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    Il premier canadese Trudeau al Parlamento UE: “Democrazia non è un caso, va difesa. In Ucraina non possiamo fallire”

    Bruxelles – È una chiamata a raccolta di “ogni possibile sforzo deliberato e consapevole a difesa della democrazia, ovunque nel mondo e in particolare in Ucraina”, quello che il primo ministro del Canada, Justin Trudeau, ha rivolto agli eurodeputati nel corso del suo intervento di oggi (mercoledì 23 marzo) in sessione plenaria del Parlamento UE. “La democrazia non è un caso e in Ucraina non possiamo fallire, perché ora quel popolo sta difendendo anche i nostri valori”, ha messo in chiaro il premier canadese.
    Dal 2017, la prima volta di Trudeau al Parlamento UE (e in assoluto di un premier canadese), “il mondo è cambiato, anche se già allora avvertivamo qualcosa di cupo all’orizzonte”. Dopo una pandemia e una recessione globale, “con in corso i pericoli dei cambiamenti climatici e dell’indebolimento delle istituzioni democratiche”, l’invasione “criminale” dell’Ucraina da parte della Russia “getta i nostri cittadini in un senso di incertezza sul futuro”. La guerra sul fronte orientale rappresenta la “violazione dei precetti più sacrosanti del diritto internazionale e ora Vladimir Putin bombarda anche i civili, in disprezzo flagrante dei diritti e della vita umana”, ha attaccato Trudeau davanti a un Parlamento UE che lo ha applaudito a lungo quando ha ricordato che “ora dobbiamo difendere Kiev e pensare all’impegno per la ricostruzione del Paese dopo la guerra“.
    Il primo ministro del Canada, Justin Trudeau (23 marzo 2022)
    È in quest’ottica che il premier canadese ha ribadito con forza che “in Ucraina non possiamo fallire, dobbiamo essere all’altezza del momento storico davanti al quale noi partner ci troviamo”. Per l’Europa e il Canada, “uniti in modo incrollabile nella difesa dei valori che ci accomunano”, la Russia di Putin rappresenta una “minaccia alle regole per la stabilità e la pace e per la protezione dei cittadini”. Tuttavia, di fronte a questa minaccia, le democrazie mondiali hanno dato una grande prova di solidità: “Putin pensava che fossimo deboli, vedendo i nostri disaccordi e le nostre discussioni“, ha ricordato Trudeau. Tuttavia, “il rigore del dibattito e l’impegno civile è quello che ci rende forti e la democrazia sarà sempre migliore dell’autoritarismo”. La dimostrazione è lo stesso “errore di valutazione” commesso dall’autocrate russo: “Ora è come un boomerang contro di lui, non siamo mai stati più risoluti a livello NATO“, ha assicurato il premier canadese.
    A proposito di NATO, Trudeau domani sarà impegnato in un vertice dei leader che dovrà decidere se e come rafforzare militarmente il fronte orientale dell’Alleanza. Citando le parole del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky (“La luce vincerà sull’oscurità”), Trudeau ha concluso il suo intervento al Parlamento UE ricordando che “tutti gli europei possono contare sul sostegno totale del Canada”, come dimostra l’impegno anche militare del Paese. Il governo di Ottawa dirige una missione di dieci Paesi membri della NATO in Lettonia e ha deciso di raddoppiare i contributi all’Alleanza per gli anni avvenire, perché “la sicurezza dell’Europa è la sicurezza del Canada“. Ma la questione investe tutti i partner mondiali che si oppongono all’invasione dell’Ucraina: “Dobbiamo incrementare la pressione con le sanzioni e mostrare che la decisione di aggredire un Paese sovrano è un fallimento strategico, che porta a costi rovinosi per Putin e la Russia”, ha messo in chiaro il premier canadese, prima di essere salutato dalla standing ovation della plenaria.

    Nel suo intervento davanti agli eurodeputati riuniti in sessione plenaria, il leader del Canada ha sottolineato “l’errore di Putin nel considerare deboli le nostre democrazie”. Lungo applauso sulla necessità di “difendere Kiev e impegnarsi per la ricostruzione del Paese dopo la guerra”

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    Unione Europea, oscar come attore non protagonista

    In questo contesto drammaticamente difficile e spietato si leggono i nomi degli attori che possono porsi come intermediari nel conflitto tra Russia ed Ucraina: gli Stati Uniti, la Cina, la Turchia e… l’Unione Europea?
    La posizione dei paesi dell’Unione Europea
    Sia chiaro, è ben noto che l’UE, attraverso i suoi leader nazionali, si muove verso la direzione diplomatica, ma è qui, paradossalmente, che il suo limite si evidenzia e si rende visibile.
    Prendiamo come esempio i casi più rappresentativi.
    Il premier francese Emmanuel Macron, che con il suo partito “En Marche” ha più volte espresso il desiderio e la visione di un’Unione Europea salda e compatta, ha avuto colloqui privati con Vladimir Putin.
    Essere risolutore della controversia potrebbe portare un enorme consenso che, con ogni probabilità, può tradursi in un risultato elettorale favorevole in vista delle prossime elezioni presidenziali che si terranno ad aprile nel Paese d’Oltralpe e che porranno l’attenzione dei “cugini” ad un bivio riguardo la percezione della Francia nel mondo.
    Infatti, probabilmente, il presidente in carica si troverà al ballottaggio contro il presidente del Rassemblement National,  Marine Le Pen, che più volte si è espressa, se non favorevole al regime russo, critica nei confronti dell’unità europea.
    Da più fronti si è fatta avanti la proposta di porre l’ex cancelliera tedesca, Angela Merkel, per mediare con il presidente russo, in virtù delle sue qualità e competenze.
    Tuttavia è necessario far notare che per quanto credibile, l’ex leader dell’Unione Cristiana Democratica è, ad oggi, “in pensione” e il suo partito non è più al governo del suo paese.
    In Germania infatti, dopo i risultati elettorali, vede l’SPD, i Liberali e i Verdi come forza di maggioranza e il CDU all’opposizione.
    Per cui, pur non potendo fare un bilancio negativo della figura politica e amministrativa rappresentata dalla Merkel alla guida della “locomotiva d’Europa”, viene spontaneo chiedere e chiedersi: possibile che non vi sia nessun rappresentante istituzionale europeo, ad oggi in carica, in grado di rappresentare l’Unione e la sua posizione in questo momento delicato?
    Risulta davvero necessario lasciare il passo ad Erdogan, Xi Jinping o Biden?
    Ultimo, e per certi versi più doloroso, capitolo riguarda il ruolo italiano.
    L’Italia sta gradualmente vivendo un periodo di ridimensionamento nello scenario internazionale, senza prolungarsi nell’annoso discorso riguardante i nostri vicini, Albania e Libia in primis, nei quali sono sempre meno presenti posizioni solide di interesse nazionale, i suoi rapporti con l’orso russo sembrano deteriorati, Pratica di Mare è lontana.
    Il ministro degli Esteri, Luigi di Maio, pubblicamente viene sbeffeggiato dagli organi della Federazione e dichiara in una nota trasmissione televisiva che:
    “Tra un cane e Putin, quello atroce è il secondo”.
    Non è necessario essere Bismark o Cavour per comprendere che in situazioni delicate la forma e la sostanza spesso coincidono e che la cautela è un prerequisito fondamentale in diplomazia.
    Il premier Draghi dal canto suo cerca di porsi in una condizione intermedia, facendo i conti con la realtà.
    Le sanzioni, per quanto stringenti, potrebbero non bastare in un’ottica di organizzazione comunitaria.
    Se, da un lato il mercato europeo è appetibile per Mosca e inevitabilmente esiste una perdita nel paese, dall’altro è bene far notare che non è l’unico interlocutore commerciale e per certi versi le misure stringenti adottate si avvertono anche in Europa che vede aumentare i prezzi di beni di consumo come il grano e i costi dell’energia.
    Il costo della vita aumenta mentre, in Italia, gli stipendi restano stabili, certo, la condizione non è figlia esclusivamente del conflitto, ma è bene far notare come le tensioni sociali si rendono sempre più evidenti.
    Attraverso questa breve e sommaria analisi infatti è possibile riassumere che i singoli Paesi siano attenti al conflitto, limitandone, per quanto possibile, ulteriori eventi catastrofici e facendosi largo procedendo verso la strada diplomatica, la migliore auspicabilmente.
    L’Unione Europea necessita di perseguire i propri interessi e la sua politica estera comune
    Una politica estera comune per sopravvivere al contesto globale
    Tuttavia viene a mancare la direzione unitaria dell’attore europeo, che risulta essere carente, in questo contesto, di una dimensione politica e strategica comune e unitaria.
    Risulta possibile dunque evidenziare, per certi versi, dei limiti dell’Unione nel contesto internazionale?
    Un attore internazionale che è primario in termini di diritti, di welfare nei confronti dei suoi, purtroppo pochi, cittadini, e che è unito da cultura, storia e trattati, per quanto tempo ancora può non avere rilevanza a favore di vere e proprie autocrazie?
    Siamo ben lontani dai falsi miti del “fardello dell’uomo bianco” o da altre narrazioni etnocentriche che pongono l’Occidente, in questo caso declinato nel contesto europeo, come guida ispirata ed illuminata del mondo, ma non possiamo sottovalutare i rischi che si rendono sempre più evidenti.
    Ora è necessario distinguere i due criteri di “potenza” degli attori in gioco: l’hard e il soft power.
    L’hard power russo, cinese, pakistano, è noto, come lo è il deterrente che inevitabilmente si crea quando il proprio interlocutore è una potenza nucleare.
    Tuttavia non è possibile sottovalutare anche il soft power, ovvero quelli elementi culturali, sociali, che vengono perpetrati attraverso metodi comunicativi e mediatici, basti pensare a Russia Today o Sputnik e la propaganda filo-cinese, specialmente durante la prima fase pandemica.
    Interessi strategici, economici, militari, ma anche sistemici di valori, che l’UE non può abbandonare se l’intenzione è sopravvivere.
    In ottica “coloniale” abbiamo visto come Pechino si espande in Africa, nel Mediterraneo e ponendosi sempre più come traino asiatico; altri attori emergono sempre più; l’Occidente sembra diviso tra Stati Uniti che, gradualmente “tornano a casa” e un’Europa ancora in formazione, non compatta e immatura.
    Lo scenario che si prospetta è verosimilmente, diversamente a quanto vissuto negli ultimi 80 anni, multipolare, ed esiste la forte necessità di un’Unione Europea unita, stabile e salda, non frammentata in Stati che si renderanno sempre più marginali.
    L’Occidente europeo saprà rinnovarsi e sciogliere i nodi rappresentati dalle sfide future?

    Questo contributo è stato pubblicato nell’ambito di “Parliamo di Europa”, un progetto lanciato da
    Eunews per dare spazio, senza pregiudizi, a tutti i suoi lettori e non necessariamente riflette la
    linea editoriale della testata.

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    Le sanzioni alla prova del nove. Task force UE e G7 al lavoro per sequestrare i beni degli oligarchi russi e bielorussi

    Bruxelles – Proseguono senza sosta i lavori delle due nuove task force per individuare, congelare e sequestrare i beni e le proprietà degli oligarchi russi e bielorussi colpiti dalle sanzioni in tutti i Paesi membri dell’UE e del G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti d’America) e in Australia. L’unità operativa Freeze and Seize della Commissione Europea ha iniziato a lavorare al fianco della Russian Elites, Proxies, and Oligarchs (REPO), per garantire l’efficacia dei quattro pacchetti di sanzioni adottati nelle ultime settimane e per coordinare a livello globale l’attuazione dei sequestri di yacht, ville, aziende e ogni tipo di bene posseduto all’estero dalla cerchia stretta di Vladimir Putin e di Alexander Lukashenko.
    “Questo coordinamento renderà il perseguimento degli oligarchi russi e bielorussi nell’UE una possibilità concreta”, ha spiegato il commissario per la giustizia, Didier Reynders. Questo tipo di iniziative è “vitale per ottenere il congelamento e la confisca rapida” di tutto ciò che può rientrare nella ricchezza dei soggetti che stanno finanziando la guerra russa in Ucraina: “La nostra azione congiunta può fare la differenza a livello globale, mostra veramente la solidarietà e l’unità di fronte alla guerra“. Lo ha confermato anche la commissaria per i Servizi finanziari, Mairead McGuinness: “Le nostre misure combinate stanno avendo un impatto significativo, l’economia russa è in caduta libera” e a questo punto è necessario intensificare il contrasto a “tutti i tentativi di fornire servizi finanziari e legali per facilitare l’evasione delle sanzioni”. L’UE “non offrirà alcun rifugio sicuro agli oligarchi che sostengono la macchina da guerra russa”, ha attaccato con forza la commissaria.

    A oggi sono 877 gli individui e 62 le entità a essere stati colpiti dal congelamento dei beni sotto le sanzioni dell’UE, come conseguenza dell’aggressione russa all’Ucraina. Tra questi anche Andrey Melnichenko, re del settore dei fertilizzanti e del carbone, a cui la polizia italiana ha sequestrato nel porto di Trieste uno yacht di 143 metri e dal valore di 530 milioni di euro: la settimana scorsa Melnichenko ha fatto un appello alla pace per scongiurare il rischio di una “crisi alimentare globale” (e per mettere in salvo i suoi affari d’oro in Europa e nel mondo). Oltre al congelamento e sequestro dei beni, agli oligarchi russi e bielorussi saranno vietati viaggi e transiti sul territorio UE e non sarà nemmeno possibile mettere a loro disposizione fondi o servizi.
    La task force Freeze and Seize è composta dalla Commissione Europea, da rappresentanti dei 27 governi nazionali, da Eurojust ed Europol e si riunirà ogni settimana. Nella prima riunione dell’11 marzo, presieduta dal commissario Reynders, è stato fatto il punto sulle misure già adottate, la situazione dei procedimenti giudiziari in corso e le possibilità di confisca dei beni secondo le basi giuridiche dell’Unione e dei Paesi membri. Da allora è in corso il lavoro di coordinamento operativo, per la condivisione delle informazioni all’interno dell’Unione e la messa in pratica dei sequestri dei beni degli oligarchi russi e bielorussi.

    Stabilito il coordinamento tra i Paesi membri con due unità operative per garantire l’efficacia delle sanzioni adottate contro Mosca e Minsk dopo l’aggressione dell’Ucraina e per continuare il lavoro di ricerca delle proprietà da congelare

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    Il dialogo tra Usa e Cina per spingere Mosca a trattare. Pechino resta neutrale ma vuole stabilità

    Roma – Quella di Jake Sullivan, consigliere americano per la Sicurezza nazionale, è una missione che conta più di quanto si potrebbe forse pensare. A Roma da ieri, l’alto funzionario ha incontrato il responsabile della politica estera del Partito comunista cinese Yang Jiechi e oggi il consigliere diplomatico del Presidente Draghi Luigi Mattiolo. In stallo la diplomazia tra i due attori principali del conflitto, il dialogo tra Usa e Cina ha il delicato compito di mettere sui binari giusti un negoziato, una sorta di tavolo “preparatorio” con l’obiettivo di convincere Pechino ad abbandonare la sua posizione neutrale. In subordine, spingere Putin a smussare le rigidità che in questo momento sono insormontabili e ostacolano ogni minimo negoziato compreso quello sulla garanzia dei corridoi umanitari.
    Washington ha avvertito la Cina che un eventuale supporto militare alla Russia “avrebbe serie conseguenze” anche se le indiscrezioni pubblicate dalla stampa americana non hanno trovato conferma. Ma a parte le schermaglie e le uniche notizie fatte filtrare, il confronto tra le due potenze mondiali potrebbe essere il passo necessario per agevolare una concreta trattativa sulla guerra. In sostanza per fermare le bombe, il passaggio obbligato sembra essere Pechino e la Cina è probabilmente l’unico interlocutore che può spendere la sua forza di ingerenza sulla Russia.
    E potrebbe agire in questa direzione non per fare un favore ai nemici di Putin e schierarsi apertamente con l’Occidente ma perché non ha interesse a mantenere l’instabilità provocata dalla guerra che compromette i suoi affari.
    Dopo questo primo round, la posizione cinese per ora però non cambia, teme le conseguenze delle sanzioni che critica, anche per gli effetti indiretti sulla sua economia. La leva per mettere pressione a Putin si gioca su questo fronte (e forse anche su quello interno di Taiwan e Hong Kong), in un orizzonte di riposizionamento che gli Stati Uniti possono decidere di offrire. Strada lunga, che per ora non consente facili ottimismi ma è con queste lenti che va visto il confronto di questi giorni.
    In questi venti giorni di guerra il governo italiano è stato criticato per la sua assenza dalle manovre diplomatiche in giro per l’Europa, un giudizio respinto dal presidente del Consiglio Draghi. Roma resta però un crocevia importante, “non dobbiamo cercare un ruolo ma dobbiamo cercare la pace e ora è Putin che non la vuole”, ha sintetizzato il premier a Versailles, come a sottolineare gli esiti poco fruttuosi delle mediazioni messe in campo finora dai diversi leader europei.  Nel breve colloquio di Draghi con Jack Sullivan a Palazzo Chigi è stata condivisa “la ferma condanna per l’aggressione ingiustificata da parte della Russia e la necessità di continuare a perseguire una risposta decisa e unitaria nei confronti di Mosca”. I due  si sono inoltre detti d’accordo sull’importanza di intensificare ulteriormente i contatti tra Italia e Stati Uniti a tutti livelli, alla luce degli eccellenti rapporti bilaterali e del legame transatlantico.
    L’Italia intanto si fa invece vedere e rafforza le iniziative sul fronte degli aiuti e dell’accoglienza ai profughi, impegno che il ministro degli Affari esteri Luigi Di Maio ha confermato con le visite di ieri e oggi in Romania e Moldavia.

    Il summit di Roma tra Sullivan e Jang Yiechi non ha sbloccato le posizioni anche se il confronto tra le due potenze mondiali sembra essere l’unica strada per favorire un negoziato tra Russia e Ucraina. La Cina resta neutrale ma teme le sanzioni. Italia protagonista sul fronte dell’accoglienza

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    Gli effetti delle sanzioni. Il leader russo dei fertilizzanti e del carbone chiede la pace in Ucraina, “o sarà crisi alimentare”

    Bruxelles – Al diciannovesimo giorno di guerra in Ucraina, si iniziano ad aprire le prime crepe nel cerchio magico di Vladimir Putin. In un’intervista rilasciata a Reuters, l’oligarca russo Andrey Melnichenko – re del settore dei fertilizzanti e del carbone e finito nella lista delle sanzioni UE – ha fatto un appello alla risoluzione pacifica del conflitto in Ucraina: “Ne abbiamo bisogno urgente, perché una delle vittime di questa crisi sarà l’agricoltura e il cibo in tutto il mondo“. In attesa del quarto pacchetto di misure restrittive (previsto per oggi), le decisioni prese da Bruxelles in coordinamento con i partner del G7 sembrano aver dato uno scossone non solo all’economia russa, ma anche al mondo imprenditoriale vicino al Cremlino. Che davanti alla chiusura dei mercati globali e alla perdita di fatturato potrebbe abbandonare la nave dell’autocrate russo.
    Fondatore di EuroChem (uno dei più grandi produttori di fertilizzanti) e di SUEK (il principale produttore di carbone della Russia), Melnichenko è l’ottavo oligarca russo per patrimonio stimato (17,9 miliardi) e compare tra gli 862 individui colpiti dalle sanzioni dell’UE, dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina lo scorso 24 febbraio. “La guerra ha già portato all’impennata dei prezzi dei fertilizzanti che non sono più accessibili agli agricoltori”, ha sottolineato Melnichenko, avvertendo che “ora porterà a un’inflazione alimentare ancora più alta in Europa e a probabili carenze di cibo nei Paesi più poveri del mondo”. Senza fare diretto riferimento a Putin, l’oligarca russo ha definito “veramente tragici” gli eventi in Ucraina, giustificando così la propria presa di posizione a favore della pace.
    Ma è chiaro che la vera determinante è la componente economica. Il rischio di essere trascinati verso il basso dall’isolamento internazionale sta iniziando a diventare concreto per gli imprenditori miliardari russi. La Russia è uno dei principali produttori al mondo di potassio, fosfato e fertilizzanti contenenti azoto ed EuroChem, che è una delle prime cinque aziende di fertilizzanti al mondo, sarebbe messa in ginocchio da una crisi alimentare globale. Lo scorso 9 marzo Melnichenko si è dimesso da membro del Consiglio di amministrazione e dalla direzione dell’azienda, dopo che l’UE lo ha sanzionato per la sua partecipazione a un incontro al Cremlino con Putin e altri 36 uomini d’affari, identificandolo come uno dei principali uomini d’affari coinvolti nei settori economici-chiave per il il finanziamento della campagna militare russa. Sabato scorso (12 marzo) la polizia italiana ha sequestrato nel porto di Trieste lo yacht di Melnichenko, il Sailing Yacht A di 143 metri e dal valore di 530 milioni di euro.

    Si iniziano a intravedere le prime crepe nel cerchio magico di Putin dopo i tre pacchetti di misure restrittive UE e G7 (in attesa del quarto): l’oligarca Melnichenko fa un appello “urgente” alla fine del conflitto in Ucraina: “Una delle vittime di questa crisi sarà l’agricoltura e il cibo in tutto il mondo”

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    ‘Non siete voi che ci cacciate, siamo noi che ce ne andiamo’: la Russia annuncia l’uscita dal Consiglio d’Europa

    Bruxelles – È una guerra militare contro l’Ucraina e una guerra diplomatica contro l’Europa. La Russia di Vladimir Putin annuncia l’uscita dal Consiglio d’Europa con una giravolta, anticipando una decisione che avrebbe potuto prendere il Comitato dei Ministri su richiesta dell’Assemblea parlamentare nella sessione plenaria di lunedì e martedì prossimi (14-15 marzo), in virtù delle continuo violazioni dei diritti dell’uomo scatenate con l’invasione dell’Ucraina. “La Russia non parteciperà alla campagna condotta dalla NATO e dai suoi obbedienti seguaci dell’UE per trasformare la più antica organizzazione europea in un’altra piattaforma per la predicazione della superiorità occidentale”, è l’accusa contenuta in una nota il ministero degli Esteri di Mosca.
    Con toni da propaganda (“gli eventi si stanno avvicinando a un punto di non ritorno”, causato dalle “azioni sovversive intraprese dall’Occidente per sopprimere il diritto internazionale”) il Cremlino ha anticipato l’uscita dall’organizzazione internazionale composta da 47 Paesi membri, che si occupa della difesa dei diritti umani – e che non ha niente a che fare con le istituzioni dell’Unione Europea. In verità nella nota non c’è nessun riferimento all’attivazione dell’articolo 7 dello Statuto del Consiglio d’Europa, quello che permette a uno Stato membro di ritirarsi notificando formalmente la propria intenzione al segretario generale. Ma, leggendo nemmeno troppo tra le righe, è chiara l’intenzione di muoversi in questa direzione e a breve è attesa la notifica a Strasburgo. “Lasciamo che si godano la reciproca compagnia senza la Russia”, è la conclusione beffarda della nota del Cremlino.
    Con questa mossa di portata storica – che non si è mai verificata nei 63 anni di vita dell’organizzazione – la Russia sta cercando di ribaltare la narrazione dei fatti e di uscire da una situazione di difficoltà. Lo scorso 25 febbraio, il giorno dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, il Comitato dei Ministri (di cui l’Italia ha la presidenza di turno) aveva sospeso i suoi diritti di rappresentanza sia nel Comitato sia nell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Sospensione, non radiazione, e questo significa che a oggi la Russia è uno Stato membro, che ha l’obbligo di rispettare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e che le domande presentate contro Mosca continuano a essere esaminate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. La revoca dell’appartenenza, secondo l’articolo 8 dello Statuto, può essere invece attivata dal Comitato dei Ministri dopo la richiesta allo Stato membro di ritirarsi ai sensi dell’articolo 7: in caso di rifiuto e di continua violazione dei propri doveri internazionali, il Comitato può decidere la cessazione immediata dei diritti di appartenenza nel Consiglio d’Europa.

    Dopo la sospensione decisa lo scorso 25 febbraio (a un giorno dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina), con toni da propaganda Mosca ha anticipato una possibile revoca dell’appartenenza da parte del Comitato dei Ministri

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    Nuova stretta dell’UE contro Russia e Bielorussia: sanzioni per altri 160 oligarchi, anche Minsk fuori da Swift

    Bruxelles – Si allunga e tocca quota 915 la lista di entità (53) e individui (862) colpiti dalle sanzioni UE contro Russia e Bielorussia, dopo l’invasione dell’Ucraina. Lo ha annunciato oggi (mercoledì 9 marzo) il Consiglio dell’UE, dopo l’accordo di questa mattina degli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper). Si aggiungono altri 160 responsabili della cerchia di Vladimir Putin, mentre il sistema finanziario di Minsk viene tagliato fuori dal sistema dei pagamenti internazionali Swift e la Banca Centrale bielorussa dalle transazioni globali.
    Come si legge nella nota del Consiglio, nella lista di sanzioni UE compaiono ora altri 14 oligarchi e uomini “di spicco” coinvolti in settori economici-chiave (metallurgia, agricoltura, farmaceutica, telecomunicazioni) per supportare la guerra della Russia contro l’Ucraina, ma anche i 146 membri del Consiglio della Federazione Russa che hanno ratificato le decisioni di Putin sui “Trattati di amicizia” tra Mosca e le autoproclamate Repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk. Saranno congelati i loro beni nell’UE (alcuni sono anche in Italia), sarà vietato mettere a loro disposizione fondi e saranno vietati viaggi e transiti sul territorio comunitario.
    Sempre nella sezione russa, il Consiglio ha introdotto ulteriori misure restrittive per l’esportazione di beni per la navigazione marittima e la tecnologia delle radiocomunicazioni: da oggi sarà vietato vendere, fornire, trasferire o esportare beni in questi settori “a qualsiasi persona fisica o giuridica, entità o organismo” per l’uso o l’installazione a bordo di una nave che batte bandiera russa. Cruciale anche la precisazione su servizi d’investimento, valori immobiliari, prestiti e strumenti del mercato monetario da cui devono essere esclusi coloro che sono stati colpiti dalle sanzioni, che va a includere “chiaramente” anche gli asset in criptovalute.
    Non c’è solo la Russia, ma anche l’ormai Stato-satellite Bielorussia, nell’inasprimento delle sanzioni UE, già implementate giovedì scorso (3 marzo) per la partecipazione del regime di Alexander Lukashenko alla guerra in Ucraina e per le implicazioni del referendum-farsa sulla fine dello status di Paese non-nucleare. Sulla falsariga di quanto messo in atto una settimana fa per sette istituti bancari russi, tre banche bielorusse sono state tagliate dal sistema di pagamenti internazionali Swift: si tratta di Belagroprombank, Bank Dabrabyt e Development Bank of the Republic of Belarus. In aggiunta, sono state vietate tutte le transazioni con la Banca Centrale di Bielorussia e la quotazione di enti statali del Paese. Nella logica di prosciugare le riserve di liquidità di Minsk, è stato deciso anche di vietare la fornitura di banconote-euro al Paese, di limitare l’accettazione di depositi di cittadini bielorussi a 100 mila euro e di impedire loro l’accesso all’acquisto di titoli in valuta euro.

    Le misure restrittive sono state approvate dal Consiglio dell’UE contro i responsabili e i fiancheggiatori dei regimi di Putin e Lukashenko per il supporto all’invasione e alla guerra in Ucraina

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    La premier estone Kallas spinge l’UE sulla difesa comune e sull’adesione dell’Ucraina: “Se non ora, quando?”

    Bruxelles – Di fronte alla minaccia russa, i Baltici cercano di prendere il timone per guidare l’Unione Europea sull’onda dell’intransigenza nella risposta al Cremlino. Ora come nel prossimo futuro. “A Mosca sono sicuri che prima o poi ci stancheremo della nostra iniziativa e chiederemo di tornare al tavolo dei negoziati. Putin ci metterà alla prova e noi dovremo resistere, questa è una maratona in cui esercitare pazienza strategica”, così ha esortato i Ventisette a sostegno dell’Ucraina la prima ministra dell’Estonia, Kaja Kallas, dall’Aula del Parlamento UE di Strasburgo.
    L’Estonia condivide con la Russia circa 300 chilometri di confine e, dopo l’invasione dell’Ucraina, “niente può più essere come prima“, ha attaccato Kallas. Non può esserlo soprattutto nel rapporto con il Cremlino sul tema della sicurezza europea e globale, il tema del dibattito all’Eurocamera di questa mattina (mercoledì 9 marzo) in cui la premier estone è intervenuta. Tracciando le linee di intervento del “dopo” l’invasione, la leader del Paese baltico ha indicato due aree su cui l’UE dovrà concentrarsi: la difesa comune e il sostegno all’Ucraina. “Il nostro atteggiamento di deterrenza deve diventare una politica di contenimento intelligente”, ovvero “consolidare ciò che il mondo libero ha realizzato nelle ultime settimane”, dalla denuncia dell’aggressione dell’Ucraina all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a larghissima maggioranza, all’indagine della Corte penale internazionale dell’Aja sui crimini contro l’umanità da parte dell’establishment russo.
    La premier dell’Estonia, Kaja Kallas (9 marzo 2022)
    La questione più urgente è la difesa comune. La decisione di utilizzare il Fondo europeo per la pace per assistere l’Ucraina “è solo un primo passo verso il rafforzamento della nostra sicurezza continentale”, ha commentato Kallas, sottolineando che “il rafforzamento delle nostre capacità di difesa comune devono andare mano nella mano con la NATO“. Difesa comune europea significa “pianificare la nostra spesa in modo saggio e coordinato” e “concentrarci sulle capacità troppo costose per ogni singolo Stato membro”, come i missili a lungo raggio. Nel delineare la strategia – che sarà oggetto del confronto tra i leader UE di domani e venerdì (10-11 marzo) – la premier estone ha spinto perché “le nostre capacità europee siano mobili e all’avanguardia“, perché “se la Russia può avere una forza militare enorme, noi possiamo competere con una tecnologia di qualità e all’avanguardia”.
    Ma il nuovo ordine mondiale non dovrà dimenticare “chi guarda all’Unione Europea come un luogo sicuro e pacifico“. L’Ucraina “è stata attaccata dalla Russia nel 2014 perché voleva entrare nell’UE e il 24 febbraio perché cerca di prendere il posto che le spetta tra di noi”, ha puntato il dito la premier Kallas. È nell’interesse dei Ventisette che Kiev “diventi più stabile, più prospera e solidamente fondata sullo Stato di diritto, come il caso dell’Estonia dimostra”, e di qui la necessità di “dare una prospettiva di adesione” all’Ucraina: “È un dovere morale, perché gli ucraini stanno combattendo anche per l’Europa. Se non ora quando?”
    La leader del Paese baltico non ha avuto esitazioni a definire l’azione di Bruxelles come “unità da Unione geopolitica“, che “ha sorpreso Putin, il mondo e oserei dire anche noi stessi”, dal momento in cui “abbiamo cambiato più nelle ultime due settimane che nei precedenti trent’anni”. È notizia di questa mattina che gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno dato il via libera per inasprire le sanzioni contro Russia e Bielorussia. “Un nuovo pacchetto di sanzioni economiche contro più di 100 responsabili del governo e dell’oligarchia russa sta già circolando tra i Paesi membri”, ha confermato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell.

    🔴 #Ukraine | Approbation par le COREPER II de nouvelles sanctions à l’encontre de dirigeants et oligarques russes et de membres de leurs familles impliqués dans l’agression russe contre l’Ukraine. ⤵️ 1/5 #PFUE2022 pic.twitter.com/SHatb7ZD4z
    — Présidence française du Conseil de l’UE 🇫🇷🇪🇺 (@Europe2022FR) March 9, 2022

    Nel suo intervento alla plenaria del Parlamento UE, la premier estone Kallas ha parlato sia dei profughi in arrivo dall’Ucraina, sia del popolo russo. Sono già 2 milioni quelli in fuga dal territorio ucraino verso l’UE “e continueranno ad arrivare, perché in un conflitto i rifugiati si dirigono verso dove c’è sicurezza, e non è la Russia”. L’obiettivo di Putin è quello di “terrorizzare i civili”, una strategia già sperimentata a Grozny, nel corso della seconda guerra cecena: “Asili, ospedali, edifici residenziali sono presi di mira, in violazione del diritto internazionale umanitario”.
    Ma la guerra di Putin è anche contro il proprio stesso popolo. “Ha lasciato i russi senza accesso alla verità, vivono isolati dall’informazione”, ha attaccato Kallas. “Il nostro compito è quello di rompere questo muro di bugie“, mobilitando “il nostro potenziale tecnologico per vincere la guerra per la verità” anche grazie al “ruolo enorme delle piattaforme globali di Internet”. La premier estone si è rivolta direttamente ai cittadini russi, ricordando che “l’Unione Europea non sta agendo contro di voi, ma è il vostro governo che sta istituendo pratiche familiari al passato sovietico”, dal razionamento delle derrate alimentari alla censura, fino all’indottrinamento dei bambini. “State vedendo solo l’inizio di una privazione che peggiorerà, capiamo che vi farà male, come lo fa a noi, ma dobbiamo mettere fine alla barbarie di Putin”, ha concluso con una nota tetra la prima ministra estone dal podio di Strasburgo.

    Intervenuta alla plenaria del Parlamento UE, la prima ministra Kaja Kallas ha avvertito che “Putin ci metterà alla prova e noi dovremo resistere, questa è una maratona in cui esercitare pazienza strategica”