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    Orbán a Mosca, l’ira della Commissione europea: “In dubbio la visita Ue in Ungheria”

    Bruxelles – La “missione di pace” intrapresa da Viktor Orbán “mina l’unità” dell’Unione europea. Il premier ungherese si trova oggi (5 luglio) a Mosca per discutere della situazione in Ucraina con il presidente russo Vladimir Putin. Una visita che mette in imbarazzo Bruxelles, dal momento che arriva a soli cinque giorni dall’avvio della presidenza di turno ungherese del Consiglio dell’Ue. E che “mette seriamente in dubbio la tradizionale visita della Commissione europea” nel Paese che detiene la guida semestrale dei 27.Mentre Orbán viene ricevuto al Cremlino, dalla capitale Ue si levano le proteste dei leader. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, aveva repentinamente chiarito già ieri sera che Orbán non ha ricevuto alcun mandato dall’Ue. In mattinata i messaggi dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri e della presidente della Commissione europea: Josep Borrell ha precisato che la posizione ufficiale dei 27 sul conflitto “esclude contatti ufficiali tra l’Ue e Putin”, secondo Ursula von der Leyen “l’appeasement non fermerà Putin”.Viktor Orban e Vladimir Putin a Pechino, ottobre 2023 (credits: Grigory Sysoyev / Pool / Afp)La linea della Commissione europea sulla missione di Budapest – solo tre giorni fa Orbán si è recato a Kiev per chiedere un cessate il fuoco a Zelensky – è stata chiarita dal portavoce capo, Eric Mamer, durante il briefing quotidiano con la stampa: “Si tratta di appeasement e non di pace, e noi crediamo che mini l’unità e la determinazione che dobbiamo mostrare per porre fine a questa guerra”, ha dichiarato, precisando inoltre che “non siamo stati informati della visita, non è stata coordinata con noi e né con nessun altro”. Come non era stata coordinata con gli omologhi europei la prima fuga in avanti di Orbán, quando ad ottobre 2023 incontrò e strinse la mano a Putin durante un viaggio a Pechino.L’irritazione è tale per cui la Commissione paventa già le prime conseguenze: “Questa visita a Mosca mette seriamente in dubbio la tradizionale visita della presidenza (della Commissione, ndr) in Ungheria, che avevamo in programma subito dopo la pausa estiva”, ha annunciato Mamer. È infatti una prassi consolidata che il presidente della Commissione europea, insieme al collegio dei commissari, si rechino in visita nel Paese che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue.Il portavoce dell’esecutivo comunitario ha evidenziato che – nonostante lo stesso Orbán abbia constatato che la presidenza di turno non ha il mandato di negoziare per conto dell’Ue – “il simbolismo è molto chiaro”, perché “questo viaggio avviene cinque giorni dopo l’avvio della presidenza ungherese”. E il premier magiaro, in una foto pubblicata sul suo account X, accompagnata dalla didascalia “La missione di pace continua, seconda fermata: Mosca”, ha utilizzato il logo scelto da Budapest per il semestre di presidenza Ue. Orbán ha risposto alla tempesta di critiche ricevute tra ieri e oggi a suo modo, cioè rilanciando: “Non è possibile trovare pace stando comodamente seduti in poltrona a Bruxelles – ha attaccato -, non possiamo sederci e aspettare che la guerra finisca miracolosamente”.La “confusione” seminata a proposito da Orbán, come ha denunciato la premier estone – e candidata a sostituire Borrell a capo della diplomazia Ue – Kaja Kallas, è evidente anche nelle dichiarazioni di Putin all’arrivo dell’amico di lunga data. “Capisco che questa volta è arrivato non solo come nostro partner”, ha osservato Putin, che ha intenzione di mostrare a Orbán i dettagli delle proposta di Mosca per una soluzione pacifica del conflitto in Ucraina. Secondo l’ufficio stampa del Cremlino, il presidente russo avrebbe detto a Orbán di essere “pronto a discutere con voi le sfumature su questo tema, e mi aspetto che lei mi renda edotto della sua posizione e di quella dei partner europei“.The #peace mission continues. Second stop: #Moscow. pic.twitter.com/kPOkKBsJQm— Orbán Viktor (@PM_ViktorOrban) July 5, 2024A proposito delle “vergognose” immagini di Orban da Puti, l’eurodeputato Sandro Gozi, segretario generale del Partito democratico europeo e membro della presidenza di Renew Europe ricorda che “con una risoluzione lo scorso 24 aprile, il Parlamento europeo aveva messo in luce tutti i dubbi e le preoccupazioni sulla reale capacità di questa presidenza di turno del Consiglio di garantire la continuità dell’agenda dell’Ue e di rappresentare il Consiglio nelle sue relazioni con le istituzioni dell’Ue e gli altri Paesi”. Secondo Gozi “purtroppo, il Consiglio fece cadere nel vuoto il nostro appello a spostare la presidenza ungherese. Scandalizzarsi oggi, dunque, da parte dei leader del Consiglio, è quanto mai ipocrita: sarebbe bastato ascoltare il Parlamento per evitare un’immagine così vergognosa che getta discredito su tutte le istituzioni europee”.

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    La ‘pace di Orbán’. Dopo la visita a Kiev, previsto l’incontro con Putin. Ma Bruxelles mette in chiaro: “Nessun mandato dall’Ue”

    Bruxelles – Viktor Orbán domani al Cremlino per incontrare Vladimir Putin. A soli due giorni di distanza dalla visita a Kiev in cui Orbán aveva definito l’impegno sull’Ucraina “la questione principale dei prossimi sei mesi di presidenza ungherese dell’Ue”. Ma da Bruxelles, dopo l’endorsement al benaugurante incontro con Zelensky, arriva la rettifica immediata: “La presidenza di turno dell’Ue non ha il mandato di impegnarsi con la Russia per conto dell’Ue”.A mettere in chiaro che si tratta di un’iniziativa esclusivamente figlia dell’equilibrismo di Budapest tra l’Ue e l’amicizia con il dittatore russo, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Per l’Ue “nessuna discussione sull’Ucraina può aver luogo senza l’Ucraina”, ha dichiarato in un post su X pochi minuti dopo la notizia del viaggio a Mosca del premier magiaro, riportata dall’emittente ungherese Radio Liberty citando una fonte del governo di Budapest. Secondo Radio Liberty, Orbán sarà accompagnato dal ministro degli Esteri, Peter Szijjarto, un habitué della tratta Budapest-Mosca: dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, Szijjarto è stato nella capitale russa almeno cinque volte.Viktor Orban e Volodymyr Zelensky a Kiev, 02/07/24 (Photo by Genya SAVILOV / AFP)A soli quattro giorni dal via del temuto semestre ungherese di presidenza del Consiglio dell’Ue, il leader più filorusso d’Europa rischia già di mettere in imbarazzo l’Unione e di creare tensione con i colleghi capi di stato e di governo. Il 2 luglio, nel suo primo viaggio in Ucraina da quando è scoppiato il conflitto, Orbán aveva invitato Zelensky a ragionare sulla possibilità di “proclamare un cessate il fuoco e avviare negoziati con la Russia”. Sentendosi rispondere dal premier ucraino che “serve una pace giusta”. Una pace che parta da un presupposto ribadito ancora da Charles Michel: “La Russia è l’aggressore, l’Ucraina è la vittima”.The EU rotating presidency has no mandate to engage with Russia on behalf of the EU.The European Council is clear: Russia is the aggressor, Ukraine is the victim. No discussions about Ukraine can take place without Ukraine.— Charles Michel (@CharlesMichel) July 4, 2024

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    Orbán a sorpresa in Ucraina. A Kiev per “discutere di pace” con Zelensky

    Bruxelles – Sono bastate 24 ore alla guida della presidenza di turno dell’Ue perché Viktor Orbán si imbarcasse alla volta di Kiev, per la prima volta dall’inizio dell’aggressione russa nel febbraio 2022. Il primo ministro ungherese, l’anello debole nel supporto incondizionato di Bruxelles all’Ucraina, ha incontrato Volodymyr Zelensky per “discutere di pace in Europa”, ha fatto sapere su X il suo portavoce, Zoltán Kovács.Una visita “nel solco delle decisioni dell’Ue”, ha commentato il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani. Un “progresso” nelle relazioni tra Kiev e Budapest, l’ha definita l’ambasciatore americano in Ungheria, David Pressman. Di certo, una visita inaspettata da parte del leader più filorusso dei 27, che sta bloccando ostinatamente circa 6,5 miliardi di euro in aiuti militari all’Ucraina attraverso lo European Peace Facility, dopo aver tenuto in ostaggio per mesi i 50 miliardi dello Strumento Ue per l’assistenza macrofinanziaria a Kiev.Viktor Orban e Volodymyr Zelensky in conferenza stampa a Kiev, 2/7/24 (Photo by Genya SAVILOV / AFP)“I colloqui si concentreranno sulle possibilità di raggiungere la pace e sulle questioni attuali delle relazioni bilaterali tra Ungheria e Ucraina”, ha precisato ancora Kovács. Secondo quanto riportato dal The Guardian, la visita di Orbán a Zelensky è stata pianificata dopo che i due Paesi hanno trovato un accordo sulla questione dei diritti delle comunità magiare in Ucraina, che vivono al di là del confine con l’Ungheria. La questione della minoranza ungherese è stata anche la principale motivazione con cui Budapest ha giustificato la sua strenua opposizione all’inizio dei negoziati di adesione all’Ue con l’Ucraina.Nel bilaterale, i due leader hanno “accettato di lasciarsi alle spalle le controversie del passato e di lavorare per migliorare le relazioni bilaterali, puntando a un accordo di cooperazione globale per l’Ucraina“, ha fatto sapere Kovács. Il portavoce ha inoltre sottolineato che ha sottolineato che Orbán riferirà gli omologhi del Consiglio europeo sulle discussioni avute con Zelensky.La scelta di recarsi a Kiev a un giorno dall’insediamento alla guida semestrale del Consiglio dell’Ue è un segnale importante da parte di Orbán. L’impegno sull’Ucraina è uno dei timori maggiori che i leader europei hanno segnalato riguardo la presidenza ungherese dell’Unione. Budapest “mira ad affrontare le sfide più urgenti che l’Unione si trova ad affrontare”, ha rivendicato il portavoce Balázs Orbán. Anche se sul percorso per riportare la pace in Ucraina, il punto di vista ungherese diverge profondamente da quello del blocco Ue, che parte dall’assunto dell’integrità territoriale del Paese aggredito: nella conferenza stampa congiunta con Zelensky, Orbán ha dichiarato che “l’Ucraina dovrebbe proclamare il cessate il fuoco e avviare negoziati con la Russia“.Con l’impegno sull’Ucraina, che Orbán ha definito “la questione principale dei prossimi 6 mesi di presidenza ungherese dell’Ue”, il premier sovranista manda un messaggio anche alle destra europea, nel bel mezzo di un processo di riconfigurazione politica. La più solida alleata di Orbán in Europa, Giorgia Meloni, presidente dei Conservatori e Riformisti Europei, è allineata alla posizione del blocco di supporto incondizionato a Kiev. Tant’è che, dopo mesi di corteggiamenti, il gruppo di Ecr ha chiuso la porta al partito di Orbán, Fidesz, che all’Eurocamera risulta ancora tra i non iscritti.Ora il primo ministro ungherese ha annunciato la nascita di una nuova alleanza, i ‘Patrioti per l’Europa’, con i populisti cechi di Ano (ex membri dei liberali) e i nazionalisti austriaci dell’Fpo (fuoriusciti dal gruppo sovranista Id, quello di Marine Le Pen e della Lega). All’alleanza hanno già aderito i portoghesi di Chega, mentre il Carroccio ammicca. Per creare un gruppo all’Eurocamera però, Orbán ha bisogno dell’adesione di partiti da 7 Paesi membri. Un atteggiamento meno oltranzista sull’Ucraina potrebbe attrarre altri ‘patrioti’, come i polacchi filoucraini di Diritto e Giustizia, ai ferri corti con Fratelli d’Italia in Ecr.

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    Kiev e Bruxelles guardano alla data del 25 giugno per iniziare i negoziati di adesione Ue dell’Ucraina

    Bruxelles – Le prime indicazioni erano già arrivate dalla più alta carica del Consiglio Europeo, Charles Michel, dopo il vertice dei leader Ue di marzo, e ora le indiscrezioni che trapelano da Palazzo Europa confermano che il lavoro è intenso per iniziare i negoziati di adesione Ue con l’Ucraina già entro la fine di giugno. Più precisamente il 25 giugno, quando si riunirà il prossimo Consigli Affari Generali, responsabile per la decisione (all’unanimità) sul via libera alle conferenze intergovernative con i candidati all’ingresso nell’Unione.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel (7 febbraio 2023)A confermare questa spinta a Bruxelles sono alcune fonti di Politico, che riportano come i diplomatici Ue e ucraini abbiano intensificato gli sforzi nelle ultime settimane per cercare di convincere il governo ungherese guidato da Viktor Orbán a non porre il veto e fare sì che la questione non debba riproporsi (o essere depennata fino a fine anno) proprio durante la presidenza di turno ungherese del Consiglio dell’Ue. Già al termine del Consiglio Europeo del 21 marzo Michel aveva confessato che la speranza era quella di “arrivare alla prima conferenza intergovernativa sotto presidenza belga“, prima del passaggio di consegne a Budapest per la guida semestrale dell’istituzione Ue (che definisce calendari e temi in agenda delle riunioni dei ministri nelle diverse composizioni del Consiglio).Da sinistra: il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán (7 febbraio 2023)Dopo la concessione dello status di Paese candidato all’Ucraina nel giugno 2022 e nonostante i progressi costanti registrati dalla Commissione Europea nel corso del successivo anno e mezzo, è stato il premier ungherese Orbán a scegliere la via dell’ostruzionismo per provare a impedire il via libera ai negoziati di adesione con Kiev. Solo attraverso una costante pressione delle istituzioni Ue – e lo sblocco da parte della Commissione di circa 10 miliardi di euro congelati a Budapest – Orbán ha compiuto un gesto abbastanza inconsueto ed eclatante al Consiglio Europeo del 14 dicembre 2023: ha lasciato la sala al momento del voto, così che gli altri 26 leader Ue potessero approvare la più attesa tra le conclusioni del vertice. Al successivo vertice di marzo è arrivato l’invito dei capi di Stato e di governo ai 27 ministri degli Affari europei ad “adottare rapidamente” i progetti di quadri di negoziazione e “a portare avanti i lavori senza indugio”.Da allora la diplomazia Ue, belga (che detiene fino al 31 giugno la presidenza di turno) e ucraina si sono impegnate intensamente con Budapest per rispondere alle preoccupazioni sulle minoranze ungheresi in Ucraina, anche attraverso la risposta da Kiev a un elenco di 11 punti stilato dall’Ungheria. La speranza è che il governo Orbán possa essere interessato a chiudere la questione dei colloqui di adesione dell’Ucraina prima di assumere la presidenza semestrale, per evitare che il proprio semestre sia costellato da pressioni e polemiche a riguardo (e considerato il fatto che non si tratta dell’ultima occasione per l’Ungheria di utilizzare il potere di veto per bloccare l’adesione Ue di Kiev). Prima però va concordato il quadro negoziale sulla base della proposta della Commissione Europea, che si trova ora al vaglio dei 27 governi e dal cui semaforo verde dipenderà l’avvio della prima conferenza intergovernativa. Forse già il 25 giugno.Come funziona il processo di adesione UeIl processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.L’Ucraina e gli altri 9. A che punto è l’allargamento UeLo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Nel Pacchetto Allargamento Ue 2023 la Commissione ha raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina e Moldova e di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato. Tutte le richieste sono state poi accolte dal vertice dei leader Ue di dicembre e ora si attende solo l’avvio formale dei negoziati e l’adozione dei quadri negoziali per le prime due.Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Albania e Macedonia del Nord i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Montenegro e Serbia si trovano a questo stadio rispettivamente da 12 e 10 anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre 2022 anche la Bosnia ed Erzegovina è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione e al Consiglio Europeo del 21 marzo ha ricevuto l’endorsement all’avvio formale dei negoziati di adesione. Il Kosovo è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata a fine 2022: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è stato affrontato in una relazione strategica apposita a Bruxelles.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Via libera dall’Ungheria all’ingresso della Svezia nella Nato. L’Alleanza tocca quota 32 Paesi membri

    Bruxelles – E anche l’ultimo ostacolo di fronte alla strada della Svezia nella Nato è caduto. L’Assemblea Nazionale dell’Ungheria ha votato oggi (26 febbraio) a favore della ratifica del protocollo di adesione di Stoccolma all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord e fra pochi giorni il Paese scandinavo potrà diventare ufficialmente il 32esimo Paese membro dell’Alleanza Atlantica. “Oggi è una giornata storica”, ha esultato il primo ministro svedese, Ulf Kristersson: “Siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità per la sicurezza euro-atlantica”.

    Il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán (credits: Javier Soriano / Afp)Il via libera è arrivato con 188 voti a favore e 6 contrari, dopo che ormai era stato chiaro dalle parole del primo ministro, Viktor Orbán, in apertura della seduta parlamentare che i deputati del partito al potere Fidesz non avrebbero più creato problemi alla ratifica. I due premier si erano incontrati venerdì scorso (23 febbraio) a Budapest per discutere di cooperazione in materia di difesa e sicurezza, e dai negoziati era emerso che l’Ungheria potrà acquistare quattro nuovi aerei da combattimento Gripen di fabbricazione svedese, mentre Stoccolma non avrebbe più visto ostruzionismo da Budapest nel suo percorso verso l’adesione all’Alleanza Atlantica. “L’ingresso della Svezia nella Nato rafforzerà la sicurezza dell’Ungheria“, ha commentato oggi Orbán, definendo la visita di Kristersson nella capitale ungherese come un passo essenziale verso la costruzione di “un rapporto equo e rispettoso tra i due Paesi”.Il protocollo di adesione di Svezia (e Finlandia, 31esimo Paese membro dal 4 aprile 2023) era stato firmato il 5 luglio 2022 – dopo la svolta strategica storica la politica di sicurezza nazionale tradizionalmente legata al non-allineamento – e da allora per Stoccolma è stata una strada in salita. A oltre 19 mesi dal vertice di Vilnius, l’Ungheria era rimasto l’unico Paese membro a non aver approvato in modo formale l’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza Atlantica, quando anche la Turchia ha messo fine al suo durissimo blocco. Un mese fa Orbán aveva fatto cadere formalmente il suo breve ostruzionismo, ma lo stesso non ha fatto il suo partito Fidesz, boicottando la sessione straordinaria di inizio mese. Trovatosi sotto pressione da parte degli altri membri – e messo con le spalle al muro dalla visita di Kristersson – il premier ungherese ha infine spinto i membri del suo partito a far crollare la resistenza. “Ora che tutti gli alleati hanno approvato, la Svezia diventerà il 32esimo alleato della Nato“, ha accolto il voto favorevole dell’Assemblea Nazionale di Budapest il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, sottolineando che “l’adesione della Svezia ci renderà tutti più forti e sicuri”. La cerimonia di ingresso del nuovo membro dell’Alleanza si potrebbe tenere al quartier generale della Nato già venerdì (primo marzo). I passi della Svezia per entrare nella NatoPer diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.

    Il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergLa procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

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    Crolla la resistenza dell’Ungheria di Orbán alla ratifica del protocollo di adesione della Svezia alla Nato

    Bruxelles – Non è durato nemmeno 24 ore l’ostruzionismo aperto del premier ungherese, Viktor Orbán, alla ratifica del protocollo di adesione della Svezia alla Nato, dopo lo sblocco dello stallo con il voto favorevole della Grande Assemblea Nazionale Turca arrivato nella serata di ieri (23 gennaio). Rimasta l’unico Paese membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord a non aver approvato in modo formale l’ingresso di Stoccolma come 32esimo membro dell’Alleanza Atlantica, l’Ungheria ha subito le pressioni degli altri alleati della Nato – incluso il segretario generale Jens Stoltenberg – e già oggi (24 gennaio) il premier Orbán ha reso noto che “alla prima occasione possibile” arriverà il voto dell’Assemblea Nazionale di Budapest per la ratifica del protocollo di adesione di Stoccolma.

    Da sinistra: il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson (credits: Jonathan Nackstrand / Afp)“Ho ribadito che il governo ungherese sostiene l’adesione della Svezia alla Nato, ho anche sottolineato che continueremo a sollecitare l’Assemblea nazionale ungherese a votare a favore dell’adesione della Svezia”, ha scritto il leader ungherese su X a seguito della telefonata con il segretario generale della Nato. Lo stesso Stoltenberg ha “accolto con favore il chiaro sostegno” di Orbán e del governo ungherese, esortando la ratifica del protocollo di adesione della Svezia “non appena il Parlamento tornerà a riunirsi”. La fine delle velleità di Orbán di tenere in ostaggio l’ingresso del nuovo membro nell’Alleanza è arrivata con il secco rifiuto del governo di Stoccolma a partecipare a un incontro a Budapest per “negoziare l’adesione della Svezia alla Nato“, come recitava l’invito recapitato ieri dal primo ministro Orbán all’omologo svedese, Ulf Kristersson.Mentre nell’ultimo anno e mezzo l’attenzione era tutta rivolta ad Ankara e alle minacce esplicite del presidente Recep Tayyip Erdoǧan di bloccare il processo in caso di non rispetto delle condizioni richieste, a Budapest il dossier della ratifica del protocollo di adesione della Svezia alla Nato non è mai avanzato soprattutto per il contrasto diplomatico tra i due Paesi membri Ue. Proprio durante il semestre di presidenza svedese del Consiglio dell’Ue (tra gennaio e luglio 2023), il premier Kristersson è stato particolarmente duro nelle sue critiche all’erosione dello Stato di diritto determinato dal governo Orbán e tutt’ora è uno dei leader più intransigenti sui ricatti del premier ungherese al tavolo del Consiglio Europeo (in particolare sulle questioni dei fondi Ue e del sostegno all’Ucraina).I passi della Svezia per entrare nella NatoPer diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.

    La procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

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    La Turchia pronta a ratificare il protocollo di adesione Nato della Svezia. Ma manca ancora l’Ungheria

    Bruxelles – Si sta per chiudere uno dei capitoli più spinosi degli ultimi due anni all’interno della Nato: lo stallo turco sulla ratifica del protocollo di adesione della Svezia all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, ma un altro rischia di diventare ancora più imbarazzante. Mentre la Grande Assemblea Nazionale Turca è pronta a ratificare in settimana (tra oggi e giovedì) il protocollo di adesione di Stoccolma sei mesi dopo l’intesa decisiva tra i leader dei due Paesi al vertice Nato di Vilnius, il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, ha reso noto di aver invitato il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, a Budapest per “negoziare l’adesione della Svezia alla Nato“.

    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, a Vilnius (10 luglio 2023)Quello turco sembrava l’ostacolo più arduo da superare per le aspirazioni della Svezia di diventare il 32esimo membro dell’Alleanza Atlantica, considerato il continuo rinvio imposto dal presidente Recep Tayyip Erdoǧan per una serie di criteri a suo avviso non rispettati secondo il memorandum d’intesa firmato alla vigilia del vertice di Madrid del 2022. Tra queste in particolare le richieste di estradare i membri del movimento politico-militare curdo del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan). La posizione irremovibile del leader turco ha portato al punto più basso dei rapporti con gli altri alleati in occasione del via libera alla richiesta della Finlandia, quando è stato invece ribadito lo stop a Stoccolma: in questo modo è sfumato l’ingresso congiunto dei due Paesi scandinavi nell’Alleanza Atlantica nello stesso giorno (il 4 aprile 2023). Appena prima dell’inizio del vertice di Vilnius nel luglio dello scorso anno – e dopo aver minacciato di voler legare il percorso di allargamento della Nato a quello di adesione della Turchia all’Unione Europea – lo stesso Erdoǧan ha dato il via libera all’ingresso della Svezia in un trilaterale risolutorio con il premier Kristersson e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. A distanza di sei mesi il Parlamento turco è pronto a rispettare l’impegno di ratificare il protocollo di adesione di Stoccolma, mettendo fine al suo ostruzionismo.

    Il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán (credits: Javier Soriano / Afp)Ma ora tutti gli occhi sono puntati sull’Ungheria di Orbán, che si sta distinguendo in senso negativo a Bruxelles per i suoi continui ricatti non solo all’interno dell’Unione Europea (in particolare sulle questioni dei fondi Ue e del sostegno all’Ucraina) ma anche della Nato. Mentre l’attenzione era tutta rivolta ad Ankara e alle minacce esplicite di Erdoǧan di bloccare il processo in caso di non rispetto delle condizioni richieste, a Budapest il dossier della ratifica del protocollo di adesione della Svezia alla Nato non è mai avanzato soprattutto per il contrasto diplomatico tra i due Paesi membri Ue. Proprio durante il semestre di presidenza svedese del Consiglio dell’Ue (tra gennaio e luglio 2023), il premier Kristersson è stato particolarmente duro nelle sue critiche all’erosione dello Stato di diritto determinato dal governo Orbán e tutt’ora è uno dei leader più intransigenti sui ricatti del premier ungherese al tavolo del Consiglio Europeo. Il messaggio di Orbán sul “negoziare l’adesione della Svezia alla Nato” è anche un chiaro segnale di subordinazione del Parlamento ungherese alle decisioni del premier (così come successo in Turchia), considerato anche il fatto che a oggi non è in agenda un voto per la ratifica del protocollo di adesione di Stoccolma.I passi della Svezia per entrare nella NatoPer diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.

    La procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

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    L’estrema destra europea ha una visione distorta dei rapporti tra Unione Europea e Serbia (e Russia)

    Bruxelles – Viktor Orbán non è solo. Il più stretto alleato della Serbia di Aleksandar Vučić, il primo ministro che sta creando più problemi per l’unità dei Ventisette – e lo stesso che sta mettendo i bastoni fra le ruote di Bruxelles all’introduzione di misure contro Belgrado per il non rispetto degli impegni assunti per la normalizzazione dei rapporti con il Kosovo – sta trovando buona compagnia nello schieramento di estrema destra al Parlamento Europeo. Destabilizzazione, ingerenze, tentativi di ricreare “una nuova Maidan”. Sono le accuse lanciate da alcuni esponenti del gruppo Identità e Democrazia (Id) all’indirizzo non della Russia o della Cina, ma contro l’Unione Europea, dopo il risultato quantomeno controverso delle elezioni anticipate del 17 dicembre scorso in Serbia.(credits: Andrej Isakovic / Afp)Le insinuazioni avanzate in particolare da due eurodeputati francesi di Rassemblement National sono state senza dubbio la nota più frizzante del dibattito di questa settimana alla sessione plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo a proposito della situazione in Serbia dopo le elezioni di dicembre (il voto sulla risoluzione è previsto per alla sessione di febbraio). Tutti i gruppi politici, compreso quello dei Conservatori e Riformisti Europei, si sono ritrovati d’accordo sul fatto che si sono registrate “gravi irregolarità e compravendita di voti” – come affermato dal croato Ladislav Ilčić (Ecr), anche se animato da ragioni puramente nazionalistiche – e che “i cittadini serbi meritano riforme europee e risultati concreti” (Vladimír Bilčík, Ppe), con critiche poco velate a Commissione e Consiglio sulla “reazione molto morbida” per la necessità di “pragmatismo a sostegno della stabilocrazia nel Paese, che però non porta ai risultati previsti” (Klemen Grošelj, Renew Europe). Tutti eccetto gli eurodeputati francesi intervenuti nell’emiciclo di Strasburgo a nome del gruppo Id, che hanno espresso il proprio dissenso con parole più controverse del previsto.“L’ideologia motiva questo dibattito, qual è il vostro problema? La vittoria di Vučić e la sconfitta dei vostri alleati politici di opposizione? È per questo che l’Ue cerca di destabilizzare la Serbia?“, ha attaccato il francese Jean-Lin Lacapelle (Id), accusando le istituzioni comunitarie di “ingerenze nella politica serba, perché ogni Paese è sovrano e indipendente, fino a quando le sue scelte democratiche non vi piacciono”. Ancora più esplicito il connazionale Thierry Mariani: “Sono preoccupato perché questa regione ha bisogno di riappacificazione, mentre questo dibattito farà sì che l’opposizione continui a smuovere le acque”. Fino alla chiusura più sibillina: “Vorrei capire qual è la ragione dietro questa discussione, stimolare una seconda Maidan?” Il riferimento è a uno dei fattori che ha scatenato la crisi tra la Russia e l’Ucraina nel 2013, e che per Kiev e Bruxelles è considerato il primo momento di espressione della volontà popolare di seguire la prospettiva europea per il Paese oggi invaso dall’esercito russo.Le parole dei due eurodeputati di estrema destra – e in particolare il riferimento alla “seconda Maidan” con accezione negativa – evidenziano non solo la visione distorta dei rapporti tra Ue e Serbia secondo una parte specifica dello spettro politico europeo, ma anche una strizzata d’occhio alla Russia di Vladimir Putin che non è mai stata rinnegata (ma diventata solo meno esplicita dopo lo scoppio della guerra in Ucraina). Parlare di “destabilizzazione” del sistema di potere del presidente Vučić da parte delle istituzioni comunitarie è fuorviante per due ragioni. In primis perché non fattuale: la Serbia è un Paese candidato dall’adesione all’Unione Europea, i cui impegni sanciti dai Trattati Ue (compreso il rispetto dei principi dello Stato di diritto messo in discussione dallo svolgimento delle ultime elezioni) sono stati sottoscritti volontariamente da Belgrado. In secondo luogo perché – ammesso e non concesso che a Bruxelles ci sia un disegno di pressioni illecite contro la Serbia – i meccanismi democratici dell’Unione consentono al premier Orbán di opporsi in sede di Consiglio all’introduzione delle misure “temporanee e reversibili” in discussione da mesi a Bruxelles (le stesse che invece sono in atto nei confronti del Kosovo) nonostante il via libera di tutti gli altri Paesi membri.Ancora più preoccupante è la visione dei rapporti alla luce del ruolo della Russia nella regione. In particolare va considerato il fatto che la Serbia di Vučić è l’unico partner dell’Unione che rivendica il non-allineamento alla Politica estera e di sicurezza comune, soprattutto sulle sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina (nemmeno a livello di principio) e che fino a oggi non ha mai voluto allontanarsi eccessivamente dal legame con il Cremlino. Al contrario, nonostante riceverà un pacchetto di sostegno energetico da Bruxelles pari a 165 milioni di euro, nel maggio 2022 Vučić ha siglato un’intesa con Putin per tre anni di gas russo a condizioni favorevoli. Per il Cremlino la Serbia è una sorta di testa di ponte nei Balcani Occidentali, tanto che Bruxelles continua a sollevare preoccupazioni sulla possibile destabilizzazione russa della regione dopo l’attacco armato all’Ucraina. A proposito di Ucraina, getta una luce inquietante il parallelismo fatto dai due eurodeputati di Rassemblement National tra il supporto di Bruxelles alle “legittime manifestazioni di piazza” a Belgrado (come le ha definite il commissario per la Giustizia, Didier Reynders) e a quelle del 2013 di Euromaidan. La critica nemmeno troppo velata di sostenere le richieste dei manifestanti – serbi oggi come ucraini allora – di maggiore trasparenza elettorale e contro le violazioni dello Stato di diritto è una potenziale cassa di risonanza della propaganda del Cremlino secondo cui le proteste popolari europeiste sono frutto di manipolazione delle potenze occidentali e richiedono un intervento più o meno diretto della Russia.Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipateDa sinistra: il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán (credits: Andrej Isakovic / Afp)Nonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.Proprio nella capitale la situazione rimane ancora tesa e non è da escludere che si possano ripetere le elezioni amministrative la cui vittoria è stata rivendicata dal Partito Progressista Serbo: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić ha conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)A questo si aggiunge il caso che Bruxelles “sta seguendo da vicino” (parole della dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero) sulle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba (dimessosi due mesi fa), Aleksandar Vulin, ha riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews