More stories

  • in

    L’Unione Europea chiede alla Cina di premere sulla Russia per mettere fine all’aggressione dell’Ucraina

    Bruxelles – Il sonno del gigante cinese inizia a essere sempre più disturbato. Negli 11 giorni di invasione russa dell’Ucraina, Pechino è il vero jolly che ancora nessuno è riuscito a giocarsi per indirizzare in un verso o nell’altro la guerra voluta da Vladimir Putin. Né Mosca, per avere quel supporto necessario per affrontare le sanzioni e il boicottaggio delle aziende di quasi tutto il mondo, né le potenze occidentali per isolare definitivamente il Cremlino e metterlo in ginocchio. Oggi però l’UE ha fatto un passo in avanti e ha chiesto apertamente alla Cina di fare pressione sulla Russia per mettere fine all’aggressione in Ucraina.
    “L’alto rappresentante Josep Borrell è in contatto con la controparte cinese perché prema per fermare questo attacco senza precedenti contro l’integrità territoriale di uno Stato”, ha spiegato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), Peter Stano, nel corso del punto quotidiano con la stampa. “L’UE sta chiedendo alla Cina di usare la propria influenza per raggiungere un cessate il fuoco e porre fine ai bombardamenti brutali della Russia”, ha aggiunto Stano, sottolineando che la potenza orientale “ha il potenziale per raggiungere Mosca grazie alle sue relazioni bilaterali“. Il portavoce del SEAE ha fatto notare che “la Cina non era tra i cinque Paesi che si sono opposti alla risoluzione votata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite” e “questa è una ragione per aumentare il nostro impegno per fare in modo che diventi partner della comunità internazionale che spinge per la fine della guerra in Ucraina”.
    Per l’appunto, la Cina è stata tra i 35 Paesi che si sono astenuti al voto di mercoledì scorso (2 marzo) sulla risoluzione di condanna all’aggressione dell’Ucraina, insieme a India ed Emirati Arabi Uniti. Una dimostrazione che – a differenza di quanto previsto dal Cremlino – gli alleati di Putin iniziano a scarseggiare e non hanno interessi a sostenerlo esplicitamente. Solo un mese fa Xi Jinping e Vladimir Putin avevano condannato l’espansionismo verso Est della NATO e si erano promessi “amicizia senza limiti”. Ma la guerra di Putin – che non sembra più essere ‘lampo’ come prospettato dall’autocrate russo e che ha evocato anche lo spettro dell’arma nucleare – sta diventando un ostacolo per il presidente cinese. Da un turbamento dell’economia globale e da un nuovo periodo di recessione, Pechino non ha molto da guadagnarci. È per questo motivo che la Cina potrebbe lasciarsi convincere dall’UE a esporsi maggiormente e prendere un’iniziativa diplomatica per risolvere la crisi scatenata dalla Russia.
    Questo significherebbe però mettere parzialmente in discussione l’alleanza con la Russia e, soprattutto, non trarre tutti i benefici che potrebbero derivare da un indebolimento dell’Occidente impegnato in Ucraina. Se l’esercito di Putin si dovesse impantanare in Ucraina e le potenze occidentali impegnarsi ancora più a lungo a sostegno di Kiev, senza alcuno sforzo la Cina di Xi Jinping potrebbe godere di un parziale cambio di rotta in politica estera da parte degli Stati Uniti (sempre più distratti dal Pacifico) e di un’Europa che non può ripartire con slancio dopo due anni di crisi scatenata dalla pandemia COVID-19. Ma anche di una Russia impoverita e isolata a livello internazionale, che diventerebbe facilmente un satellite di Pechino, unico interlocutore in materia di politica estera, economica ed energetica. Il tempo delle scelte sta però svegliando la potenza cinese, che rischia di trovarsi ora davanti a un bivio da cui difficilmente si può tornare indietro.

    Pechino “ha il potenziale per raggiungere Mosca grazie alle sue relazioni bilaterali”, ha spiegato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), Peter Stano. Bruxelles vuole che Xi Jinping “usi tutta la sua influenza”

  • in

    L’UE allestisce un hub umanitario in Romania per coordinare l’aiuto all’Ucraina, mentre continua l’avanzata russa

    Bruxelles – Arrivati all’ottavo giorno di invasione russa dell’Ucraina, la situazione nel Paese continua a peggiorare. Nella notte tra mercoledì (2 marzo) e giovedì (3 marzo) l’esercito di Mosca ha conquistato nel sud la città di Kherson, il primo grosso centro abitato dall’inizio dell’attacco, ma soprattutto in posizione strategica per l’avanzata verso i porti di Odessa e Mariupol, dove ora si aspettano le offensive da terra e da mare. I bombardamenti delle principali città ucraine, capitale Kiev compresa, continuano senza sosta, con un aggravamento della situazione sul fronte umanitario in Ucraina e alle frontiere dell’UE: secondo quanto riportato da Filippo Grandi, alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, il numero di profughi ha raggiunto il milione.
    È proprio questa una delle preoccupazioni più urgenti per l’Unione Europea – in parallelo con il sostegno totale all’Ucraina e le sanzioni alla Russia – e lo sta dimostrando con una serie di misure degli ultimi giorni. Oggi il Consiglio Affari Interni dovrebbe prendere con tutta probabilità la decisione di attivare la Direttiva europea sulla protezione temporanea, accogliendo la proposta della Commissione UE per garantire a tutte le persone in fuga dall’Ucraina lo status di rifugiati con una modalità accelerata (c’è solo il nodo, imbarazzante, dell’accoglienza ai cittadini di Paesi terzi). A questo si aggiunge la decisione di “allestire un hub di protezione umanitaria in Romania, in collaborazione con il governo”, ha annunciato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel corso di una conferenza stampa con il presidente rumeno, Klaus Iohannis. “Proteggere le persone in fuga dalle bombe di Putin non è solo un atto di compassione in tempo di guerra, ma è un dovere morale”, ha sottolineato con forza la leader dell’esecutivo UE, ringraziando la Romania per aver finora dato accoglienza a più di 150 mila rifugiati dall’Ucraina.

    Mentre si inaspriscono in tutto il mondo le sanzioni contro Mosca a partire dal coordinamento tra UE, Stati Uniti e Gran Bretagna – il procuratore generale della Corte penale internazionale dell’Aja, Karim Khan, ha accolto la richiesta di 39 Paesi di aprire un’indagine per crimini di guerra nei confronti dell’establishment russo per l’occupazione dell’Ucraina. Il focus principale saranno le violenze sui civili e coprirà gli otto anni che vanno dall’occupazione della Crimea alla guerra civile nel Donbass, fino all’invasione del territorio ucraino.
    Nel pomeriggio si attende il secondo round dei negoziati di pace tra le delegazioni ucraina e russa (su cui le aspettative sono quasi nulle), ma il mondo ha già preso una netta posizione contro la Russia. Ieri sera è stata votata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la risoluzione che condanna l’aggressione dell’Ucraina con una maggioranza schiacciante: 141 voti a favore – tra cui anche la Serbia, tradizionale alleato di Mosca – 35 astenuti e solo 4 contrari (oltre alla Russia, anche Bielorussia, Eritra, Siria e Corea del Nord). Tra gli astenuti anche Cina e India, un segnale che, a differenza di quanto previsto dal Cremlino, gli alleati di Putin iniziano a scarseggiare e non hanno interessi a sostenerlo esplicitamente.

    Il numero di profughi dall’Ucraina ha raggiunto il milioni e l’Unione si prepara a dare assistenza a tutti quelli che stanno arrivando alle sue frontiere: “Proteggere le persone in fuga dalle bombe di Putin è un dovere morale”

  • in

    Cosa ci mostra della strategia di Putin l’articolo (pubblicato per errore?) sulla vittoria russa in Ucraina

    Bruxelles – La risoluzione della questione Ucraina. È questo il titolo di un articolo pubblicato dall’agenzia di stampa russa RIA Novosti che ha fatto scalpore per due ragioni. La prima, la più immediata: l’articolo che celebra la vittoria russa nella guerra in Ucraina è datato 26 febbraio, giorno nel quale è uscito, cioè due giorni dopo l’inizio dell’invasione del Paese da parte dell’esercito di Vladimir Putin. Si è trattato (apparentemente) di un errore di pubblicazione, da cui si può dedurre quanto la disinformazione e la propaganda di regime pervadano i media statali russi, visto che con l’invasione ancora in atto venivano tratteggiati a tavolino la strategia vincente del Cremlino e il nuovo ordine dell’Est Europa. Ma è il secondo aspetto quello più rilevante: il contenuto, ancora consultabile nell’archivio online dell’agenzia, che offre una panoramica abbastanza netta della strategia di Putin. O di quello che vuole far sapere (e non sapere) al mondo l’uomo forte di Mosca.
    Come evidenziato da Thomas de Waal, analista del think tank Carnagie Europe, quello che si sviluppa nell’articolo sulla vittoria russa (anticipata) in Ucraina è a tutti gli effetti un pensiero neo-imperialista. L’operazione russa viene identificata come “una sconfitta per il progetto dell’Occidente di sottomettere la Russia”, che fa partire “una nuova era” nel portare l’unità dei popoli slavi dell’Est, cioè Russia, Ucraina e Bielorussia. Il passaggio in cui si chiarisce al meglio questo concetto afferma che “la tragedia del 1991, quella terribile catastrofe della nostra storia, quell’aberrazione innaturale, è stata superata”.
    Anche se tra il 2014 e il 2022 si è verificata – con diverse intensità – una guerra civile, “ora non ci sarà più un’Ucraina anti-Russia“. Questo tipo di analisi era stata rifiutata dalla fine dell’URSS nel 1991, ma è tornato in auge sotto governi e presidenze Putin, in particolare dopo l’invasione della Crimea otto anni fa. L’uomo forte di Mosca si sarebbe preso “una responsabilità storica, decidendo di non lasciare la risoluzione della questione ucraina alle generazioni future“. Una maniera edulcorata per sostenere l’inammissibilità dell’autodeterminazione degli ucraini e il rispetto di ogni principio di sovranità statale secondo il diritto internazionale. Si fa esplicito riferimento a un “complesso di umiliazione nazionale“, la cui unica soluzione risiede nel “liquidare, ristrutturare, ristabilire e restituire la statualità ucraina al mondo russo”.
    Spostando poi l’attenzione sull’Occidente, l’articolo sulla vittoria russa denuncia l’intenzione delle potenze europee – Francia e Germania in particolare – di “scommettere sul crollo” di Mosca per “mantenere l’Ucraina nella sfera d’influenza dell’Europa”. Con toni quasi apocalittici (“in un grande scontro geopolitico”), il destino di Mosca sarebbe senza dubbio apparente la sopravvivenza, “non importa la quantità di pressione occidentale”. Uno scenario quantomeno ottimistico, considerate le successive – ma non previste dall’autore dell’articolo – evoluzioni nella risposta occidentale e nel quasi totale isolamento internazionale della Russia. Ma risulta completamente infondata l’analisi stessa sulle divisioni interne al mondo occidentale: “Francia e Germania sono fondamentalmente diverse dagli anglosassoni, Regno Unito e Stati Uniti, che stanno cercando di affermare l’egemonia anche su di loro”. A dire il vero, con la guerra in Ucraina, tutto l’Occidente, dentro e fuori l’Europa, si è riscoperto unito come forse mai prima d’ora.
    Per non parlare del “completo disinteresse degli europei a costruire una nuova cortina di ferro sui loro confini orientali”. Se c’è una cosa che si è capita in questa settimana di invasione russa dell’Ucraina, è proprio che l’Unione Europea si è praticamente rivoluzionata per sostenere in tutti i modi la resistenza di Kiev. Si conclude con un’analisi geopolitica di ampio respiro, che inquadra questo conflitto in “una risposta all’espansione geopolitica degli atlantisti, un recupero del nostro spazio storico e nel mondo”. In nessun modo una violazione del diritto internazionale. Tutto il resto del mondo – dalla Cina all’India, dall’America Latina all’Africa, fino al mondo islamico e il sud-est asiatico – “non crede che l’Occidente guidi l’ordine mondiale”, con la Russia che “ha dimostrato che l’era del dominio globale occidentale può essere considerata pienamente e definitivamente finita“. Se Cina e India rimangono ancora ambigue nella condanna, per tornaconti geostrategici (e forse in pochi sperano davvero che isolino la Russia), non si vedono nemmeno segni di appoggio esterno all’invasione dell’Ucraina.
    Non c’è nulla da salvare in questo articolo propagandistico sulla vittoria russa in Ucraina, pubblicato prima del tempo e con molti dubbi sull’accidentalità del gesto. Ma si può avere un primo sguardo parziale sul pensiero dell’uomo che dal Cremlino sta guidando un’aggressione militare senza pretesti contro un Paese indipendente e sovrano. “Non lo farà mai, non si addice a Vladimir Putin”, ha scritto in un tweet il corrispondente della BBC da Mosca, Steve Rosenberg. Ora sappiamo però cosa avrebbe voluto fare e cosa con tutta probabilità farà se la resistenza ucraina dovesse soccombere.

    A due giorni dall’inizio dell’invasione e dei bombardamenti di Kiev, un articolo dell’agenzia russa RIA Novosti già celebrava la conquista del Paese e il nuovo ordine nell’Est Europa. È ancora consultabile e offre un’analisi del conflitto in atto

  • in

    Da oggi nell’UE è sospesa la diffusione della propaganda di Russia Today e Sputnik: “In guerra, le parole contano”

    Bruxelles – È anche una guerra di disinformazione e propaganda quella scatenata dalla Russia contro l’Ucraina. Mosca sta cercando di diffondere immagini e narrazioni dell’invasione in atto da una settimana totalmente manipolate sia in patria sia all’estero. Ed è questo che l’Unione Europea non può più accettare. Dopo l’annuncio della presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, di domenica (27 febbraio), sono state adottate oggi le sanzioni contro gli organi di propaganda del regime di Vladimir Putin, attraverso la sospensione della distribuzione dei media statali Russia Today e Sputnik su tutto il territorio dell’Unione.
    La decisione è stata presa dal Consiglio dell’UE all’interno del nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia di Putin, che hanno colpito, oltre alla propaganda di regime, anche la Banca centrale russa e l’accesso di sette banche al sistema di pagamenti internazionali Swift. “Russia Today e Sputnik sono essenziali e strumentali nel portare avanti e sostenere l’aggressione della Russia contro l’Ucraina”, si legge nella nota del Consiglio. Per Bruxelles si tratta di “una minaccia significativa e diretta” all’ordine pubblico e alla sicurezza dell’Unione Europea, dal momento in cui “entrambi fanno parte di uno sforzo coordinato di manipolazione delle informazioni”, come documentato dalla task force East StratCom del Servizio europeo di azione esterna (SEAE) contro la disinformazione. Già la settimana scorsa, nel pacchetto di sanzioni contro la cerchia più stretta di Putin, era stata inclusa la caporedattrice della sezione inglese di Russia Today, Margarita Simonyan, per i contenuti di disinformazione che prendevano di mira l’Ucraina e il suo presidente, Volodymyr Zelensky.
    “Data la gravità della situazione” e “in risposta alle azioni di propaganda della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina”, l’UE ha ritenuto “necessario e coerente con i diritti e le libertà fondamentali” introdurre nuove sanzioni per sospendere le attività di trasmissione dei due organi di disinformazione attraverso tutti i mezzi di distribuzione: cavo, satellite, IPTV (sistema di trasmissione di segnali televisivi su reti informatiche), piattaforme, siti web e app. Licenze, autorizzazioni e accordi di distribuzione sono “immediatamente sospesi” sul territorio di tutti i 27 Stati membri.
    “In questo tempo di guerra, le parole contano“, ha attaccato la presidente von der Leyen. È per questo motivo che “non permetteremo agli apologeti del Cremlino di versare le loro bugie tossiche che giustificano la guerra di Putin o di seminare i semi della divisione nella nostra Unione”, dopo aver preso di mira “in modo oltraggioso un Paese libero e indipendente”. Durissimo anche l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “La manipolazione sistematica dell’informazione è applicata come strumento operativo nell’assalto all’Ucraina”. Borrell ha definito le sanzioni contro la propaganda della Russia come “un passo importante contro l’operazione di manipolazione di Putin, chiudendo il rubinetto dell’UE ai media controllati dallo Stato“.

    In this time of war, words matter.
    The EU adopted sanctions against the Kremlin’s disinformation and information manipulation assets.
    State-owned outlets Russia Today and Sputnik are suspended across the EU, as of today.
    Learn more → https://t.co/EmOYaxmQ9f pic.twitter.com/xsbcr1lmMt
    — European Commission 🇪🇺 (@EU_Commission) March 2, 2022

    Nel nuovo pacchetto di misure restrittive contro la Russia è stata inclusa la sospensione della distribuzione dei due media statali su tutti i mezzi, per arginare la disinformazione sull’invasione dell’Ucraina da parte del regime di Putin

  • in

    Gli eurodeputati allineati su prospettiva UE dell’Ucraina (tranne l’estrema destra): “È il nostro Whatever It Takes”

    Bruxelles – Tutt’altro contesto, tutt’altra emergenza. Ma, a dieci anni dalla celebre frase dell’allora presidente della BCE, Mario Draghi, l’Unione Europea si ritrova ancora forte dietro a un whatever it takes che sa di esortazione a non mollare e a prendere decisioni coraggiose. Questa volta “whatever it takes” l’ha pronunciato la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, e il contesto è l’impegno che i Ventisette dovranno dimostrare per spingere la prospettiva UE dell’Ucraina. Come ricordato nel toccante intervento del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, da remoto alla sessione plenaria del Parlamento Europeo, Kiev ha fatto richiesta formale per l’adesione immediata all’UE. E tutti i gruppi politici all’Eurocamera – fatta eccezione per l’estrema destra di Identità e Democrazia – hanno risposto con forza all’appello.
    La manifestazione a sostegno dell’Ucraina davanti alla sede del Parlamento UE a Bruxelles (1 marzo 2022)
    La risoluzione votata oggi (martedì primo marzo) con 637 voti a favore, 13 contrari e 26 astenuti invita le istituzioni dell’UE a “concedere all’Ucraina lo status di candidato all’Unione“, ma specificando che questo deve essere “basato sul merito” e in linea con l’articolo 49 del Trattato sull’Unione Europea (TUE). Cioè quello che definisce il processo di allargamento dell’Unione Europea, secondo condizioni ben determinate sui criteri da rispettare e sulla procedura da seguire. Come ha evidenziato durante il dibattito in plenaria il presidente del gruppo di Renew Europe, Stéphane Séjourné, “sarà un processo che richiederà anni, ma è importante che i cittadini ucraini eroici facciano già parte della comunità di destini dell’Unione Europea”. Nel frattempo, sarà necessario “continuare a lavorare per l’integrazione dell’Ucraina nel Mercato unico dell’UE, secondo le linee dell’Accordo di associazione”, precisa il testo approvato dal Parlamento Europeo.
    La presidente del Parlamento UE, Roberta Metsola, alla manifestazione in sostegno all’Ucraina (1 marzo 2022)
    “Il 24 febbraio è una data spartiacque per l’Europa”, ha dichiarato il presidente del gruppo del PPE, Manfred Weber, ricordando l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Un giorno che “ci fa dare risposte chiare”, ha aggiunto: “Sì, siete i benvenuti e appartenete all’Unione Europea”. Gli ha fatto eco la presidente del gruppo di S&D, Iratxe García Pérez: “Servono decisioni storiche, come abbiamo fatto nell’ultima settimana”, perché “non c’è in gioco solo l’integrità dell’Ucraina, ma anche in che mondo vivremo”. Il capo-delegazione del Partito Democratico, Brando Benifei, ha messo in chiaro che “dopo l’aggressione, tutto è aperto” e che “non è un processo che si concluderà domani, ma bisogna supportare la domanda dell’Ucraina”
    Secondo l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle, Fabio Massimo Castaldo, “gli ucraini fanno già parte della famiglia europea, ora serve un segnale forte”. Anche il co-leader del gruppo dei Verdi/ALE, Philippe Lamberts, ha confermato che “dovremo avere la saggezza di affrontare la situazione assieme all’Ucraina, rimanendo uniti”.
    Dalle fila di Renew, Sandro Gozi ha affermato che “siamo entrati nell’era dell’Europa, che si assume le sue responsabilità, anche militari, per proteggere e stare dalla parte di chi si batte e muore per i nostri valori, per la democrazia, per lo Stato di diritto, per le libertà e la stabilità”. Il co-presidente del gruppo di ECR al Parlamento Europeo, Ryszard Legutko, ha chiesto a Bruxelles di “cambiare rotta e permettere all’Ucraina di entrare nell’UE”, mentre la collega di partito Anna Fotyga si è detta “onorata della vostra richiesta, lo faremo appena possibile”, perché “noi abbiamo bisogno di voi e voi di noi”.
    Se il gruppo della Sinistra non parla esplicitamente di adesione UE e punta più sulla “necessità di riportare in Europa la pace che la la mia generazione, post-Guerra Fredda, ha sempre conosciuto” – come dichiarato dalla co-leader, Manon Aubry – l’estrema destra di ID ha ballato tra l’ambiguità e la contrarietà. Nessuna presa di posizione da parte del presidente del gruppo, il leghista Marco Zanni, mentre il francese Jordan Bardella ha affermato a chiare lettere che “l’allargamento a est dell’UE e della NATO sono ulteriori provocazioni alla Russia di Putin”.

    Nella risoluzione dell’Eurocamera sull’aggressione russa dell’Ucraina viene ribadita la necessità di riconoscere a Kiev lo status di Paese candidato, ma in linea con criteri e procedure delineate nel Trattato sull’Unione Europea (TUE)

  • in

    Putin: Sarà pace solo quando l’Ucraina sarà neutrale, denazificata e la Crimea sarà riconosciuta nostra

    Bruxelles – L’invasione dell’Ucraina finirà solo alle condizioni poste da Mosca, non ci sono negoziati possibili. E’ quello che è scritto in un comunicato diffuso dal Cremlino dopo una telefonata tra Vladimir Putin ed Emmanuel Macron.
    Mentre in una nota il presidente francese metteva in evidenza come quello russo fosse disposto ad alleggerire la pressione sui civili, da Mosca veniva diffusa una nota nella quale si spiega il prezzo della fine dell’aggressione all’Ucraina, che potrà avvenire solo se si terrà conto “in modo incondizionato” dei “legittimi interessi della Russia nella sfera della sua sicurezza”. Così avrebbe detto Putin a Macron, riferisce la nota, elencando poi le richieste: “Riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea, la demilitarizzazione e la denazificazione dello Stato ucraino e la garanzia dello status neutrale dell’Ucraina”.
    Secondo il francese invece il presidente russo sarebbe disposto a negoziare la fine degli attacchi contro i civili in Ucraina.  Macron, riferisce la nota dell’Eliseo, “ha ribadito la richiesta della comunità internazionale di porre fine all’offensiva russa contro l’Ucraina e ha ribadito la necessità di attuare un cessate il fuoco immediato“.
    Considerando poi l’avvio oggi a Gomel, in Bielorussia, delle discussioni tra le delegazioni russa e ucraina, il presidente francese ha chiesto a Putin che siano rispettati tre punti fondamentali: 1) fermare tutti gli attacchi contro i civili e i luoghi di residenza; 2) protezione di tutte le infrastrutture civili; 3) messa in sicurezza delle strade principali, in particolare le strade a sud di Kiev. “Il presidente Putin – afferma la nota dell’Eliseo – ha confermato la sua volontà di impegnarsi su questi tre punti”.
    Macron ha anche chiesto il rispetto del diritto internazionale umanitario e la protezione delle popolazioni civili nonché la consegna degli aiuti, in conformità con la risoluzione presentata dalla Francia al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
    Il presidente francese ha infine proposto al russo “di rimanere in contatto nei prossimi giorni per evitare che la situazione peggiori. Il presidente Putin – afferma la nota – ha dato il suo consenso”. 

    In una telefonata con Macron il presidente russo si sarebbe mostrato disponibile a non colpire i civili durante l”aggressione

  • in

    La guerra parallela di Lukashenko. La Bielorussia abbandona lo status di Paese non-nucleare: può ospitare le armi russe

    Bruxelles – Da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – ma senza dubbio anche prima – l’autoproclamato presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, ha iniziato una sua personalissima guerra a fianco di Mosca, per stringere ancora di più i legami con il suo protettore Vladimir Putin. Ormai la Bielorussia sembra sempre meno uno Stato sovrano e indipendente e sempre più una succursale de facto del Cremlino, sin dall’inizio delle esercitazioni militari delle forze russe (e il loro stanziamento) sul territorio bielorusso a inizio mese. Con gli eventi delle ultime ora, però, Lukashenko ha deciso di trascinare tutto il popolo giù per una china inquietante: un referendum (farsa) ha dato il via libera alla nuova Costituzione della Bielorussia, che cancella lo status di Paese non-nucleare e permette il dispiegamento di armamenti nucleari russi sul territorio nazionale.
    La presenza militare russa in Bielorussia
    Secondo quanto rende noto la commissione elettorale centrale bielorussa, il 65,2 per cento degli elettori che si sono recati alle urne ieri (domenica 27 febbraio) ha votato a favore degli emendamenti costituzionali. Un risultato per nulla sorprendente, in linea con le volontà dell’ultimo dittatore d’Europa (se non vogliamo ancora considerare tale anche Putin) in un Paese che di democratico non ha più nulla sicuramente dalle elezioni-farsa dell’agosto 2020. Quello che cambia è però il nuovo pericolo nucleare che arriva per Minsk e per l’Europa intera dalla Bielorussia di Lukashenko, in un momento in cui l’ex-Repubblica sovietica è già una base di partenza per le truppe russe che stanno invadendo da nord l’Ucraina e dopo le dichiarazioni minacciose del Cremlino sullo stato di allerta nucleare.
    Si tratta del terzo emendamento della Carta costituzionale introdotto da Lukashenko da quanto è saluto al potere nel 1994. Ma è la prima volta in assoluto dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica che viene autorizzato il dispiegamento dell’arma nucleare sul suolo della Bielorussia. Tra le altre novità introdotte in Costituzione c’è anche una nuova Assemblea Popolare che agirà come struttura parallela al Parlamento (presieduta da Lukashenko) con ampi poteri in politica estera, di sicurezza ed economica. Proprio per Lukashenko è prevista la possibilità di essere rieletto almeno altre due volte, conferendogli la possibilità di rimanere in carica per altri  13 anni (fino alle elezioni del 2035) e l’immunità dai procedimenti giudiziari anche dopo la fine del mandato. A chiunque abbia lasciato temporaneamente il Paese negli ultimi 20 anni sarà impossibile diventare presidente della Repubblica, una misura diretta in particolare contro la leader legittima secondo l’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya.
    Nessuno in Occidente è intenzionato a riconoscere i risultati del referendum e questo aggrava ulteriormente l’isolamento del dittatore bielorusso, che ormai ha solo il Cremlino come interlocutore: “Se trasferirete le armi nucleari in Polonia o Lituania, ai nostri confini, allora mi rivolgerò a Putin per farci restituire quelle di cui ci eravamo liberati senza alcuna condizione”, ha minacciato Lukashenko le potenze europee. “La cancellazione del riferimento nell’articolo 18 allo status non-nucleare della Bielorussia è un altro elemento preoccupante”, ha condannato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, senza dimenticare il “forte sostegno a una Bielorussia indipendente, sovrana e democratica”, dove non ci siano “più di 1070 prigionieri politici e uno spazio per un autentico dibattito pubblico completamente chiuso”.
    La sala dei negoziati tra le delegazioni di Mosca e Kiev al confine tra Bielorussia e Ucraina
    Sul fronte militare, oltre alle 30 mila truppe russe di stanza a tempo indeterminato in Bielorussia, le ultime notizie dal fronte orientale – ancora non verificate – danno l’esercito bielorusso pronto a unirsi nella guerra in Ucraina “nel giro di ore”, riporta il Kyiv Independent, parlando di circa 17 mila soldati in mobilitazione. Intanto però è tutto pronto al confine tra Bielorussia e Ucraina per i colloqui tra le delegazioni di Mosca e di Kiev a Gomel. La parte ucraina è già arrivata nell’area del fiume Pripyat ed è rappresentata dal ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, e da David Arakhamia, leader del partito ‘Servitore del popolo’ del presidente, Volodymyr Zelensky. Proprio Zelensky si è detto “scettico” sulle possibilità che possa uscire qualcosa dall’incontro, ma ha aperto alla possibilità di “almeno provarci”. Nelle prossime ore si dovrebbe conoscere l’esito del confronto.
    Da Bruxelles la reazione nei confronti della minaccia nucleare della Bielorussia è stata durissima. “Il regime di Lukashenko è complice di questo feroce attacco contro l’Ucraina, perciò lo colpiremo con un nuovo pacchetto di sanzioni“, ha puntato il dito la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, nel corso della conferenza stampa di presentazione delle nuove misure restrittive contro la Russia di ieri. Il regime bielorusso condividerà le stesse sanzioni di Mosca: “Prenderemo di mira i loro settori più importanti, fermeremo le loro esportazioni di prodotti dai combustibili minerali al tabacco, legno e legname, cemento, ferro e acciaio“, ha spiegato von der Leyen, precisando che saranno estese anche alla Bielorussia “le esportazioni che abbiamo introdotto sui beni a doppio uso per la Russia”, in modo da “evitare qualsiasi rischio di elusione delle nostre misure contro Mosca”.
    Anche dal presidente francese, Emmanuel Macron, titolare della presidenza di turno del Consiglio dell’UE, è arrivato un ammonimento a Lukashenko, nel corso di una telefonata tra i due: “Il ritiro delle truppe russe dalla Bielorussia deve avvenire il più rapidamente possibile, perché stanno conducendo una guerra unilaterale e ingiusta”. Macron ha cercato di fare leva sulla “fratellanza tra i popoli bielorusso e ucraino” per instillare a Minsk il pensiero di “rifiutare di essere vassallo della Russia e complice nella guerra contro l’Ucraina“. Ma le ultime decisioni del regime non sembrano andare in questa direzione.

    Third, we will target the other aggressor in this war, Lukashenko’s regime, with a new package of sanctions, hitting their most important sectors.
    All these measures come on top of the strong package presented yesterday,agreed by our international partners. pic.twitter.com/ikN99V14zU
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) February 27, 2022

    È stato approvato il referendum-farsa che cancella il riferimento alla neutralità del Paese nell’articolo 18 della Costituzione. Il presidente Lukashenko sempre più isolato e dipendente da Putin, ma organizza l’incontro tra le delegazioni di Kiev e Mosca

  • in

    L’Unione davanti alla Storia: dall’accoglienza dei profughi ucraini all’invio di armi a Kiev, le scelte inedite dell’UE

    Bruxelles – La storia, quella con la S maiuscola, è fatta di momenti ben riconoscibili e quello a cui ci troviamo di fronte da una settimana è proprio uno di quei momenti. Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin, l’UE ha reagito con una prova di unità quasi inattesa. Sicuramente non nella logica del dittatore russo, che probabilmente immaginava di inchiodare i Ventisette con le spalle al muro, facendo leva sulle ben note divisioni e difficoltà a trovare posizioni condivise in ambito di politica estera.
    Ma dalla prima tornata di sanzioni annunciata lunedì scorso (21 febbraio) ai successivi due pacchetti – che hanno portato al congelamento degli asset di Putin, all’esclusione russa dal circuito di pagamenti Swift e alla chiusura dello spazio aereo e dei canali di propaganda del Cremlino – l’Unione ha davvero parlato con una sola voce. Oggi l’UE ha fatto molto di più: ha annunciato due decisioni mai viste prima, una in ambito militare e una di migrazione e asilo.
    Per quello che riguarda l’aspetto militare, l’annuncio è arrivato direttamente dalla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, nel pomeriggio: “Per la prima volta, l’UE finanzierà l’acquisto e la consegna di armi e attrezzature a un Paese sotto attacco“. Non era mai successo prima nella storia dell’Unione e questo segna un precedente di portata storica. Fino a questa mattina si parlava, secondo copione, dei finanziamenti e invii di materiale bellico all’Ucraina dei singoli Paesi membri UE (tra cui anche l’Italia, attraverso finanziamenti economici). Ma con quanto comunicato in conferenza stampa, è cambiato tutto: ora anche Bruxelles si fa carico di questo compito, coordinando i governi nazionali. “Un altro tabù è caduto, quello che voleva l’Unione Europea non finanziare una guerra“, ha sottolineato l’alto rappresentante, Josep Borrell, che domani (lunedì 28 febbraio) dovrebbe ricevere l’appoggio dei ministri UE della Difesa.
    “Stiamo organizzando la consegna d’emergenza di attrezzature militari difensive. Fucili, munizioni, razzi e carburante stanno arrivando alle truppe ucraine”, ha fatto sapere in serata il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Si tratta di 500 milioni di euro, di cui 450 per “armamenti letali”. Grazie al via libera degli ambasciatori dei Ventisette riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper), si attiverà la European Peace Facility, lo strumento fuori bilancio per la prevenzione dei conflitti, la costruzione della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale, attraverso il finanziamento di azioni operative nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (PESC) che hanno implicazioni nel settore militare o della difesa. Grazie al “pilastro Misure di assistenza”, l’UE può sostenere Paesi terzi (in questo caso l’Ucraina) a rafforzare le capacità belliche, secondo quanto concordato dal Consiglio Affari Esteri nel marzo dello scorso anno.

    LIVE NOW: Press Statement by HR/VP @JosepBorrellF and President Ursula @vonderleyen on further measures to respond to the Russian invasion of Ukraine https://t.co/KMRZPQZjy1
    — EUSecurityDefence (@EUSec_Defence) February 27, 2022

    Ma c’è anche l’aspetto migrazione e asilo da non sottovalutare. Nel corso del vertice di oggi dei ministri UE per la Giustizia e gli affari interni è stato deciso di mettere sul tavolo l’applicazione della Direttiva europea sulla protezione temporanea del 2001, quella che stabilisce uno status di protezione di gruppo, che può essere applicato in situazioni di crisi derivanti da un afflusso massiccio di persone in fuga da una situazione di grande pericolo. Lo ha fatto sapere la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, lasciando intendere che la data fissata per una (quasi sicura) applicazione sarà giovedì (3 marzo), nel corso del prossimo Consiglio Affari Generali.
    Con l’attivazione del meccanismo – che servirà ad accogliere un numero di persone in fuga dalla guerra che si attesterà presto a 400 mila (stando alle stime dell’alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi) – l’UE sta mandando un altro segnale importante sia all’Ucraina, sia ai Paesi UE sulla frontiera orientale. La direttiva del 2001 prevede un principio di redistribuzione delle persone migranti tra i Paesi membri (la commissaria Johansson ha già fatto sapere che chi ha amici o parenti nell’UE si potrà dirigere verso di loro), un’assistenza speciale garantita di tre anni – 12 mesi mesi rinnovabili due volte – con il riconoscimento automatico del diritto di lavoro. Ma soprattutto per il via libera non serve l’unanimità dei Paesi membri, ma la maggioranza qualificata: “È già schiacciante al momento”, ha assicurato il ministro degli Interni francese e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Gérald Darmanin.
    Nonostante da più di 20 anni esista questa base legislativa e normativa per l’applicazione dei corridoi umanitari, la direttiva non è mai stata usata da quando è entrata in vigore. Non senza polemiche, l’ultima volta che l’argomento si è presentato all’ordine del giorno a Bruxelles è stato esattamente sei mesi fa, con la crisi in Afghanistan dopo la presa di potere dei talebani. Nonostante l’appello di 76 eurodeputati, allora non era stato attivato il meccanismo per dare accoglienza ai cittadini afghani in fuga da quella che difficilmente non poteva non essere considerata “una crisi derivante da un afflusso massiccio di persone in fuga da una situazione di grande pericolo”. Questo momento unico per l’UE nel rispondere alla Storia passa anche dall’applicazione della direttiva che darà accoglienza ai profughi in arrivo dall’Ucraina. A patto che questo non costituisca un precedente per fare – come ha affermato un politico italiano che non si è mai distinto per umanità nella gestione delle politiche di accoglienza – un distinguo tra “i profughi veri che scappano da una guerra vera” e quelli esclusi per discriminazioni puramente etniche e razziali.

    Actions en matière d’accueil et de solidarité : nous avons évoqué la possibilité d’activer la directive “protection temporaire”, afin d’offrir une protection immédiate pour les Ukrainiens déplacés, le temps que la crise le nécessitera. https://t.co/9TlFN8zMBk
    — Gérald DARMANIN (@GDarmanin) February 27, 2022

    Con il finanziamento per l’acquisti e la consegna di armamenti a Kiev per la guerra contro la Russia e l’attivazione del meccanismo di accoglienza temporanea, l’Unione Europea oggi ha iniziato a tracciare una nuova strada in politica estera