https://t.co/9TlFN8zMBk
    — Gérald DARMANIN (@GDarmanin) February 27, 2022

    Con il finanziamento per l’acquisti e la consegna di armamenti a Kiev per la guerra contro la Russia e l’attivazione del meccanismo di accoglienza temporanea, l’Unione Europea oggi ha iniziato a tracciare una nuova strada in politica estera

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    L’UE approva il nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia (Putin e Lavrov inclusi). Si cerca l’unità anche sul tema SWIFT

    Bruxelles – Ormai non c’erano nemmeno più dubbi sul fatto che il presidente della Russia, Vladimir Putin, e il ministro degli Esteri, Sergey Lavrov, fossero inclusi nel nuovo pacchetto di sanzioni UE scatenate dall’invasione da parte di Mosca del territorio dell’Ucraina. Tuttavia, come sottolineato dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, “avere le più alte cariche di uno Stato come la Russia nella lista delle misure restrittive è un passo di una certa importanza”. Oltre a quanto reso noto dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, questa notte al termine del vertice straordinario dei leader UE, il secondo pacchetto di sanzioni contro la Russia in meno di tre giorni includerà il congelamento dei beni di Putin e Lavrov.
    Borrell ha confessato che si è trattato del “risultato finale delle discussioni non concluse al vertice di ieri, dopo un’intensa discussione questa mattina“. Adesso, con l’approvazione formale dei 27 ministri degli Esteri, dovranno essere adottati gli atti giuridici con applicazione diretta una volta pubblicati in Gazzetta Ufficiale dell’UE. Nella lista compaiono anche 26 persone che non fanno parte delle istituzioni politiche, “diciamo oligarchi del mondo finanziario russo”, che appoggiano l’invasione dell’Ucraina e che “consideriamo responsabili e beneficiari delle politiche militari di Mosca”, ha aggiunto Borrell.
    A livello generale, “le sanzioni prendono di mira il settore finanziario, commerciale, tecnologico ed energetico” del Paese, in particolare “vietando la quotazione delle azioni delle entità russe ed evitando il flusso di capitali da e verso l’UE”. In questo modo “si incrementeranno i costi per la Russia nell’ottenere prestiti, con un impatto sull’inflazione e sull’erosione della base industriale”. Un tema complesso sul tavolo rimane però l’esclusione di Mosca dal sistema di pagamenti internazionali SWIFT: “Al momento è solo una possibilità aperta, ancora non c’è un allineamento totale”, ha confessato l’alto rappresentante UE. “È per questo motivo che non l’abbiamo ancora inserito nel pacchetto, la discussione non è ancora matura“, anche se “non è per nulla escluso che non succederà presto“. Tutto sembra possibile a questo punto: basti solo pensare al fatto che fino a due giorni fa era una possibilità remota inserire Putin e Lavrov tra i destinatari delle sanzioni UE contro la Russia.
    Nel corso della conferenza stampa post-Consiglio, l’alto rappresentante Borrell ha confermato ai giornalisti che “il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha partecipato da remoto e ci ha spiegato come le truppe e il popolo stiano resistendo all’attacco russo“. Un’aggressione “anche contro civili e innocenti, che ci fa capire quanto la situazione sia drammatica”. L’Ucraina è un Paese indipendente invaso da “una potenza militare che possiede l’arma nucleare e minaccia di usarla contro chiunque voglia intervenire a risolvere la crisi“, ha attaccato Borrell. Tuttavia, deve essere chiara la distinzione tra Russia e Cremlino: “Tanti cittadini russi si sono esposti contro questa guerra insensata con manifestazioni”.
    A questo punto l’UE vuole portare la questione a livello ONU: “Chiediamo la condanna delle Nazioni Unite, in modo che la Russia capisca che è isolata internazionalmente“. L’alto rappresentante Borrell è consapevole che all’interno del Consiglio di Sicurezza “ci sarà ovviamente il veto della Russia, ma poi vedremo all’Assemblea Generale quanto Paesi sosterranno Mosca”. Da Bruxelles in giornata ci sono già stati i contatti con Cina e India, “per spiegare loro che non è solo una questione di Ucraina, ma di rispetto delle regole della Carta delle Nazioni Unite” e Borrell si è detto soddisfatto per le prime reazioni. “La Russia è stata sospesa dal Consiglio d’Europa con l’unanimità dei 27 Paesi dell’UE”, ma anche da molte competizioni sportive e dal concorso Eurovision in programma a maggio a Torino: “Può sembrare poca cosa, ma ha un impatto non indifferente sull’opinione pubblica globale“.
    Parlando del secondo pacchetto di sanzioni UE contro la Russia, il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, al termine del Consiglio Affari Esteri si è soffermato sul fatto che “colpiranno con intensità non solo Putin e Lavrov, ma anche banche, imprese di Stato e interi settori-chiave dell’economia russa”. Si tratta di “un nuovo passo per continuare a isolare la Russia”, a cui seguiranno i lavori per un terzo pacchetto. Alla domanda sulla possibile esclusione di Mosca da Swift, Di Maio ha messo in chiaro che “l’Italia ha votato e voterà compatta sulle proposte della Commissione e non escludiamo niente a priori“. L’iniziale contrarietà del governo Draghi potrebbe essersi modificata in un appoggio tiepido, pur di mantenere l’unanimità della voce dell’Unione contro l’aggressione di Mosca. “Quelle che arrivano dall’Ucraina sono immagini inquietanti, con carri armati sulle auto dei civili e bambini portati in salvo dalle zone dei combattimenti”, ha attaccato con forza Di Maio: “È la dimostrazione della crudeltà della Russia e dell’irresponsabilità della guerra, che mette a rischio tutti i cittadini europei e può destabilizzare un intero contenente”.

    I 27 ministri degli Esteri hanno completato il lavoro non concluso vertice dei leader UE di ieri: beni congelati per i due leader russi. Si inizia a trovare un allineamento sull’esclusione di Mosca dal sistema di pagamenti internazionali

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    Stoltenberg: “La guerra è in Europa”. I baltici spaventati attivano il processo per le Consultazioni d’emergenza NATO

    Bruxelles – Dall’Ucraina i timori per le azioni aggressive di Mosca si espandono a macchia d’olio. Con l’invasione da parte della Russia del territorio ucraino, Lituania, Lettonia ed Estonia, le tre ex-Repubbliche sovietiche affacciate sul Mar Baltico, a più di 30 anni dalla conquista dell’indipendenza tornano a temere la politica di espansionismo del Cremlino e mettono in allerta gli alleati dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO) sulla minaccia russa nei confronti di tutti i vicini dell’Ucraina.
    Dopo l’inizio delle operazioni di invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin nelle prime ore di giovedì 24 febbraio, i tre Paesi baltici hanno annunciato la volontà di attivare “quanto prima” di un confronto NATO ai sensi dell’articolo 4 del Trattato del Nord Atlantico. Si tratta del processo da attivare per consultazioni di emergenza se un membro dell’Alleanza teme un’aggressione esterna: “C’è una minaccia per l’intero mondo libero”, ha commentato la premier dell’Estonia, Kaja Kallas, per spiegare la decisione in cooperazione con Lettonia e Lituania. Proprio da Vilnius, il presidente lituano, Gitanas Nausėda, ha annunciato che “oggi firmerò un decreto che impone lo stato di emergenza” nel Paese, in parallelo con la richiesta di consultazioni per la minaccia di una potenziale aggressione.
    Il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg
    La richiesta di consultazioni secondo l’articolo 4 è arrivata al Consiglio NATO e lo ha confermato il segretario generale, Jens Stoltenberg, nella conferenza stampa post-riunione straordinaria: “In linea con la nostra pianificazione difensiva per proteggere tutti gli alleati, abbiamo deciso di prendere ulteriori misure per rafforzare la deterrenza e la difesa in tutta l’Alleanza“, ha dichiarato. È sul tavolo la richiesta dei tre Paesi baltici, Polonia, Bulgaria, Romania e Repubblica Ceca, nella logica di “difendere gli alleati da aggressioni da parte di un regime autoritario che usa la forza per imporsi su altri Paesi”, ha attaccato Stoltenberg. “La guerra è in Europa“, è stato lapidario il segretario generale della NATO, definendo l’invasione dell’Ucraina “un brutale atto bellico, arrivato dopo una lunga serie di menzogne e disinformazione della Russia negli ultimi mesi”.
    Dopo che Mosca “ha chiuso la porta alla soluzione diplomatica che abbiamo cercato di raggiungere in ogni modo”, il piano di difesa della NATO in risposta a Mosca è già elaborato nei dettagli e attivato. “Nei prossimi giorni invieremo ulteriori forze sul fianco orientale dell’Alleanza, dove già ci sono migliaia di truppe”, ha spiegato Stoltenberg. Il piano offre “più autorità ai comandanti sul campo e più velocità di spostamento delle forze”, anche se prevale la linea difensiva e la non-volontà di scatenare un conflitto con la Russia. Questo è dimostrato dal fatto che “non ci sono truppe NATO in Ucraina, né abbiamo piani di dispiegarle“, ha aggiunto il segretario generale Stoltenberg, precisando che “le nostre intenzioni sono di rafforzare il fianco orientale dell’Alleanza e incrementare il numero di truppe. Al momento, “gli alleati nordamericani ed europei hanno mobilitato migliaia di soldati, abbiamo oltre un centinaio di jet in allerta nel nostro spazio aereo e più di 120 navi dal Mare del Nord al Mediterraneo”.
    Nonostante sia “chiaro che le minacce russe impongono una nuova normalità per la sicurezza europea” (come già avvertiva lo stesso Stoltenberg una settimana fa), il segretario generale ha voluto rassicurare gli europei, affermando che “la Russia non ci attaccherà perché siamo la più forte alleanza della storia e siamo tutti allineati“. Questo “dovrebbe precludere qualsiasi espansione della tragedia che stiamo vedendo in Ucraina”, ma, in ogni caso, “qualsiasi attacco a un Paese alleato farà scattare la reazione immediata della NATO. Dopo l’articolo 4, c’è l’articolo 5: quello che afferma che “un attacco contro un alleato è un attacco contro ogni componente dell’Alleanza“, con la possibilità di far scattare una reazione di autodifesa. In altre parole, una guerra.

    Lituania, Lettonia e Lituania chiedono l’attivazione dell’articolo 4 del Trattato del Nord Atlantico: “Con l’invasione russa dell’Ucraina c’è una minaccia per l’intero mondo libero”

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    Ucraina, i leader UE condannano anche Minsk e preparano nuove sanzioni

    Bruxelles – Il vertice straordinario dei capi di Stato e di governo dell’UE sulla crisi ucraina inizia prima ancora di cominciare. I leader si ritroveranno a Bruxelles in serata, ma già offrono anticipazioni sulla risposta europea, che riguarda anche Minsk. “Condanniamo il coinvolgimento della Bielorussia in questa aggressione contro l’Ucraina e la invitiamo a rispettare i suoi obblighi internazionali”, si legge nella dichiarazione congiunta diffusa mentre gli ambasciatori riuniti preparano i lavori del summit.
    I leader confermano che sul tavolo ci sono “ulteriori misure restrittive che imporranno alla Russia conseguenze massicce e gravi per la sua azione“, e che il vertice di crisi servirà per approvarle “in linea di principio”. La condanna per il ruolo della Bielorussia lascia intendere che i Ventisette potrebbero imporre anche ulteriori misure restrittive nei confronti del regime di Alexander Lukashenko, ora che Minsk è ufficialmente ritenuta coinvolta nella crisi.
    L’UE intende marciare compatta, ma comunque in costante consultazione con gli alleati extra-europei. “Stiamo coordinando la nostra risposta con i nostri vicini e partner internazionali, compresi la NATO e il G7, i cui leader si incontreranno a breve”.
    L’auspicio europeo continua a essere ripensamenti di Mosca, a cui si rinnovano gli inviti a cessare le operazioni militare e ritirare l’esercito, cosa che al momento il presidente russo Vladimir Putin non sembra intenzionato a fare.
    La condanna a Minsk è l’ulteriore tassello di una situazione sempre più complicata. L’UE non riconosce l’annessione russa di Crimea né dei territori orientali annessi da Mosca. Inoltre non riconosce la legittimità di Lukashenko, considerato come vincitore di elezioni truccate.

    I Ventisette riconoscono la partecipazione della Bielorussia nell’invasione russa dell’Ucraina, e ragionano sulla possibilità di includere anche Minsk nella risposta alla crisi