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    Che cosa significa liberalizzazione dei visti per un Paese extra-Ue ed extra-Schengen e a quali è stata concessa

    Bruxelles – Dopo un’attesa di oltre cinque anni, anche per i cittadini del Kosovo sarà in vigore al più tardi dal primo gennaio 2024 la liberalizzazione dei visti in ingresso nell’area Schengen. Un successo politico che cambierà da un punto di vista pratico la vita ai kosovari, gli ultimi in Europa a poter beneficiare di una prerogativa che per i cittadini dell’Unione Europea ormai è data pressoché per scontata. Oggi (19 aprile) è stato formalizzato a Strasburgo l’accordo di liberalizzazione dei visti con Pristina, alla presenza della presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, il vicepremier kosovaro, Besnik Bislimi, e il relatore per l’Eurocamera, Thijs Reuten, che in occasione del via libera dalla sessione plenaria ha rilasciato un’intervista a Eunews.
    Ma cosa significa liberalizzazione dei visti per un Paese extra-Ue? Nella pratica si tratta dell’esenzione dal dover fare richiesta per ottenere il visto d’ingresso per accedere allo spazio Schengen, ovvero l’area che ha ha abolito le frontiere interne. I cittadini di questi Stati possono utilizzare semplicemente il proprio passaporto nazionale – senza ulteriori requisiti richiesti – per viaggiare e soggiornare fino a 90 giorni (in un periodo complessivo di 180 giorni) nei Paesi Ue e Schengen.
    Tutti i cittadini dei Paesi membri Ue possono attraversare liberamente le frontiere interne con la propria carta d’identità – anche quelli che non fanno parte dello spazio Schengen, cioè Cipro, Bulgaria, Irlanda e Romania – così come i cittadini dei territori esterni appartenenti ai 27 Paesi Schengen (Groenlandia, Isole Svalbard, Guyana Francese, Nuova Caledonia e altri territori d’oltremare). All’area che ha abolito le frontiere interne aderiscono anche quattro Stati extra-Ue: Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera. I cittadini di un qualsiasi altro Paese nel mondo solitamente devono fare richiesta di un visto (di lavoro, turistico, di studio), che è l’atto con il quale uno Stato concede a un individuo straniero il permesso di accedere nel proprio territorio. Tuttavia l’Ue ha istituito una politica di visti comune per soggiorni di breve durata, transito nel territorio o negli aeroporti internazionali degli Stati Schengen.
    Sulla base di una valutazione caso per caso la Commissione può proporre ai co-legislatori del Parlamento e del Consiglio dell’Ue una decisione per la liberalizzazione dei visti. La valutazione si basa su una serie di criteri pre-stabiliti: migrazione irregolare, ordine pubblico e sicurezza, vantaggi economici (turismo e commercio estero), diritti umani, libertà fondamentali, implicazioni di coerenza regionale e reciprocità. Le nuove decisioni sull’esenzione devono essere adottate da entrambi i co-legislatori, dopo i negoziati bilaterali con il Paese interessato.

    Signed, sealed, delivered.
    Proud moment for @Europarl_EN as today we gave our final green light for visa liberalisation with Kosovo.
    This will make life easier for the people of Kosovo – to travel, to do business, to deepen the bond with fellow Europeans. pic.twitter.com/cZVx5eZ8QU
    — Roberta Metsola (@EP_President) April 19, 2023

    A quali Stati è stata concessa la liberalizzazione dei visti
    Le decisioni sulla liberalizzazione dei visti vanno ad aggiornare i due elenchi annessi al Regolamento del 2018: quello dei ‘Paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne’ e quello dei ‘Paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo’. Del primo elenco fanno parte tutti gli Stati del mondo con cui non sono in vigore accordi per la liberalizzazione dei visti, sia quelli per cui il visto è sempre necessario per entrare o transitare in qualsiasi Paese Schengen (Afghanistan, Bangladesh, Eritrea, Etiopia, Ghana, Iran, Iraq, Nigeria, Pakistan, Repubblica Democratica del Congo e Somalia), sia quelli per cui non è richiesto in tutti i Paesi Schengen. I cittadini di Stati appartenenti a questo elenco devono rispettare le regole nazionali sui visti richieste da ciascun membro Ue o Schengen.
    Il secondo elenco conterà invece 64 membri al più tardi dal primo gennaio 2024, quando il Kosovo sarà spostato dal primo elenco. Di questo elenco fanno parte anche due regioni amministrative speciali della Cina (Hong Kong e Macao) e Taiwan (autorità territoriale non riconosciuta come Stato da tutti i membri Ue). Gli accordi con Bielorussia, Russia e Vanuatu sono stati invece sospesi. Questa la lista dei Paesi a cui è stata concessa la liberalizzazione dei visti:
    Albania, Andorra, Antigua e Barbuda, Argentina, Australia, Bahamas, Barbados, Bosnia ed Erzegovina, Brasile, Brunei, Canada, Cile, Colombia, Corea del Sud, Costa Rica, Dominica, El Salvador, Emirati Arabi Uniti, Georgia, Giappone, Grenada, Guatemala, Honduras, Hong Kong, Isole Salomone, Israele, Kiribati, Kosovo, Malaysia, Macao, Macedonia del Nord, Isole Marshall, Mauritius, Messico, Micronesia, Moldova, Monaco, Montenegro, Nauru, Nicaragua, Nuova Zelanda, Palau, Panama, Paraguay, Perù, Saint Christopher (Saint Kitts) e Nevis, Regno Unito, Samoa, San Marino, Santa Lucia, Serbia, Seychelles, Singapore, Stati Uniti, St. Vincent e Grenadine, Taiwan, Timor Est, Tonga, Trinidad e Tobago, Tuvalu, Ucraina, Uruguay, Vaticano e Venezuela.

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    INTERVISTA / Reuten: “La liberalizzazione dei visti per il Kosovo è l’inizio di un nuovo capitolo. Ma ci abbiamo messo troppo”

    Bruxelles – Un piccolo passo per l’Unione Europea, un grande passo per il Kosovo. Anche se, a ben vedere, le condizioni per arrivarci c’erano già tutte da anni e questo non fa particolare onore ai Ventisette. Con il voto favorevole in Parlamento Europeo è arrivato il via libera definitivo alla liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo, gli ultimi in tutta Europa – fatta eccezione per Russia e Bielorussia – a cui non bastava esibire il proprio passaporto per accedere ai Paesi membri dell’Ue e dello spazio Schengen. “È l’inizio di un nuovo capitolo nelle nostre relazioni”, lo ha definito il relatore per il Parlamento Europeo, Thijs Reuten (S&D), in un’intervista concessa a Eunews.
    Fra pochi mesi per tutti i Paesi dei Balcani Occidentali – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – varranno le stesse regole di ingresso nell’area che ha abolito le frontiere interne: per i soggiorni di breve durata (fino a 90 giorni in un periodo complessivo di 180) non è necessario richiedere un visto, ma è sufficiente presentare il passaporto. Ciò che per i cittadini dell’Unione Europea è pressoché scontato diventerà una realtà anche per quelli kosovari, finalmente più vicini a sentirsi davvero parte “dello stesso continente, della stessa famiglia, dello stesso patrimonio culturale, della stessa storia”, è la speranza dell’eurodeputato olandese.
    Che significato ha il via libera alla liberalizzazione dei visti per il Kosovo?
    “L’adozione definitiva della liberalizzazione dei visti per il Kosovo da parte della sessione plenaria del Parlamento Europeo significa che abbiamo completato l’iter legislativo e che domani [19 aprile, ndr] si potrà svolgere la cerimonia di firma. Era un momento atteso da tempo, perché il Kosovo soddisfa i criteri da molti anni. Si tratta di una svolta storica, considerato il fatto che i cittadini kosovari che non hanno accesso a un passaporto albanese o serbo non possono viaggiare facilmente nel resto d’Europa. E ha anche un valore simbolico: per me è l’inizio di una nuova era, perché finalmente il Kosovo si unirà a tutti gli altri Paesi esenti da visto”.
    Quando entrerà in vigore l’esenzione?
    “Al più tardi il primo gennaio 2024 i cittadini kosovari saranno esenti dal visto. Avrei voluto fosse prima, ma l’esenzione è legata all’entrata in vigore dell’Etias [Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi, ndr], che è stato rimandato troppe volte. Avrebbe dovuto essere già attivo, secondo il piano originale. Se accadrà un miracolo e il sistema entrerà in funzione prima, teoricamente la liberalizzazione dei visti per il Kosovo potrebbe arrivare in una data precedente. Ma ora concentriamoci sul primo gennaio 2024″.
    Il relatore per la liberalizzazione dei visti per il Kosovo, Thijs Reuten, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti
    Cosa cambierà in quel momento per i cittadini kosovari?
    “Che potranno decidere di viaggiare liberamente nell’Unione Europea. Dovranno comunque mostrare il passaporto quando entreranno nei Paesi membri Ue o dell’area Schengen, come molte altre persone provenienti da tutto il mondo, ma non dovranno più pensare a ottenere un visto. Ogni volta che si deve passare attraverso questa procedura, è come passare da un esame, anche se si soddisfano tutte le condizioni. Noi cittadini dell’Unione Europea siamo abituati a viaggiare facilmente ovunque con il nostro passaporto e dobbiamo chiedere un visto in pochissimi Paesi. Ma per i cittadini kosovari finora è stato l’esatto contrario”.
    Perché ci è voluto tanto tempo?
    “Credo che ci sia voluto così tanto tempo per questioni politiche in seno al Consiglio. Alcuni governi hanno usato quest’ultimo dossier in sospeso sulla liberalizzazione dei visti in Europa per dibattiti politici interni. Ma ci sono sempre elezioni in programma o problemi politici per posticipare le decisioni. È molto semplice: se stabiliamo regole e condizioni – e un Paese le raggiunge tutte – dobbiamo rispettare gli impegni. Purtroppo l’Unione Europea ha una tradizione nel non rispettare sempre le condizioni, ma questo mina la fiducia nel processo di allargamento, come nel caso della liberalizzazione dei visti in Kosovo”.
    Il primo ministro albanese, Edi Rama, ha dichiarato che i cittadini kosovari erano meglio collegati all’Europa quando facevano parte della Jugoslavia…
    “Il Kosovo è stato lasciato indietro per troppo tempo, è l’ultimo Paese europeo a cui è stata garantita la liberalizzazione dei visti. Persino la Bosnia ed Erzegovina e il Montenegro l’hanno ottenuta molto tempo fa. I cittadini kosovari sono stati marginalizzati, con il risultato che si sono sentiti meno liberi o meno inclusi rispetto ai tempi dell’ex-Jugoslavia. Più ci si pensa, più la situazione è ridicola. In ogni caso, il Kosovo ha mantenuto la propria fiducia nel processo legislativo e ora ci siamo lasciati tutto questo alle spalle”.
    Qual è stata la posizione dei gruppi politici del Parlamento Europeo?
    “Al Parlamento Europeo non c’è mai stato alcun problema e siamo sempre stati i co-legislatori che hanno spinto per la liberalizzazione dei visti. Da quando il Kosovo ha soddisfatto tutte le condizioni più di quattro anni fa, sulla base del rapporto della Commissione Europea, abbiamo spinto con una larga maggioranza per andare avanti con la liberalizzazione. E alla fine anche al Consiglio dell’Ue, quando l’anno scorso la presidenza ceca ha intravisto una finestra di opportunità, abbiamo potuto finalmente trovare un accordo grazie a tutti i governi. Perché in fondo spostare il Kosovo da una lista all’altra non era una questione così complicata a livello tecnico”.
    Eppure cinque Stati membri dell’Ue non riconoscono ancora il Kosovo come Stato indipendente.
    “Spagna, Grecia, Cipro, Romania e Slovacchia hanno avuto percorsi diversi nella loro posizione di non-riconoscimento del Kosovo, ma spero che tutti si impegnino in questo dibattito. Conto davvero su di loro nella valutazione dela situazione: non deve accadere la settimana prossima o il mese prossimo, ma abbiamo bisogno di un cambiamento. Penso che non sarebbe molto logico se questi cinque Paesi non mostrassero almeno la loro volontà di muoversi nella direzione del riconoscimento del Kosovo. In particolare considerando la direzione che l’Ue sta prendendo sull’accordo di normalizzazione, che vogliamo sia vincolante e implementato”.
    Si riferisce agli accordi tra Kosovo e Serbia raggiunti tra febbraio e marzo.
    “Sì, e vedo una situazione che va verso il riconoscimento del Kosovo. Perché l’accordo prevede il riconoscimento dei documenti di viaggio e dei simboli nazionali, la non-opposizione da parte della Serbia all’adesione di Prishtina alle organizzazioni internazionali, e anche il non incoraggiare altri a bloccarla. Sono fiducioso che arriveranno buone notizie nei prossimi mesi, grazie a questo accordo: sarà istituito un comitato di attuazione e sono già in corso colloqui molto importanti, per esempio quello sulle persone scomparse. A piccoli passi, ci stiamo muovendo”.
    Si è discusso molto sul fatto che l’accordo non è stato firmato. Allo stesso tempo, l’Ue sta usando la leva finanziaria come strumento di persuasione per la sua implementazione.
    “Se l’accordo non sarà implementato, ci saranno pesanti conseguenze. Dobbiamo essere rigorosi e alzare la posta in gioco. Perché ora abbiamo un accordo vincolante, e credo che l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, abbia fatto un ottimo lavoro. Non ci deve essere nessuna questione a proposito della firma, l’attenzione in Serbia e in Kosovo deve essere rivolta solo all’implementazione dell’accordo, perché inseriremo quanto concordato nel quadro dei processi di adesione all’Ue di Kosovo e Serbia”.
    Che implicazioni ha tutto ciò per la Serbia?
    “Entrambi i Paesi devono attuare l’accordo il più velocemente possibile, naturalmente. Tuttavia, abbiamo visto il Kosovo negoziare in modo duro, ma in buona fede, mentre dall’altra parte il presidente serbo [Aleksandar Vučić, ndr] vuole creare una sorta di insicurezza nei confronti del processo. A questo si aggiunge il fatto che abbiamo un commissario ungherese [per il vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, ndr] che non sta facendo gli interessi dell’Unione Europea, cioè avvicinare tutti i Paesi candidati all’Unione Europea su un piano di parità e agli stessi standard. Solo un paio di settimane fa, il giorno dopo essere tornato a Belgrado dicendo che non avrebbe firmato l’accordo, Vučić ha ottenuto 600 milioni di euro dall’Ue, la più grande sovvenzione mai concessa alla Serbia. Per questo ho presentato un’interrogazione scritta alla Commissione Europea”.
    Cosa dovrebbe chiedere l’Ue a Belgrado?
    “Sono un amico della Serbia, voglio che anche questo Paese entri nell’Ue, ma dobbiamo essere chiari sulle condizioni: democrazia, strutture politiche imparziali, Stato di diritto. E l’adesione all’UE non può essere raggiunta se la Serbia è coinvolta in azioni destabilizzanti, dal Montenegro alla Bosnia ed Erzegovina e nell’erosione della democrazia. Se riusciamo a trovare la strada per rendere la sua adesione un successo, in qualità di più grande Paese e maggiore potenza economica, la Serbia potrebbe guidare l’intera regione a entrare nella famiglia dell’Unione Europea”.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (18 marzo 2023)

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    Le ventiquattr’ore di svolta per il Kosovo. Bruxelles riceve la richiesta di adesione Ue e trova l’intesa sui visti

    Bruxelles – Tutto in ventiquattr’ore, o quasi. Difficilmente i cittadini e i leader politici del Kosovo scorderanno ciò che è successo tra il pomeriggio di mercoledì 14 e giovedì 15 dicembre, quando il Paese balcanico ha siglato e presentato all’Unione Europea la richiesta di adesione e, parallelamente, ha visto stringere l’intesa tra i co-legislatori del Parlamento e del Consiglio dell’Ue per la liberalizzazione dei visti Schengen per Pristina al più tardi entro il primo gennaio del 2024.
    Il testo della richiesta di adesione del Kosovo all’Unione Europea
    “In qualità di rappresentante del Consiglio dell’Unione Europea ho ricevuto ufficialmente la richiesta di adesione all’Ue dalle mani del primo ministro del Kosovo, Albin Kurti“, ha reso noto il ministro ceco per gli Affari europei e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Mikuláš Bek: “La prospettiva europea è una forte garanzia di pace e prosperità nei Balcani Occidentali”. Lo stesso premier Kurti ha sottolineato “l’impegno incrollabile” del suo Paese nei valori fondamentali dell’Unione – “libertà, democrazia, diritti umani, uguaglianza e Stato di diritto” – attraverso la richiesta di adesione firmata ieri insieme alla presidente della Repubblica, Vjosa Osmani, e al presidente dell’Assemblea nazionale, Glauk Konjufca. Non è solo “un giorno storico per il popolo kosovaro”, ma anche “un grande giorno per la democrazia in Europa”, ha voluto sottolineare Kurti a Praga (il cui semestre di presidenza del Consiglio terminerà il prossimo 31 dicembre). La visione è quella di “un’Europa integra, libera e in pace” a cui anche il Kosovo vuole partecipare pienamente, “senza una porta sul retro né una corsia preferenziale”.
    In questo contesto, il Kosovo dovrà affrontare due sfide parallele, che al momento bloccano la strada verso la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue: cinque Stati membri non ne riconoscono l’indipendenza (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia), mentre è necessaria la finalizzazione di un accordo giuridicamente vincolante sulla normalizzazione delle relazioni con la Serbia (da cui Pristina ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza nel 2008). Bruxelles considera il 2023 l’anno decisivo per portare a termine il dialogo mediato da oltre 10 anni. Citando “l’Europa come compito” dell’ex-presidente ceco, Václav Havel, il premier del Kosovo ha parlato di un rafforzamento della democrazia, dell’economia e della società, fissando come obiettivo l’adesione entro una decina d’anni: “Il nostro accordo di associazione per la stabilizzazione è già stato attuato per circa il 50 per cento”.

    At the heart of Europe, in the beautiful city of Prague, we officially submitted to the Czech EU Presidency our application for EU membership.
    This is a historic day for the people of Kosova, and a great day for democracy in Europe. pic.twitter.com/BD4VwrjODa
    — Albin Kurti (@albinkurti) December 15, 2022

    Un endorsement alla richiesta di adesione all’Ue di Pristina è arrivato oggi dall’Eurocamera, in particolare dal presidente della delegazione per le relazioni con la Bosnia ed Erzegovina e il Kosovo, Romeo Franz, e dalla relatrice permanente per il Kosovo, Viola von Cramon-Taubadel. “La giornata di oggi segna una pietra miliare nelle nostre relazioni”, dal momento in cui la richiesta di adesione all’Unione “non riflette solo l’orientamento fortemente europeista dei kosovari e il consenso dei partiti politici”, ma è anche “una chiara scelta strategica in questi tempi di sfide geopolitiche senza precedenti”, hanno sottolineato i due eurodeputati tedeschi del gruppo dei Verdi/Ale. La richiesta netta al Consiglio è quello di “incaricare la Commissione Europea di preparare senza indugio un parere sul merito della domanda del Paese“, per avviare l’iter di valutazione della potenziale concessione dello status di candidato.
    Da sinistra: il presidente dell’Assemblea del Kosovo, Glauk Konjufca, la presidente della Repubblica, Vjosa Osmani, e il primo ministro, Albin Kurti (Pristina, 14 dicembre 2022)
    Tra i meriti principali di Pristina c’è il “costante allineamento” alla politica estera e di sicurezza dell’Ue, “in primo luogo attraverso l’adozione di sanzioni a seguito della guerra di aggressione russa contro l’Ucraina“. Questa solidarietà con il popolo ucraino “fa del Paese un partner affidabile, già profondamente ancorato all’alleanza europea e transatlantica”, hanno ribadito Franz e von Cramon-Taubadel, rinnovando l’appello dell’Eurocamera a Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia per “riconoscere il Kosovo come Stato sovrano”, perché possa “avanzare nel suo percorso europeo su un piano di parità con gli altri Paesi dei Balcani Occidentali“. Da Bruxelles ci si aspetta che “questo atto simbolico di richiesta di adesione sia seguito da azioni concrete e significative”, a partire proprio dalla normalizzazione delle relazioni con la Serbia.
    L’intesa Ue sulla liberalizzazione dei visti
    Proprio dal Parlamento Ue arriva un’altra notizia positiva per le prospettive del Kosovo di avvicinamento all’Unione. Nel pomeriggio di ieri è stata raggiunta in meno di un’ora l’intesa tra i negoziatori del Parlamento e del Consiglio dell’Ue per la liberalizzazione dei visti Schengen per i soggiorni di breve durata dei cittadini kosovari. L’esenzione implica la possibilità di viaggiare senza visto per un soggiorno di massimo 90 giorni (su un periodo di 180) nell’area che ha abolito le frontiere interne, utilizzando il proprio passaporto senza ulteriori requisiti. È in vigore per 63 Paesi di tutto il mondo, compresi quelli dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, ma non il Kosovo), Regno Unito, Moldova, Georgia e Ucraina.
    La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel
    L’accordo ha sancito che la liberalizzazione entrerà in vigore a partire dalla data di inizio del funzionamento del Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (Etias), “e comunque non più tardi del primo gennaio 2024”, si legge nell’intesa che ricalca la posizione raggiunta – con estrema fatica – due settimane fa tra gli ambasciatori dei Ventisette. L’Etias sarà un sistema digitale per tenere traccia dei visitatori extra-comunitari nella zona Schengen, che riguarderà tutti i viaggiatori provenienti dai – quasi 64 – Paesi ‘visa free’ per l’Ue e che prevederà la compilazione di un modulo d’ingresso (come per l’Electronic System for Travel Authorization negli Stati Uniti). Il problema riguarda il fatto che non è ancora stato stabilito quando l’Etias sarà operativo: inizialmente era previsto entro il 2022, poi la data di entrata in vigore è stata posticipata alla primavera 2023 e ancora alla fine del prossimo anno (verosimilmente a novembre).
    “Grazie a tutti coloro che hanno lavorato su questo tema per molti anni”, è il commento soddisfatto del relatore per il Parlamento Ue, Thijs Reuten. Dopo l’accordo, che arriverà non oltre la fine del 2023, l’intera regione dei Balcani Occidentali avrà un quadro di visti simile a quello dell’area Schengen: nel frattempo Pristina è incoraggiata ad allineare la politica dei visti esterni a quella dell’Ue – come richiesto con insistenza dai Ventisette anche al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana – mentre gli Stati membri Ue che non hanno ancora accordi o intese di riammissione con il Kosovo “dovrebbero concludere tali accordi o intese”. Gli eurodeputati hanno anche sottolineato che il Paese balcanico dovrà rispettare il principio di non-respingimento nell’adempimento dei suoi obblighi in materia di migrazione e asilo.

    Very pleased to have reached agreement on behalf of @Europarl_EN with the Council represented by the @EU2022_CZ presidency on granting Kosovo visa liberalization on the 1st of January 2024 at the latest. Thanks to everyone who worked on this for so many years. 🇪🇺🤝🇽🇰 pic.twitter.com/4BJVlpWEKR
    — Thijs Reuten 🇪🇺🌹 (@thijsreuten) December 14, 2022

    Le tensioni nel nord del Kosovo
    Tutti gli sviluppi positivi per Pristina sul piano diplomatico sono arrivati sullo sfondo delle gravi tensioni nel nord del Paese, che hanno raggiunto ormai il sesto giorno di barricate e blocchi stradali ai valichi di confine. A riaccendere le ostilità delle frange più estreme della minoranza serba è stata la decisione di Pristina di inviare alcune centinaia di forze di polizia venerdì scorso (9 dicembre) per tenere sotto controllo la situazione nelle regioni settentrionali, dal momento in cui gli agenti serbo-kosovari dimessisi in massa a inizio novembre non sono ancora tornati in servizio. Le proteste si sono esacerbate sabato con l’arresto di un ex-agente della polizia kosovara, Dejan Pantić – accusato di “attacchi terroristici” – con blocchi stradali realizzati anche con mezzi pesanti donati attraverso i progetti finanziati dall’Ue. Nel corso della notte tra sabato e domenica (10-11 dicembre) vicino a Rudare una granata stordente ha colpito una pattuglia di ricognizione della missione civile Eulex, senza causare nessun ferito né danneggiamento di materiale.
    Blocchi stradali dei manifestanti serbo-kosovari nel nord del Kosovo
    La situazione è resa ancora più tesa per l’esacerbazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado, proprio per il controllo politico delle regioni settentrionali del Kosovo. Lo scorso fine settimana la premier serba, Ana Brnabić, era arrivata a minacciare la possibilità di inviare mille soldati da Belgrado sul territorio kosovaro, misura non possibile senza il consenso della Nato (secondo quanto previsto dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu del 1999). Nonostante le pressioni europee e statunitensi, oggi il governo di Belgrado ha deciso di presentare la richiesta alla Kosovo Force (Kfor) per inviare un contingente di forze di sicurezza oltre confine (anche se per la Serbia il Kosovo non è uno Stato sovrano) “a protezione” della popolazione serba, ha rivendicato il presidente Aleksandar Vučić. Domani (venerdì 16 dicembre) la richiesta sarà presentata formalmente al comandante della Kfor, il generale italiano Angelo Michele Ristuccia, anche se “sulla base di tutto quello che abbiamo sentito, riteniamo che non sarà accolta”, ha avvertito Vučić.
    “Negli ultimi giorni abbiamo affrontato grossi problemi nel nord del Kosovo”, ha commentato in maniera secca l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, facendo ingresso al Consiglio Europeo di oggi e ricordando di aver inviato il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, sia a Pristina sia Belgrado. “Chiedo il supporto di tutti i leader Ue per calmare la situazione“, ha precisato Borrell, che ha esortato esplicitamente alla rimozione delle barricate ai valichi di confine tra Serbia e Kosovo. Mentre il dialogo mediato da Bruxelles “è l’unica modalità che fornisce la prospettiva europea per entrambe le parti”, nel corso del vertice dei leader Ue è stato anche discusso il “quadro completo e coerente per arrivare alla normalizzazione dei rapporti“, ovvero la nuova versione della proposta di mediazione franco-tedesca che dovrebbe portare a un’intesa “in meno di un anno”, secondo quanto confermano fonti europee.

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    Via libera dai 27 ambasciatori Ue alla liberalizzazione dei visti Schengen del Kosovo “non oltre il primo gennaio 2024”

    Bruxelles – Un passo avanti significativo nell’ormai infinita vicenda della liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo – unico Paese europeo (fatta eccezione per Russia e Bielorussia) a cui non è riconosciuta – anche se Pristina dovrà aspettare ancora un poco più di un anno al massimo prima di poter finalmente celebrare l’esenzione del regime dei visti in ingresso nello spazio Schengen. I 27 ambasciatori dei Paesi membri dell’Ue hanno dato il via libera in Coreper (il Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio) al mandato negoziale del Consiglio dell’Ue, in vista degli imminenti negoziati con l’Eurocamera.
    La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel
    “Oggi [mercoledì 30 novembre, ndr] abbiamo compiuto un passo importante verso l’esenzione dei visti per il Kosovo e speriamo ora di raggiungere rapidamente un accordo con il Parlamento Europeo per trasformare questa promessa in realtà”, ha commentato il ministro degli Esteri ceco e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Jan Lipavský, che ha sottolineato come questo risultato sia stato reso possibile “dagli sforzi del Kosovo per rafforzare i controlli alle frontiere, la gestione dell’immigrazione e la sicurezza”. L’esenzione implica la possibilità di viaggiare senza visto per un soggiorno di massimo 90 giorni (su un periodo di 180) nell’area che ha abolito le frontiere interne, utilizzando il proprio passaporto senza ulteriori requisiti: è in vigore per 63 Paesi di tutto il mondo, compresi quelli dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, ma non il Kosovo), Regno Unito, Moldova, Georgia e Ucraina.
    Secondo la posizione approvata oggi dai 27 ambasciatori, l’esenzione dall’obbligo di visto si applicherebbe a partire dalla data di inizio del funzionamento del Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (Etias), secondo la proposta francese emersa all’ultima riunione del gruppo di lavoro sui visti del Consiglio a metà ottobre. Si tratta di un sistema digitale per tenere traccia dei visitatori extra-comunitari nella zona Schengen, che riguarderà tutti i viaggiatori provenienti dai 63 Paesi ‘visa free’ per l’Ue e che prevederà la compilazione di un modulo d’ingresso (come per l’Electronic System for Travel Authorization negli Stati Uniti).
    Il vero problema riguarda il fatto che non è ancora stato stabilito quando l’Etias sarà operativo: inizialmente era previsto entro il 2022, poi la data di entrata in vigore è stata posticipata alla primavera 2023 e ancora alla fine del prossimo anno. È per questo motivo che assume particolare rilevanza la specifica degli ambasciatori “e comunque non oltre il primo gennaio 2024” per la liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo. “Accolgo con favore l’importante e a lungo attesa decisione odierna del Coreper sull’abolizione dei visti”, ha commentato il primo ministro kosovaro, Albin Kurti. Per Pristina è “un riconoscimento del nostro impegno per lo Stato di diritto, la lotta alla corruzione, il rafforzamento dei controlli alle frontiere e la gestione dell’immigrazione”. Ringraziando la presidenza di turno ceca del Consiglio dell’Ue, Kurti ha sottolineato che ora attende “con impazienza” la finalizzazione del processo.

    I welcome today’s important & overdue decision by COREPER on visa lib. for Kosova, an acknowledgement of our commitment to rule of law, fighting corruption, strengthening border controls & managing migration. Thankful to @EU2022_CZ & look fwd to the finalization of this process.
    — Albin Kurti (@albinkurti) November 30, 2022

    La lunga attesa del Kosovo
    Il dialogo dl Kosovo con la Commissione Europea sulla liberalizzazione dei visti è iniziato il 19 febbraio 2012, a quattro anni dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza dalla Serbia. Nel maggio 2016 la Commissione aveva proposto al Parlamento e al Consiglio dell’Ue (che devono entrambi dare il via libera definitivo) di concedere l’esenzione per i cittadini kosovari, mentre procedevano i lavori per il rispetto degli ultimi due requisiti da parte di Pristina: la demarcazione dei confini (con il Montenegro) e il bilancio della lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione. Due anni più tardi, il 18 luglio 2018, lo stesso esecutivo comunitario aveva confermato che il Kosovo ha soddisfatto tutti i requisiti previsti dalla tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti, incoraggiando i co-legislatori ad adottare la proposta di abolirne l’obbligo in ingresso sul territorio dell’Unione. La stessa esortazione è arrivata il 12 ottobre con la presentazione del Pacchetto Allargamento 2022.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Ma dal 2018 a oggi niente si era mosso in Consiglio. Il Parlamento Ue ha più volte accusato i 27 Paesi membri per il “fallimento di non aver mantenuto la promessa” ai cittadini del Kosovo. L’intesa di oggi tra i 27 ambasciatori è considerata cruciale perché supera uno stallo che ha una doppia natura: cinque membri Ue non riconoscono l’indipendenza di Pristina (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e, allo stesso tempo, Francia e Paesi Bassi hanno frenato fino all’ultimo l’iniziativa della Commissione, almeno prima dell’inedito impegno congiunto sull’asse Parigi-Berlino per risolvere le controversie più urgenti che riguardano il Kosovo.
    Come hanno sottolineato i 27 ambasciatori Ue, Pristina in questi anni “ha compiuto progressi significativi in tutti i blocchi della tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti“, inclusi i settori della sicurezza dei documenti, della gestione delle frontiere e della migrazione, dell’ordine pubblico e dei diritti fondamentali relativi alla libertà di circolazione. Una volta che entrerà in vigore l’esenzione dall’obbligo di visto anche per i cittadini kosovari – al massimo fra un anno e un mese – l’intera regione dei Balcani Occidentali sarà soggetta allo stesso regime (con la Commissione Ue che continuerà a monitorare “attivamente” l’attuazione dei requisiti, attraverso il meccanismo di liberalizzazione post-visto). Tutti i cittadini europei potranno così viaggiare liberamente con il proprio passaporto sull’intero continente, senza discriminazioni di nazionalità.

    Approvato il mandato del Consiglio dell’Ue per i negoziati con l’Eurocamera. Prima della data-limite, il regolamento sull’esenzione dei visti per i cittadini kosovari potrebbe applicarsi a partire dall’entrata in funzione del Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (Etias)

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    L’attesa infinita per la liberalizzazione dei visti Schengen del Kosovo, l’unico partner europeo dell’Ue ancora non “visa free”

    Bruxelles – I Ventisette tengono il Kosovo fuori dalla porta di servizio e a nulla sembrano valere gli sforzi della Commissione Ue per portare il partner balcanico almeno dentro l’anticamera dell’Unione, al pari di tutti gli altri Paesi europei (fatta eccezione per Russia e Bielorussia). La liberalizzazione dei visti per i cittadini kosovari da parte dell’Ue rimane una chimera a Pristina, dopo che nemmeno il gruppo di lavoro sui visti del Consiglio che si è riunito lo scorso 13 ottobre ha sbloccato uno stallo che si protrae da più di quattro anni. La liberalizzazione del regime dei visti in ingresso nello spazio Schengen – ovvero la possibilità di viaggiare nell’area che ha abolito le frontiere interne, utilizzando il proprio passaporto senza ulteriori requisiti per soggiorni di breve durata – è in vigore per 63 Paesi di tutto il mondo, compresi i Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, ma non il Kosovo), Regno Unito, Moldova, Georgia e Ucraina.
    La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani
    Per quanto riguarda il Kosovo, il dialogo con la Commissione Europea sulla liberalizzazione dei visti è iniziato il 19 febbraio 2012, a quattro anni dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza dalla Serbia. Nel maggio 2016 la Commissione aveva proposto al Parlamento e al Consiglio dell’Ue (che devono entrambi dare il via libera definitivo) di concedere l’esenzione per i cittadini kosovari, mentre procedevano i lavori per il rispetto degli ultimi due requisiti da parte di Pristina: la demarcazione dei confini (con il Montenegro) e il bilancio della lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione. Due anni più tardi, il 18 luglio 2018, lo stesso esecutivo comunitario aveva confermato che il Kosovo ha soddisfatto tutti i requisiti previsti dalla tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti, incoraggiando i co-legislatori ad adottare la proposta di abolirne l’obbligo in ingresso sul territorio dell’Unione. La stessa esortazione – “ancora pienamente valida” – è arrivata la scorsa settimana con la presentazione del Pacchetto Allargamento 2022.
    Ma dal 2018 niente si è mosso, almeno non in Consiglio. Il Parlamento Ue continua ad accusare i 27 Paesi membri per il “fallimento di non aver mantenuto la promessa” ai cittadini del Kosovo, ma lo stallo ha una doppia natura: cinque membri Ue non ne riconoscono l’indipendenza (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e, allo stesso tempo, altri stanno frenando l’iniziativa della Commissione. Tra questi compaiono Francia e Paesi Bassi, ultimi veri oppositori della politica di liberalizzazione dei visti che – sotto le pressioni crescenti delle istituzioni comunitarie e degli altri Stati membri – stanno sì mostrando per la prima volta segnali di apertura, ma con nuove richieste che rischiano di prolungare ancora a lungo l’attesa infinita di Pristina.
    Il nuovo possibile ostacolo per il Kosovo
    Il premier del Kosovo, Albin Kurti
    La novità è emersa proprio all’ultima riunione del gruppo di lavoro sui visti del Consiglio, quando la Francia ha presentato la proposta di collegare la liberalizzazione dei visti per il Kosovo all’entrata in vigore del Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (Etias). Si tratta di un sistema digitale per tenere traccia dei visitatori extra-comunitari nella zona Schengen, che riguarderà tutti i viaggiatori provenienti dai 63 Paesi ‘visa free’ per l’Ue e che prevederà la compilazione di un modulo d’ingresso (come per l’Electronic System for Travel Authorization negli Stati Uniti). Nonostante possa sembrare un passo in avanti per le speranze kosovare, il problema riguarda il fatto che non è ancora stato stabilito quando l’Etias sarà operativo: inizialmente previsto entro il 2022, la data di entrata in vigore è stata posticipata prima alla primavera 2023 e poi alla fine del prossimo anno (tra gli addetti ai lavori a Bruxelles si parla di novembre).
    La proposta avrebbe trovato il supporto di Belgio, Paesi Bassi, Spagna e Svezia, con l’Italia che la sta valutando e la Germania fortemente contraria all’imposizione di nuovi criteri (oltre ai 95 soddisfatti da Pristina) non previsti secondo l’accordo attualmente in vigore tra le parti. Entro la fine di questa settimana sono attese le osservazioni scritte da parte di tutti i Ventisette, mentre le nuove discussioni si terranno tra il 9 e il 10 novembre alla prossima riunione del gruppo di lavoro sui visti del Consiglio, appuntamento che potrebbe essere decisivo per il Kosovo per capire gli sviluppi del 2023. La Repubblica Ceca confida ancora di poter chiudere il dossier entro la fine della propria presidenza di turno del Consiglio dell’Ue (il 31 dicembre), ma l’unica cosa certa al momento è che i cittadini kosovari rimarranno ancora gli unici cittadini europei – insieme a russi e bielorussi – a non poter entrare nell’area Schengen senza visto.

    Dal 2018 la Commissione certifica il rispetto di Pristina di tutte le condizioni per l’esenzione del regime dei visti in ingresso. Il dossier è bloccato in Consiglio e ora la Francia ha proposto di legarlo all’entrata in vigore del Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi

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    La Commissione chiede ai Balcani Occidentali di allinearsi alla politica dei visti per frenare gli ingressi irregolari nell’Ue

    Bruxelles – La rotta balcanica torna al centro delle preoccupazioni dell’Unione Europea, o quantomeno della Commissione e di alcuni Paesi membri che stanno vedendo aumentare il numero di ingressi irregolari e le richieste di asilo. “Abbiamo assistito a un aumento significativo di migranti che viaggiano senza visto verso i Paesi partner dei Balcani Occidentali e che entrano poi nell’Unione Europea in modo irregolare”, è quanto affermato dalla commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, in occasione del Consiglio Affari Generali di oggi (venerdì 14 ottobre) a Praga.
    “Siamo in stretto contatto con gli Stati membri che sono più sotto pressione”, ha sottolineato alla stampa europea la commissaria Johansson, facendo riferimento ad Austria (“molti indiani stanno chiedendo l’asilo”) e Belgio (“c’è un grande gruppo di persone in arrivo dal Burundi”). Da Bruxelles il problema principale è il “non allineamento sulla politica dei visti di alcuni Paesi partner“, in particolare quelli che si trovano sulla rotta balcanica e a cui l’Ue ha riconosciuto un regime di esenzione (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, mentre il Kosovo attende dal 2018 una decisione del Consiglio sulla liberalizzazione dei visti per i propri cittadini). “Incontrerò i partner balcanici la prossima settimana a Berlino, la settimana successiva a Praga e quella dopo ancora a Tirana”, ha fatto sapere la titolare degli Affari interni nel gabinetto von der Leyen, precisando che “vogliamo aiutarli anche sulla lotta contro la tratta di esseri umani“.
    Considerato quanto emerso dal recente viaggio del vicepresidente esecutivo della Commissione, Margaritis Schinas, nella regione balcanica, uno degli indiziati principali delle esortazioni dell’esecutivo comunitario è la Serbia. “Non è giusto che l’Unione Europea abbia concesso l’esenzione dei visti ai Paesi dei Balcani Occidentali e che questi abbiano accordi di esenzione con Paesi terzi a cui noi non la riconosciamo“, ha rivendicato Schinas dopo la tappa a Belgrado. Una precisazione sulle contromisure che potrebbero arrivare da Bruxelles l’ha fornita la commissaria Johansson oggi: “Spero che avremo con la Serbia una buona cooperazione e che allinei la sua politica di visti alla nostra, ma non posso escludere nemmeno una sospensione del regime dei visti“. Anche se è Belgrado a presentare diversi punti di criticità nei rapporti con l’Unione in cui sta cercando di accedere (in particolare per quanto riguarda le sanzioni contro la Russia), la questione si estende a “molti dei partner” che si trovano sulla rotta balcanica: “Dovremo raggiungerli tutti”, ha concluso la commissaria europea.
    Da sinistra: il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, il premier ungherese, Viktor Orbán, e il cancelliere austriaco, Karl Nehammer, al vertice a tre di Budapest, 3 ottobre 2022 (credits: ATTILA KISBENEDEK / AFP)
    Il tema dell’esenzione dei visti verso Paesi come India, Tunisia e Burundi in vigore in Serbia – che permette a diverse persone migranti di arrivare a Belgrado e poi provare ad attraversare il confine con l’Ue – è stato anche al centro del vertice a tre dello scorso 3 ottobre a Budapest tra il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, il cancelliere austriaco, Karl Nehammer, e il premier ungherese, Viktor Orbán, per cercare soluzioni condivise per affrontare il fenomeno migratorio lungo la rotta balcanica. Il “piano d’azione” dei due Paesi membri Ue e del candidato dal 2012 all’adesione all’Unione includerà una “maggiore cooperazione” delle forze di polizia lungo i confini (incluso quello serbo meridionale, con la Macedonia del Nord) e il sostegno “anche finanziario” alla Serbia per il rimpatrio delle persone migranti. Proprio in occasione del vertice di Budapest il presidente Vučić ha promesso che “entro fine dell’anno” Belgrado allineerà le politiche nazionali sui visti con quelle Ue, mentre il premier ungherese Orbán è tornato a rivendicare la creazione di hotspot al di fuori del territorio comunitario, una proposta che può violare il diritto di accesso al territorio per i rifugiati.

    Secondo l’esecutivo comunitario e alcuni Stati membri (tra cui Austria e Ungheria), i partner balcanici a cui è garantita l’esenzione dei visti dall’Ue non possono fare lo stesso con Paesi terzi a cui Bruxelles non la riconosce. La Serbia è la prima indiziata dopo il vertice con Budapest e Vienna