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    Il dialogo tra Usa e Cina per spingere Mosca a trattare. Pechino resta neutrale ma vuole stabilità

    Roma – Quella di Jake Sullivan, consigliere americano per la Sicurezza nazionale, è una missione che conta più di quanto si potrebbe forse pensare. A Roma da ieri, l’alto funzionario ha incontrato il responsabile della politica estera del Partito comunista cinese Yang Jiechi e oggi il consigliere diplomatico del Presidente Draghi Luigi Mattiolo. In stallo la diplomazia tra i due attori principali del conflitto, il dialogo tra Usa e Cina ha il delicato compito di mettere sui binari giusti un negoziato, una sorta di tavolo “preparatorio” con l’obiettivo di convincere Pechino ad abbandonare la sua posizione neutrale. In subordine, spingere Putin a smussare le rigidità che in questo momento sono insormontabili e ostacolano ogni minimo negoziato compreso quello sulla garanzia dei corridoi umanitari.
    Washington ha avvertito la Cina che un eventuale supporto militare alla Russia “avrebbe serie conseguenze” anche se le indiscrezioni pubblicate dalla stampa americana non hanno trovato conferma. Ma a parte le schermaglie e le uniche notizie fatte filtrare, il confronto tra le due potenze mondiali potrebbe essere il passo necessario per agevolare una concreta trattativa sulla guerra. In sostanza per fermare le bombe, il passaggio obbligato sembra essere Pechino e la Cina è probabilmente l’unico interlocutore che può spendere la sua forza di ingerenza sulla Russia.
    E potrebbe agire in questa direzione non per fare un favore ai nemici di Putin e schierarsi apertamente con l’Occidente ma perché non ha interesse a mantenere l’instabilità provocata dalla guerra che compromette i suoi affari.
    Dopo questo primo round, la posizione cinese per ora però non cambia, teme le conseguenze delle sanzioni che critica, anche per gli effetti indiretti sulla sua economia. La leva per mettere pressione a Putin si gioca su questo fronte (e forse anche su quello interno di Taiwan e Hong Kong), in un orizzonte di riposizionamento che gli Stati Uniti possono decidere di offrire. Strada lunga, che per ora non consente facili ottimismi ma è con queste lenti che va visto il confronto di questi giorni.
    In questi venti giorni di guerra il governo italiano è stato criticato per la sua assenza dalle manovre diplomatiche in giro per l’Europa, un giudizio respinto dal presidente del Consiglio Draghi. Roma resta però un crocevia importante, “non dobbiamo cercare un ruolo ma dobbiamo cercare la pace e ora è Putin che non la vuole”, ha sintetizzato il premier a Versailles, come a sottolineare gli esiti poco fruttuosi delle mediazioni messe in campo finora dai diversi leader europei.  Nel breve colloquio di Draghi con Jack Sullivan a Palazzo Chigi è stata condivisa “la ferma condanna per l’aggressione ingiustificata da parte della Russia e la necessità di continuare a perseguire una risposta decisa e unitaria nei confronti di Mosca”. I due  si sono inoltre detti d’accordo sull’importanza di intensificare ulteriormente i contatti tra Italia e Stati Uniti a tutti livelli, alla luce degli eccellenti rapporti bilaterali e del legame transatlantico.
    L’Italia intanto si fa invece vedere e rafforza le iniziative sul fronte degli aiuti e dell’accoglienza ai profughi, impegno che il ministro degli Affari esteri Luigi Di Maio ha confermato con le visite di ieri e oggi in Romania e Moldavia.

    Il summit di Roma tra Sullivan e Jang Yiechi non ha sbloccato le posizioni anche se il confronto tra le due potenze mondiali sembra essere l’unica strada per favorire un negoziato tra Russia e Ucraina. La Cina resta neutrale ma teme le sanzioni. Italia protagonista sul fronte dell’accoglienza

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    Gli effetti delle sanzioni. Il leader russo dei fertilizzanti e del carbone chiede la pace in Ucraina, “o sarà crisi alimentare”

    Bruxelles – Al diciannovesimo giorno di guerra in Ucraina, si iniziano ad aprire le prime crepe nel cerchio magico di Vladimir Putin. In un’intervista rilasciata a Reuters, l’oligarca russo Andrey Melnichenko – re del settore dei fertilizzanti e del carbone e finito nella lista delle sanzioni UE – ha fatto un appello alla risoluzione pacifica del conflitto in Ucraina: “Ne abbiamo bisogno urgente, perché una delle vittime di questa crisi sarà l’agricoltura e il cibo in tutto il mondo“. In attesa del quarto pacchetto di misure restrittive (previsto per oggi), le decisioni prese da Bruxelles in coordinamento con i partner del G7 sembrano aver dato uno scossone non solo all’economia russa, ma anche al mondo imprenditoriale vicino al Cremlino. Che davanti alla chiusura dei mercati globali e alla perdita di fatturato potrebbe abbandonare la nave dell’autocrate russo.
    Fondatore di EuroChem (uno dei più grandi produttori di fertilizzanti) e di SUEK (il principale produttore di carbone della Russia), Melnichenko è l’ottavo oligarca russo per patrimonio stimato (17,9 miliardi) e compare tra gli 862 individui colpiti dalle sanzioni dell’UE, dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina lo scorso 24 febbraio. “La guerra ha già portato all’impennata dei prezzi dei fertilizzanti che non sono più accessibili agli agricoltori”, ha sottolineato Melnichenko, avvertendo che “ora porterà a un’inflazione alimentare ancora più alta in Europa e a probabili carenze di cibo nei Paesi più poveri del mondo”. Senza fare diretto riferimento a Putin, l’oligarca russo ha definito “veramente tragici” gli eventi in Ucraina, giustificando così la propria presa di posizione a favore della pace.
    Ma è chiaro che la vera determinante è la componente economica. Il rischio di essere trascinati verso il basso dall’isolamento internazionale sta iniziando a diventare concreto per gli imprenditori miliardari russi. La Russia è uno dei principali produttori al mondo di potassio, fosfato e fertilizzanti contenenti azoto ed EuroChem, che è una delle prime cinque aziende di fertilizzanti al mondo, sarebbe messa in ginocchio da una crisi alimentare globale. Lo scorso 9 marzo Melnichenko si è dimesso da membro del Consiglio di amministrazione e dalla direzione dell’azienda, dopo che l’UE lo ha sanzionato per la sua partecipazione a un incontro al Cremlino con Putin e altri 36 uomini d’affari, identificandolo come uno dei principali uomini d’affari coinvolti nei settori economici-chiave per il il finanziamento della campagna militare russa. Sabato scorso (12 marzo) la polizia italiana ha sequestrato nel porto di Trieste lo yacht di Melnichenko, il Sailing Yacht A di 143 metri e dal valore di 530 milioni di euro.

    Si iniziano a intravedere le prime crepe nel cerchio magico di Putin dopo i tre pacchetti di misure restrittive UE e G7 (in attesa del quarto): l’oligarca Melnichenko fa un appello “urgente” alla fine del conflitto in Ucraina: “Una delle vittime di questa crisi sarà l’agricoltura e il cibo in tutto il mondo”

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    ‘Non siete voi che ci cacciate, siamo noi che ce ne andiamo’: la Russia annuncia l’uscita dal Consiglio d’Europa

    Bruxelles – È una guerra militare contro l’Ucraina e una guerra diplomatica contro l’Europa. La Russia di Vladimir Putin annuncia l’uscita dal Consiglio d’Europa con una giravolta, anticipando una decisione che avrebbe potuto prendere il Comitato dei Ministri su richiesta dell’Assemblea parlamentare nella sessione plenaria di lunedì e martedì prossimi (14-15 marzo), in virtù delle continuo violazioni dei diritti dell’uomo scatenate con l’invasione dell’Ucraina. “La Russia non parteciperà alla campagna condotta dalla NATO e dai suoi obbedienti seguaci dell’UE per trasformare la più antica organizzazione europea in un’altra piattaforma per la predicazione della superiorità occidentale”, è l’accusa contenuta in una nota il ministero degli Esteri di Mosca.
    Con toni da propaganda (“gli eventi si stanno avvicinando a un punto di non ritorno”, causato dalle “azioni sovversive intraprese dall’Occidente per sopprimere il diritto internazionale”) il Cremlino ha anticipato l’uscita dall’organizzazione internazionale composta da 47 Paesi membri, che si occupa della difesa dei diritti umani – e che non ha niente a che fare con le istituzioni dell’Unione Europea. In verità nella nota non c’è nessun riferimento all’attivazione dell’articolo 7 dello Statuto del Consiglio d’Europa, quello che permette a uno Stato membro di ritirarsi notificando formalmente la propria intenzione al segretario generale. Ma, leggendo nemmeno troppo tra le righe, è chiara l’intenzione di muoversi in questa direzione e a breve è attesa la notifica a Strasburgo. “Lasciamo che si godano la reciproca compagnia senza la Russia”, è la conclusione beffarda della nota del Cremlino.
    Con questa mossa di portata storica – che non si è mai verificata nei 63 anni di vita dell’organizzazione – la Russia sta cercando di ribaltare la narrazione dei fatti e di uscire da una situazione di difficoltà. Lo scorso 25 febbraio, il giorno dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, il Comitato dei Ministri (di cui l’Italia ha la presidenza di turno) aveva sospeso i suoi diritti di rappresentanza sia nel Comitato sia nell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Sospensione, non radiazione, e questo significa che a oggi la Russia è uno Stato membro, che ha l’obbligo di rispettare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e che le domande presentate contro Mosca continuano a essere esaminate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. La revoca dell’appartenenza, secondo l’articolo 8 dello Statuto, può essere invece attivata dal Comitato dei Ministri dopo la richiesta allo Stato membro di ritirarsi ai sensi dell’articolo 7: in caso di rifiuto e di continua violazione dei propri doveri internazionali, il Comitato può decidere la cessazione immediata dei diritti di appartenenza nel Consiglio d’Europa.

    Dopo la sospensione decisa lo scorso 25 febbraio (a un giorno dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina), con toni da propaganda Mosca ha anticipato una possibile revoca dell’appartenenza da parte del Comitato dei Ministri

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    Nuova stretta dell’UE contro Russia e Bielorussia: sanzioni per altri 160 oligarchi, anche Minsk fuori da Swift

    Bruxelles – Si allunga e tocca quota 915 la lista di entità (53) e individui (862) colpiti dalle sanzioni UE contro Russia e Bielorussia, dopo l’invasione dell’Ucraina. Lo ha annunciato oggi (mercoledì 9 marzo) il Consiglio dell’UE, dopo l’accordo di questa mattina degli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper). Si aggiungono altri 160 responsabili della cerchia di Vladimir Putin, mentre il sistema finanziario di Minsk viene tagliato fuori dal sistema dei pagamenti internazionali Swift e la Banca Centrale bielorussa dalle transazioni globali.
    Come si legge nella nota del Consiglio, nella lista di sanzioni UE compaiono ora altri 14 oligarchi e uomini “di spicco” coinvolti in settori economici-chiave (metallurgia, agricoltura, farmaceutica, telecomunicazioni) per supportare la guerra della Russia contro l’Ucraina, ma anche i 146 membri del Consiglio della Federazione Russa che hanno ratificato le decisioni di Putin sui “Trattati di amicizia” tra Mosca e le autoproclamate Repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk. Saranno congelati i loro beni nell’UE (alcuni sono anche in Italia), sarà vietato mettere a loro disposizione fondi e saranno vietati viaggi e transiti sul territorio comunitario.
    Sempre nella sezione russa, il Consiglio ha introdotto ulteriori misure restrittive per l’esportazione di beni per la navigazione marittima e la tecnologia delle radiocomunicazioni: da oggi sarà vietato vendere, fornire, trasferire o esportare beni in questi settori “a qualsiasi persona fisica o giuridica, entità o organismo” per l’uso o l’installazione a bordo di una nave che batte bandiera russa. Cruciale anche la precisazione su servizi d’investimento, valori immobiliari, prestiti e strumenti del mercato monetario da cui devono essere esclusi coloro che sono stati colpiti dalle sanzioni, che va a includere “chiaramente” anche gli asset in criptovalute.
    Non c’è solo la Russia, ma anche l’ormai Stato-satellite Bielorussia, nell’inasprimento delle sanzioni UE, già implementate giovedì scorso (3 marzo) per la partecipazione del regime di Alexander Lukashenko alla guerra in Ucraina e per le implicazioni del referendum-farsa sulla fine dello status di Paese non-nucleare. Sulla falsariga di quanto messo in atto una settimana fa per sette istituti bancari russi, tre banche bielorusse sono state tagliate dal sistema di pagamenti internazionali Swift: si tratta di Belagroprombank, Bank Dabrabyt e Development Bank of the Republic of Belarus. In aggiunta, sono state vietate tutte le transazioni con la Banca Centrale di Bielorussia e la quotazione di enti statali del Paese. Nella logica di prosciugare le riserve di liquidità di Minsk, è stato deciso anche di vietare la fornitura di banconote-euro al Paese, di limitare l’accettazione di depositi di cittadini bielorussi a 100 mila euro e di impedire loro l’accesso all’acquisto di titoli in valuta euro.

    Le misure restrittive sono state approvate dal Consiglio dell’UE contro i responsabili e i fiancheggiatori dei regimi di Putin e Lukashenko per il supporto all’invasione e alla guerra in Ucraina

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    La premier estone Kallas spinge l’UE sulla difesa comune e sull’adesione dell’Ucraina: “Se non ora, quando?”

    Bruxelles – Di fronte alla minaccia russa, i Baltici cercano di prendere il timone per guidare l’Unione Europea sull’onda dell’intransigenza nella risposta al Cremlino. Ora come nel prossimo futuro. “A Mosca sono sicuri che prima o poi ci stancheremo della nostra iniziativa e chiederemo di tornare al tavolo dei negoziati. Putin ci metterà alla prova e noi dovremo resistere, questa è una maratona in cui esercitare pazienza strategica”, così ha esortato i Ventisette a sostegno dell’Ucraina la prima ministra dell’Estonia, Kaja Kallas, dall’Aula del Parlamento UE di Strasburgo.
    L’Estonia condivide con la Russia circa 300 chilometri di confine e, dopo l’invasione dell’Ucraina, “niente può più essere come prima“, ha attaccato Kallas. Non può esserlo soprattutto nel rapporto con il Cremlino sul tema della sicurezza europea e globale, il tema del dibattito all’Eurocamera di questa mattina (mercoledì 9 marzo) in cui la premier estone è intervenuta. Tracciando le linee di intervento del “dopo” l’invasione, la leader del Paese baltico ha indicato due aree su cui l’UE dovrà concentrarsi: la difesa comune e il sostegno all’Ucraina. “Il nostro atteggiamento di deterrenza deve diventare una politica di contenimento intelligente”, ovvero “consolidare ciò che il mondo libero ha realizzato nelle ultime settimane”, dalla denuncia dell’aggressione dell’Ucraina all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a larghissima maggioranza, all’indagine della Corte penale internazionale dell’Aja sui crimini contro l’umanità da parte dell’establishment russo.
    La premier dell’Estonia, Kaja Kallas (9 marzo 2022)
    La questione più urgente è la difesa comune. La decisione di utilizzare il Fondo europeo per la pace per assistere l’Ucraina “è solo un primo passo verso il rafforzamento della nostra sicurezza continentale”, ha commentato Kallas, sottolineando che “il rafforzamento delle nostre capacità di difesa comune devono andare mano nella mano con la NATO“. Difesa comune europea significa “pianificare la nostra spesa in modo saggio e coordinato” e “concentrarci sulle capacità troppo costose per ogni singolo Stato membro”, come i missili a lungo raggio. Nel delineare la strategia – che sarà oggetto del confronto tra i leader UE di domani e venerdì (10-11 marzo) – la premier estone ha spinto perché “le nostre capacità europee siano mobili e all’avanguardia“, perché “se la Russia può avere una forza militare enorme, noi possiamo competere con una tecnologia di qualità e all’avanguardia”.
    Ma il nuovo ordine mondiale non dovrà dimenticare “chi guarda all’Unione Europea come un luogo sicuro e pacifico“. L’Ucraina “è stata attaccata dalla Russia nel 2014 perché voleva entrare nell’UE e il 24 febbraio perché cerca di prendere il posto che le spetta tra di noi”, ha puntato il dito la premier Kallas. È nell’interesse dei Ventisette che Kiev “diventi più stabile, più prospera e solidamente fondata sullo Stato di diritto, come il caso dell’Estonia dimostra”, e di qui la necessità di “dare una prospettiva di adesione” all’Ucraina: “È un dovere morale, perché gli ucraini stanno combattendo anche per l’Europa. Se non ora quando?”
    La leader del Paese baltico non ha avuto esitazioni a definire l’azione di Bruxelles come “unità da Unione geopolitica“, che “ha sorpreso Putin, il mondo e oserei dire anche noi stessi”, dal momento in cui “abbiamo cambiato più nelle ultime due settimane che nei precedenti trent’anni”. È notizia di questa mattina che gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno dato il via libera per inasprire le sanzioni contro Russia e Bielorussia. “Un nuovo pacchetto di sanzioni economiche contro più di 100 responsabili del governo e dell’oligarchia russa sta già circolando tra i Paesi membri”, ha confermato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell.

    🔴 #Ukraine | Approbation par le COREPER II de nouvelles sanctions à l’encontre de dirigeants et oligarques russes et de membres de leurs familles impliqués dans l’agression russe contre l’Ukraine. ⤵️ 1/5 #PFUE2022 pic.twitter.com/SHatb7ZD4z
    — Présidence française du Conseil de l’UE 🇫🇷🇪🇺 (@Europe2022FR) March 9, 2022

    Nel suo intervento alla plenaria del Parlamento UE, la premier estone Kallas ha parlato sia dei profughi in arrivo dall’Ucraina, sia del popolo russo. Sono già 2 milioni quelli in fuga dal territorio ucraino verso l’UE “e continueranno ad arrivare, perché in un conflitto i rifugiati si dirigono verso dove c’è sicurezza, e non è la Russia”. L’obiettivo di Putin è quello di “terrorizzare i civili”, una strategia già sperimentata a Grozny, nel corso della seconda guerra cecena: “Asili, ospedali, edifici residenziali sono presi di mira, in violazione del diritto internazionale umanitario”.
    Ma la guerra di Putin è anche contro il proprio stesso popolo. “Ha lasciato i russi senza accesso alla verità, vivono isolati dall’informazione”, ha attaccato Kallas. “Il nostro compito è quello di rompere questo muro di bugie“, mobilitando “il nostro potenziale tecnologico per vincere la guerra per la verità” anche grazie al “ruolo enorme delle piattaforme globali di Internet”. La premier estone si è rivolta direttamente ai cittadini russi, ricordando che “l’Unione Europea non sta agendo contro di voi, ma è il vostro governo che sta istituendo pratiche familiari al passato sovietico”, dal razionamento delle derrate alimentari alla censura, fino all’indottrinamento dei bambini. “State vedendo solo l’inizio di una privazione che peggiorerà, capiamo che vi farà male, come lo fa a noi, ma dobbiamo mettere fine alla barbarie di Putin”, ha concluso con una nota tetra la prima ministra estone dal podio di Strasburgo.

    Intervenuta alla plenaria del Parlamento UE, la prima ministra Kaja Kallas ha avvertito che “Putin ci metterà alla prova e noi dovremo resistere, questa è una maratona in cui esercitare pazienza strategica”

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    Da Coca-Cola a Pirelli, Nestlé e Ferragamo: i colossi globali che ancora non si sono ritirati dalla Russia

    Bruxelles – Una sorta di boycott Russia, ma questa volta organizzato dalle multinazionali, non dai consumatori. Quella scatenata da  Mosca contro Kiev (che ha il sostegno dell’Occidente) è una guerra che si combatte ormai su tutti i fronti: militare, politico, finanziario ed economico. Oltre all’unità e alla velocità delle sanzioni delle potenze occidentali, ciò che Vladimir Putin difficilmente si poteva aspettare era il boicottaggio su larga scala da parte delle aziende di tutto il mondo contro il mercato e la produzione in Russia. Una ricerca della Yale School of Management ha individuato 250 colossi globali che hanno annunciato il proprio ritiro dalla Russia in segno di protesta contro l’invasione dell’Ucraina e come conseguenza delle misure restrittive messe in campo dall’Unione Europea.
    L’argomento rimane delicato, soprattutto quando c’entrano i soldi: “Altre aziende hanno continuato a operare in Russia imperterrite“, si legge nello studio, complice anche la percentuale di fatturato o produzione che viene realizzata sul territorio russo. Giorno dopo giorno si allunga la lista delle imprese multinazionali che boicottano il Cremlino, ma a oggi (martedì 8 marzo) è possibile identificarne 35 che hanno “un’esposizione particolarmente significativa ai mercati russi”. Non è da escludere che nei prossimi giorni, sull’onda del contraccolpo dell’opinione pubblica, diverse di queste aziende ancora reticenti decidano di seguire l’esempio di chi ha già ritirato o sospeso i propri affari in Russia.

    È soprattutto il settore dell’alimentazione che sta cercando di non esporsi eccessivamente contro Mosca. Coca-Cola, come la principale concorrente Pepsi (che fattura 3,4 miliardi di dollari l’anno in Russia), rischiano di accusare pesantemente il colpo da un eventuale ritiro da questo mercato. Così come Nestlé (1,7 miliardi annuali), Starbucks (130 punti vendita) e McDonald’s (tra Russia e Ucraina balla quasi un 10 per cento del fatturato globale). Ne risentirebbero pesantemente anche i colossi del settore alberghiero, su tutti Marriott (10 strutture in Russia), Hilton (29) e Accor (55). Rimane in attesa anche la casa di moda italiana Salvatore Ferragamo, che vede arrivare dalla Russia l’uno per cento dei propri ricavi (circa 10 milioni di dollari), così come i maggiori operatori nel settore degli pneumatici (Pirelli e Bridgeston, a differenza di quanto deciso da Michelin) e dell’industria del tabacco.
    Ma la questione della perdita di fatturato o di produzione è una scusante fino a un certo punto, considerato il fatto che le 250 aziende che si sono già ritirate dalla Russia hanno dovuto rinunciare a una fetta di mercato difficilmente sostituibile nel breve periodo. L’elenco comprende ogni settore economico e vede una serie di misure che vanno dallo stop delle vendite, delle operazioni commerciali, dei voli sul territorio russo al taglio delle connessioni, delle prenotazioni e delle spedizioni, fino alla chiusura dei punti vendita e degli uffici. Nell’ambito tecnologico ci sono Apple (chiusi i negozi), Alphabet, Microsoft, Netflix, Nintendo, Panasonic e TikTok (operazioni sospese), Meta e Amazon (inserzionisti e venditori russi disattivati), eBay, Ericsson, Nokia e Samsung (stop alle spedizioni), Intel e Sandvik (sospesa la vendita di tecnologie sensibili), Spotify, Twitter e YouTube (che eliminano la propaganda di regime sulle piattaforme).
    Di primo piano, per la questione energetica, sono le decisioni prese da compagnie attive in questo settore. Eni ha deciso di cedere la propria quota del gasdotto Blue Stream con Gazprom, ExxonMobil uscirà dalle joint venture con la russa Rosneft, così come BP (che cederà le sue quote), e Shell ha annunciato oggi che si ritirerà da ogni coinvolgimento in idrocarburi russi e chiuderà tutte le stazioni di rifornimento nel Paese. Sul fronte bancario/finanziario vanno ricordati il taglio dei servizi e dell’accesso ai mercati di capitali da parte di American Express, Asian Infrastructure Investment Bank, Bank of China, BlackRock, Credit Suisse, HSBC, London Stock Exchange, JP Morgan, Mastercard, Nasdaq, PayPal, mentre, su quello della consulenza e assicurazioni, hanno abbandonato la Russia Accenture, Allianz, Generali Assicurazioni, Deloitte, KPMG, McKinsey.
    Nella moda hanno fatto un passo indietro Chanel, H&M, Hermes, Levi Strauss, Mango, Moncler, Nike, Prada e Puma, ed è stata intensa anche la reazione del settore dei motori: hanno fermato le spedizioni e le vendite Stellantis, Aston Martin, Bentley, Ford, General Motors, Harley Davidson, Honda, Jaguar, Mazda, Mercedes-Benz, Nissan, Renault, Rolls Royce, Subaru, Toyota, Volkswagen e Volvo. A mettere sotto pressione il mercato russo saranno soprattutto i colossi della logistica a livello globale, FedEx e Maersk su tutti, ma anche grandi aziende come Ikea, Lego, Danone e Swatch. Tra le prime ad attivarsi già a poche ore dall’invasione dell’Ucraina erano state le federazioni sportive: a oggi sono stati annullati eventi in territorio russo o sono state sospese le squadre russe da Formula 1, calcio a livello UEFA e FIFA, tennis maschile e femminile, rugby, ciclismo, pattinaggio su ghiaccio, hockey, pugilato, atletica e sollevamento pesi, mentre il Comitato Olimpico Internazionale ha impedito a tutti gli atleti russi la partecipazione alle competizioni. A livello di spettacoli ed entertainment, Live Nation ha sospeso tutti i concerti in Russia, Disney, Paramount, Sony e Warner Media hanno messo in pausa ogni nuova uscita di film, e la Federazione Internazionale Felina ha messo al bando i gatti russi da tutte le competizioni internazionali.

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    L’UE introdurrà meccanismo di sanzioni contro propaganda di regime e disinformazione (a partire dalla Russia)

    Bruxelles – Come bombe, mortai e mitragliatrici, “anche la propaganda di Vladimir Putin è uno strumento di guerra che bombarda le menti di russi, ucraini e cerca di colpire anche le nostre”. L’avvertimento è arrivato dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, intervenuto questa mattina (martedì 8 marzo) al dibattito in sessione plenaria del Parlamento UE sulle interferenze straniere nell’Unione Europea. La risposta di Bruxelles è già arrivata la settimana scorsa, con la sospensione della distribuzione dei media statali Russia Today e Sputnik, ma in cantiere è in costruzione una visione più ampia: “Proporrò presto un meccanismo UE per imporre sanzioni alle fonti maligne di informazioni e di propaganda, stiamo mettendo insieme gli strumenti necessari”, ha anticipato Borrell.
    Di fronte a una plenaria quasi all’unanimità compatta dietro alla relazione presentata dall’eurodeputata lettone Sandra Kalniete (PPE), l’alto rappresentante UE ha fornito qualche dettaglio sulla futura proposta di un meccanismo per le sanzioni contro la propaganda di regimi oppressivi: “Lo struttureremo attorno al rafforzamento della resilienza dell’Unione e dei nostri partner, in particolare della società civile, e attorno all’individuazione nel dettaglio di attività di ingerenza”, partendo dal “concetto di contrasto alla disinformazione portato avanti in due anni di pandemia”.
    La guerra in atto in Ucraina “ci mostra come la manipolazione delle informazioni sia uno strumento che si affianca all’assalto militare” e che colpisce indiscriminatamente all’esterno come all’interno del Paese. “Si è arrivati a un completo isolamento della popolazione russa, con una bolla che impedisce di sapere cosa sta accadendo”, ha messo in chiaro l’alto rappresentante UE.
    Borrell ha ricordato che la disinformazione colpisce la popolazione russa sia sulle ragioni dell’invasione, sia sulla situazione attuale in Ucraina: “Nelle settimane prima dell’assalto ha preparato il terreno all’invasione, invertendo causa ed effetto, dipingendo la Russia come vittima di un genocidio e l’Ucraina di Volodymyr Zelensky come un governo nazista da abbattere“. Si tratta non solo di “una distorsione della Storia”, ma anche “un racconto usuale per i russi”, che non possono avere accesso a un’informazione libera. Al contrario “il giro di vite contro i media in Russia ha portato alla criminalizzazione di quella che il Cremlino definisce falsa informazione”. In breve, “parlare di guerra anziché di operazione militare speciale può costare 15 anni detenzione“, ha ricordato l’alto rappresentante Borrell.
    Parlando di quanto l’UE vorrebbe fare per contrastare la propaganda russa (e non solo) con un regime di sanzioni pari a quelle contro oligarchi ed entità vicine al potere autocratico, Borrell ha precisato che “io non sono il ministro della verità, l’essenza delle nostre azioni è colpire gli attori esterni che cercano di influenzare in modo strutturale l’ambiente mediatico per danneggiarci”. Due esempi su tutti, Russia Today e Sputnik: “Sono asset nelle mani del Cremlino con la capacità di condurre guerre di informazione”, che “andavano bloccate perché sul combustibile dell’informazione si basano le azioni politiche dei cittadini e lo stato della democrazia“. Un pericolo che si avverte anche sul territorio dei Ventisette, Italia inclusa: “Bisogna individuare i casi più pericolosi, anche consultando la task force East StratCom” del Servizio europeo di azione esterna (SEAE).
    Prendendo parola dopo l’alto rappresentante, la vicepresidente della Commissione UE per i Valori e la trasparenza, Věra Jourová, si è detta “soddisfatta” che piattaforme come Netflix si siano ritirate dalla Russia, così come del fatto che diversi amministratori delegati di Big Tech “vogliano stare dalla parte giusta della Storia”. Jourová ha attaccato con forza il regime di Putin (“il copione non è cambiato dai tempi dell’Unione Sovietica“) e ha avvertito che “la verità è il nemico peggiore dei regimi oppressivi”. Di qui la necessità per Bruxelles di fare tutto il possibile per bloccare la disinformazione orchestrata dall’esterno, Russia di Putin in prima linea.

    La Commissione Europea si prepara a lavorare su misure restrittive che colpiscano i megafoni dei governi repressivi, come dimostrato dalla disinformazione e dalle ingerenze della Russia “come strumento di guerra”

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    Cittadini, oppositori e giornalisti: la scia di sangue che segna i vent’anni dell’era Putin. Dentro e fuori la Russia

    Bruxelles – Dalla Cecenia all’Ucraina, passando per l’eliminazione fisica delle voci critiche in Russia. In quasi 23 anni di potere ininterrotto, l’autocrate Vladimir Putin ha inanellato una lista di accuse per crimini e morti che si perde nella frammentarietà delle notizie, della negazione di coinvolgimento e delle giustificazioni di protezione del Paese dal terrorismo e dalle provocazioni esterne. Il filo rosso del sangue scorre e si dipana dall’agosto del 1999, quando l’allora neo-primo ministro Putin scatenò l’offensiva contro la Cecenia separatista, fino al marzo 2022, con l’invasione russa dell’Ucraina e gli attacchi indiscriminati alla popolazione di un Paese sovrano e indipendente.
    I crimini ordinati da Putin in Cecenia
    Era il 9 agosto del 1999 quando un allora semi-sconosciuto tenente colonnello ed ex-direttore del Servizio federale per la sicurezza della Federazione russa (erede del KGB sovietico), Vladimir Putin, venne nominato primo ministro della Federazione Russa. Il primo atto del neo-premier (dopo nemmeno tre settimane dall’insediamento) fu un’offensiva militare per riottenere il controllo dei territori conquistati dai separatisti ceceni dopo la fine della prima guerra nella regione (1994-1996). A un mese dall’inizio dei bombardamenti, nel settembre del 1999 Putin dichiarò alla stampa russa che “noi perseguiteremo dappertutto i terroristi e quando li troveremo li butteremo dritti nella tazza del cesso”. Non furono perseguitati solo i terroristi jihadisti, ma anche la popolazione civile.
    Il 21 ottobre 1999 un missile colpì il mercato nel centro della città di Groznyj, provocando la morte di 140 persone, tra cui donne e bambini. Solo una settimana più tardi un aereo russo attaccò un convoglio di profughi ceceni diretti verso la Repubblica d’Inguscezia: furono uccisi in 25, tra civili, volontari della Croce Rossa e giornalisti. Dopo la conquista di Groznyj, nel gennaio del 2000 le rappresaglie russe contro i combattenti ceceni sfociarono nel massacro di Katyr-Yurt, quando 170 civili furono uccisi durante l’attacco a un convoglio protetto da bandiera bianca. Allora Putin aveva accentrato nelle sue mani sia la carica di primo ministro sia di presidente della Federazione Russa. Si stimano tra le 25 e le 50 mila morti di innocenti nei dieci anni complessivi di guerra scatenata da Putin, ma anche crimini di guerra, stupri e saccheggi da parte dell’esercito e dei mercenari assoldati da Mosca. I gruppi russi per i diritti umani e Amnesty International hanno documentato più di 5 mila sparizioni forzate dal 1999 nella Cecenia occupata, all’interno di un quadro che è stato definito “un genocidio”.
    Una situazione che è andata peggiorando con il sorgere del terrorismo ceceno di matrice islamista. Il caso più emblematico dei crimini ordinati da Putin è datato 23-26 ottobre 2002. A seguito dell’attacco da parte di 40 militanti armati del teatro Dubrovka di Mosca – dove tennero per più di due giorni in ostaggio 850 persone – il presidente russo ordinò l’irruzione delle forze speciali Spetsnaz. Non prima di aver dato il via libera alla diffusione nel teatro di un gas derivato del fentanyl (narcotico oppioide) per far perdere i sensi agli assalitori. A causa del panico generato dal gas e dell’intervento armato delle forze speciali, 33 militanti ceceni e 129 ostaggi morirono al teatro Dubrovka, molti dei quali per soffocamento: quasi tutti (almeno 700) rimasero intossicati e alcuni vivono oggi con disabilità dovute agli effetti del composto. Nel 2011 la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo condannò la Russia a pagare oltre un milione di euro di risarcimenti per violazione della Convenzione sui Diritti Umani. La giornalista russa Anna Politkovskaja, prima di essere uccisa, attaccò l’autocrate del Cremlino in questo modo: “Con Putin la Russia sta recuperando i peggiori valori sovietici, come il brutale fondamentalismo stalinista”.
    L’eliminazione fisica di oppositori e giornalisti
    È proprio l’omicidio della giornalista Anna Politkovskaja che apre il capitolo degli assassinii attribuiti al mandato dell’autocrate russo (ma per evidenti ragioni a lui mai imputati). La professionista dell’informazione a cui è oggi intitolata la sala stampa del Parlamento Europeo a Bruxelles fu freddata il 7 ottobre del 2006 nei pressi del suo appartamento a Mosca da cinque uomini. Politkovskaja aveva denunciato dalle colonne di Novaja Gazeta le brutalità commesse dal Cremlino in Cecenia e accusava Putin di aver fatto della Russia uno stato di polizia. Quasi a discolparsi, il padre-padrone della Federazione dichiarò che l’omicidio della giornalista “ha fatto più danni alla Russia e alla Cecenia della sua attività professionale”.
    Come documentato dal Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ), organizzazione indipendente a tutela della libertà di stampa nel mondo, Politkovskaja è una dei 31 giornalisti uccisi in Russia tra il 27 ottobre 1999 e il 29 maggio 2017, cioè da quando Vladimir Putin ha preso le redini del Paese come primo ministro (1999-2000, 2008-2012) o come presidente (1999-2008, 2012-in corso). Tra i crimini più efferati, si ricorda quello di Pavel Klebnikov, creatore e caporedattore della versione in lingua russa della rivista Forbes: il 9 luglio del 2004, dopo la pubblicazione della lista delle persone più ricche di Russia, il giornalista fu assassinato all’uscita della redazione di Mosca e morì nell’ascensore dell’ospedale in cui fu trasportato. Il caso è tuttora irrisolto.
    Tra i crimini mai risolti – ma tutti con il minimo comune denominatore delle vittime in contrasto con Putin – è lunga la lista degli oppositori politici. Fare una stima del numero totale è quasi impossibile a causa delle circostanze misteriose dei decessi e dell’insabbiamento delle indagini, ma basta citare i casi più eclatanti per constatare che tutto il ventennio di dominio quasi assoluto dell’autocrate russo è costellato di assassinii ai danni di chi ha alzato la voce contro Putin. Il 15 aprile 2003 fu ucciso il deputato liberale Sergei Yushenkov, dopo un’inchiesta sugli attentati che quattro anni prima avevano fornito il pretesto per l’invasione della Cecenia. Il 23 novembre del 2006 l’ex-agente del KGB Alexander Litvinenko morì avvelenato con il polonio a Londra (la Corte europea dei diritti umani ha riconosciuto lo Stato russo colpevole nel settembre dello scorso anno).
    Nel 2009 furono uccisi a distanza di pochi mesi gli attivisti Stanislav Markelov e Natalia Estemirova per le investigazioni sugli abusi del Cremlino, in particolare nel Caucaso. Il 16 novembre dello stesso anno morì in carcere l’avvocato Sergei Magnitsky, arrestato per frode fiscale dopo aver studiato casi di corruzione di alcune imprese russe. Le autorità gli avevano negato le cure mediche. Il 23 marzo 2013 l’oligarca Boris Berezovsky fu trovato impiccato nella sua casa di Sunninghill (Regno Unito), ma i giudici inglesi non hanno potuto stabilire che si sia trattato realmente di suicidio. Il 27 febbraio del 2015 Boris Nemcov, ex-vicepremier e una delle principali figure di opposizione al regime di Putin fu assassinato a pochi passi dal Cremlino. L’ultimo di questa lista – se non fosse stato salvato dai medici del Charité Hospital di Berlino – è Alexei Navalny, l’oppositore di Putin avvelenato nell’agosto del 2020 e attualmente detenuto in Russia dopo essere rientrato nel Paese dalla Germania.
    I crimini dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina
    I corpi dei civili uccisi a Irpin, dopo l’attacco dell’esercito russo del 6 marzo 2022 (fonte: New York Times)
    Si inserisce nella cornice dell’invasione russa dell’Ucraina l’ultima lista di crimini ordinati da Putin. Senza dimenticare che il Cremlino sta portando guerra da 11 giorni a uno Stato sovrano, l’esercito russo non sta attaccando solo obiettivi militari, ma anche e soprattutto la popolazione ucraina. Secondo quanto riportato dall’alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCR), tra il 24 febbraio e il 6 marzo sono morti più di 360 civili, che si vanno a sommare agli oltre 4 mila dei sette anni di guerra nel Donbass. Il procuratore generale della Corte penale internazionale dell’Aja, Karim Khan, ha accolto la richiesta di 39 Paesi di aprire un’indagine per crimini di guerra contro l’establishment russo per l’occupazione dell’Ucraina: il focus sarà sulle violenze contro i civili negli otto anni tra l’occupazione della Crimea e l’invasione del territorio ucraino.
    Bombardamenti aerei contro le città – da Kiev a Kharkiv, da Mariupol a Odessa – oltre alle continue violazioni dei cessate il fuoco degli ultimi giorni per evacuare i civili intrappolati nelle zone di combattimento di Mariupol e fuori dalla capitale ucraina. Sabato (5 marzo) in un’imboscata delle forze russe fuori Kiev era caduta anche la troupe di Sky News, che ne era poi uscita incolume. Il fuoco incrociato dell’esercito di Mosca non ha però risparmiati ieri (domenica 6 marzo) una famiglia durante l’evacuazione della città di Irpin: madre, padre e due bambini sono stati colpiti dai colpi di mortaio appena dopo aver attraversato il fiume omonimo per dirigersi verso Kiev. Sono le ultime quattro morti della lista di crimini ordinati direttamente o indirettamente dall’autocrate Vladimir Putin.

    Active investigations formally commence in Ukraine situation upon receipt of referrals by 39 states parties: https://t.co/DDkDs7qHlc
    — Karim A. A. Khan QC (@KarimKhanQC) March 2, 2022

    Dai civili attaccati indiscriminatamente in Cecenia e in Ucraina, alle figure che si opponevano al regime in patria: è lunga la lista delle violenze volute o attribuite all’autocrate ininterrottamente al potere dal 1999