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    La Russia annuncia il ritiro di parte delle truppe dal confine con l’Ucraina. Cauto ottimismo tra i governi europei

    Bruxelles – Alla vigilia del giorno X per l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – almeno secondo quanto emerso negli ultimi giorni dalle previsioni dell’intelligence statunitense – Mosca sembra essere pronta a ritirare dalla frontiera occidentale alcune delle truppe schierate per esercitazioni militari. A riferirlo è l’agenzia di stampa Tass, citando il portavoce del ministero della Difesa russo: “Considerato che l’addestramento militare sta per terminare, le unità dei distretti militari sud e ovest hanno già iniziato a caricare il personale e l’equipaggiamento sui mezzi di trasporto ferroviario e automobilistico e oggi inizieranno a dirigersi verso le loro basi militari”.
    Nel giorno della visita a Mosca da parte del cancelliere tedesco, Olaf Scholz – che ha ribadito la necessità di “ritirare le truppe dal confine con l’Ucraina” – il ministro degli Esteri della Russia, Sergej Lavrov, ha accusato l’Occidente di “terrorismo mediatico” e ha dichiarato che la parziale smobilitazione delle forze “era pianificata e non dipende dall’isteria delle potenze occidentali”. A frenare gli entusiasmi è stato il segretario della NATO, Jens Stoltenberg, prima dell’incontro di domani (mercoledì 16 febbraio) tra i ministri della Difesa dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord. “Non ci sono segnali sul terreno che confermino la riduzione delle truppe della Russia ai confini dell’Ucraina“, ha messo in chiaro Stoltenberg, senza comunque chiudere ai “segnali da Mosca che la diplomazia deve continuare, un motivo di cauto ottimismo”. Per considerarla una vera e propria de-escalation, la NATO vuole vedere il “ritiro di mezzi pesanti e dell’equipaggiamento, non solo quello dei soldati”, considerato il fatto che il vero problema riguarda il mantenimento delle infrastrutture militari “dalla scorsa primavera”.
    Anche se l’annuncio del ritiro delle truppe dalla frontiera con l’Ucraina deve essere ancora confermato dai fatti, come scrivevamo ieri la minaccia reale alla sicurezza europea portata dalla Russia di Vladimir Putin ha comunque fatto scoprire all’Unione Europea di essere più unita di quanto si potesse immaginare. E ora l’ottimismo (cauto) può essere una chiave su cui impostare le prossime giornate comunque molto tese. “Ogni vero passo di de-escalation sarebbe un motivo di speranza“, ha dichiarato la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, che ha però avvertito che “gli annunci devono ora essere seguiti da azioni”. Sulla stessa linea il governo francese: “Se questa notizia positiva venisse confermata, sarebbe un segnale di de-escalation che chiediamo da settimane“, ha riferito in conferenza stampa il portavoce dell’Eliseo, Gabriel Attal.

    Discussed with Prime Minister of Italy #MarioDraghi the security challenges facing Ukraine and Europe today. Exchanged views on intensifying the work of all negotiation formats and unblocking the peace process. I appreciate 🇮🇹’s support for 🇺🇦!
    — Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) February 15, 2022

    Dall’altra parte della frontiera, il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba, ha avvertito che “solo quando ci sarà un ritiro effettivo delle truppe della Russia, parleremo di de-escalation”, perché a Kiev “abbiamo una regola, crediamo solo a quello che vediamo”. Parlando alla BBC, Kuleba ha spiegato che l’Ucraina è al lavoro con i partner occidentali per “prevenire un’ulteriore escalation”. Nel frattempo, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha fatto sapere con un tweet di aver avuto uno “scambio di opinioni” con il premier Mario Draghi “sull’intensificazione del lavoro di tutti i formati negoziali e sullo sblocco del processo di pace”. Palazzo Chigi ha reso noto invece che il premier Draghi ha ribadito il sostegno dell’Italia all’integrità territoriale dell’Ucraina. Proprio a Kiev è atteso oggi (martedì 15 febbraio) il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, nel primo appuntamento della missione diplomatica sulla frontiera orientale che giovedì lo dovrebbe portare a Mosca a colloquio con Lavrov.
    Una nuova preoccupazione per l’Unione Europea riguarda però le zone ucraine non controllate dal governo di Kiev, ovvero le regioni di Donetsk e Luhansk: oggi la Duma di Stato russa ha presentato un appello al presiedente Putin perché le riconosca come entità indipendenti. “Si tratterebbe di una chiara violazione degli accordi di Minsk“, ha attaccato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Il sostegno di Bruxelles all’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale ucraina all’interno dei suoi confini “rimane incrollabile” e Borrell ha esortato il Cremlino a “mantenere i suoi impegni in buona fede”. Gli ha fatto eco il cancelliere tedesco Scholz, al termine del colloquio con Putin: “Il riconoscimento da parte di Mosca delle due repubbliche separatiste sarebbe una catastrofe politica“.
    Intanto dal Parlamento UE è arrivato il via libera alla decisione della Commissione UE di stanziare un piano di aiuti da 1,2 miliardi di euro per aiutare l’Ucraina a “coprire il fabbisogno di finanziamento residuo nel 2022”, si legge nel testo approvato con 598 voti a favore, 53 contrari e 43 astenuti. Secondo la relazione, le motivazioni vanno ricercate nelle “crescenti tensioni geopolitiche”, che “stanno avendo effetti negativi sulla già precaria stabilità economica e finanziaria dell’Ucraina“. Più nello specifico, “le persistenti minacce per la sicurezza hanno determinato un sostanziale deflusso di capitali” e “l’impatto negativo sugli investimenti futuri riduce ulteriormente la resilienza del Paese agli shock economici e politici”, sottolineano gli eurodeputati.

    The EU strongly condemns the Russian State Duma’s decision to submit a call to President Putin to recognise the non-government controlled areas of Donetsk and Luhansk oblasts of Ukraine as independent entities. This recognition would be a clear violation of the Minsk agreements.
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) February 15, 2022

    Si attendono segnali sul terreno di una smobilitazione di truppe e infrastrutture dalla frontiera occidentale. Ma intanto preoccupa il possibile riconoscimento di Mosca delle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk

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    L’Italia invita i concittadini in Ucraina a lasciare il Paese. Il cancelliere tedesco Scholz tenta la mediazione a Mosca

    Bruxelles – Dopo gli Stati Uniti e la Germania, anche l’Italia inizia le operazioni informali di evacuazione dall’Ucraina. Dopo una riunione operativa dell’unità di crisi della Farnesina il ministro per gli Affari esteri, Luigi Di Maio, ha invitato ieri (domenica 13 febbraio) “in via precauzionale” tutti i i cittadini italiani presenti in Ucraina a “rientrare nel nostro Paese con mezzi commerciali“, così come “tutto il personale non essenziale della nostra sede diplomatica a Kiev”. Per il momento, comunque, l’ambasciata italiana “resta pienamente operativa”, ha scritto il ministro degli Esteri in una nota.
    Per l’Italia, che “riconosce pienamente l’integrità territoriale dell’Ucraina”, rimane imprescindibile un doppio sforzo per allentare le tensioni con la Russia di Vladimir Putin. In primis, il coordinamento con i partner NATO e UE “nella definizione di una posizione di fermezza” attraverso sanzioni immediate, nel caso in cui le circa 130 mila truppe di Mosca lungo il confine occidentale dovessero invadere l’Ucraina. Ma contemporaneamente si cerca di mantenere attivi i “canali di dialogo con Mosca, nell’auspicio che arrivino segnali concreti di de-escalation”. A seguire questa linea era stato già il premier Mario Draghi con una telefonata al presidente Putin due settimane fa, mentre il ministro Di Maio si è impegnato negli ultimi giorni in colloqui sia con i ministri degli Esteri europei, sia con quello russo, Sergej Lavrov.

    Nel tentativo di rafforzare la strategia di dialogo con il Cremlino, tra oggi e domani (14-15 febbraio), il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, si recherà tra Kiev e Mosca per colloqui con le due parti quasi pronte al conflitto. La visita di Scholz a Putin segue quella della settimana scorsa del presidente francese, Emmanuel Macron, per tentare di riportare la Russia al tavolo dei negoziati. Secondo le fonti di intelligence degli Stati Uniti la guerra “è imminente” e potrebbe iniziare già questa settimana, ma per i leader dell’UE è prioritario fare il possibile per non scatenare un nuovo conflitto alle frontiere dell’Unione. “È nostro compito assicurarci di prevenire qualsiasi guerra in Europa“, ha sottolineato con forza il cancelliere tedesco, che, prima della partenza, ha chiesto alla Russia “segnali immediati di de-escalation”.

    “In via precauzionale”, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha esortato i connazionali a rientrare nel Paese “con mezzi commerciali”. Il leader tedesco in missione dal presidente russo Putin per tentare di disinnescare la minaccia di guerra

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    Macron-Putin, la distanza imposta da Mosca perché il leader francese ha rifiutato un COVID Test

    Bruxelles – Lontani lontani perché il presidente russo Vladimir Putin ha paura del COVID e non si fida dei test francesi e perché il presidente francese Emmanuel Macron non si fidava a farsi testare dai russi.
    L’agenzia Reuters spiega oggi la ragione del lungo tavolo (quattro metri) tra i due leader durante l’incontro a Mosca di due giorni fa, che tanto aveva fatto discutere nel mondo. Anche l’Eliseo conferma che a Macron i russi avevano chiesto di sottoporsi ad un test eseguito dai loro sanitari, perché così prevede il loro protocollo di protezione di Putin. I francesi però, spiegano che “non è possibile lasciare a Mosca il DNA del presidente”, e anche questa precauzione si capisce facilmente. Dunque l’unica soluzione è stata il tavolone bianco e, probabilmente, un tono di voce molto alto per poter discutere, anche se tramite un’interprete.
    Qualche dubbio che questa sia una spiegazione “diplomatica” e che invece Putin abbia scelto quel tavolo per trasmettere un messaggio di potere resta, perché ovviamente i medici e la sicurezza francesi avrebbero potuto partecipare al test e trattenere il tampone seguito dai russi.

    I controlli eseguiti dai francesi non bastavano per gli uomini che proteggono il russo, ma “non potevamo lasciare il DNA del presidente ai russi”, spiegano dall’Eliseo

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    L’Ucraina chiede ai partner occidentali di “finalizzare la lista di sanzioni contro la Russia in caso di invasione”

    Bruxelles – Mentre da Washington arriva la notizia che l’amministrazione di Joe Biden ha dato il via libera per l’invio di 3 mila soldati per il rafforzamento del fianco orientale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO), da Kiev è sempre più pressante la richiesta ai partner occidentali di “finalizzare la lista di sanzioni economiche contro la Russia in caso di invasione dell’Ucraina“. Lo ha riferito oggi (mercoledì 2 febbraio) durante un briefing con la stampa internazionale il ministro per gli Affari esteri ucraino, Dmytro Kuleba: “Mosca dovrà vedere cosa rischierà concretamente se violerà la nostra sovranità”.
    Il ministro per gli Affari esteri ucraino, Dmytro Kuleba
    Nel suo discorso, Kuleba ha sottolineato con forza che “quello che sta succedendo qui non riguarda solo l’Ucraina, ma tutta l’architettura della sicurezza dell’Europa“, e lo dimostra il fatto che negli anni si sono verificati attacchi e operazioni russe anche sul territorio comunitario e britannico (il riferimento è all’assassinio dell’ex-spia dei servizi segreti russi Aleksander Litvinenko a Londra nel 2006). Oltre alle sanzioni dell’Occidente contro la Russia, l’Ucraina chiede ai partner anche di “rimanere fermi e uniti sulla questione della possibilità di ingresso nella NATO” e di “aiutarci a rafforzare le capacità di difesa e informatiche”.
    Nonostante le operazioni militari di Stati Uniti e Regno Unito (che ha messo in campo un’alleanza militare con Polonia e Ucraina), il ministro ha predicato calma: “Non penso che le truppe russe mobilitate al confine siano sufficienti per un’invasione su larga scala, anche se il loro numero non è diminuito e le infrastrutture militari sono rimaste intatte”. Proprio per questo motivo, “non si può sottostimare la minaccia ed è più facile affrontarla se i partner ci danno il loro supporto”. In Ucraina le potenze della NATO dovranno tenere alta l’attenzione, soprattutto in caso di invasione russa: “Un fallimento lancerebbe in tutto il mondo il messaggio che l’Occidente non sa difendere i propri valori né se stesso“, ha avvertito Kuleba.
    A scanso di equivoci, “non vogliamo effettuare nessuna operazione offensiva, non l’abbiamo mai fatto e non lo vogliamo fare”, ha assicurato il ministro ucraino, che dà la priorità a diplomazia e deterrenza: “Da novembre stiamo dimostrando che l’invasione da parte della Russia può essere evitata, affrontando l’escalation miliatare con il dialogo”. Rimane comunque un fatto che “siamo pronti a ogni scenario e se saremo attaccati, ci difenderemo“. La posizione è la stessa di quella più volte espressa dai leader occidentali – “anche se il tono può cambiare” – ed è sempre ancorata ai tavoli della diplomazia internazionale.

    La richiesta è arrivata dal ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba, durante il briefing con la stampa straniera: “Mosca dovrà vedere cosa rischierà concretamente se violerà la nostra sovranità”

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    L’UE spinge sugli aiuti all’Ucraina, e Draghi cerca di convincere Putin a sedersi al tavolo dei negoziati

    Bruxelles – Una chiamata da Roma a Mosca per allentare la tensione tra le potenze occidentali e la Russia. Mentre l’UE ha presentato formalmente il piano di aiuti da 1,2 miliardi di euro per l’Ucraina già annunciato la settimana scorsa dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, il primo ministro italiano, Mario Draghi, ha tenuto stamattina (martedì primo febbraio) un colloquio telefonico con il presidente russo, Vladimir Putin, per tentare di portare avanti la strada del dialogo (come fatto anche dal presidente francese, Emmanuel Macron).
    Una nota di palazzo Chigi rende noto che “al centro dei colloqui ci sono stati gli ultimi sviluppi della crisi ucraina e le relazioni bilaterali” tra Italia e Russia, con il premier Draghi che ha sottolineato “l’importanza di adoperarsi per una de-escalation delle tensioni“, anche considerate le “gravi conseguenze che avrebbe un inasprimento della crisi”. Insieme al presidente Putin “è stato concordato un impegno comune per una soluzione sostenibile e durevole della crisi“, ma si è anche sottolineata “l’esigenza di ricostruire un clima di fiducia”.
    Una conversazione telefonica avvenuta sullo sfondo della proposta da parte della Commissione UE per il nuovo programma di assistenza macrofinanziaria di emergenza per l’Ucraina, che dovrà essere soggetto ora al vaglio di Consiglio e Parlamento Europeo (ed eventualmente adottato). “Questo pacchetto aiuterà l’Ucraina ad affrontare il suo fabbisogno finanziario dovuto alle sfide economiche e politiche che il Paese sta vivendo”, ha commentato la presidente von der Leyen. Secondo l’esecutivo UE, “una rapida adozione di questa proposta permetterà di erogare immediatamente una prima tranche di 600 milioni di euro all’Ucraina“.
    Parallelamente alla proposta sul programma di emergenza, la Commissione UE ha deciso di aumentare “significativamente” l’assistenza bilaterale che fornirà nel 2022 all’Ucraina sotto forma di sovvenzioni. Dal 2014, le istituzioni finanziarie europee hanno stanziato oltre 17 miliardi di euro in sovvenzioni e prestiti a Kiev per sostenere la lotta alla corruzione, lo Stato di diritto e il rafforzamento delle strutture statali.

    As I announced last week, the @EU_Commission has proposed a €1.2 billion financial assistance package for Ukraine.
    I call on @Europarl_EN and EU countries to agree swiftly, so we can disburse a first tranche of €600 million as soon as possible.
    The EU stands with Ukraine. pic.twitter.com/TqBivrTM4V
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) February 1, 2022

    A proposito della questione del rafforzamento delle capacità di risposta di Kiev agli attacchi ibridi di Mosca, la commissione speciale sulle Ingerenze straniere nei processi democratici e la disinformazione (INGE) del Parlamento Europeo ha tenuto questo pomeriggio un’audizione sulla strategia della Russia nello spazio informatico. “I cyberattacchi russi hanno un effetto cognitivo, cioè vogliono dimostrare la debolezza nella capacità di riposta dei Paesi colpiti, per mettere in discussione la loro stessa esistenza“, ha spiegato agli eurodeputati Sanda Svetoka, esperta del Centro di eccellenza NATO per le comunicazioni strategiche.
    Come dimostrato dal caso dell’Ucraina di poche settimane fa – a cui l’UE ha fornito immediata assistenza – “nel caso delle azioni offensive a livello informatico c’è una zona grigia più ampia su quello che consideriamo guerra o no“. In questo caso, la “vittoria” sugli avversari avviene “danneggiando infrastrutture critiche, come i sistemi informatici, elettrici o di traffico, con un’interruzioni dei servizi”, ha precisato Svetoka.

    “E’ stato concordato un impegno comune per una soluzione sostenibile e durevole della crisi”, ma anche sottolineata “l’esigenza di ricostruire un clima di fiducia”

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    Si stringe la collaborazione tra UE e Stati Uniti per allentare le tensioni con la Russia

    Strasburgo – Si intensifica il coordinamento transatlantico per affrontare una crisi con la Russia di Vladimir Putin che non accenna a risolversi. L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, il segretario di Stato degli Stati Uniti, Antony Blinken, il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, e la presidenza di turno polacca dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), si sono confrontati ieri sera (mercoledì 19 gennaio) per trovare una posizione comune sulle minacce portate dalla Russia all’Ucraina e all’Europa in generale.
    Una nota diffusa dal Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) spiega che i quattro partner “hanno discusso dell’impegno militare russo intorno all’Ucraina, così come gli impegni diplomatici bilaterali e internazionali in corso” per tentare di giungere a una de-escalation sul confine orientale. Sottolineata la necessità di “sostenere i principi fondamentali” dell’architettura di sicurezza europea, ma soprattutto di “continuare intense consultazioni per risolvere la situazione attraverso un impegno diplomatico bilaterale e multilaterale“. La strategia è quella di presentare “un fronte transatlantico forte, chiaro e unito”.
    Si spiega così l’invito dell’alto rappresentante UE Borrell al segretario di Stato Blinken a partecipare al Consiglio Affari esteri di lunedì prossimo (24 gennaio) a Bruxelles. La volontà di “rafforzare ulteriormente il coordinamento con gli Stati Uniti e con la NATO” era emersa anche al vertice informale dei ministri UE della Difesa e degli Esteri della settimana scorsa a Brest (Francia), con la richiesta all’alto rappresentante Borrell di portare questa collaborazione al tavolo delle discussioni sulla crisi in atto con la Russia. “Continueremo il nostro impegno negli sforzi diplomatici internazionali in corso e nello stretto coordinamento transatlantico“, ha fatto sapere Borrell su Twitter. “L’UE e gli Stati Uniti rimangono uniti per affrontare le sfide alla sicurezza in Europa”, ha aggiunto.

    I have invited @SecBlinken to join FAC discussions on Russia/Ukraine on Monday. Look forward to continue our engagement on ongoing international diplomatic efforts & continued close transatlantic coordination. The EU & U.S stand together to face challenges to security in Europe.
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) January 19, 2022

    L’alto rappresentante UE, Josep Borrell, ha invitato il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, a partecipare al prossimo Consiglio Affari esteri a Bruxelles: in agenda le soluzioni per risolvere la crisi sul fronte orientale

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    Prorogate fino a luglio le sanzioni economiche contro Mosca per la crisi in Ucraina

    Bruxelles – Il Consiglio dell’UE ha deciso oggi (13 gennaio) di prorogare per altri sei mesi, fino al 31 luglio 2022, le sanzioni contro alcuni settori economici della Russia per la crisi in Ucraina. La decisione assunta oggi segue la valutazione che i capi di Stato e governo hanno fatto all’ultimo Consiglio Europeo del 16 dicembre sull’attuazione degli accordi di Minsk da parte di Mosca per la pace in Ucraina orientale.
    Il Consiglio dell’UE ricorda in una nota che le sanzioni sono state introdotte la prima volta a luglio 2014, “in risposta alle azioni della Russia di destabilizzazione della situazione in Ucraina”, con l’annessione della penisola di Crimea. Limitano l’accesso ai mercati dei capitali primari e secondari dell’UE per alcune banche e società russe e vietano forme di assistenza finanziaria e di intermediazione nei confronti delle istituzioni finanziarie russe. Stop anche all’importazione, l’esportazione o il trasferimento diretto o indiretto di tutto il materiale che riguarda il comparto della difesa. Le misure restrittive limitano inoltre l’accesso russo ad alcune tecnologie sensibili che possono essere utilizzate nel settore energetico, ad esempio, nella produzione e nell’esplorazione del petrolio.

    La decisione del Consiglio dell’UE fa seguito all’ultima valutazione dei capi di Stato e governo al Vertice europeo di dicembre sull’attuazione degli accordi di Minsk da parte di Mosca

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    Soldati russi in Kazakistan per aiutare il regime a reprimere le proteste. L’UE temporeggia (e fa male)

    Bruxelles – In Kazakistan sono stati paracadutati i soldati russi dell’alleanza militare guidata da Mosca per aiutare il regime a reprimere le proteste in corso da sabato scorso (1 gennaio) e per l’UE è una notizia tutt’altro che rassicurante. Non lo è sotto due aspetti: per prima cosa, il caso dell’Ucraina dovrebbe aver dimostrato che quando la Russia invia soldati in un Paese confinante è per rispondere a mire egemoniche e territoriali. Ma soprattutto perché il Kazakistan rappresenta un attore geopolitico chiave sul piano energetico e in particolare per i piani (divisivi) di transizione verde dell’UE: non solo per l’estrazione di gas naturale – risorsa fondamentale nel pieno della crisi energetica globale – ma anche per le aspirazioni sul nucleare della Commissione Europea e di parte degli Stati membri. Senza dimenticare l‘accordo rafforzato di partenariato e cooperazione UE-Kazakistan, che fa di quella kazaka la repubblica ex sovietica con cui il blocco dei Ventisette vanta relazioni approfondite.
    Insomma, l’UE rischia di perdere il Kazakistan. Avrebbe tutti gli interessi per alzare la voce sul coinvolgimento russo nel Paese, ma al momento temporeggia. “Prendiamo nota della richiesta di assistenza al Trattato di Sicurezza Collettiva per un periodo di tempo limitato e per stabilizzare la situazione. Questo intervento deve rispettare la sovranità del Paese“, ha commentato oggi (giovedì 6 gennaio) la portavoce della Commissione UE, Nabila Massrali, durante il punto quotidiano con la stampa. “Continuiamo a seguire la situazione delicata in corso in Kazakistan, l’Unione Europea è pronta a sostenere il dialogo per arrivare a una risoluzione pacifica della situazione”.
    Proteste ad Almaty, Kazakistan
    L’UE monitora la situazione, ma intanto il Cremlino si è attivato attraverso l’alleanza composta da Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. L’obiettivo è quello di sostenere il regime del presidente Kassym-Jomart Tokayev a riprendere il controllo del Paese, dopo l’ondata di violenze che ha travolto Almaty, la città più grande del Kazakistan, e la capitale Nur-Sultan (Astana, fino a marzo 2019). A scatenare il disordine è stata la decisione del governo di eliminare il limite massimo al prezzo del GPL, facendo lievitare i prezzi del carburante. Ad Almaty si stanno riunendo da giorni migliaia di manifestanti, con duri scontri con le forze dell’ordine: ieri (mercoledì 5 gennaio) è stata assaltata la sede del governo locale.
    La risposta del presidente Tokayev è stata particolarmente dura. Dopo aver sciolto l’esecutivo, ha dichiarato lo stato di emergenza – che prevede coprifuoco e limitazioni di libertà di assemblea – ha ordinato alle forze di sicurezza di reprimere proteste “nel modo più duro possibile”, ha bloccato l’accesso a Internet su tutto il territorio nazionale e infine ha assunto personalmente la guida del Consiglio di Sicurezza, (l’organo che si occupa di questioni militari e di sicurezza), togliendola a Nursultan Nazarbayev, l’ex-presidente kazako dal 1990 al 2019. Come gesto estremo ha invocato l’aiuto del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) contro le “azioni di terroristi e banditi”, subito approvato dall’alleanza e a cui ha dato una risposta sul campo la Russia di Vladimir Putin.
    A far temere interessi che vanno aldilà della solidarietà dell’alleanza in Asia centrale è la concomitanza di eventi con la crisi a un’altra frontiera della Russia, quella ucraina. A causa di un possibile intervento di Mosca nel Paese, l’alto rappresentante UE per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si è recato sulla frontiera orientale dell’Ucraina per ribadire il sostegno di Bruxelles alla sovranità dell’Ucraina, e anche l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord si è mobilitata: per domani è previsto un vertice straordinario dei ministri degli Esteri NATO e mercoledì prossimo (12 gennaio) si terrà la riunione del Consiglio NATO-Russia.
    Il presidente del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev
    Mosca si muove su diversi scenari strategici e sembra essere preoccupata dall’incapacità del presidente kazako di tenere sotto controllo le proteste in un Paese alleato a livello militare ed economico (partner dell’Unione eurasiatica, con Bielorussia, Armenia e Kirghizistan), che dal crollo del regime sovietico non ha praticamente mai assistito a forme di dissenso organizzato di dimensioni rilevanti. Se l’ondata di violenze è scattata a causa dell’aumento dei prezzi del gas, è facile comprendere che si tratta solo dell’ultima goccia in un vaso ormai colmo dopo tre decenni di autoritarismo: come riportano fonti di The Guardian, i manifestanti chiedono riforme politiche, elezioni libere ed eque, opportunità di lavoro, migliori condizioni di vita e la fine del regime nepotista e corrotto. La stabilità politica che ha conosciuto il Kazakistan dal 1990 a oggi è stata frutto di un dominio incontrastato dell’ex presidente Nazarbayev (leader post-sovietico più longevo, a cui è stato dedicato il nuovo nome della capitale), che solo dal 2019 ha iniziato a passare il testimone del potere ai suoi uomini più fidati.
    Un ultimo parallelismo che si può facilmente delineare – e che ancora una volta coinvolge le mire egemoniche russe – è quello con la Bielorussia di Alexander Lukashenko. Anche in questo caso l’ultimo dittatore d’Europa è ininterrottamente al potere da decenni (dal 1995) e da agosto del 2020 sta reprimendo nel sangue le proteste dell’opposizione, grazie al sostegno militare e finanziario del Cremlino. Se in entrambi i Paesi le proteste sono scoppiate in modo dirompente dopo anni di autoritarismo e con rivendicazioni di diritti civili e politici, il Kazakistan presenta però alcune differenze che rischiano di far naufragare le speranze di democrazia.
    Prima di tutto la violenza delle proteste (mai verificatasi in Bielorussia) ha dato una scusa alla Russia per intervenire in modo formale, attraverso l’attivazione di una clausola dell’alleanza. In secondo luogo, l’eliminazione sistematica di qualsiasi astro nascente dell’opposizione ha lasciato il movimento di protesta privo di figure carismatiche attorno alle quali unirsi. L’opposizione bielorussa invece ha sempre potuto contare sulla voce forte e ascoltata a livello internazionale della presidente riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya, che in queste ore ha preso posizione sulla questione kazaka: “L’invio di truppe è un’ingerenza militare negli affari di un altro Stato e Lukashenko non ha nessun mandato per inviare truppe bielorusse”.
    Infine, a differenza del caso bielorusso, nei confronti del Kazakistan l’UE sta mantenendo un atteggiamento attendista. “Pur riconoscendo il diritto a manifestazioni pacifiche, l’Unione Europea si aspetta che esse rimangano non violente ed evitino qualsiasi incitamento alla violenza”, si legge in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE). Intanto però non viene rispettata quella richiesta di “proporzionalità nell’uso della forza” da parte delle autorità kazake e la Russia muove le proprie pedine nell’area centro-asiatica. Mentre i leader europei dovranno trovare una linea comune con la NATO sulla situazione sul confine ucraino e non dimenticare il sostegno all’opposizione bielorussa, per l’UE è già tempo di ragionare su come affrontare le ingerenze russe in Kazakistan, se non vuole già dire addio a una parte dei propri piani sulla transizione verde.

    Belarus troops deployed to 🇰🇿 participate in an armed intervention into internal affairs of a sovereign state. Lukashenka lost legitimacy & has no mandate to make such decisions, especially when they threaten the sovereignty of Belarus itself. We call for dialogue in 🇰🇿. pic.twitter.com/MelHdjID7f
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) January 6, 2022

    Si tratta di una nuova fonte di preoccupazione per Bruxelles, dopo la crisi in Ucraina: il Kazakistan è un attore geopolitico fondamentale per la transizione verde dell’UE, sia per il gas sia per il nucleare