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    Prorogate fino a luglio le sanzioni economiche contro Mosca per la crisi in Ucraina

    Bruxelles – Il Consiglio dell’UE ha deciso oggi (13 gennaio) di prorogare per altri sei mesi, fino al 31 luglio 2022, le sanzioni contro alcuni settori economici della Russia per la crisi in Ucraina. La decisione assunta oggi segue la valutazione che i capi di Stato e governo hanno fatto all’ultimo Consiglio Europeo del 16 dicembre sull’attuazione degli accordi di Minsk da parte di Mosca per la pace in Ucraina orientale.
    Il Consiglio dell’UE ricorda in una nota che le sanzioni sono state introdotte la prima volta a luglio 2014, “in risposta alle azioni della Russia di destabilizzazione della situazione in Ucraina”, con l’annessione della penisola di Crimea. Limitano l’accesso ai mercati dei capitali primari e secondari dell’UE per alcune banche e società russe e vietano forme di assistenza finanziaria e di intermediazione nei confronti delle istituzioni finanziarie russe. Stop anche all’importazione, l’esportazione o il trasferimento diretto o indiretto di tutto il materiale che riguarda il comparto della difesa. Le misure restrittive limitano inoltre l’accesso russo ad alcune tecnologie sensibili che possono essere utilizzate nel settore energetico, ad esempio, nella produzione e nell’esplorazione del petrolio.

    La decisione del Consiglio dell’UE fa seguito all’ultima valutazione dei capi di Stato e governo al Vertice europeo di dicembre sull’attuazione degli accordi di Minsk da parte di Mosca

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    Soldati russi in Kazakistan per aiutare il regime a reprimere le proteste. L’UE temporeggia (e fa male)

    Bruxelles – In Kazakistan sono stati paracadutati i soldati russi dell’alleanza militare guidata da Mosca per aiutare il regime a reprimere le proteste in corso da sabato scorso (1 gennaio) e per l’UE è una notizia tutt’altro che rassicurante. Non lo è sotto due aspetti: per prima cosa, il caso dell’Ucraina dovrebbe aver dimostrato che quando la Russia invia soldati in un Paese confinante è per rispondere a mire egemoniche e territoriali. Ma soprattutto perché il Kazakistan rappresenta un attore geopolitico chiave sul piano energetico e in particolare per i piani (divisivi) di transizione verde dell’UE: non solo per l’estrazione di gas naturale – risorsa fondamentale nel pieno della crisi energetica globale – ma anche per le aspirazioni sul nucleare della Commissione Europea e di parte degli Stati membri. Senza dimenticare l‘accordo rafforzato di partenariato e cooperazione UE-Kazakistan, che fa di quella kazaka la repubblica ex sovietica con cui il blocco dei Ventisette vanta relazioni approfondite.
    Insomma, l’UE rischia di perdere il Kazakistan. Avrebbe tutti gli interessi per alzare la voce sul coinvolgimento russo nel Paese, ma al momento temporeggia. “Prendiamo nota della richiesta di assistenza al Trattato di Sicurezza Collettiva per un periodo di tempo limitato e per stabilizzare la situazione. Questo intervento deve rispettare la sovranità del Paese“, ha commentato oggi (giovedì 6 gennaio) la portavoce della Commissione UE, Nabila Massrali, durante il punto quotidiano con la stampa. “Continuiamo a seguire la situazione delicata in corso in Kazakistan, l’Unione Europea è pronta a sostenere il dialogo per arrivare a una risoluzione pacifica della situazione”.
    Proteste ad Almaty, Kazakistan
    L’UE monitora la situazione, ma intanto il Cremlino si è attivato attraverso l’alleanza composta da Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. L’obiettivo è quello di sostenere il regime del presidente Kassym-Jomart Tokayev a riprendere il controllo del Paese, dopo l’ondata di violenze che ha travolto Almaty, la città più grande del Kazakistan, e la capitale Nur-Sultan (Astana, fino a marzo 2019). A scatenare il disordine è stata la decisione del governo di eliminare il limite massimo al prezzo del GPL, facendo lievitare i prezzi del carburante. Ad Almaty si stanno riunendo da giorni migliaia di manifestanti, con duri scontri con le forze dell’ordine: ieri (mercoledì 5 gennaio) è stata assaltata la sede del governo locale.
    La risposta del presidente Tokayev è stata particolarmente dura. Dopo aver sciolto l’esecutivo, ha dichiarato lo stato di emergenza – che prevede coprifuoco e limitazioni di libertà di assemblea – ha ordinato alle forze di sicurezza di reprimere proteste “nel modo più duro possibile”, ha bloccato l’accesso a Internet su tutto il territorio nazionale e infine ha assunto personalmente la guida del Consiglio di Sicurezza, (l’organo che si occupa di questioni militari e di sicurezza), togliendola a Nursultan Nazarbayev, l’ex-presidente kazako dal 1990 al 2019. Come gesto estremo ha invocato l’aiuto del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) contro le “azioni di terroristi e banditi”, subito approvato dall’alleanza e a cui ha dato una risposta sul campo la Russia di Vladimir Putin.
    A far temere interessi che vanno aldilà della solidarietà dell’alleanza in Asia centrale è la concomitanza di eventi con la crisi a un’altra frontiera della Russia, quella ucraina. A causa di un possibile intervento di Mosca nel Paese, l’alto rappresentante UE per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si è recato sulla frontiera orientale dell’Ucraina per ribadire il sostegno di Bruxelles alla sovranità dell’Ucraina, e anche l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord si è mobilitata: per domani è previsto un vertice straordinario dei ministri degli Esteri NATO e mercoledì prossimo (12 gennaio) si terrà la riunione del Consiglio NATO-Russia.
    Il presidente del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev
    Mosca si muove su diversi scenari strategici e sembra essere preoccupata dall’incapacità del presidente kazako di tenere sotto controllo le proteste in un Paese alleato a livello militare ed economico (partner dell’Unione eurasiatica, con Bielorussia, Armenia e Kirghizistan), che dal crollo del regime sovietico non ha praticamente mai assistito a forme di dissenso organizzato di dimensioni rilevanti. Se l’ondata di violenze è scattata a causa dell’aumento dei prezzi del gas, è facile comprendere che si tratta solo dell’ultima goccia in un vaso ormai colmo dopo tre decenni di autoritarismo: come riportano fonti di The Guardian, i manifestanti chiedono riforme politiche, elezioni libere ed eque, opportunità di lavoro, migliori condizioni di vita e la fine del regime nepotista e corrotto. La stabilità politica che ha conosciuto il Kazakistan dal 1990 a oggi è stata frutto di un dominio incontrastato dell’ex presidente Nazarbayev (leader post-sovietico più longevo, a cui è stato dedicato il nuovo nome della capitale), che solo dal 2019 ha iniziato a passare il testimone del potere ai suoi uomini più fidati.
    Un ultimo parallelismo che si può facilmente delineare – e che ancora una volta coinvolge le mire egemoniche russe – è quello con la Bielorussia di Alexander Lukashenko. Anche in questo caso l’ultimo dittatore d’Europa è ininterrottamente al potere da decenni (dal 1995) e da agosto del 2020 sta reprimendo nel sangue le proteste dell’opposizione, grazie al sostegno militare e finanziario del Cremlino. Se in entrambi i Paesi le proteste sono scoppiate in modo dirompente dopo anni di autoritarismo e con rivendicazioni di diritti civili e politici, il Kazakistan presenta però alcune differenze che rischiano di far naufragare le speranze di democrazia.
    Prima di tutto la violenza delle proteste (mai verificatasi in Bielorussia) ha dato una scusa alla Russia per intervenire in modo formale, attraverso l’attivazione di una clausola dell’alleanza. In secondo luogo, l’eliminazione sistematica di qualsiasi astro nascente dell’opposizione ha lasciato il movimento di protesta privo di figure carismatiche attorno alle quali unirsi. L’opposizione bielorussa invece ha sempre potuto contare sulla voce forte e ascoltata a livello internazionale della presidente riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya, che in queste ore ha preso posizione sulla questione kazaka: “L’invio di truppe è un’ingerenza militare negli affari di un altro Stato e Lukashenko non ha nessun mandato per inviare truppe bielorusse”.
    Infine, a differenza del caso bielorusso, nei confronti del Kazakistan l’UE sta mantenendo un atteggiamento attendista. “Pur riconoscendo il diritto a manifestazioni pacifiche, l’Unione Europea si aspetta che esse rimangano non violente ed evitino qualsiasi incitamento alla violenza”, si legge in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE). Intanto però non viene rispettata quella richiesta di “proporzionalità nell’uso della forza” da parte delle autorità kazake e la Russia muove le proprie pedine nell’area centro-asiatica. Mentre i leader europei dovranno trovare una linea comune con la NATO sulla situazione sul confine ucraino e non dimenticare il sostegno all’opposizione bielorussa, per l’UE è già tempo di ragionare su come affrontare le ingerenze russe in Kazakistan, se non vuole già dire addio a una parte dei propri piani sulla transizione verde.

    Belarus troops deployed to 🇰🇿 participate in an armed intervention into internal affairs of a sovereign state. Lukashenka lost legitimacy & has no mandate to make such decisions, especially when they threaten the sovereignty of Belarus itself. We call for dialogue in 🇰🇿. pic.twitter.com/MelHdjID7f
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) January 6, 2022

    Si tratta di una nuova fonte di preoccupazione per Bruxelles, dopo la crisi in Ucraina: il Kazakistan è un attore geopolitico fondamentale per la transizione verde dell’UE, sia per il gas sia per il nucleare

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    Usa e Russia un vertice “distante”. Sulla crisi ucraina Biden e Putin restano divisi ma il dialogo è aperto

    Roma – Nessun passo in avanti tra Joe Biden e Vladimir Putin anche se il dialogo resta aperto. Il presidente americano conferma le minacce di sanzioni durissime in caso di superamento dei confini dell’Ucraina. Il presidente della federazione Russa insiste nella richiesta di tenere lontana Kiev dalla NATO.
    Due ore davanti agli schermi ai due leader sono bastate per sciogliere il gelo ma non per trovare soluzioni alla tensione salita in Europa orientale con le truppe del Cremlino concentrate a migliaia ai confini con il Paese “cuscinetto”. Come era accaduto alla vigilia Biden ha poi avuto un secondo colloquio con gli alleati europei Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna e giovedì parlerà con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
    “Nessuna concessione, il Presidente è stato diretto e chiaro” ha detto Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale al termine del vertice, ribadendo “serie conseguenze” se la Russia deciderà di muoversi oltre confine. Il rafforzamento delle sanzioni era definito in precedenza e prevede una stretta economica pesante, dall’esclusione delle banche russe dai circuiti del sistema finanziario internazionale, alle limitazioni nel settore energetico, oltre che una serie di restrizioni alla libera circolazione di manager e oligarchi.
    Da Mosca Putin ha replicato che “i soldati russi sono sul loro territorio e non stanno minacciando nessuno”, al contrario “è la NATO che sta facendo pericolosi tentativi di conquistare il territorio ucraino e sta aumentando il suo potenziale militare ai nostri confini”. L’accusa lanciata al governo di Kiev e di voler smantellare gli accordi di Minsk con le continue provocazioni adottate verso la comunità russofona del Donbass, nel sud-est della repubblica ucraina.
    Le posizioni restano dunque distanti e solo una timida apertura, “una buona discussione” secondo la fonte del Cremlino, si è registrata sulla questione iraniana, che fa sperare positivamente nel riavvio del negoziato del trattato sul nucleare annunciato la scorsa settimana.
    Nonostante le minacce, condivise dagli alleati europei, la Casa Bianca punta all’azione diplomatica e il recupero degli accordi di Minsk. “I due presidenti – si legge nella nota diffusa da Washington – hanno incaricato i loro team di approfondire e gli Usa lo faranno in stretto coordinamento con gli alleati e partner”.
    Da Bruxelles prima del vertice, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, aveva assicurato il sostegno dell’UE che nei confronti della Russia “risponderà in modo appropriato in caso di una nuova aggressione, di violazioni del diritto internazionale e di qualsiasi altra azione dolosa intrapresa contro di noi o i nostri vicini, inclusa l’Ucraina”.

    I due leader non cambiano posizione con gli Stati Uniti che minacciano sanzioni dure in caso di invasione e il Cremlino che chiede assicurazioni sulla necessità di allontanare i suoi confini dalla NATO. Dopo il vertice nuovo colloquio del presidente americano con gli alleati europei

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    Russia al voto per il rinnovo della Duma. Mosca accusa l’UE di tentativi di interferenza nelle elezioni parlamentari

    Bruxelles – La Russia va alle urne, ma l’atmosfera che si respira è da guerra fredda. Mentre in Kamčatka, nell’estremità orientale del Paese, sono già iniziate le operazioni di voto che dureranno fino a domenica (19 settembre), Mosca e Bruxelles hanno ingaggiato una battaglia diplomatica sulla trasparenza e la democraticità delle elezioni per il rinnovo della Duma di Stato, la Camera bassa dell’Assemblea Federale.
    È stato il ministero degli Esteri russo ad attaccare direttamente l’Unione Europea, dopo l’approvazione della relazione del Parlamento UE che ha chiesto alle istituzioni comunitarie di tenersi pronte a non riconoscere l’esito delle elezioni parlamentari, se saranno riscontrate violazioni dei principi democratici e del diritto internazionale. “Condanniamo fermamente i tentativi di manipolare l’opinione pubblica e siamo convinti che questa azione porti al discredito definitivo del Parlamento Europeo”, ha affondato la portavoce Maria Zakharova. “Come in passato, ci difenderemo da interferenze inaccettabili nel processo democratico nazionale”, ha aggiunto.
    Il relatore per il Parlamento UE, Andrius Kubilius (PPE)
    La relazione presentata martedì (14 settembre) dall’eurodeputato lituano Andrius Kubilius (PPE) è passata con 494 voti a favore, 103 contrari e 72 astenuti. Valutando lo stato delle relazioni tra UE e Russia, gli eurodeoputati hanno definito il regime di Vladimir Putin una “cleptocrazia [modalità di governo deviata che rappresenta il culmine della corruzione politica, ndr] autoritaria stagnante guidata da un presidente a vita circondato da una cerchia di oligarchi”. Non esattamente parole al miele, ma con la precisazione che “bisogna distinguere questo regime dal popolo russo: un futuro democratico per il Paese è possibile“. Ecco perché vanno sì respinte le “politiche aggressive” dell’attuale governo (il cui destino dipenderà proprio dalle elezioni di questi giorni), ma allo stesso tempo è necessario “porre le basi per la cooperazione con una futura Russia democratica“. In questo senso deve essere contestualizzata la richiesta a Consiglio e Commissione UE di non riconoscere elezioni falsate da metodi non democratici.
    Repressioni e significato del voto
    La posizione dell’Eurocamera è giustificata dal contesto elettorale che ha vissuto negli ultimi mesi il regno dello zar Putin. Nonostante siano 14 i partiti che si affrontano alle urne per conquistare i 450 seggi della Duma, non si può davvero parlare di competizione elettorale: la formazione di una qualsiasi forza di opposizione significativa è stata negata o piegata con la forza, con arresti e manganellate. Basta solo citare il caso dell’oppositore Alexei Navalny – avvelenato prima e incarcerato poi – e della violenta repressione delle manifestazioni in suo sostegno a inizio dell’anno.
    Non solo. A giugno la Fondazione per la lotta alla corruzione è stata dichiarata un’organizzazione estremista dalle autorità giudiziarie russe e diversi candidati sono stati esclusi dalla corsa elettorale a causa di legami presunti o reali con Navalny. Il giro di vite si è esteso anche ai media indipendenti – come il sito Meduza – che da mesi sono stati inseriti in massa nel registro degli “agenti stranieri”, etichetta che è stata applicata a tutti quei giornalisti e aziende editoriali che ricevono sostegni o finanziamenti dall’estero.
    L’oppositore russo Alexei Navalny
    L’obiettivo principale di questa ondata di repressione sulla società civile sarebbe dimostrare che non ci sono alternative reali alla leadership di Putin. Il suo mandato presidenziale scadrà nel 2024, ma potenzialmente potrebbe durare fino al 2036, dopo l’approvazione di un apposito emendamento costituzionale nell’aprile di quest’anno. Negli ultimi giorni di campagna elettorale lo zar non è sceso direttamente nell’arena politica, dal momento in cui da martedì si è dovuto mettere in isolamento fiduciario per alcuni contatti con membri del suo entourage positivi al COVID-19. E anche se queste elezioni riguardano la formazione della Camera bassa dell’Assemblea Federale, c’è anche anche un pezzo del suo destino in ballo.
    Il partito Russia Unita – che appoggia e che viene appoggiato dal Cremlino – non dovrebbe avere problemi a mantenere la maggioranza, contando anche su “partiti cuscinetto” come il Partito Liberal-Democratico e Russia Giusta. Tuttavia, la recente impennata dei prezzi dei generi alimentari e il calo dei redditi reali hanno fatto sprofondare gli indici di gradimento del partito di governo ai minimi storici. In altre parole, questa elezione rappresenta un test-chiave per l’intero sistema di potere del Paese, a tre anni dalla scadenza del mandato presidenziale.
    L’incognita del “voto intelligente”
    È stato lo stesso inquilino del Cremlino a definire questa tornata elettorale “l’evento più importante nella vita della nostra società e del Paese intero”, scagliando ulteriori attacchi all’Occidente per “tentare di interferire nel voto nazionale”. Dopo aver messo in ginocchio l’opposizione interna, Putin ha cercato di sbarazzarsi anche dell’ultimo strumento che potrebbe veicolare il dissenso organizzato: Smart Voting, l’applicazione online per il “voto intelligente” sviluppata dai sostenitori di Navalny. Si tratta di un sito e un’app per smartphone (qui il link) che indirizza gli elettori, collegio per collegio, nella scelta del candidato da votare, tra coloro che hanno maggiori possibilità di sconfiggere i rivali di Russia Unita.
    La schermata del sito per il voto tattico dell’opposizione russa, Smart Voting
    Lo scopo di questa nuova modalità di voto tattico è soprattutto quella di spingere l’affluenza alle urne, tamponando l’evidente scoraggiamento della società civile e l’assenza di veri candidati di opposizione. È molto probabile che a incanalare il malcontento e a beneficiare dello strumento digitale sarà il Partito Comunista della Federazione Russa: delle 225 indicazioni di “voto intelligente”, più della metà sono esponenti comunisti, compresi 11 su 15 individuati nel collegio della capitale, dove il sentimento anti-Putin è più forte. Il Partito Comunista è attualmente il secondo partito per numero di membri nella Duma di Stato (43, contro i 338 di Russia Unita), anche se nella legislatura che è appena terminata non si è distinto per un’opposizione particolarmente dura.
    Se è vero che all’inizio della scorsa settimana le autorità russe hanno bloccato l’accesso al sito sul territorio nazionale, Smart Voting è ancora accessibile fuori dai confini russi, anche se Facebook e Google hanno ceduto alle pressioni del ministero degli Esteri russo di cancellarlo dai loro app store. È evidente che Russia Unita e il Cremlino vedono nelle Big Tech occidentali una minaccia alla sopravvivenza dello status quo, altrimenti non si spiegherebbe l’attacco frontale di questa ultima settimana ai “giganti digitali”, accusati di “interferire negli affari interni del nostro Paese con l’aiuto del Pentagono”. Entrati nei giorni decisivi del voto, è difficile aspettarsi da queste elezioni un ribaltone politico. Ma, come hanno sottolineato gli eurodeputati, in un’atmosfera di scoraggiamento e repressione il destino della “futura Russia democratica” passa da qui.

    Gli eurodeputati hanno chiesto alle istituzioni UE di non riconoscere il nuovo Parlamento, se ci saranno violazioni dei principi democratici. Aperte le urne fino a domenica: in un clima di repressione, l’unica incognita è il sito per il “voto intelligente” sviluppato dall’opposizione al presidente Putin

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    Germania, accuse alla Russia per un’ondata di attacchi informatici contro i candidati alle elezioni federali

    Bruxelles – Le elezioni federali del 26 settembre non sono più solo una questione di affari interni della Germania. La Russia di Vladimir Putin è stata accusata da Berlino di essere mandante di una serie di attacchi informatici contro i candidati tedeschi, sia a livello nazionale sia a livello regionale. Le interferenze di Mosca si sarebbero concretizzate nell’invio di e-mail phishing, una truffa finalizzata a ottenere informazioni personali, dati finanziari o codici di accesso facendo credere alla vittima di essere un ente digitale affidabile.
    “Sono azioni inaccettabili che rappresentano un rischio per la sicurezza della Germania e per i suoi processi decisionali democratici”, ha fatto sapere Andrea Sasse, portavoce del ministero degli Esteri. “Hanno posto un pesante onere sulle nostre relazioni bilaterali”. Il segretario di Stato, Miguel Berger, ha trasmesso la protesta del governo tedesco direttamente al vice-ministro degli Esteri russo, Vladimir Titov, ma già a luglio il capo dell’agenzia di intelligence interna, Thomas Haldenwang, aveva avvertito il pericolo di interferenze estere – e in particolare russe – sulle elezioni del Bundestag, viste come un “obiettivo significativo”.
    Il rischio è reale ed è potenziato dal fatto che, dopo 16 anni di stabilità di governo data dalla figura di Angela Merkel, la Germania dovrà affrontare non solo un cambio storico alla cancelleria, ma anche un imprevedibile mutamento delle alleanze tra partiti. Fatta eccezione per il secondo governo Merkel (2009-2013), il Paese è stato guidato dal 2005 a oggi dalla Große Koalition, l’alleanza del blocco conservatore CDU-CSU (l’Unione Cristiano-Democratica e il partito gemello bavarese, l’Unione Cristiano-Sociale) con i socialdemocratici dell’SPD.
    Quando mancano meno di 20 giorni dalle elezioni più aperte nella storia recente del Paese, le uniche indicazioni certe che arrivano dai sondaggi è che sarà quasi impossibile creare un’alleanza bipartitica (ribaltoni elettorali permettendo) e che solo il risultato delle urne indicherà sia la coalizione che andrà formandosi, sia i rapporti di forza interni tra i tre o più partiti che la comporranno. Ecco perché, in questa situazione di incertezza, le interferenze di Mosca rappresentano una minaccia per la democrazia in Germania. Favorire o danneggiare l’uno o l’altro partito potrebbe avere grosse ripercussioni nello scenario post-26 settembre e per tutta la durata della legislatura. Anche se per il momento non è chiaro quale sia la forza che Mosca vorrebbe veder vincere le elezioni.
    Sia il candidato socialdemocratico, Olaf Scholz, sia quello cristiano-democratico, Armin Laschet, hanno sì tenuto bassi i toni contro la Russia, ma hanno anche riaffermato la necessità di un rinnovato impegno nella NATO e di una politica estera europea più attiva. Quel che è certo è che il governo Putin non vede di buon occhio i Verdi di Annalena Baerbock, particolarmente critici nei confronti del Cremlino e duri contro il controverso Nord Stream 2, gasdotto da 11 miliardi di dollari che attraverso il Mar Baltico porta il gas russo in Europa.
    I precedenti
    È da anni che Berlino accusa Mosca di tentativi di interferenza e di accesso alle reti digitali delle istituzioni politiche tedesche. La stessa cancelliera Merkel ha riferito di essere in possesso di “prove concrete” che le autorità russe erano responsabili dell’enorme attacco informatico al Parlamento federale nel 2015, che ha preso di mira anche l’indirizzo mail della cancelleria. La Corte federale tedesca l’anno scorso ha emesso un mandato di arresto per Dmitry Badin, hacker russo che molto probabilmente lavora a servizio dell’intelligence militare del Cremlino e che è ritenuto la mente dell’attacco del 2015.
    Il ministero degli Esteri ha avvertito che negli ultimi mesi si è moltiplicato l’invio di e-mail phishing per cercare di accedere ai dati personali dei deputati al Bundestag e delle Assemblee regionali da parte del gruppo informatico Ghostwriter. Quello ai danni dei candidati alle prossime elezioni è solo l’ultimo caso, ma il più preoccupante: “Questi attacchi potrebbero servire come preparazione per campagne di disinformazione”, ha spiegato la portavoce Sasse. “Abbiamo informazioni affidabili” che queste attività “possono essere attribuite a un attore informatico dello Stato russo, e in particolare l’intelligence militare”.

    Inviate e-mail phishing sia a livello nazionale sia regionale per ottenere informazioni personali e interferire sul voto del 26 settembre: “Azioni inaccettabili che rappresentano un rischio per la sicurezza nazionale”

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    Nord Stream 2, la costruzione del gasdotto è finita. Per Mosca sarà in funzione “nei prossimi giorni”

    Bruxelles – Sono giunti al termine ieri (6 settembre) i lavori di costruzione del controverso gasdotto da 11 miliardi di dollari Nord Stream 2, che raddoppierà la capacità di gas naturale (metano) in arrivo dalla Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico. Ad annunciarlo è la compagnia energetica russa Gazprom, che ne controlla le attività, a cui si aggiungono le parole del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov secondo cui il gasdotto Nord Stream 2 entrerà in funzione nei prossimi giorni, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Interfax.
    Il gasdotto Nord Stream 2 collegherà la Germania alla Russia
    L’ultima sezione del gasdotto è stata saldata e ora dovrà essere calato nel collegamento sottomarino sotto al Mar Baltico. Secondo Reuters, il gasdotto deve ancora ricevere la certificazione che potrebbe richiedere fino a quattro mesi di tempo. Entro fine anno dovrebbe essere pienamente operativo.
    Il percorso di Nord Stream 2 andrà a replicare quello del gemello Nord Stream che è già in attività. Si parla di circa 55 miliardi di metri cubi all’anno di gas verso la Germania a capacità massima, da raddoppiare fino a 110 miliardi di metri cubi di gas che consentono a Mosca di trasportare il gas in Europa senza passare per via terrestre attraverso l’Ucraina, come faceva prima, indebolendone la posizione strategica.
    La costruzione del gasdotto è stata fin dall’inizio osteggiata da molti Paesi, primi tra tutti gli Stati Uniti, per i timori di una maggiore influenza di Mosca sul vecchio Continente che ne dipende energeticamente. Solo a fine luglio, Berlino e Washington hanno raggiunto un accordo di massima per ultimare i lavori del progetto, promettendo sanzioni alla Russia in caso di pressioni sull’Ucraina, come l’annessione illegale della penisola di Crimea nel 2014.
    Un’opposizione che il progetto ha trovato anche in Europa, guidata in particolare dai Paesi dell’Europa orientale. Solo la cancelliera Angela Merkel ha sposato la causa, impegnandosi a portarla a termine. Da quando a fine agosto di un anno fa l’oppositore russo Alexei Navalny è stato avvelenato su iniziativa del presidente russo Vladimir Putin sono però aumentate di molto le pressioni su Merkel per abbandonare il progetto. Pressioni che sono aumentate ancora con l’ulteriore incrinarsi dei rapporti di Bruxelles con Mosca, con i Paesi dell’Europa centrale e orientale che temono l’ulteriore dipendenza energetica dei Ventisette dal gas russo.

    Saldata l’ultima sezione del gasdotto da 11 miliardi di dollari che raddoppierà la capacità di gas naturale in arrivo dalla Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico. Per il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov sarà in funzione nei prossimi giorni

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    Nord Stream 2, arriva la sentenza tedesca: al controverso gasdotto si applicano le regole antitrust dell’UE

    Bruxelles – La Russia dovrà applicare le regole europee antitrust al gasdotto Nord Stream 2, dividendone la gestione tra i proprietari del gasdotto e fornitori del gas che vi scorre per garantire una concorrenza leale. A stabilirlo, mercoledì 25 agosto è stata l’Alta Corte Regionale di Düsseldorf, in Germania, respingendo il ricorso presentato dalla principale società che si occupa della costruzione Nord Stream 2 AG contro il regolatore di rete tedesco (BNA -Bundesnetzagentur) che ha rifiutato di concederle un’esenzione dalle regole di concorrenza dell’Unione Europea.
    Questo significa che al controverso gasdotto destinato a collegare la Russia alla Germania attraverso il mar Baltico devono applicarsi le regole di diritto comunitario, inscritte nella direttiva UE sul mercato del gas. Nulla di nuovo, perché già la Commissione europea aveva chiarito che pur essendo un progetto “soggetto al diritto nazionale” tedesco, si inscrive nel quadro di diritto europeo di cui deve rispettare la conformità. L’unica competenza che spetta a Bruxelles sul futuro gasdotto è controllare il rispetto da parte degli Stati membri, e quindi in questo caso della Germania, della direttiva Ue sul mercato interno del gas.
    Il gasdotto Nord Stream 2 collegherà la Germania alla Russia
    La sentenza può essere impugnata dalla Nord Stream 2 AG, anche se potrebbe significare, come suggerisce Reuters, un ritardo nel completamento della rete e anche un aumento dei costi. Il controverso gasdotto guidato dalla compagnia energetica russa Gazprom, raddoppierà il volume di gas naturale trasportato dalla Russia alla Germania attraverso il mar Baltico. Replicando, nei fatti, il percorso del gasdotto gemello Nord Stream che è già in attività. Si parla di circa 55 miliardi di metri cubi all’anno di gas verso la Germania a capacità massima, raddoppiati a 110.
    Dopo varie tensioni tra Unione Europea e Stati Uniti – dovuta ai timori statunitensi di una maggiore influenza di Mosca sul vecchio Continente – a fine luglio Berlino e Washington hanno raggiunto un accordo di massima per ultimare i lavori del progetto, ormai quasi completo, promettendo sanzioni alla Russia in caso di pressioni sull’Ucraina, come l’annessione illegale della penisola di Crimea nel 2014. Il progetto vale almeno undici miliardi di dollari, e ha incontrato la resistenza non solo oltreoceano ma anche in Europa.
    La cancelliera Angela Merkel ha sposato la causa, impegnandosi a portarla a termine. Da quando a fine agosto di un anno fa l’oppositore russo Alexei Navalny è stato avvelenato sono però aumentate di molto le pressioni su Merkel per abbandonare il progetto. Pressioni che sono aumentate ancora con l’ulteriore incrinarsi dei rapporti di Bruxelles con Mosca, con i Paesi dell’Europa centrale e orientale che temono l’ulteriore dipendenza energetica dei Ventisette dal gas russo. Diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, si sono opposti al progetto perché temono l’ulteriore influenza geopolitica di Putin attraverso il gas naturale.

    Proprietari del gasdotto e fornitori del gas che vi scorre devono essere diversi per garantire una concorrenza leale, in linea con la direttiva europea sul mercato del gas. A stabilirlo è l’alta corte di Düsseldorf respingendo il ricorso della società Nord Stream 2 AG contro il regolatore di rete tedesco che ha rifiutato di concederle un’esenzione dalle regole di Bruxelles. La sentenza può essere impugnata ma rischia di rallentare il completamento del progetto

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    Leader divisi sulla Russia: il Vertice UE chiede di lavorare a nuove sanzioni contro Mosca, ma apre la porta al dialogo

    Bruxelles – Leader europei divisi sull’approccio con la Russia, tanto che nelle conclusioni adottate a tarda notte del 24 giugno invitano l’Unione europea sia a lavorare su nuove sanzioni contro la Russia, sia a lavorare sui formati di un nuovo dialogo con Mosca. Sul tavolo del Consiglio europeo (24 e 25 giugno) la proposta di Francia e Germania di tenere prima possibile un vertice UE-Russia con il presidente russo Vladimir Putin, ma la proposta non è stata accolta su pressione di Polonia e Paesi baltici secondo cui avrebbe inviato un messaggio sbagliato con il deteriorarsi dei legami est-ovest.
    I 27 leader dell’UE “non sono riusciti a raggiungere un accordo”, ha ammesso la cancelliera tedesca Angela Merkel durante un briefing con la stampa al termine dei lavori della prima giornata di vertice. “È stata una discussione molto completa e non facile”, ha detto ai giornalisti. “Non c’era accordo oggi su un incontro immediato dei leader”, ha detto. Ha aggiunto che ciò che è importante “è che il formato del dialogo sia mantenuto e che ci stiamo lavorando. Personalmente, mi sarebbe piaciuto fare un passo più audace in questo caso. Ma va anche bene così com’è e continueremo a lavorare su questo”. Per Merkel si tratta dell’ultimo Consiglio europeo alla guida della cancelleria di Berlino, a meno che non ci sia un Summit straordinario da qui a settembre.
    L’idea di un vertice con Putin arriva dopo che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha incontrato il presidente russo a Ginevra lo scorso 16 giugno, nel quadro del suo primo viaggio nel Continente europeo. Anche per il presidente francese Emmanuel Macron sarebbe stato un vertice “un dialogo per difendere i nostri interessi”, il primo dal gennaio 2014. Anche il cancelliere austriaco Sebastian Kurz ha affermato di sostenere la proposta franco-tedesca, molti altri leader si sono opposti.
    Nella dichiarazione finale del vertice, i leader hanno invitato la Commissione europea e il capo della diplomazia europea Josep Borrell “a presentare opzioni per ulteriori misure restrittive, comprese sanzioni economiche” contro la Russia, per i settori energetico, finanziario e degli armamenti russi e sanzioni individuali per i russi accusati di violazioni dei diritti umani. Dall’altra parte, nelle conclusioni si ribadisce l’apertura dell’Unione europea a “un impegno selettivo con la Russia nei settori di interesse dell’UE”, come il clima e l’ambiente, la salute, nonché questioni selezionate di politica estera e di sicurezza questioni politiche e multilaterali come il JCPoA (accordo sul nucleare iraniano), la Siria e la Libia. In tale contesto – concludono – il Consiglio europeo esaminerà i formati e le condizioni del dialogo con la Russia. Insomma, i leader non vanno molto oltre l’approccio nelle relazioni con Mosca proposto dalla Commissione europea il 16 giugno, basato sui tre pilastri “Respingere, contenere e interagire“.

    Sul tavolo del Consiglio europeo la proposta di Francia e Germania di tenere prima possibile un vertice UE-Russia con il presidente Vladimir Putin, ma la proposta non è stata accolta