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    Fondi alla Tunisia per rimpatri e frontiere dure. Ma l’Ue non ha nulla da dire sulla teoria della “sostituzione etnica” di Saïed

    Bruxelles – Un partenariato che dovrebbe spianare la strada per altri accordi con la regione nord-africana in materia di migrazione, ma che a nemmeno 24 ore dalla firma del memorandum d’intesa già pone grosse perplessità sul rispetto dei valori fondanti dell’Unione Europea. La Tunisia riceverà da Bruxelles 105 milioni di euro per rimpatri e rafforzamento delle proprie frontiere esterne, ma quello che fa davvero rumore è che nessuno dei tre leader Ue recatisi ieri (16 luglio) a Tunisi – la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, la prima ministra italiana, Giorgia Meloni, e l’omologo olandese, Mark Rutte – abbia avuto qualcosa da dire sulle parole razziste e complottiste del presidente tunisino, Kaïs Saïed, a proposito delle persone migranti di Paesi terzi africani sul proprio territorio nazionale e sulle accuse contro le Ong europee di “diffondere fake news” su di lui e sulle violenze nel Paese.
    Da sinistra: il primo ministro dei Paesi Bassi, Mark Rutte, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Tunisia, Kaïs Saïed, e la prima ministra dell’Italia, Giorgia Meloni, a Tunisi (16 luglio 2023)
    “La Tunisia ribadisce la sua posizione di non essere un Paese di insediamento per i migranti irregolari, ribadisce inoltre la sua posizione di presidiare solo le proprie frontiere”, si legge nel memorandum d’intesa Ue-Tunisia. “Questo approccio si baserà sul rispetto dei diritti umani e comprenderà la lotta contro le reti criminali di trafficanti di migranti e di esseri umani”, ma soprattutto “lo sviluppo di un sistema di identificazione e di rimpatrio dei migranti irregolari già presenti in Tunisia verso i loro Paesi di origine“. È proprio questo il tema su cui si gioca tutta la credibilità dell’Unione, considerato il fatto che negli ultimi mesi il leader tunisino ha aumentato i suoi attacchi contro le persone migranti in arrivo sul territorio nazionale dall’Africa sub-sahariana, mettendo in campo una retorica complottista di estrema destra basata sulla teoria della ‘sostituzione etnica’. Già in occasione di un consiglio di sicurezza nazionale a febbraio aveva parlato di “orde di immigrati clandestini” la cui presenza in Tunisia sarebbe dettata dalla “volontà di renderci solo un altro Paese africano e non un membro del mondo arabo e islamico”.
    Prima, durante e dopo i due incontri in poco più di un mese che gli stessi tre leader europei hanno avuto a Tunisi con Saïed non è mai arrivata alcuna reazione da Bruxelles a parole che sono chiaramente contrarie ai valori promossi dall’Unione Europea di non-discriminazione e anti-razzismo, ma che soprattutto hanno creato in Tunisia un clima favorevole per gli attacchi fisici su queste persone, soprattutto nella città costiera di Sfax. E nel corso della conferenza stampa svoltasi al termine della cerimonia di firma del memorandum d’intesa sono rimaste senza risposta le accuse rivolte dallo stesso leader tunisino alle Ong che operano nel Mar Mediterraneo di veicolare un’immagine negativa del Paese e della sua leadership, sempre come parte di un grande progetto complottista: “I tunisini hanno provveduto con rifugi e tutto quello che potevano aspettarsi queste persone migranti, con grande ospitalità e generosità illimitata”, ha attaccato Saïed, puntando il dito sul “ruolo giocato da molte organizzazioni umanitarie con le loro dichiarazioni e con fake news e notizie distorte per gettare discredito sui tunisini e sul Paese in generale“. Nessuna presa di distanza, nessuna precisazione, nessuna parola di sostegno ai professionisti europei che lavorano per la difesa dei diritti umani da parte di von der Leyen, Meloni o Rutte, in particolare rivelando deportazioni dalle coste tunisine al deserto al confine con la Libia.
    (credits: Fethi Belaid / Afp)
    Al contrario l’Unione è pronta a mettere sul piatto un pacchetto da 105 milioni di euro, da dividere tra circa 60 milioni per il rafforzamento delle frontiere esterne e altri 15 milioni per i rimpatri, fanno sapere fonti Ue (non si sa nel dettaglio cosa prevedano i restanti 30 milioni). Sono confuse le informazioni che arrivano sia sul piano delle modalità di esborso dei fondi – se attraverso emendamenti ai fondi Ue con la proposta di revisione del bilancio pluriennale presentato poche settimane fa, o attraverso programmi di lavoro ad hoc – ma soprattutto sulla suddivisione dei finanziamenti sul rimpatrio. Il testo ufficiale non chiarisce nulla di tutto questo, ma fonti riferiscono che i 15 milioni di euro saranno destinati per rimpatriare nei propri Paesi di origine (prevalentemente sub-sahariani) circa seimila persone che attualmente risiedono in modo irregolare in Tunisia. Si tratta di una chiara concessione al presidente Saïed, a cui si aggiunge un ulteriore punto segnato dall’uomo forte di Tunisi nell’aver messo nero su bianco che i rimpatri dai Paesi membri Ue alla Tunisia potranno riguardare solo cittadini di nazionalità tunisina. “Non accetteremo mai di essere i guardiani dei confini di nessun Paese, né accetteremo l’insediamento di migranti sul nostro territorio”, era il punto di partenza di Saïed. Ed è stato anche quello di arrivo, a dispetto di quanto Paesi come l’Italia vorrebbero fare attraverso il concetto di ‘Paese terzo sicuro’ nel futuro Patto migrazione e asilo.
    Cosa prevede il memorandum Ue-Tunisia sulla migrazione
    “Le due parti convengono di continuare a collaborare per affrontare le sfide poste dall’aumento della migrazione irregolare in Tunisia e nell’Ue, riconoscendo gli sforzi compiuti e i risultati ottenuti dalle autorità tunisine”, è quanto hanno concordato i quattro leader a Tunisi, con un rapido riferimento al “coordinamento delle operazioni di ricerca e salvataggio in mare” e l’attuazione di “misure efficaci per combattere il traffico di migranti e la tratta di esseri umani”. Da una parte l’Unione Europea fornirà un “adeguato sostegno finanziario supplementare” per appalti, formazione e supporto tecnico “necessari per migliorare ulteriormente la gestione delle frontiere tunisine”. E poi c’è, appunto, la questione dei rimpatri. Bruxelles sosterrà Tunisi nell’attuazione del memorandum “in contesti bilaterali con gli Stati membri” dell’Ue, ma soprattutto offrirà sostegno sia per il rimpatrio dalla Tunisia verso i Paesi d’origine delle persone che attualmente risiedono nel Paese in modo irregolare “in conformità con il diritto internazionale e nel rispetto della loro dignità”, sia dall’Ue verso dalla Tunisia solo “dei cittadini tunisini in situazione irregolare”, con tutto ciò che riguarda i cittadini di Paesi terzi emendato dal testo.
    Nel capitolo del memorandum sulla gestione della migrazione trova spazio anche la “promozione di canali legali, comprese le opportunità di lavoro stagionale” e le opportunità di “mobilità internazionale a tutti i livelli di qualificazione”. L’impegno dell’Unione è quello di mettere in campo “misure appropriate per facilitare la mobilità legale tra le due parti, anche agevolando la concessione dei visti riducendo i ritardi, i costi e le procedure amministrative“, mentre il lavoro congiunto dovrebbe concentrarsi sull’attuazione di un “Partenariato dei talenti nell’interesse di entrambe le parti, in base alle esigenze reciproche della Tunisia e degli Stati membri dell’Ue, e a beneficio dei settori di attività e dei mestieri identificati congiuntamente”.

    Nel memorandum d’intesa firmato a Tunisi sono previsti 105 milioni di euro per la gestione della migrazione, anche se non è chiaro come saranno sborsati. Oltre alle dichiarazioni di circostanza, fa rumore l’assenza di reazioni al complottismo e le accuse alle Ong del presidente tunisino

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    Fumata bianca a Tunisi. Intesa tra l’Ue e il presidente Saïed su migranti, assistenza macro-finanziaria ed energia

    Bruxelles – La firma tanto attesa con la Tunisia è arrivata. La partnership “modello” per i rapporti con i vicini del Nord Africa è stata messa nero su bianco ieri sera (16 luglio) a Tunisi, dal trio Ue formato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, dalla prima ministra italiana, Giorgia Meloni, dall’omologo olandese, Mark Rutte, e dal presidente tunisino, Kaïs Saïed. Cinque pilastri, dallo sviluppo economico alla cooperazione energetica, fino alla migrazione. L’asse principale rimane l’assistenza macro-finanziaria a un Paese a rischio default, ma l’accordo politicamente più significativo riguarda la mobilitazione immediata di fondi europei per rafforzare la lotta alla migrazione irregolare e aumentare i rimpatri.
    A distanza di oltre un mese dalla dichiarazione di intenti firmata lo scorso 11 giugno, il memorandum d’intesa siglato al Palazzo di Cartagine è l’ultimo step prima di rendere effettivamente operativo il pacchetto di partenariato globale tra Bruxelles e Tunisi. Le trattative, proseguite non senza difficoltà a causa dell’oltranzismo di Saied, che ha cercato il più possibile di giocare al rialzo facendo leva sulla minaccia di un ulteriore aumento di sbarchi ai confini europei, alla fine non hanno ridimensionato i termini dell’accordo. Tranne che su un punto: come gridato a più riprese dal leader tunisino, nel documento si afferma che “la Tunisia ha ribadito di non essere un Paese d’installazione di migranti irregolari”, e che “vigilerà solo sulle proprie frontiere”.
    Un miliardo di assistenza macro-finanziaria, ma Saied deve chiudere con l’Fmi
    Quattro dei cinque pilastri del pacchetto sono rimasti pressoché invariati. Quello sull’assistenza macro-finanziaria prevede l’erogazione urgente di 150 milioni di euro per rimpinguare le casse tunisine e 900 milioni che restano vincolati allo sblocco del maxi-prestito da 1,9 miliardi che il Fondo Monetario Internazionale sta negoziando con Saïed dallo scorso ottobre. Per ricevere il finanziamento e scongiurare il rischio bancarotta del Paese, in cui da mesi l’inflazione viaggia sul 10 per cento e il tasso di disoccupazione supera il 17 per cento, il presidente dovrebbe avviare una serie di riforme impopolari, come richiesto dall’Fmi. Ma fino ad ora non ne vuole sapere.
    Le due parti si impegnano inoltre ad approfondire le relazioni economiche e commerciali, con una particolare enfasi sulla doppia transizione verde e digitale. L’Ue conta su Tunisi per ampliare il proprio portafoglio energetico e mira a “rafforzare le infrastrutture” tunisine per “rafforzare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e fornire ai cittadini e alle imprese energia a basse emissioni di carbonio a prezzi competitivi”. In vista c’è la sovvenzione da 307,6 milioni di euro per la realizzazione di una prima interconnessione tra Italia e Tunisia con un cavo elettrico sottomarino ad alta tensione. Si chiama interconnettore Elmed, assegnato nell’ambito dell’Interconnection in Europe Facility per collegare i due lati del Mediterraneo e “rafforzare la rispettiva sicurezza energetica”.
    Accordo confermato anche sulla cosiddetta partnership per i Talenti, con l’obiettivo di promuovere percorsi regolari per la migrazione e stimolare una maggiore mobilità a “tutti i livelli di competenza”. Opportunità di lavoro stagionale in Europa e formazione tecnica e professionale per rafforzare le competenze della forza lavoro tunisina al fine di “sostenere lo sviluppo economico della Tunisia a livello nazionale, regionale e locale”.
    Fondi Ue per rimpatri dalla Tunisia ai Paesi d’origine
    Il piano iniziale di Bruxelles per fare di Tunisi una sorta di piattaforma dove rispedire migranti irregolari da Paesi terzi – con l’idea di sottoporli alle procedure d’asilo nel Paese nordafricano e di riprendere solamente coloro a cui fosse riconosciuto il diritto d’asilo – è saltato. La Tunisia riaccoglierà soltanto i propri cittadini e l’Europa pagherà i rimpatri di migranti sub-sahariani dal territorio tunisino, per alleggerire la pressione sul Paese che promette di stringere le maglie sulle partenze. Dei 105 milioni di euro che l’Ue mobiliterà per la migrazione, 60 saranno destinati a rafforzare le capacità delle autorità tunisine nel controllare i confini e intercettare i migranti, mentre secondo fonti europee 15 milioni copriranno i rimpatri di seimila migranti sub-sahariani dal territorio tunisino. 2,500 euro a persona. Al momento la Commissione europea non ha reso noto nel dettaglio come saranno ripartiti i restanti 30 milioni dedicati alla migrazione.
    Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, firma il memorandum d’intesa con la Tunisia (16 luglio 2023)
    Il memorandum sbriga in una riga le preoccupazioni sollevate da diversi media e organizzazioni internazionali sul trattamento riservato alle persone migranti in Tunisia. “Il nostro approccio sarà basato sul rispetto dei diritti umani“, aggiungendo che i rimpatri saranno attuati nel “rispetto del diritto internazionale e della dignità dei migranti”. A onor del vero, ancora meno hanno detto von der Leyen, Meloni e Rutte durante la pseudo conferenza stampa con Saïed, in un Palazzo di Cartagine chiuso ai media. Nessun accenno alla questione, nonostante ancora una volta Saïed abbia parlato di “trasferimento [di persone migranti, ndr] organizzato da alcune reti criminali”, rispolverando la teoria complottista della grande sostituzione che negli ultimi tempi in Tunisia ha fomentato episodi di violenza contro migranti sub-sahariani. E nonostante le ricostruzioni di diversi media e Ong, che hanno rivelato le deportazioni di migranti dalle coste tunisine al deserto al confine con la Libia, dove sono stati lasciati senza acqua e cibo.

    Von der Leyen, Meloni e Rutte finalizzano il memorandum d’intesa. Pronti 150 milioni di supporto alle casse nazionali e 105 per la migrazione, di cui 60 milioni per il controllo delle frontiere e 15 destinati al rimpatrio dalla Tunisia di circa seimila persone verso i Paesi dell’Africa sub-sahariana

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    È stallo sul memorandum d’intesa con la Tunisia. Nuova missione di von der Leyen, Meloni e Rutte

    Bruxelles – Che le parti non fossero così vicine si era percepito dal silenzio delle ultime due settimane, dopo che all’ultimo Consiglio Europeo del 29-30 giugno i leader Ue avevano dato ormai per chiuso l’accordo con la Tunisia. Ma ora arriva la conferma. C’è bisogno di una nuova missione di Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni e Mark Rutte per “portare il lavoro a un passo successivo”.
    Da sinistra: il primo ministro dei Paesi Bassi, Mark Rutte, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Tunisia, Kais Saied, e la prima ministra dell’Italia, Giorgia Meloni, a Tunisi (11 giugno 2023)
    La presidente della Commissione Europea, accompagnata dai primi ministri di Italia e Olanda, incontrerà il presidente tunisino, Kais Saied, domenica pomeriggio (14 luglio), in un secondo round dopo la prima visita congiunta dello scorso 11 giugno. Un mese fa i tre avevano concordato con le autorità tunisine di portare avanti il lavoro su un pacchetto di partenariato globale fondato su cinque pilastri: sviluppo economico, scambi e investimenti, accordi sulle energie rinnovabili, gestione dei flussi migratori, mobilità e formazione nell’ambito della partnership per i talenti. L’obiettivo di Bruxelles era firmare il memorandum d’intesa sulla partnership prima del vertice dei 27 leader europei di fine giugno. Alla vigilia del Consiglio Ue il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, era pronto a volare a Tunisi per finalizzarlo ma – non senza imbarazzo – ha dovuto annullare la trasferta a causa delle celebrazioni della festa islamica del sacrificio. Il motivo sembra però essere piuttosto l’assenza di un accordo definitivo: “Le discussioni sono ancora in corso“, ha ammesso oggi (14 luglio) la portavoce della Commissione Ue, Dana Spinant.
    In base ai termini attuali dell’accordo, l’Ue sarebbe pronta a mobilitare immediatamente 150 milioni di euro di supporto al budget di Tunisi e 105 milioni per la gestione della migrazione, di cui 60 per il controllo dei confini. E 900 milioni di euro di assistenza macrofinanziaria, vincolati allo sblocco del maxiprestito da 1,9 miliardi che il Fondo Monetario Internazionale sta negoziando con Saied dallo scorso ottobre. In cambio dell’impegno del presidente tunisino a continuare a fermare le partenze dei barconi e a trasformare la Tunisia in una sorta di piattaforma dove rispedire le persone migranti che arrivano in modo irregolare, che verrebbero sottoposte alle procedure d’asilo nel Paese nordafricano. Le persone migranti a cui fosse riconosciuto il diritto d’asilo verrebbero ripresi dagli Stati membri, gli altri resterebbero in Tunisia.
    L’accordo con Saied e le violazioni dei diritti umani in Tunisia
    Ma una fetta importante della popolazione locale non vuole le persone migranti subsahariane. E il populista Saied lo sa, tant’è che da mesi soffia sul fuoco del malcontento nazionale con pericolose dichiarazioni pubbliche. A febbraio aveva evocato la teoria complottista della sostituzione etnica, per poi ribadire a più riprese che la Tunisia “non accetterà mai di essere il guardiano dei confini di nessun Paese, né accetterà l’insediamento di migranti sul proprio territorio”. Da settimane si succedono episodi di violenza nei confronti di persone migranti, soprattutto nella zona di Sfax, città da cui partono la maggior parte delle imbarcazioni dirette verso l’Italia. E le autorità tunisine, per abbassare la tensione, stanno deportando centinaia di migranti verso la zona desertica al confine con la Libia, lasciandoli alla mercé di gruppi armati e trafficanti.
    La prima ministra italiana, Giorgia Meloni, e il presidente della Tunisia, Kais Saied, a Tunisi (11 giugno 2023)
    C’è da chiedersi se l’Unione Europea chiuderà un occhio sul rispetto dei diritti umani, mettendoli sull’altare della riduzione della pressione migratoria ai propri confini. Bruxelles è già stata avvisata dall’inviato speciale per il Mediterraneo Centrale e Occidentale dell’Unhcr, Vincent Cochetel, sul fatto che qualsiasi accordo sulla migrazione con Saied “deve essere fermato senza un effettivo rispetto dei diritti di migranti e richiedenti asilo”. Dalla Commissione Ue assicurano che “il partenariato con la Tunisia è basato ovviamente sul rispetto dei diritti dell’uomo e della dignità dei migranti” e che l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, è pronto a sollevare il tema in occasione del prossimo Consiglio d’Associazione Ue-Tunisia. Che potrebbe tenersi entro la fine dell’anno, ma ancora non c’è alcuna data.

    L’obiettivo iniziale era di finalizzare l’accordo prima del Consiglio Europeo di fine giugno, ma la data continua a slittare. Nel Paese nord-africano aumentano le tensioni tra popolazione locale e persone migranti subsahariane: per l’Unhcr l’Ue non può ignorare il rispetto dei diritti umani

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    Semiconduttori, energie pulite e abolizione delle restrizioni ai prodotti alimentari da Fukushima al vertice Ue-Giappone

    Bruxelles – Una riunione di alto livello per approfondire una cooperazione sempre più stretta tra due alleati distanti geograficamente ma vicinissimi sul piano strategico. Il 29° vertice Ue-Giappone è stato un’occasione per i leader dell’Unione e del Paese asiatico per mettere in fila le priorità del partenariato, dalle materie prime critiche all’Alleanza verde, dai semiconduttori alle tecnologie per l’energia pulita, fino all’eliminazione delle restrizioni europee sulle importazioni alimentari dopo l’indicente nucleare di Fukushima.
    Da sinistra: il primo ministro del Giappone, Fumio Kishida, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (13 luglio 2023)
    “La cooperazione Ue-Giappone è più forte e positiva che mai, Tokyo è uno degli alleati più stretti nell’area dell’Indo-pacifico e oggi abbiamo concordato di lavorare per garantire più sicurezza e di lavorare per generare più opportunità per le nostre imprese”, ha aperto la conferenza stampa post-vertice il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Parole confermate dalla numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “È stato un ottimo summit con risultati tangibili, siamo più vicini che mai”. In primis sul piano del digitale e della tecnologia d’avanguardia, considerato il lavoro del partenariato digitale Ue-Giappone: “Accelereremo la nostra cooperazione sulla trasformazione digitale“, con attenzione particolare sulle “infrastrutture di comunicazione aperte, sicure, innovative e resilienti” e la “mitigazione dei rischi e la governance dell’intelligenza artificiale”, si legge nella dichiarazione congiunta del vertice. La presidente della Commissione ha anche ricordato gli “ottimi progressi sulla connettività, che stanno portando a risultati significativi”, come per esempio il cavo sottomarino artico di 14 mila chilometri che permetterà di bypassare la Russia e il Canale di Suez.
    Al fianco dell’agenda digitale c’è l’Alleanza verde che sta spingendo il lavoro congiunto sulla transizione climatica ed energetica. Gli obiettivi  sono stati definiti al vertice Ue-Giappone dello scorso anno e adesso è il momento della messa a terra degli impegni, come dimostrato dal Memorandum di cooperazione sull’idrogeno firmato nel dicembre 2022. “Intensificheremo la cooperazione in settori quali le tecnologie di rete, l’efficienza energetica, l’idrogeno a basse emissioni di carbonio e rinnovabile, l’eolico off-shore e tecnologie di cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio“, hanno messo in chiaro i tre leader nella dichiarazione congiunta, che specifica anche un lavoro ad hoc sulle catene di approvvigionamento, l’uso e il riciclaggio sostenibile delle batterie. “Siamo motori della protezione del pianeta“, ha rivendicato Michel, mentre von der Leyen ha ricordato anche il lavoro dei due partner “in tutto il mondo con il Global Gateway e le iniziative da parte giapponese”, come i progetti idroelettrici in Vietnam “per liberare la regione dal carbone”.
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il primo ministro del Giappone, Fumio Kishida, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel (13 luglio 2023)
    Per la transizione energetica sono però vitali le materie prime critiche e i semiconduttori, su cui “mostriamo dipendenze simili“, ha sottolineato la numero uno della Commissione: “Abbiamo bisogno di de-risking sulla catena di approvvigionamento soprattutto dalla Cina per prodotti che sono vitali per le nostre economie, come per esempio le materie prime critiche”. Ecco perché è cruciale non solo il dialogo bilaterale sull’economia Ue-Giappone, ma anche il rafforzamento della cooperazione ad hoc su materie prime e semiconduttori. “L’accordo rappresenta un’opportunità per approfondire la cooperazione su questioni essenziali per la transizione verde e digitale delle nostre industrie“, si legge nel testo finale del vertice a proposito della collaborazione sulle materie prime, che “consentirà di condividere informazioni e approfondire le rispettive conoscenze in materia di gestione dei rischi della catena di approvvigionamento, innovazione, riciclaggio e circolarità”. Sui semiconduttori è invece in atto una “cooperazione approfondita su un meccanismo di allerta precoce” in caso di carenze, grazie al memorandum di cooperazione Ue-Giappone siglato il 12 maggio 2022 a Tokyo.
    Il commercio alimentare Ue-Giappone ristabilito
    A margine del vertice Ue-Giappone è arrivata anche una notizia particolarmente attesa da Tokyo, ovvero l’eliminazione delle restrizioni europee all’importazione di prodotti alimentari a seguito dell’incidente nucleare di Fukushima. “Permetterà la ripresa dei territori colpiti dal disastro”, ha spiegato in conferenza stampa il primo ministro giapponese, Fumio Kishida. La revoca delle misure “deriva dai risultati positivi dei controlli effettuati sui prodotti dalle autorità giapponesi e dagli Stati membri”, si legge nella nota dell’esecutivo Ue.
    Dopo l’incidente del 2011 l’Unione Europea aveva adottato misure per proteggere la salute dei cittadini comunitari dalla possibile contaminazione radioattiva di alimenti e mangimi importati dal Giappone e ha imposto test approfonditi di radioattività sui prodotti alimentari prima dell’esportazione. Le misure sono state riesaminate ogni due anni e a oggi (dopo l’ultima revisione del 2021) erano rimaste restrizioni solo a funghi selvatici, specie ittiche e piante commestibili selvatiche. “È una decisione basata sulla scienza e sulle evidenze dell’Agenzia per l’energia nucleare”, ha messo in chiaro von der Leyen al termine del vertice Ue-Giappone, sottolineando che il sistema di monitoraggio “rigoroso” delle autorità giapponesi dal 2011 è “un’altra dimostrazione di affidabilità” dei rapporti di Bruxelles con Tokyo. Ora che le restrizioni sono state completamente abolite, “è importante che il governo giapponese continui a monitorare la produzione nazionale per verificare la presenza di radioattività”, incluso il pesce, i prodotti della pesca e le alghe marine “vicine al sito di rilascio dell’acqua di raffreddamento contaminata”, specifica la Commissione Ue.

    Al centro dell’ultima riunione di alto livello tra i leader dell’Unione e di Tokyo è stata rafforzata la cooperazione in campo digitale e delle tecnologie per la transizione verde, con l’attenzione rivolta soprattutto alla catena di approvvigionamento di materie prime critiche e all’Alleanza verde

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    Niente invito all’adesione, ma garanzie di sicurezza G7 e un Consiglio ad hoc. I risultati del vertice Nato sull’Ucraina

    Bruxelles – È andato tutto come previsto, nonostante le forti pressioni del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky. Al vertice di Vilnius dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato) non è arrivato un invito a Kiev per l’adesione, né sotto forma di una tabella di marcia né di tempistiche definite. Perché sono pochi gli alleati che si vogliono sbilanciare sull’ingresso del Paese mentre continua la guerra con la Russia, anche se nessuno rinnega il processo considerato ormai praticamente irreversibile di avvicinamento dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica. Eppure c’è stato qualcosa di più, proprio per rendere manifesto al leader ucraino che il futuro ingresso è a portata, ma serve tempo. Parallelamente al comunicato del secondo giorno di vertice Nato, i leader del G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti) hanno pubblicato una dichiarazione in cui si impegnano a fornire “garanzie di sicurezza a lungo termine” a Kiev, anche nel caso si ripeta un’aggressione al Paese.
    La foto di famiglia del vertice Nato di Vilnius (12 luglio 2023)
    “Oggi l’Ucraina è più vicina che mai alla Nato“, ha messo in chiaro oggi (12 luglio) il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, in conferenza stampa congiunta con il presidente Zelensky, ribandendo però che il processo di adesione dell’Ucraina potrà iniziare solo “quando tutti gli alleati decideranno che le condizioni sono state soddisfatte”. Da Vilnius arriva comunque “il messaggio di unità più forte possibile” e anche le garanzie di sicurezza del G7 “vanno in questa direzione”, ha assicurato Stoltenberg.
    Proprio nella dichiarazione del Gruppo dei Sette si legge che sarà garantita la “fornitura continua” di equipaggiamento militare moderno, con “priorità alla difesa aerea, all’artiglieria e al fuoco a lungo raggio, ai veicoli blindati e ad altre capacità chiave, come l’aviazione da combattimento”. Sarà sostenuto lo sviluppo della base industriale ucraina e l’addestramento delle forze militare, oltre alla cooperazione in materia di intelligence. Nel caso di un nuovo futuro attacco armato russo, “intendiamo consultarci immediatamente con l’Ucraina per determinare i passi successivi più appropriati”, mettono in chiaro i sette leader. Da parte di Kiev, invece, è richiesta la prosecuzione dell’attuazione delle riforme delle forze dell’ordine, del sistema giudiziario, della lotta alla corruzione, della governance aziendale, dell’economia, del settore della sicurezza e della gestione dello Stato, ma anche la modernizzazione del settore della difesa “rafforzando il controllo civile democratico delle forze armate”. Questo sforzo “sarà portato avanti mentre l’Ucraina persegue un percorso verso la futura adesione alla comunità euro-atlantica“, è l’ulteriore rassicurazione fornita al presidente Zelensky dopo le dure critiche per l’assenza di un riferimento netto all’ingresso Nato del Paese nelle conclusioni del vertice di Vilnius.
    Da sinistra: il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, il primo ministro del Giappone e presidente di turno del G7, Fumio Kishida, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky (credits: Andrew Caballero-Reynolds / Afp)
    “Questa dichiarazione è aperta a tutti i Paesi che vogliono supportare l’Ucraina“, ha messo in chiaro il primo ministro giapponese e presidente di turno del G7, Fumio Kishida, annunciando la dichiarazione dei leader dei sette Paesi più industrializzati al mondo. Parole confermate dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che ha precisato come “non possiamo aspettare per impegnarci sul lungo termine per rendere sicura l’Ucraina contro qualsiasi aggressione”. Per l’inquilino della Casa Bianca “il futuro dell’Ucraina è nella Nato, non è una sorpresa per nessuno, ma serve un percorso per l’adesione mentre intraprende il percorso riforme”. Nonostante non abbia raggiunto il risultato dichiarato di vedere l’invito ad aderire all’Alleanza Atlantica, il presidente ucraino Zelensky è sembrato piuttosto rassicurato dall’impegno del Gruppo dei Sette: “È un pacchetto importante di garanzie di sicurezza sul lungo termine, ora ci coordineremo con il G7 per estendere l’accordo con altri partner-chiave”, ha rimarcato il numero uno di Kiev davanti ai sette leader e ai rappresentanti delle istituzioni Ue.
    “L’Unione Europea sarà un partner fondamentale in questo sforzo”, è la rassicurazione della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, commentando la dichiarazione dei leader del G7: “Abbiamo fornito al coraggioso popolo ucraino sostegno umanitario, assistenza finanziaria sostanziale, armi e addestramento, oggi ci impegniamo per la sicurezza a lungo termine e la prosperità economica dell’Ucraina all’interno della comunità euro-atlantica”. Da parte di Bruxelles ci sarà il continuo rafforzamento delle sanzioni contro la Russia e il sostegno degli “ammirevoli sforzi di riforma” che sbloccheranno anche l’adesione di Kiev all’Ue. “La nuova realtà geopolitica sfida l’ordine internazionale basato sulle regole, l’Ue e la Nato stanno rafforzando la loro cooperazione e sono unite a sostegno dell’Ucraina”, ha twittato il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel.
    Il nuovo Consiglio Nato-Ucraina
    La prima riunione del Consiglio Nato-Ucraina a Vilnius, 12 luglio 2023 (credits: Ludovic Marin / Afp)
    “Buon pomeriggio, benvenuti a questa prima riunione del Consiglio Nato-Ucraina“, sono le prime parole pronunciate dal segretario generale Stoltenberg nel corso dell’inaugurazione del nuovo format che porterà i 31 alleati e Kiev a stringere sempre di più i rapporti nell’ottica del futuro allargamento dell’Alleanza Atlantica: “Questo è davvero un momento storico, siamo seduti fianco a fianco come pari per affrontare la nostra visione comune della sicurezza euro-atlantica“. Alla sessione inaugurale del Consiglio hanno partecipato tutti i leader dell’Alleanza e il presidente ucraino Zelensky, che ha voluto rimarcare come il nuovo format “non è uno strumento di partecipazione, ma di integrazione” del Paese nell’Alleanza.
    Perché un organismo di collegamento tra l’Alleanza Atlantica e Kiev già esisteva – la commissione Nato-Ucraina – ma da mesi non era più considerato sufficiente per gli obiettivi comuni. Secondo quanto si legge nel comunicato finale del vertice di Vilnius, il Consiglio è “un nuovo organismo congiunto in cui gli alleati e l’Ucraina siedono come membri paritari per promuovere il dialogo politico, l’impegno, la cooperazione e le aspirazioni euro-atlantiche dell’Ucraina all’adesione Nato. Le stesse parole sono state utilizzate dal segretario generale Nato nel corso della prima riunione di oggi: “Ci incontriamo da pari a pari, attendo con ansia il giorno in cui ci incontreremo come alleati“, perché durante il vertice nella capitale lituana “abbiamo riaffermato che l’Ucraina diventerà un membro dell’Alleanza”.

    Nonostante le insistenze del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, al summit dell’Alleanza Atlantica di Vilnius non sono state definite tempistiche per l’ingresso. Ma l’avvicinamento di Kiev è dato dal nuovo format “da pari” e dal sostegno militare “a lungo termine” del Gruppo dei Sette

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    Al Vertice Ue von der Leyen promette una proposta per usare gli asset russi congelati per l’Ucraina

    Bruxelles – La Commissione europea presenterà una proposta su come utilizzare i beni russi congelati per la ricostruzione dell’Ucraina. Al Vertice europeo che si è tenuto ieri e oggi (29 e 30 giugno) a Bruxelles “abbiamo discusso degli asset russi congelati e abbiamo intenzione di presentare una proposta. Ci concentreremo prudentemente sugli extra profitti derivanti dalle attività congelate della Banca centrale russa”, ha confermato la  presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in conferenza stampa al termine della due giorni di Vertice europeo.
    Di approccio prudente parla von der Leyen dal momento che la questione è particolarmente divisiva e complessa, e ci sono opinioni diverse e diverse opzioni sul tavolo su come sfruttarli. Tra queste, l’ipotesi di tassarli, anche se l’idea è di trovare un consenso tale da farlo tutti insieme, a Ventisette. Il tema dell’uso dei proventi ricavati dagli asset russi congelati per contribuire ad aiutare l’Ucraina nella ricostruzione è abbastanza controverso, perché può comportare dei rischi per l’attrattività internazionale dell’euro.
    La Commissione europea sta lavorando a una proposta, dunque. Ma lo fa con prudenza, per cercare una soluzione a 27 che metta d’accordo tutti. Von der Leyen ha fatto il punto su quanto ottenuto sulla Russia durante l’attuale presidenza di Svezia alla guida dell’Ue, che si concluderà tra poche ore per lasciare il posto alla Spagna. “Abbiamo anche compiuto progressi nel sanzionare la Russia. La scorsa settimana abbiamo adottato l’undicesimo pacchetto di sanzioni che mira sostanzialmente a scappatoie e all’elusione delle sanzioni. Sotto la sua Presidenza, abbiamo compiuto solidi progressi in materia di responsabilità, nel nostro lavoro per consegnare alla giustizia i crimini della Russia”. Non cuna proposta, in questo momento, che possa diventare legge” sull’utilizzo degli asset russi congelati per la ricostruzione dell’Ucraina.

    L’annuncio della presidente della Commissione europea al termine del Consiglio europeo

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    Il vertice dei leader Ue dà il via libera alla nuova strategia dell’Unione sulla Cina: de-risking e relazioni equilibrate

    Bruxelles – In un Consiglio Europeo dominato dalla questione migrazione, il capitolo sulla Cina rimane quasi ai margini, almeno se confrontato con le attese fino a un mese fa. Eppure il contenuto è un orientamento strategico dell’Unione non di poco conto, che costituirà per il prossimo futuro la base di partenza su cui impostare qualsiasi discorso e confronto con Pechino: “Nonostante i diversi sistemi politici ed economici, l’Unione Europea e la Cina hanno un interesse comune a perseguire relazioni costruttive e stabili, ancorate al rispetto dell’ordine internazionale basato sulle regole, all’impegno equilibrato e alla reciprocità”, si legge nelle conclusioni del vertice dei leader Ue.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (29 giugno 2023)
    Come affermato per la prima volta nel discorso programmatico della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sulle direttrici strategiche per il riorientamento dei rapporti Ue-Cina lo scorso 30 marzo, i Ventisette confermano che l’Unione “continuerà a impegnarsi con la Cina per affrontare le sfide globali”, ma soprattutto incoraggia Pechino a “intraprendere azioni più ambiziose in materia di cambiamenti climatici e biodiversità, salute e preparazione alle pandemie, sicurezza alimentare, riduzione delle catastrofi, riduzione del debito e assistenza umanitaria”. La discussione strategica tra i 27 capi di Stato e di governo si è dimostrata un lavoro “rapido” sia nel lavoro per avere “una posizione unica”, ma anche per concordare conclusioni che mettessero in chiaro come Pechino sia “contemporaneamente partner, concorrente e rivale sistemico” e che gli Stati membri devono tenere un “approccio politico multiforme”.
    Questo discorso riguarda prima di tutto l’aspetto economico e commerciale: “L’Unione Europea cercherà di garantire condizioni di parità, in modo che le relazioni commerciali ed economiche siano equilibrate, reciproche e reciprocamente vantaggiose”. L’obiettivo dichiarato è quello di “ridurre le dipendenze e le vulnerabilità critiche, anche nelle catene di approvvigionamento”, così come “diversificare dove necessario e appropriato”. La stella polare – discussa anche nel confronto del 6 aprile a Pechino tra la presidente della Commissione Ue von der Leyen, quello francese, Emmanuel Macron, e quello cinese, Xi Jinping – rimane il fatto che “l’Unione Europea non intende disaccoppiarsi o ripiegarsi su se stessa“. O, come ripete la numero uno dell’esecutivo comunitario, “de-risking, non disaccoppiamento”, che significa “ridurre le vulnerabilità dal punto di vista delle nostre relazioni economiche” come sulle materie prime critiche necessarie per la produzione di tecnologia pulita. Un tema su cui “c’è ampio consenso sia tra i governi Ue sia con i nostri partner G7”, ha messo in chiaro von der Leyen.

    Ue e Cina su politica estera e interna (cinese)
    Ma nelle conclusioni del vertice rientrano anche tematiche di natura puramente politica. In primis quella del controverso rapporto tra Pechino e Mosca, che Bruxelles sta cercando di spezzare per assicurarsi un alleato di peso per spingere la Russia a cessare la sua invasione dell’Ucraina: “In qualità di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Cina ha una responsabilità speciale nel sostenere l’ordine internazionale basato sulle regole”, ricordano i leader Ue, facendo riferimento alla “pressione” che Xi Jinping dovrebbe esercitare su Vladimir Putin perché “cessi la sua guerra di aggressione e ritiri immediatamente, completamente e incondizionatamente le sue truppe dall’Ucraina”. Sempre sul piano delle relazioni esterne viene messo nero su bianco il fatto che “i mari della Cina orientale e meridionale sono di importanza strategica per la prosperità e la sicurezza regionale e globale” e che l’Unione “è preoccupata per le crescenti tensioni nello Stretto di Taiwan“. In questo senso il Consiglio “si oppone a qualsiasi tentativo unilaterale di cambiare lo status quo con la forza o la coercizione” e “riconferma la coerente politica di una sola Cina”.
    In ultima istanza non manca il riferimento al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, con un riferimento alla ripresa del dialogo sui diritti umani con la Cina. In ogni caso i Ventisette ribadiscono le preoccupazioni per “il lavoro forzato, il trattamento dei difensori dei diritti umani e delle persone appartenenti a minoranze e la situazione in Tibet e nello Xinjiang“, ma anche il rispetto dei “precedenti impegni della Cina in materia di impegni assunti dalla Cina in relazione a Hong Kong”.

    Nelle conclusioni del Consiglio Europeo trova spazio anche il capitolo sulle relazioni con Pechino, sulla base dei risultati del viaggio Macron-von der Leyen del 6 aprile: “È contemporaneamente partner, concorrente e rivale sistemico, serve un approccio politico multiforme”

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    Prima del Consiglio Ue von der Leyen sente i leader di Kosovo e Serbia. Borrell: “Stati membri stanno perdendo la pazienza”

    Bruxelles – Scende in campo la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, per cercare di dare il colpo definitivo ai rischi dell’aumento delle tensioni tra Kosovo e Serbia. “Ho sottolineato l’urgente necessità di una de-escalation e del ritorno al dialogo facilitato dall’Ue sulla normalizzazione delle relazioni con la Serbia”, ha reso noto oggi (27 giugno) in un tweet la stessa numero uno dell’esecutivo comunitario dopo la telefonata con il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e poco prima di fare lo stesso con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić. Colloqui che arrivano alla vigilia del Consiglio Europeo del 29-30 giugno, quando i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue troveranno anche la questione delle violenze degli ultimi mesi nel nord del Kosovo e della tensione tra Pristina e Belgrado sul tavolo delle discussioni.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro dell’Albania, Edi Rama (27 giugno 2023)
    È la seconda volta che la presidente von der Leyen affronta la questione da quando il 26 maggio sono scoppiate le violente proteste nel nord del Kosovo che hanno portato a un aggravamento della situazione nella regione. “Le recenti tensioni sono preoccupanti, mi associo agli appelli rivolti a tutte le parti ad abbandonare lo scontro e ad adottare misure urgenti per ristabilire la calma“, aveva messo in chiaro la leader della Commissione presentando il nuovo piano di crescita per i Balcani Occidentali lo scorso 31 maggio. Da allora però è passato quasi un mese e sono stati pochi i segnali di riduzione delle provocazioni tra Pristina e Belgrado. Ma – come ha messo in chiaro l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in un punto stampa con il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, al termine dell’incontro di oggi – “gli Stati membri stanno perdendo la pazienza davanti a una situazione che continua a deteriorarsi“. Della questione i 27 governi ne hanno discusso ieri (26 giugno) al Consiglio Affari Esteri, trovandosi d’accordo sul fatto che “le parti devono permettere la de-escalation della situazione e trovare una via basata sulla tabella di marcia proposta loro la settimana scorsa” alla riunione di emergenza a Bruxelles.
    A proposito delle discussioni a livello Ue, saranno proprio i 27 capi di Stato e di governo ad affrontare direttamente la questione tra giovedì e venerdì. Come emerge dall’ultima bozza delle conclusioni visionata da Eunews, il Consiglio Europeo “condanna i recenti episodi di violenza nel nord del Kosovo e chiede un’immediata attenuazione della situazione, sulla base degli elementi chiave già delineati dall’Unione europea il 3 giugno 2023″, in riferimento alla dichiarazione dell’alto rappresentante Borrell sulle violenze di inizio mese. La specifica sulla data è una novità rispetto alla prima versione delle conclusioni, ma non è l’unica. Spicca in particolare l’esortazione a entrambe le parti a “creare le condizioni per elezioni anticipate in tutti e quattro i comuni del nord del Kosovo” (Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica), mentre rimane la minaccia velata che “la mancata attenuazione delle tensioni avrà conseguenze negative”. Uguale il passaggio sulla necessità della ripresa del dialogo facilitato dall’Ue e la “rapida attuazione dell’Accordo sul percorso di normalizzazione e del relativo Allegato di attuazione” (ripetitivamente l’accordo di Bruxelles del 27 febbraio che ha definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo e l’intesa sull’allegato di implementazione raggiunta a Ohrid il 18 marzo). Ma nell’ultima bozza è stato incluso anche l’esplicito riferimento alla “istituzione dell’Associazione/Comunità dei Comuni a maggioranza serba“.
    L’arresto/sequestro di tre poliziotti kosovari dai servizi di sicurezza serbi nell’area di confine tra Serbia e Kosovo (14 giugno 2023)
    Anche il premier albanese Rama da Bruxelles ha messo in guardia sugli “effetti devastanti che un’ulteriore deterioramento della situazione potrebbe avere non solo in Kosovo e Serbia, ma in tutta la regione” dei Balcani Occidentali. Parole di soddisfazione sono state rivolte a Belgrado per aver risolto l’ultimo episodio di tensione – la liberazione di ieri dei tre poliziotti kosovari arrestati/rapiti dalle forze di sicurezza serbe il 14 giugno – ma “ora è tempo per una de-escalation urgente e immediata”, ha rimarcato il primo ministro: “Questa situazione non può impattare in modo negativo la regione, abbiamo molto da fare dopo tanti progressi, non può cadere tutto come un castello di sabbia”. Ecco perché l’idea condivisa da Tirana è quella di “una conferenza di massimo livello con Ue e Stati Uniti, che porti i leader dei due Paesi allo stesso tavolo“, è quanto avanzato da Rama. Da quel tavolo il premier Kurti e il presidente Vučić “non devono andarsene prima di aver trovato un accordo, altrimenti rischieranno di incorrere in conseguenze negative e spiacevoli per tutti”.
    Cosa sta succedendo tra Serbia e Kosovo
    Lo scorso 26 maggio sono scoppiate violentissime proteste nel nord del Kosovo da parte della minoranza serba a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Proteste che si sono trasformate il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). Una situazione deflagrata dalla decisione del governo Kurti di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti lo scorso 23 aprile in una tornata particolarmente controversa: l’affluenza al voto è stata tendente all’irrisorio – attorno al 3 per cento – a causa del boicottaggio di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo Vučić e responsabile anche dell’ostruzionismo per impedire ai sindaci di etnia albanese (a parte quello di Mitrovica, della minoranza bosniaca) di assumere l’incarico. Dopo il dispiegamento nel Paese balcanico di 700 membri aggiuntivi del contingente di riserva Kfor e una settimana di apparente stallo, nuove proteste sono scoppiate a inizio giugno per l’arresto di due manifestanti accusati di essere tra i responsabili delle violenze di fine maggio e per cui la polizia kosovara viene accusata di maltrattamenti in carcere.
    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)
    A gravare su una situazione già tesa c’è stato un ulteriore episodio che ha infiammato i rapporti tra Pristina e Belgrado: l’arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi lo scorso 14 giugno. Un evento per cui i due governi si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine, in una zona di confine tra il nord del Kosovo e il sud della Serbia scarsamente controllata dalla polizia kosovara e solitamente usato da contrabbandieri che cercano di evitare i controlli di frontiera. Dopo settimane di continui appelli alla calma e alla de-escalation non ascoltati né a Pristina né a Belgrado, per Bruxelles si è resa necessaria una nuova soluzione ‘tampone’, ovvero convocare una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per cercare delle vie percorribili per ritornare fuori dalla “modalità gestione della crisi” e rimettersi sul percorso della normalizzazione dei rapporti intrapreso tra Bruxelles e Ohrid. A pochi giorni dalla riunione a Bruxelles del 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari da parte della Serbia, ma la tensione tra Pristina e Belgrado rimane ancora alta e per il momento non è stato deciso nulla sulle nuove elezioni nel nord del Kosovo.

    La presidente della Commissione Ue ha telefonato al premier kosovaro, Albin Kurti, e al presidente serbo, Aleksandar Vučić, per ribadire “l’urgente necessità di una de-escalation e del ritorno al dialogo”. Nella bozze di conclusioni del vertice dei leader Ue inserito un punto specifico