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    Szijarto vola a Mosca per chiedere più gas, con l’Ungheria si sfalda il fronte anti-Russia

    Bruxelles – L’Ungheria si sfila. La politica dell’UE in materia di energia viene nei fatti stralciata dal governo di Viktor Orban, che rompe le righe e discute con Mosca di nuove forniture energetiche e pià gas. Una mossa che vanifica gli sforzi per sottrarsi dalla dipendenza russa, sconfessa la Commissione europea e la sua strategia anti-Gazprom RePowerEU, e che fa della repubblica dell’est l’alleato più prezioso che il Cremlino possa avere in questo momento storico. Il ministro degli Esteri ungherese ha condotto una missione nella capitale russa per tessere, a nome del proprio interesse nazionale, nuove relazioni con la federazione russa. Sono state avanzate richieste di maggiori forniture di gas, che la Russia “valuterà”.
    La visita di Peter Szijjarto e il suo incontro non solo con il ministro degli Esteri del Cremlino, Sergei Lavrov, ma con  il viceprimo ministro, Alexander Novak, e il ministro per il Commercio, Denis Manturov, dimostra l’azione e l’intenzione degli ungheresi. I partner europei non possono non guardare con preoccupazione ad una condotta che sfalda il blocco dei Ventisette. Ma in questo momento l’Ungheria ha deciso che da soli è meglio con gli alleati a dodici stelle. Avanti dunque con l’energia russa.
    Mosca guarda con attenzione questa insubordinazione ungherese, e valuta ricompense. “La situazione politica oggi è complicata”, premette il vice primo ministro russo in riferimento al braccio di ferro tra il suo Paese e l’Europa fatto di sanzioni senza precedenti. “Ma apprezziamo la posizione del governo ungherese, che difende costantemente i propri interessi nazionali”, continua Novak, consapevole che grazie all’Ungheria la morsa europea può allentarsi se non addirittura arrivare a scomparire. “Siamo determinati a sviluppare ulteriormente le nostre relazioni, anche nel settore energetico“. Vuol dire più gas. Un messaggio che vale in realtà per tutti quelli che vorranno seguire le orme ungheresi.
    L’Ungheria sembra aver abbandonato completamente i piani dell’UE. Sicuramente quello della Commissione per ridurre i consumi del 15 per cento della fonte che arriva via tubatura non soddisfa il ‘grande capo’. Parlando ai giovani del suo Paese, Orban mette in chiaro che la solidarietà non rientra nelle opzioni dell’Ungheria contemporanea. “Non vedo come sarà applicata” questa strategia, critica. “Inoltre, se non produce l’effetto desiderato e qualcuno non ha abbastanza gas, verrà sottratto a chi ce l’ha”. Il primo ministro lo dice chiaro e tondo. “Quindi che la Commissione europea sta facendo non è chiedere ai tedeschi di annullare la chiusura delle ultime due o tre centrali nucleari ancora in funzione, che consentono loro di produrre energia a basso costo: è far chiudere quelle centrali. E se esauriscono l’energia, in qualche modo prenderanno il gas da noi che ce l’abbiamo, perché l’abbiamo accumulato. Questo è ciò per cui possiamo prepararci”. ‘No’ a quest’Europa e ‘sì’ alla Russia.

    Il ministri degli Esteri ungherese incontra tre membri del governo russo per rilanciare la cooperazione economica ed energetica. Orban boccia la strategia della Commissione: “Ci rubano le nostre riserve”

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    Borrell contro i critici delle sanzioni Ue (Orbán in testa): “Nessun legame con i prezzi del petrolio”

    Bruxelles – I dati contro le interpretazioni distorte della realtà. “Alcuni leader Ue hanno detto che le sanzioni sono state un errore e che l’embargo sul petrolio ne ha aumentato il prezzo, invece è agli stessi livelli di febbraio, prima della guerra”, ha commentato seccamente l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, parlando oggi (lunedì 18 maggio) alla stampa dopo il Consiglio Affari Esteri e mostrando un grafico con l’andamento dei prezzi dall’inizio dell’anno. “Dietro ogni discorso ci devono essere dati e cifre, non si può dire tutto ciò che si vuole“, ha incalzato Borrell: “Come si può affermare che sono stati l’embargo e le sanzioni alla Russia ad aumentare il prezzo del petrolio, quando invece è diminuito?”
    L’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (18 luglio 2022)
    Il duro commento dell’alto rappresentante Borrell è arrivato in seguito alle parole del primo ministro ungherese, Viktor Orbán, sulle conseguenze delle sanzioni adottate dall’Ue: “Inizialmente pensavo che ci fossimo solo sparati a un piede, ma ora è chiaro che l’economia europea si è sparata nei polmoni e ora fatica a respirare“. Il primo ministro ungherese è stato un oppositore dell’embargo al petrolio della Russia sin dalla presentazione del sesto pacchetto di sanzioni, per la cui approvazione è servito un intenso lavoro di mediazione al Consiglio Europeo di maggio. “Il momento della verità deve arrivare a Bruxelles, quando i leader ammetteranno di aver fatto un errore di calcolo”, ha rincarato la dose Orbán: “La politica delle sanzioni alla Russia era basata su presupposti sbagliati e non ha soddisfatto le aspettative riposte“, in particolare per l’aumento dei prezzi dei beni di consumo, dei generi alimentari e delle risorse energetiche come il petrolio.
    “Nella narrativa di guerra, molte persone dicono cose senza considerare la realtà: senza cifre, tutti possono dire quello che vogliono sull’effetto delle sanzioni dell’Ue, e non è possibile”, è stata la risposta dell’alto rappresentante Borrell in conferenza stampa. Nel caso del petrolio, “non sono state le sanzioni ad aumentarne i prezzi, come dicono alcuni in modo completamente errato“, dal momento in cui è evidente – analizzando il grafico presentato e illustrato – che dall’adozione delle sanzioni e dell’embargo contro la Russia, il prezzo è sceso: “Non dico che sono la causa della diminuzione, ma al contrario che le sanzioni non hanno creato un aumento”. In ogni caso l’alto rappresentante Ue ha riconosciuto che “la società europea deve essere consapevole che questa guerra è una prova di resistenza e noi dobbiamo essere resistenti a sufficienza per sostenere l’Ucraina, altre soluzioni non ce ne sono”, a partire proprio dall’aumento dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari.

    Mostrando i grafici dell’andamento dei prezzi dall’inizio del 2022, il titolare della Politica estera e di sicurezza del gabinetto von der Leyen ha attaccato “chi critica gli effetti dell’embargo senza considerare la realtà dei fatti, perché senza cifre tutti possono dire quello che vogliono”

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    Il vertice dell’UE aggiorna l’agenda per l’Ucraina: ulteriore sostegno militare, ricostruzione e attuazione delle sanzioni

    Bruxelles – Sostegno militare, che deve arrivare fin da subito dagli Stati membri. Sostegno alla ricostruzione, che deve partire dalla strategia della Commissione europea, fermezza sulle sanzioni. I leader dell’UE aggiornano l’agenda politica sull’Ucraina. Le conclusioni adottate dai Ventisette riuniti a Bruxelles non si limitano alla decisione storica di riconoscere lo status di Paese candidato, che avvia un percorso di lungo periodo in termini di riforme e rispetto delle condizioni richieste. C’è soprattutto un percorso per l’immediato, che parte da “ulteriore sostegno militare”.
    I capi di Stato e di governo ribadiscono una volta di più che il blocco a dodici stelle “resta fermamente impegnata a fornirlo” per aiutare l’Ucraina a esercitare “il suo diritto intrinseco all’autodifesa” contro l’aggressione russa e a difendere la propria integrità territoriale e sovranità. Per questo motivo i leader invitano i ministri responsabili a “lavorare rapidamente per un ulteriore aumento del sostegno militare”.
    Sempre nell’immediato, serve non avere indecisioni sul percorso sanzionatorio intrapreso fin qui quale risposta all’aggressione russa. Quindi “proseguiranno i lavori sulle sanzioni, anche per rafforzare l’attuazione e prevenire l’elusione”. In questa ottica i leader invitano “tutti i paesi ad allinearsi” con le sanzioni dell’UE, “in particolare i paesi candidati”, vale a dire Turchia (dal 1999), Macedonia del Nord (dal 2004), Montenegro (dal 2010), Serbia (dal 2012) e Albania (dal 2014), e ovviamente Ucraina e Moldova.

    PM Orbán: We say yes to peace, but say no to more sanctions. Besides the war in Ukraine, the main cause of economic problems are the sanctions. We need peace now, not more sanctions, as the only antidote to war inflation is peace.
    — Zoltan Kovacs (@zoltanspox) June 23, 2022

    L’Ungheria tiene però a precisare che oltre il sesto pacchetto di sanzioni Budapest non intende spingersi. “Sì alla pace, no a più sanzioni”, la posizione espressa da Viktor Orban ai partner. “Oltre alla guerra in Ucraina, la principale causa di problemi economici sono le sanzioni. Abbiamo bisogno di pace ora, non di più sanzioni, poiché l’unico antidoto all’inflazione di guerra è la pace”.
    I leader non sembrano intenzionati a discutere di nuove sanzioni, ma di rendere il più efficaci possibili quelle già concordate. Per questo “dovrebbero essere rapidamente finalizzati i lavori sulla decisione del Consiglio che aggiunge la violazione delle misure restrittive dell’Unione all’elenco dei reati dell’UE“. Questo per l’immediato futuro. Per quello prossimo serve un’Ucraina tutta nuova. Perciò il Consiglio invita “la Commissione a presentare rapidamente le sue proposte sul sostegno dell’UE alla ricostruzione dell’Ucraina, in consultazione con partner, organizzazioni ed esperti internazionali”.
    Non solo ulteriore sostegno militare, dunque. Difesa, determinazione, ricostruzione. Questi gli imperativi che i leader dell’UE si sono imposti per aiutare l’Ucraina.

    I leader danno istruzioni a ministri, commissari europei e Paesi candidati. Ma Budapest frena su nuove restrizioni: “Sì alla pace, no alle sanzioni”

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    A 30 giorni dalla proposta della Commissione UE, è operativo il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – Era il 4 maggio quando la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, presentava davanti alla plenaria del Parlamento UE a Strasburgo la proposta del sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, ponendo un forte accento sull’embargo totale al petrolio russo. A 30 giorni da quell’annuncio, la nuova tornata di misure restrittive è stata approvata dal Consiglio dell’UE, lasciandosi alle spalle tutta una serie di dure polemiche, errori di valutazione e deroghe inizialmente non previste dalla proposta.
    Al centro del sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia e la Bielorussia – spalla operativa per l’invasione dell’Ucraina da nord – c’è proprio l’embargo al petrolio in arrivo da Mosca. Il divieto di acquisto, importazione e trasferimento del greggio e dei derivati prevede una gradualità tra i sei (per il greggio) e gli otto mesi (per prodotti raffinati), ma soprattutto un’eccezione temporanea per le importazioni tramite oleodotto negli Stati membri che “a causa della loro situazione geografica, soffrono di una dipendenza specifica dalle forniture russe e non hanno opzioni alternative valide”. È il caso dell’Ungheria di Viktor Orbán (ma anche di Polonia, Germania e Slovacchi), che fino all’ultimo ha tenuto in stallo l’accordo tra i leader UE al vertice di lunedì e martedì (30-31 maggio), mentre a Bulgaria e Croazia sono garantite deroghe temporanee per l’importazione di greggio via mare e di gasolio sottovuoto. Della durata di queste eccezioni si dovrà discutere nelle prossime riunioni a livello tecnico e politico a Bruxelles.
    Il capo della Chiesa ortodossa russa e patriarca di Mosca, Kirill
    Altro punto complesso – anche se la criticità è emersa a sorpresa solo dopo l’accordo al Consiglio UE sul sesto pacchetto di sanzioni – è l’aggiornamento degli elenchi di persone ed entità vicine al regime di Vladimir Putin e di Alexander Lukashenko colpiti dalle misure restrittive. Tra i 58 “responsabili delle atrocità commesse dalle truppe russe a Bucha e Mariupol, le personalità che sostengono la guerra, i principali uomini d’affari e i familiari degli oligarchi e dei funzionari del Cremlino” (oltre ai 1.093 individui e 80 entità già presenti) doveva comparire anche il capo della Chiesa ortodossa russa e patriarca di Mosca, Kirill. Tuttavia, il premier ungherese Orbán ha deciso mercoledì (primo giugno) di porre il proprio veto sulla richiesta della Commissione di congelare i suoi beni e rimuoverne il visto, bloccando nuovamente il pacchetto al Coreper (il Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio). La richiesta di Orbán è stata accolta in meno di ventiquattr’ore dagli altri 26 governi UE, lasciando nella lista militari e ufficiali responsabili di crimini di guerra, oligarchi e società russe del settore della difesa.
    Terza misura che compare nel sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia è l’aggiunta di altre tre banche nella lista di quelle scollegate dal sistema dei pagamenti internazionali SWIFT, facendo salire il numero a dieci: Sberbank, una delle più grandi banche russe, la Banca di credito di Mosca e la Banca agricola russa (a cui si aggiunge anche la Banca bielorussa per lo sviluppo e la ricostruzione). Il gabinetto von der Leyen per ora non tocca Gazprombank, la banca controllata del gigante energetico russo Gazprom, che serve all’UE per continuare a pagare le forniture di gas e nonostante le recenti complessità legate all’apertura di un secondo conto in rubli. Inoltre, dal momento in cui il Cremlino si affida a contabili, consulenti e spin-doctor europei, sarà vietata la fornitura di servizi di contabilità, relazioni pubbliche, consulenza, e servizi cloud alla Russia.
    Mentre si ragiona sul rafforzamento del regime di sanzioni con la proposta di confiscare e riutilizzare i beni degli oligarchi nel caso di violazione delle misure restrittive, si approfondiscono le restrizioni all’esportazione di beni e tecnologie a duplice uso “che possono contribuire al potenziamento tecnologico del settore della difesa e della sicurezza” di Mosca. Tra questi compaiono anche 80 prodotti che possono essere utilizzati per la produzione di armi chimiche.
    Ultimo punto, la sospensione della radiodiffusione di tre grandi emittenti statali russe, ovvero Rossiya RTR/RTR Planeta, Rossiya 24/Russia 24 e TV Centre International. Come già accade da inizio marzo con Russia Today e Sputnik, le tre emittenti non saranno più autorizzate a distribuire i loro contenuti nei Paesi membri dell’Unione Europea via cavo, satellite, Internet o tramite app per smartphone. “Queste strutture sono state utilizzate dal governo russo come strumenti per manipolare le informazioni e promuovere la disinformazione sull’invasione dell’Ucraina” con l’obiettivo di “destabilizzare i Paesi vicini alla Russia, l’UE e i suoi Stati membri”, spiegano dal Consiglio. Una precisazione – per rispondere in anticipo alle eventuali polemiche sulla libertà di stampa – riguarda il fatto che “in linea con la Carta dei diritti fondamentali, queste misure non impediranno ai media e al loro personale di svolgere nell’UE attività diverse dalla trasmissione, come ricerche e interviste”.

    Via libera dal Consiglio dell’UE all’embargo graduale al petrolio russo (con deroghe temporanee), allo scollegamento di altre tre banche dal sistema SWIFT, all’oscuramento di tre organi di propaganda e a nuovi nomi nella lista dei sanzionati (ma non il patriarca di Mosca Kirill)

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    Vertice UE, Scholz promette l’invio (indiretto) di carri armati all’Ucraina

    Bruxelles – La Germania continuerà a contribuire – in forma indiretta – all’invio di carri armati verso l’Ucraina, con un nuovo accordo con la Grecia e forse la Polonia. È quanto è emerso dopo il vertice UE dal cancelliere tedesco Olaf Scholz. Tra i temi Scholz ha ribadito anche l’obiettivo dell’indipendenza dall’energia russa, sotto forma di petrolio e gas.
    Era già successo con la Repubblica Ceca: la Germania aveva annunciato a metà mese la donazione di 15 mezzi corazzati al Paese, in sostituzione di quelli di epoca sovietica inviati all’Ucraina per la difesa dai russi. Continueremo la pratica della scambio circolare, ha dichiarato Scholz in conferenza stampa, annunciando che, questa volta, sarà la Grecia a essere rifornita, e anticipando che accordi simili potrebbero essere stipulati anche con la Polonia. “Oggi ne ho parlato con il primo ministro greco e abbiamo deciso” di procedere in tal senso, ha continuato il cancelliere tedesco: “I ministri della difesa lavoreranno ai dettagli e implementeranno rapidamente questo accordo”. La Germania è stata criticata a più riprese per il mancato invio di armi pesanti all’Ucraina, come anche dal negoziatore nelle trattative di pace Mykhailo Podolyak, che ha twittato in settimana: “Alcuni partner evitano di darci le armi necessarie per paura di un’escalation”.

    Einig und entschlossen setzen wir mit dem 6. EU-Sanktionspaket Russland weiter unter Druck. Das Öl-Embargo umfasst 90 % der Importe aus 🇷🇺. Außerdem hat 🇩🇪 einen Ringtausch mit 🇬🇷 vereinbart. So können Panzer sowjetischer Produktion schnell in die Ukraine geliefert werden. #EUCO
    — Bundeskanzler Olaf Scholz (@Bundeskanzler) May 31, 2022

    Sulla questione energetica, Scholz ha invece ribadito l’impegno tedesco di eliminare la dipendenza dalla Russia, nel caso del petrolio, entro la fine dell’anno. “Sarà una grande sfida per tutti noi”, ha sottolineato il cancelliere, che ha aggiunto, “speriamo che entro la fine dell’anno avvenga la maggior parte dei cambiamenti”. Il leader tedesco ha comunque definito il sesto pacchetto di sanzioni, frutto del vertice UE, un “successo”, difendendo l’esclusione dall’embargo degli oleodotti. “Era importante”, ha scandito il cancelliere, perché alcuni Paesi non sarebbero stati in grado di attuare le misure transitorie con la stessa rapidità di altri. È dal vice-cancelliere tedesco Robert Habeck, citato dalla DPA, che è invece arrivato l’attacco diretto al premier ungherese Viktor Orban, definendo il suo ruolo nelle trattative un poker ‘scellerato’ volto a perseguire “i propri interessi”.

    Annunciato un nuovo accordo con la Grecia per rifornire il Paese dei mezzi corazzati inviati verso Kiev. Il cancelliere tedesco ribadisce l’obiettivo dell’indipendenza dal petrolio russo entro la fine dell’anno

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    Il vento nazionalista soffia ancora in Ungheria e Serbia: Orbán e Vučić stravincono le elezioni (tra le polemiche)

    Strasburgo, dall’inviato – Dentro e appena fuori i confini dell’UE, là dove l’Unione sta spingendo il processo di allargamento, non si è placato il vento dei populismi di destra, i più vicini alla Russia di Vladimir Putin. L’intensa domenica di elezioni (3 aprile) in Ungheria e Serbia ha sancito il trionfo rispettivamente del premier Viktor Orbán e del presidente Aleksandar Vučić, i due leader che stanno costruendo una forte alleanza nazionalista sull’asse Budapest-Belgrado, non completamente allineata alla politica di Bruxelles nei confronti della Russia. Due tornate elettorali particolarmente intense alla vigilia – per le aspettative di un cambiamento al vertice dei due Paesi – ma anche dopo la chiusura dei seggi, a causa delle grosse polemiche sul processo di voto e delle rivendicazioni di vittoria delle elezioni, sia in Ungheria sia in Serbia.
    Qui Budapest
    Niente da fare per l’opposizione unita guidata da Péter Márki-Zay. Nonostante il testa a testa previsto alla vigilia del voto, il partito Fidesz del premier Orbán ha conquistato il 53,13 per cento dei voti alle elezioni parlamentari, migliorando di quattro punti percentuali il risultato di quattro anni fa e assicurandosi nuovamente la maggioranza dei due terzi dell’Assemblea nazionale (135 seggi su 199). Con il 98,96 per cento delle schede scrutinate, la commissione elettorale ungherese ha confermato il nuovo trionfo dell’uomo forte di Budapest, che ora riceverà il quarto mandato consecutivo per formare l’esecutivo (al potere ininterrottamente dal 29 maggio 2010).
    Alta l’affluenza, al 69,54 per cento – in leggera flessione rispetto alle elezioni del 2018 (70,22) – che però non ha premiato l’opposizione formata dai sei partiti guidati dall’economista conservatore Márki-Zay (socialisti, verdi, liberali, progressisti e conservatori): nel sistema elettorale che assegna 106 seggi ai collegi uninominali, la coalizione ne ha conquistati 56, fermandosi al 35,04 per cento dei voti. A superare la soglia di sbarramento al 5 per cento anche i nazionalisti di estrema destra del Movimento Nostra Patria (6,17 punti percentuali, per 7 deputati), più il seggio garantito alla minoranza tedesca.

    Hungary, national parliament election:
    With 99% counted, the right-wing Fidesz/KDNP (NI|EPP) alliance of Prime Minister Viktor Orbán wins a 2/3-parliamentary majority for the 3rd time in a row.
    The right-wing extremist Mi Hazánk (~NI) enters parliament for the 1st time. #Ungarn pic.twitter.com/kRkvIvJWyz
    — Europe Elects (@EuropeElects) April 4, 2022

    “Abbiamo ottenuto una vittoria così grande che può essere vista anche dalla luna, e sicuramente da Bruxelles”, ha esultato il premier Orbán, polemizzando contro “la più grande forza che ha provato a schiacciarci” prima del voto: “Contro il globalismo, contro i burocrati di Bruxelles, contro Soros, contro i media mainstream europei e anche contro il presidente ucraino”, Volodymyr Zelensky, in riferimento ai rimproveri rivoltigli durante l’ultimo Consiglio Europeo. La prima dichiarazione populista del premier ungherese è servita e porta con sé una nota sinistra sui rapporti con Kiev e soprattutto con Putin, tradizionale alleato di Orbán. Dopo aver tenuto un profilo basso nell’ultimo mese di campagna elettorale, che è coinciso con l’inizio della campagna militare russa in Ucraina, ora da Budapest potrebbero arrivare picconate all’unanimità sempre raggiunta tra i leader UE sulle sanzioni e sulla lotta senza quartiere a Mosca. “Fidesz rappresenta una forza conservatrice patriottica e cristiana, è il futuro dell’Europa. Prima l’Ungheria!”, ha concluso il suo messaggio post-voto Orbán, facendo capire con quale spirito tornerà ad approcciarsi a Bruxelles.
    Il premier ungherese ha però taciuto la sconfitta personale arrivata dal referendum sulla legge anti-LGBT+, che si è tenuto sempre ieri contemporaneamente alle elezioni parlamentari. Solo il 44,46 per cento degli elettori ha espresso un voto valido, non raggiungendo il quorum richiesto per avallare la proposta legislativa del governo. Un’altra criticità ha riguardato lo svolgimento del processo elettorale, reso opaco dalle modifiche alla legge elettorale, dalle regole di registrazione degli indirizzi, dai problemi di trasparenza dei finanziamenti della campagna e dall’influenza del partito al potere sui media. Riconoscendo la sconfitta “in questo sistema”, il candidato premier dell’opposizione Márki-Zay ha ribadito che “è la propaganda ad aver vinto queste elezioni, non l’onestà, abbiamo fatto tutto quello che potevamo”.

    Hungary: national referendum today:
    “Do you support the teaching of sexual orientation to minors in public education institutions without parental consent?”
    Vote among all eligible voters
    No: 41%Yes: 3%
    Threshold to meet: 50%+ of eligible voters voting either ‘yes’ or ‘no’ pic.twitter.com/7P2F20ABIk
    — Europe Elects (@EuropeElects) April 4, 2022

    Qui Belgrado
    Contemporaneamente alle elezioni in Ungheria, anche per la Serbia il 3 aprile 2022 segna una data-chiave per la riaffermazione delle forze nazionaliste legate alla Russia di Putin. Con il 90 per cento delle schede scrutinate, il presidente Vučić è proiettato alla seconda vittoria consecutiva al primo turno delle presidenziali, con il 59,55 per cento dei voti, mentre il principale candidato dell’opposizione unita, Zdravko Ponoš, si ferma al 17. Per quanto riguarda le elezioni parlamentari, il Partito Progressista Serbo di Vučić si attesta al 43,45 per cento dei voti, assicurandosi 122 deputati sui 250 dell’Assemblea nazionale: lontano il cartello di opposizione Serbia Unita, con 13 punti percentuali e 36 seggi. Sembrano tramontare anche le possibilità per l’opposizione di strappare dalle mani dei nazionalisti la capitale Belgrado: il candidato dell’SNS, Aleksandar Šapić, si sta affermando con quasi il 40 per cento delle preferenze, mentre quelli dell’opposizione Serbia Unita, Vladeta Janković, e del movimento della sinistra ecologista Moramo, Dobrica Veselinović, rispettivamente al 20 e al 10 per cento.
    Nel mezzo di un processo elettorale su cui si attende il giudizio degli osservatori internazionali anche del Parlamento Europeo per le sospette irregolarità di voto e le violenze contro i candidati dell’opposizione al Partito Progressista Serbo fuori da alcuni seggi, l’UE guarda con preoccupazione alle dichiarazioni del presidente Vučić, che ieri sera si è attribuito la vittoria dalla sede dell’SNS. “Quello che è importante per europei, russi e americani è che proseguiremo nella nostra politica di neutralità“, ha affermato, confermando che Belgrado manterrà buoni rapporti con la Russia e, implicitamente, non aderirà alle sanzioni occidentali. “Dobbiamo vedere cosa fare sul petrolio e ci saranno colloqui sul gas” russo, ha aggiunto Vučić, ribadendo con forza che “questa crisi ha scosso economie molto più forti della nostra, ma noi siamo completamente stabili”.

    Serbia (Presidential Election), 88.7% parallel count:
    Vučić (SNS+-EPP): 59% (+4)Ponoš (US-S&D): 18% (+2)Jovanović (NADA-*): 6% (+1)…
    Source: CeSID / Ipsos
    +/- vs. 2017 election result
    ➤ https://t.co/eWnraQ39P8#Izbori2022 #Srbija #Serbia #SerbiaElections pic.twitter.com/IXba6uQHet
    — Europe Elects (@EuropeElects) April 3, 2022

    I due più stretti alleati di Putin in Europa, il premier ungherese e il presidente serbo, sono stati riconfermati con un’ampia maggioranza dai rispettivi elettorati. Contestazioni sul processo elettorale e sullo svolgimento del voto, oltre alle provocazioni rivolte all’UE

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    Una delegazione di eurodeputati parteciperà alla missione di osservazione elettorale in Serbia il 3 aprile

    Bruxelles – Sarà una super domenica di elezioni in Serbia e per questo appuntamento fondamentale per il Paese balcanico le istituzioni UE vogliono tenere sotto controllo lo svolgimento, l’affluenza e le modalità di voto. Con questo obiettivo inizia oggi (giovedì 31 marzo) fino a lunedì prossimo (4 aprile) la missione di osservazione elettorale da parte di una delegazione di sette eurodeputati, in occasione delle elezioni parlamentari (anticipate), presidenziali e amministrative in Serbia del 3 aprile.
    “Esamineremo tutti gli aspetti delle elezioni, compreso il quadro giuridico, l’amministrazione elettorale, i reclami e i ricorsi, l’ambiente politico e la campagna elettorale, la performance dei media, la situazione delle minoranze nazionali e la partecipazione delle donne”, ha commentato il capo della delegazione del Parlamento UE, l’eurodeputato olandese Thijs Reuten (S&D). I membri del Parlamento UE si uniranno alla missione internazionale di osservazione delle elezioni in Serbia organizzata dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), che incontrerà in questi giorni candidati, partiti, funzionari, amministratori e cittadini. Al termine della missione saranno presentate le conclusioni sul processo elettorale, in linea con quanto osservato sul territorio serbo.
    Il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić (Belgrado, 8 luglio 2021)
    Il triplice appuntamento elettorale si innesta sullo sfondo di una situazione politica particolarmente tesa nel Paese. Le elezioni parlamentari arrivano a due anni dal boicottaggio dei partiti di opposizione per le accuse al presidente Aleksandar Vučić di politiche illiberali nei confronti della società civile e della libertà di stampa: dal 2020 il suo Partito Progressista Serbo (SNS) governa con una maggioranza di 188 deputati su 250 e il voto anticipato è stato imposto dallo scetticismo dei partner internazionali sul livello di rispetto degli standard democratici del Paese. La convocazione degli elettori per il rinnovo dell’Assemblea nazionale lo stesso giorno dell’elezione del nuovo presidente della Serbia sa di pronunciamento sui cinque anni di presidenza Vučić, che cerca la riconferma per un secondo mandato.
    La campagna elettorale in Serbia, che è ruotata attorno a temi vecchi (adesione UE, Kosovo, NATO) e apparentemente nuovi (aggressione russa dell’Ucraina e rapporto tra Mosca e Belgrado), è stata travolta dalle polemiche sulla partecipazione di alcuni criminali di guerra alle elezioni parlamentari e amministrative. Come il politico ultra-nazionalista Vojislav Šešelj, leader del Partito radicale serbo, condannato a dieci anni di prigione dal Meccanismo per i tribunali penali internazionali dell’Aia nell’aprile 2018 per crimini di guerra contro l’etnia croata nel villaggio di Hrtkovci nel 1992. Secondo la legge serba, se un deputato riceve una pena detentiva superiore a sei mesi, il suo mandato cessa e non può essere rieletto: ma la misura non è mai stata applicata nel caso di Šešelj. “Non c’è spazio per il revisionismo, la glorificazione dei criminali di guerra e la negazione dei genocidi“, ha commentato nel corso del punto quotidiano con la stampa di Bruxelles la portavoce della Commissione Europea Ana Pisonero, anche se non ha risposto esplicitamente alla domanda su una presa di posizione dell’UE sullo scandalo della candidatura dei criminali di guerra.
    A livello internazionale ed europeo, l’esito delle elezioni in Serbia assume ancora più significato se si considera il contemporaneo appuntamento elettorale nella vicina Ungheria, Paese membro UE a cui Belgrado guarda come punto di riferimento nell’Unione e come alleato sull’asse sovranista/nazionalista. Come il presidente serbo Vučić, anche il premier ungherese, Viktor Orbán, punta alla rielezione (la terza consecutiva) in un clima di accuse da parte dell’opposizione e di Bruxelles di violazioni della libertà di stampa e dei diritti delle minorazione, anche considerata la consultazione sul referendum sui diritti LGBT+ che si terrà proprio domenica 3 aprile. Vučić e Orbán sono legati da stima reciproca e da un rapporto particolarmente stretto a livello politico: il presidente serbo ammira le modalità di governo dell’uomo forte di Budapest – “veterano della politica europea” – mentre il premier ungherese punta a stringere con Belgrado un’alleanza strategica nell’ottica del futuro ingresso del Paese balcanico nell’Unione. Ecco perché, con le elezioni in Serbia e in Ungheria di domenica, non sono in gioco solo le prospettive della politica interna dei due Paesi, ma anche l’indirizzo su cui procederà il processo di allargamento UE nella regione balcanica.

    Saranno valutati gli standard democratici delle elezioni presidenziali, parlamentari e amministrative nel Paese. L’appuntamento alle urne sullo sfondo delle polemiche sui criminali di guerra e del contemporaneo voto nell’Ungheria di Orbán, alleato del presidente serbo Vučić

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    Ucraina, Ungheria non consente il passaggio di armi

    Bruxelles – Armi e assistenza militare all’Ucraina, ma non via Ungheria. Budapest si associa agli Stati dell’UE nell’attivazione dello speciale meccanismo di difesa dell’Unione, lo European Peace Facility, ma non concede il proprio territorio per il trasporto di ciò che serve. “Il governo non consente il passaggio di spedizioni di armi letali attraverso l’Ungheria”, l’annuncio che arriva da Zoltan Kovacs, portavoce del governo di Viktor Orban. “Abbiamo accettato di attivare il Fondo europeo per la pace dell’UE, ma non parteciperemo a questo su base nazionale e bilaterale”. Un messaggio oltretutto che intende diffondere la posizione nazionale come espressa dal ministro degli Esteri.

    ⚡️ FM Szijjártó: Government does not allow shipment of lethal weapons to pass through Hungary. We did agree to activating EU’s European Peace Facility, but we won’t take part in this on a national, bilateral basis. #UkraineRussia
    — Zoltan Kovacs (@zoltanspox) February 28, 2022

    Attorno al tavolo dunque umori e posizioni non sono proprio del tutto convergenti. Il portavoce di Orban si sbriga a sgombrare il campo da equivoci, chiarendo che il Paese “sostiene pienamente le posizioni congiunte” dei partner europei, solo che opera dei ‘distinguo’. Sostegno e disponibilità anche a partecipare finanziariamente, ma per ora nessun utilizzo del suolo ungherese per i rifornimenti a sostegno dell’Ucraina contro la Russia.
    La presa di posizione si spiega con ogni probabilità con le elezioni politiche del 3 aprile, una delle più delicate e incerte per Orban. Tanto che Kovacs tocca anche la questione dei rifugiati ucraini e critica gli avversari della maggioranza. “Partito d’opposizione e la stampa liberale dicono a Mosca che siamo divisi e persino spaventano i poveri rifugiati. Vergogna! L’Ungheria è al passo con l’UE, la NATO e diamo il benvenuto a tutti i rifugiati dall’Ucraina”.
    Ma sul contributo bellico niente ruolo attivo. Non solo il governo non consente il passaggio di armi, e munizioni, ma neanche si attiverà per sostituirsi ai partner. Il portavoce di Orban bolla come “fake news” la notizia secondo cui aerei militari ungheresi sarebbero pronti a consegnare armamenti all’Ucraina, a conferma della linea adottata, di partecipazione non attiva. Gli aiuti all’Ucraina dovranno quindi arrivare via Polonia, Romania e Slovacchia.

    Il governo conferma di aver votato per l’attivazione dello European Peace Facility, ma chiarisce di partecipare finanziariamente