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    Partenariato strategico UE-India, cosa prevede l’accordo sulla connettività firmato al vertice di Porto

    Bruxelles – Solo una settimana fa veniva annunciata la ripresa dei contatti per un partenariato strategico tra Bruxelles e Nuova Delhi, in pompa magna durante il vertice UE-India di Porto. Un nuovo capitolo nelle relazioni tra “le due democrazie più grandi al mondo” (parola del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel), inclusa un’intesa sulla connettività su cui si sta lavorando intensamente anche dietro alle quinte.
    Non si è parlato solo di commercio e della possibilità di spianare la strada ai negoziati sul libero scambio interrotti nel 2017, ma anche di come promuovere regole “trasparenti, praticabili, inclusive e sostenibili” nell’approccio alla tecnologia. Il vertice si è concluso con la firma di un documento specifico, il Partenariato strategico sulla connettività, con cui Unione Europea e India hanno concordato una convergenza sulla “connettività resiliente, sostenibile e globale”, ha sottolineato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. Reso pubblico dal Consiglio dell’UE, è ora possibile analizzarne il contenuto, oltre le dichiarazioni della politica (qui il testo integrale).
    I principi
    Il partenariato sulla connettività UE-India si fonda sui “valori condivisi” di democrazia, libertà, Stato di diritto e rispetto dei diritti umani. A partire da questi presupposti, possono essere stabilite le regole comuni nell’approccio alla connettività, in particolare a livello di sostenibilità ambientale (tra gli altri, si fa riferimento all’accordo di Parigi e all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile) e sociale (con valutazioni d’impatto non solo economico sulle comunità interessate).
    Il vertice UE-India a Porto (8 maggio 2021)
    Attraverso il partenariato si vogliono sostenere reti digitali, di trasporto ed energetiche, ma anche sviluppare il flusso di persone, beni, servizi, dati e capitali equi e inclusivi. L’obiettivo finale è “contribuire agli sforzi di sviluppo globale” e per questo motivo si cercherà di incentivare investimenti anche con la Banca europea per gli investimenti (BEI) e le istituzioni degli Stati membri UE e dell’India.
    Ma a livello finanziario “entrambe le parti concordano sul fatto che la connettività richiede la partecipazione attiva del settore privato“. Ecco perché il documento cita esplicitamente la necessità di “garantire parità di condizioni per le aziende e assicurare l’accesso reciproco ai mercati“. In questo modo si andrà a sostenere un ecosistema globale competitivo e la doppia transizione verde e digitale, stimolando la ripresa economica post-COVID, posti di lavoro “di qualità” e “catene del valore resilienti”. A livello pratico, si andrà a incentivare la cooperazione tra imprese europee e indiane, oltre a quella delle camere di commercio, banche e fondi di promozione e sviluppo nazionale e di agenzie di finanziamento all’esportazione.
    Il contenuto
    Quando si parla di connettività non si può non considerare “l’aumento del traffico di dati” che impone una migliore collaborazione digitale tra Paesi, a partire dalle infrastrutture. “Per esempio, tramite cavi sottomarini e reti satellitari”, Bruxelles e Nuova Delhi hanno fissato degli obiettivi per intervenire con “reti resilienti, sicure e conformi agli standard comuni” in diversi campi.
    Primo tra tutti, lo spazio informatico, il cyberspazio. Nel testo viene esplicitato che sarà necessario “promuovere una rapida ed efficace implementazione del 5G” e tecnologie che lo superino, per supportare “lo sviluppo rurale, l’agricoltura di precisione e l’assistenza sanitaria”. A questo proposito si inserisce un accesso ai servizi cloud “aperto, sicuro, sostenibile e inter-operabile”. Posto l’accento sulla necessità di implementare l’ambiente imprenditoriale, tra gli obiettivi fissati c’è quello di “migliorare la digitalizzazione dei pagamenti trans-frontalieri, comprese le rimesse”, ma anche la convergenza tra i quadri normativi sulla protezione dei dati personali per “facilitare flussi trans-frontalieri sicuri e protetti”.
    (8 maggio 2021)
    Spazio anche per la connettività sul fronte energetico. Il partenariato punta a sostenere gli obiettivi di energia pulita e di lotta ai cambiamenti climatici, sviluppando sistemi elettrici “modernizzati, efficienti e intelligenti” per aumentare le interconnessioni regionali per la produzione di energia rinnovabile su larga scala. All’orizzonte c’è la cooperazione in aree all’avanguardia, come il solare galleggiante, l’eolico offshore, l’idrogeno e lo stoccaggio dell’energia.
    A livello di trasporti, esiste un “reciproco interesse” per la decarbonizzazione e digitalizzazione del sistema ferroviario (sull’esempio del Sistema Europeo di Gestione del Traffico Ferroviario) e per la riduzione delle emissioni attraverso uno scambio più efficiente dei dati nei settori dell’aviazione e marittimo. Ma all’interno di questa sezione del testo c’è anche il dialogo tra le due parti sulla mobilità intelligente e sostenibile.
    Per lo sviluppo della connettività c’è bisogno dell’essere umano e per questo motivo è stata trovata un’intesa sulla promozione della cooperazione nel campo della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica. In altre parole, significa sostenere con più forza la mobilità dei ricercatori attraverso i programmi europei e indiani, oltre al coinvolgimento di start-up e piccole e medie imprese nel processo di sviluppo di soluzioni innovative in ambito accademico. Sinergie che però vanno alimentare già dalla mobilità di studenti e docenti tra le università europee e gli Istituti di Istruzione Superiore indiani.
    È poi necessario uno sforzo congiunto per aiutare Paesi terzi nelle loro azioni di connettività sostenibile. Focus particolare su Africa, Asia centrale e l’Indo-Pacifico – per contrastare l’influenza cinese sempre crescente – con l’obiettivo dichiarato di sostenere queste regioni “nella digitalizzazione per lo sviluppo sostenibile e l’inclusione finanziaria digitale”.
    Investimenti pubblici privati
    (8 maggio 2021)
    L’ultima sezione del documento programmatico riguarda il rafforzamento dell’integrità dei sistemi finanziari e lo sviluppo degli investimenti privati nel partenariato UE-India. Partendo dalla Piattaforma internazionale sulla finanza sostenibile (IPSF), come base per lo scambio continuo di informazioni sulle migliori pratiche, viene indicata la possibilità di promuovere joint venture europee e indiane attraverso la National Infrastructure Pipeline indiana.
    Per gli investimenti verdi esistono già partnership tra la BEI e l’Agenzia indiana per lo sviluppo delle energie rinnovabili, su cui innestare investimenti azionari delle istituzioni finanziarie europee. Ma allo stesso tempo è possibile sfruttare fondi pubblici e flussi di capitale globali (compresi fondi sovrani e fondi pensione) per veicolare gli investimenti privati ​​verso progetti sostenibili. Anche per quanto riguarda l’infrastruttura di connettività, si potrà sviluppare una cooperazione nel sostegno governativo al finanziamento delle esportazioni.
    Ultimo punto – ma non certo per importanza – l’incoraggiamento della cooperazione del settore privato tra le due parti. Questo obiettivo si potrà realizzare attraverso reti di imprese dell’UE e dell’India, sfruttando Invest India ed Enterprise Europe come piattaforme di lancio di progetti congiunti tra start-up e piccole e medie imprese delle due potenze mondiali.

    Il vertice di Porto ha stabilito la necessità di definire regole “trasparenti, praticabili, inclusive e sostenibili” nell’approccio comune alla tecnologia tra Bruxelles e Nuova Delhi. Non solo valori condivisi, ma anche collaborazione nel cyberspazio, nell’energia e nei trasporti, oltre a stimoli per investimenti privati

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    Deroga brevetti, leader UE rispondono a Biden: “Vaccini servono ora, via il blocco sulle esportazioni”

    Bruxelles – Servono vaccini nel mondo ora, anche con una deroga temporanea sui brevetti si parla di mesi se non anni per la distribuzione su larga scala. L’Unione europea si mostra scettica sul fatto che rinunciare ai diritti di “proprietà intellettuale” sui vaccini COVID-19 sia il modo giusto per combattere la pandemia “qui e ora”, i capi di Stato e governo sono aperti a discutere di sospensione temporanea, ma non è la soluzione a breve termine per l’urgente necessità di vaccinare tutti, anche i Paesi più poveri.
    È quanto affermano Ursula von der Leyen e Charles Michel riassumendo gli esiti della prima discussione tra capi di Stato e Governo sulla sospensione temporanea dei brevetti sui vaccini, una proposta avanzata dal presidente USA Joe Biden nei giorni scorsi. Un’idea su cui vale la pena riflettere, ma che non sarà risolutiva se il problema è garantire accesso ai vaccini a chi non può permettersi di pagarli quanto i Paesi più sviluppati, o di sviluppare una propria capacità di produzione. I presidenti di Commissione europea e Consiglio europeo tirano le fila delle conclusioni a cui sono giunti i leader europei a Oporto, in Portogallo, durante un vertice informale (7 e 8 maggio) che ha discusso anche di pandemia.
    Non c’è solo timidezza nei confronti della proposta di Washington, ma anche qualche controproposta. Prioritario rimane aumentare la capacità produttiva non solo in Europa e assicurare che le dosi di vaccini siano distribuite in maniera equa in tutto il mondo. Questo il punto fondamentale: “le esportazioni sono il modo migliore per approcciare l’assenza di vaccini nel mondo”, ha detto von der Leyen. Il messaggio a Biden è chiaro: si parta prima dal consentire l’esportazione delle dosi che vengono prodotte nelle regioni più ricche del mondo, come l’Europa ma come anche gli Stati Uniti.
    Proprio l’Unione Europea “è l’unica regione democratica che produce su larga scala ed esporta su larga scala”, puntualizza la presidente della Commissione europea. Precisamente 200 milioni di dosi (la metà esatta delle dosi prodotte) in circa novanta Paesi. Una precisazione che arriva e che l’UE si sente in dovere di fare, perché dopo l’apertura di Biden Bruxelles è accusata di mancanza di solidarietà perché non vuole rinunciare ai diritti dei brevetti sui vaccini. Quindi, bene l’apertura su questa discussione circa la proprietà intellettuale dei vaccini, ma bisogna andare oltre e cercare un approccio che aiuti a “risolvere l’urgenza di ora”. Anche perché, la sospensione dei diritti di proprietà intellettuale su un vaccino non significa per forza un trasferimento di conoscenze e tecnologie da parte delle società farmaceutiche, quindi si viene a creare anche un problema di sicurezza sulla produzione.
    Ricorda il ruolo di Covax – il programma globale delle Nazioni Unite, guidato dall’Organizzazione mondiale della Sanità a cui aderisce anche l’Unione Europea – nella distribuzione dei vaccini in Paesi a basso reddito. Ci sono due vie per la distribuzione in Paesi terzi per gli Stati membri: attraverso il sistema COVAX, oppure anche bilateralmente. Romania, Austria e Francia hanno già distribuito in maniera indipendenti “dosi in eccesso” a partner, ma ci sono altri Paesi che hanno confermato l’impegno a fare lo stesso, come Spagna e Portogallo. Von der Leyen ha chiarito che anche l’ultimo contratto con BioNTech-Pfizer per 1,8 miliardi di dosi per gli anni 2021-2023 siglato oggi prevede la possibilità per gli Stati di donare o eventualmente rivendere dosi a Paesi poveri.
    C’è poi la terza via di mobilitare più investimenti in loco per l’aumento della capacità di produzione a livello globale, quindi anche nei Paesi in via di sviluppo. La presidente sostiene che la Commissione insieme alla Germania stanno investendo nel Sud Africa e sotto l’ombrello della BEI (Banca europea degli Investimenti) in Senegal. Questo per ribadire che secondo l’UE ci sono altri modi, più rapidi, per distribuire i vaccini, ma tutto deve partire dal porre fine al blocco sulle esportazioni. Una linea comune che viene confermata in conferenza stampa anche dal premier italiano Mario Draghi e dal presidente francese Emmanuel Macron, che rispondendo in conferenza stampa ha ricordato che l’UE è “stata più lenta con le campagne di immunizzazione in Europa perché siamo stati aperti fin dall’inizio. Gli Stati Uniti per ora hanno esportato solo il 5 per cento a Canada e Messico, mettano fine alle restrizioni sull’export”, ha richiamato Macron.
    Impegno UE sul versante internazionale che viene riconosciuto anche dal presidente del Consiglio e uropeo, Charles Michel: “Nessuno di noi sarà pienamente al sicuro dal COVID se non è al sicuro tutto il mondo”, ribadendo l’importanza di aprire alle esportazioni dei vaccini. Rimane l’impegno a discutere sulla sospensione dei brevetti ma non sarà di certo “la soluzione magica”. Oltre ai brevetti, anche il Certificato verde digitale: i leader hanno discusso anche dello strumento da implementare per tornare a viaggiare senza troppe restrizioni in area Schengen. Von der Leyen vede la possibilità di un accordo entro maggio, e assicura che “il lavoro tecnico e legale è in carreggiata. Il sistema operativo sarà operativo a giugno”. Come avevamo scritto, il sistema operativo comincerà la fase pilota di sperimentazione in 16 stati membri da lunedì 10 maggio. Se la parte tecnica è a buon punto, rimane da capire cosa accadrà all’accordo politico tra negoziatori di Parlamento e Consiglio. Sul fronte politico “possiamo puntare realisticamente all’obiettivo di raggiungere un accordo tra Consiglio e Parlamento europeo per fine maggio”, ha detto la presidente von der Leyen. Prossimo trilogo previsto per l’11 maggio.

    “L’export di dosi è il modo migliore per risolvere l’urgente problema dell’assenza di vaccini nel mondo”, ha chiarito la presidente della Commissione von der Leyen. L’Unione Europea “è l’unica regione democratica che produce su larga scala ed esporta su larga scala”, ha puntualizzato al termine del Summit UE di Oporto, invitando anche gli Stati Uniti a fare lo stesso

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    Biden scuote l’Europa. Von der Leyen: su vaccini e brevetti pronti a discutere

    Roma – Dopo mesi di pressioni da ogni parte il tema della sospensione temporanea della proprietà intellettuale sui vaccini comincia potrebbe sbloccarsi. A sollecitare una decisione nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio WTO, anche gli Stati Uniti favorevoli a una deroga.
    Da sempre sostenitori della difesa della proprietà intellettuale, la nota diffusa ieri appare come una svolta storica: “Questa è una crisi sanitaria globale e circostanze eccezionali richiedono misure eccezionali”, ha scritto l’inviata Usa per il commercio Katherine Tai, stretta collaboratrice di Joe Biden.
    Oggi la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha accolto positivamente la proposta: “Pronti a discuterne”, ha detto durante il suo discorso sullo Stato dell’Unione europea anche se, a dire il vero, non aveva dato molto peso al voto del Parlamento che a marzo votò un emendamento in questa direzione.
    Nessun entusiasmo anzi, più propensa al no è la cancelliera tedesca Angela Merkel, più vicina alla posizione dell’industria farmaceutica (in testa Pfizer) che stamani aveva bocciato la mossa dell’amministrazione Biden.  Per il governo tedesco la revoca dei brevetti “provocherebbe serie complicazioni per la produzione dei vaccini, aggiungendo che la protezione della proprietà intellettuale è una fonte di innovazione e deve rimanere tale anche in futuro”.
    Sembra approvare, tiepidamente, il presidente del Consiglio Mario Draghi, che in una nota afferma:  “I vaccini sono un bene comune globale. È prioritario aumentare la loro produzione, garantendone la sicurezza, e abbattere gli ostacoli che limitano le campagne vaccinali”.
    Maglio tardi che mai e così ance il Commissario al mercato interno e innovazione con delega al Covid, Thierry Breton si è messo in scia annunciando che “ora che la produzione di vaccini sta per raggiungere i nostri obiettivi, è tempo di aprire una nuova fase e affrontare la questione dei brevetti”.
    Anche il presidente del Parlamento David Sassoli, annuncia in un tweet che l’aula è “pronta a discutere qualsiasi proposta che aiuti ad accelerare la vaccinazione a livello global”, dunque a valutare la questione dei brevetti e delle licenze.

    The @Europarl_EN is ready to discuss any proposal that will help speed up vaccination globally.
    In these exceptional times, we must make sure patents and licences work to protect the interests of all.
    — David Sassoli (@EP_President) May 6, 2021

    Iniziativa su cui preme anche il presidente del gruppo dei Verdi Philippe Lamberts che chiede all’Eurocamera una “posizione inequivocabile” nella prossima sessione, e sollecita l’UE “oltre a sostenere la revoca dei brevetti, a favorire il trasferimento di tecnologie e di know-how verso i paesi terzi al fine di aumentare la produzione mondiale di vaccini”.
    Il cambio di rotta a Bruxelles raccoglie i commenti degli europaralmentari italiani. Patrizia Toia, del Pd spiega che “lasciare miliardi di persone nei Paesi in via di sviluppo in balìa del coronavirus è una scelta contraria ai nostri valori” sottolineando che “il ritardo dell’Unione europea nel riconoscere questa realtà, ha dimostrato una debolezza di leadership. Ora è il momento di cambiare”. Ritardo segnalato anche da Sabrina Pignedoli del Movimento 5 Stelle, scrivendo che “avremmo desiderato che l’UE fosse stata portabandiera nel mondo di questa solidarietà e non a rimorchio ma va bene così se raggiungiamo l’obiettivo”.
    Appena annunciato il traguardo del vaccino, poco prima della fine del 2020, era stato Papa Francesco nel suo messaggio di Natale Urbi et orbi a chiedere che il vaccino doveva essere a disposizione di tutti, specie alle popolazioni più vulnerabili. Una sollecitazione ufficiale inviata dal Vaticano in ambito WTO già nel mese di febbraio.
    Ora l’obiettivo è ravvicinato. La spinta di Biden dovrebbe portare a discuterne subito fra qualche giorno nell’ambito del Consiglio europeo di Oporto. Subito dopo ci sarà l’appuntamento del 21 maggio al Global Health summit di Roma in ambito G20 dove anche l’Italia che lo presiede potrà recuperare il tempo perduto.
    Per i grandi del pianeta, vaccinare tutto il mondo è prima di tutto giusto e diventerebbe quasi un gesto di egoismo.

    Con la proposta USA, gli equilibri in ambito del WTO potrebbero cambiare anche se in Europa Angela Merkel si schiera il no alla revoca della proprietà intellettuale. Contro anche l’industria farmaceutica

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    Brexit, Parlamento vota su accordo commerciale, e dona standing ovation a Barnier: “Ma è stato un divorzio, attenti al futuro dell’Unione”

    Bruxelles – Standing ovation e una mano sul cuore. È un Parlamento Europeo unito nel ringraziamento per il lavoro svolto negli ultimi quattro anni da Michel Barnier, quello che ha salutato l’ultimo intervento in Aula dell’ex-capo negoziatore UE per la Brexit. Il riconoscimento è quello delle grandi occasioni: “Siamo arrivati alla fine di una lunga strada percorsa assieme”, ha esordito Barnier, rivolgendosi agli eurodeputati riuniti in sessione plenaria per votare la ratifica di quello che rappresenta la sintesi del suo impegno, l’accordo commerciale e di cooperazione con il Regno Unito (TCA). I risultati del voto del Parlamento UE, sia sul testo del TCA sia sulla valutazione e le aspettative degli eurodeputati, saranno annunciati domani (mercoledì 28 aprile) in mattinata.
    L’ex-capo negoziatore UE per la Brexit, Michel Barnier
    C’è una nota di rammarico nelle parole dell’ex-capo negoziatore UE nel definire la natura dell’accordo: “È un divorzio, cioè un segnale di allarme per un fallimento dell’Unione Europea“, soprattutto “nei confronti di quella maggioranza di cittadini britannici che hanno votato per uscirne”. Tuttavia, nello sforzo per costruire un “nuovo rapporto” con Londra basato sui diritti sociali e la protezione del Mercato unico, Barnier ha riconosciuto l’importanza dell’unità delle istituzioni europee: “Il Parlamento non si è mai smentito, ci ha sempre dato fiducia e questa è stata la nostra grande forza nel corso dei negoziati”.
    Una fiducia ribadita anche durante l’ultimo appuntamento del Parlamento UE per dibattere sul testo firmato dalla Commissione Europea il 24 dicembre dello scorso anno. “Oggi è la giornata per guardare in avanti“, ha commentato il relatore per la commissione Affari esteri, Andreas Schieder, raccomandando ai colleghi di votare a favore dell’accordo commerciale, “perché è il migliore scenario in questa situazione, la base per evitare un impatto negativo sui lavoratori, l’economia e l’ambiente”. Se è vero che “l’Unione Europea avrebbe voluto relazioni più strette” con la controparte, ora il Parlamento ha l’occasione per “fissare condizioni per un’equa concorrenza nel commercio, il rispetto degli standard sociali e ambientali e la cooperazione in materia di ricerca”. Gli ha fatto eco Christophe Hansen, relatore per la commissione Commercio internazionale, che ha parlato di un “compito spiacevole” nel dover approvare questo testo. In qualsiasi caso, “un voto a favore significherà rimanere vigili sull’attuazione dell’accordo“, che rappresenta “la polizza assicurativa rispetto a quanto concordato negli ultimi quattro anni”. Con un avvertimento all’esecutivo UE: “L’approvazione temporanea dell’accordo sulla Brexit non costituisca un precedente per il futuro“.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    Presente in aula anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che nel suo intervento ha sottolineato come non ci siano “risposte semplici a questo divorzio”. Tuttavia, “il sostegno del Parlamento è la base per il successo dell’intesa con il Regno Unito” e per questo motivo “garantiremo che sia coinvolto e informato costantemente sull’attuazione del TCA“. Il testo che l’Aula voterà oggi “è senza precedenti” e “rappresenta l’unità e la solidarietà europea nella protezione degli interessi dei nostri cittadini”, ma è anche “incisivo nel meccanismo di risoluzione delle controversie, che non esiteremo a utilizzare per garantire il rispetto dell’accordo, se necessario”, ha promesso la presidente von der Leyen.
    Da parte del Consiglio dell’UE, la segretaria di Stato portoghese per gli Affari europei e presidente di turno, Ana Paula Zacarias, ha condiviso le preoccupazioni sull’affidabilità del governo britannico e sulla situazione nell’Irlanda del Nord, acuita dalle tensioni tra le parti sul commercio nel mare d’Irlanda. “Ma sosteniamo la Commissione Europea per spingere Londra a rispettare tutte le clausole dell’Accordo di recesso”, ha rassicurato Zacarias. “Se il Parlamento darà l’assenso all’accordo commerciale, il Consiglio è pronto ad approvarlo“, per raggiungere “una relazione equa e onesta con il Regno Unito”.
    La discussione in Parlamento
    Negli interventi degli eurodeputati è stata raggiunta quasi l’unanimità nel ringraziare Barnier per l’impegno e i risultati raggiunti con il testo vagliato dal Parlamento. A partire dal presidente David Sassoli, che ha voluto ricordare il lavoro dell’ex-capo negoziatore negli ultimi anni per ottenere “un buon accordo per i cittadini europei” e gettare le basi “per un nuovo rapporto con il Regno Unito”.
    “Questo è l’ultimo passo giuridico della saga Brexit”, ha sottolineato il presidente del gruppo del PPE, Manfred Weber (PPE). “Daremo il nostro sostegno, come chiesto dalle commissioni INTA e AFET, perché offre un quadro chiaro, sicuro e prevedibile per le relazioni future“. Uno strumento “per confermare che di noi ci si può fidare”, e per “dimostrare gli errori del governo Johnson verso i cittadini, dall’esclusione dal programma Erasmus, alle violenze nell’Irlanda del Nord”. Sulla stessa linea d’onda la presidente del gruppo S&D, Iratxe García Pérez, che ha rivendicato con una punta d’orgoglio la capacità di “superare il tentativo di divide et impera di Londra e portare il nostro rapporto a un altro stadio”, grazie alla dimostrazione di “cosa possiamo fare quando siamo tutti uniti e coesi”.
    La presidente del gruppo S&D, Iratxe García Pérez
    Appoggio all’invito dei relatori Schieder e Hansen è arrivato anche dal gruppo Renew Europe: “Respingere il TCA ci porterebbe al no deal che abbiamo rifuggito“, ha dichiarato il vicepresidente Malik Azmani. “Vogliamo però che al Parlamento sia riconosciuto un ruolo-chiave nella sua attuazione”. Per il co-presidente del gruppo Verdi/ALE, Philippe Lamberts, “nessun accordo può sostituire l’appartenenza all’Unione, ma almeno protegge i nostri interessi”. L’eurodeputato belga ha richiamato la Commissione UE a “utilizzare ogni meccanismo a sua disposizione per imporre gli impegni” e a non cedere sulla protezione dei dati, dal momento in cui “il Regno Unito è campione nella sorveglianza dei cittadini”.
    Martin Schirdewan, co-presidente del gruppo della Sinistra, si è rammaricato per “non essere riusciti a convincere i cittadini britannici a rimanere nell’Unione”. Per questo motivo, “è tempo di dire basta alla politica che mette i cittadini dietro gli interessi di mercato”, ha avvertito l’europarlamentare tedesco, anche se ha riconosciuto la centralità degli standard ambientali e sociali nel testo dell’accordo. Anche da parte della destra di ECR sono arrivate parole di supporto: “Poniamo le basi per il rispetto dei patti e invitiamo la Commissione e il governo britannico a lavorare per gestire al meglio i controlli doganali”, ha commentato Geert Bourgeois. Secondo l’eurodeputato di ECR, “dobbiamo trarre una lezione, cioè che la risposta alla Brexit è un’Europa migliore, in cui gli Stati possano mantenere la propria identità”.
    Il vicepresidente del gruppo ID, Nicolas Bay
    Durissima invece la posizione di Nicolas Bay, vicepresidente del gruppo ID: “È arrivato il momento del bilancio, che ci ha dimostrato come Bruxelles abbia lavorato per annullare nei fatti il risultato di un referendum popolare”. Inoltre, nel momento in cui ci si è seduti al tavolo dei negoziati, “abbiamo ceduto su tutti i punti e ora non potremo fare marcia indietro“. La voce fuori dal coro ha attaccato la Commissione UE – in particolare per aver “sacrificato i nostri interessi sulla pesca” – ma ha anche definito lo stesso Parlamento di essere diventato “una cassa di risonanza per decisioni altrui, quando la Brexit ha messo in dubbio le prospettive europee”.
    Le reazioni italiane
    Gli interventi degli eurodeputati italiani hanno ricalcato la linea dei rispettivi gruppi parlamentari, con focus su alcuni dettagli o implicazioni dell’accordo. Dal Partito Democratico, Paolo De Castro (S&D) ha sottolineato che “l’Unione ha saputo ripartire con slancio nuovo”, per un futuro “più sostenibile e che vada oltre gli interessi nazionali”. Nonostante il “rischio per la democrazia” rappresentato dalla firma all’ultimo minuto del TCA, “ne è valsa la pena, perché il testo presenta elementi innovativi per la futura collaborazione commerciale”. Per il forzista Massimiliano Salini (PPE), “l’origine di questa sfida è stata la cattiva interpretazione della prospettiva europea di un Paese che rivendica l’autonomia”. C’è rammarico per non aver dato spazio a “un’intesa su politica estera e difesa”, ma “fortunatamente abbiamo un accordo e non una rottura violenta”, ha ribadito Salini.
    Da parte del Movimento 5 Stelle, è stata posta l’attenzione sulla “chiarezza che viene portata a cittadini e imprese”, ha spiegato Tiziana Beghin. L’annuncio dell’approvazione del testo è stato però accompagnato da qualche riserva sui “grandi assenti” dell’accordo: “Il nodo delle qualifiche professionali, per garantire la mobilità dei professionisti europei”, ma anche “i servizi, la protezione dei dati personali e l’aggiornamento automatico della lista di indicazioni geografiche protette”. Raffaele Fitto, co-presidente del gruppo ECR, ha rivelato che “il voto calendarizzato in questa sessione plenaria non era scontato, ma era importante per mettere fine a ogni incertezza”. Per l’eurodeputato in quota Fratelli d’Italia, nell’attuazione dell’accordo “servirà il coinvolgimento del Parlamento Europeo, in qualità di co-legislatore“.
    Ancora più severo rispetto al vicepresidente Bay è stato l’eurodeputato di ID in quota Lega, Antonio Maria Rinaldi: “Quante bugie ho sentito sulla Brexit, da chi non ha compreso che il Regno Unito ha preso in mano il proprio destino”. Nel suo attacco, Rinaldi ha toccato il tema dei ritardi europei nella campagna di vaccinazione e dell’erogazione dei fondi del Recovery Fund: “Questa doveva essere l’occasione per rivedere tutto ciò che non va nell’Unione. Sarò io a chiedere scusa ai cittadini britannici”, ha concluso l’intervento l’europarlamentare italiano.

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    Elezioni in Albania, socialisti verso la vittoria. Critiche dall’UE per “l’interferenza al voto” dal Kosovo

    Bruxelles – Se la tradizione delle urne in Italia dice che dopo il voto tutti hanno vinto e nessuno ha perso, nei Paesi dei Balcani occidentali vale invece un altro uso: non c’è elezione che non sia accompagnata da polemiche su interferenze esterne. Meglio ancora, che non coinvolga in qualche modo i due vicini più problematici della regione: Serbia e Kosovo. In questo modo si può leggere anche la tornata elettorale per il rinnovo del Parlamento albanese che si è svolta ieri (domenica 25 aprile).
    Il premier dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen (2020)
    Scrutinato più di un terzo delle schede elettorali, il Partito Socialista del primo ministro in carica, Edi Rama, si sta proiettando vincitore con il 49,3 per cento dei voti: risultato che gli consentirebbe di guidare il Paese per la terza legislatura consecutiva (dal 2013). Il diretto avversario, il Partito Democratico di Lulzim Basha, si fermerebbe al 38,8 per cento delle preferenze: una crescita di 10 punti percentuali rispetto alle elezioni di quattro anni fa, ma non ancora sufficiente per scalzare i socialisti dal governo. La Commissione elettorale centrale albanese ha però fatto sapere che per completare il processo di conteggio delle schede ci potrebbero volere “anche 48 ore” (a partire dalla chiusura dei seggi alle ore 19 di ieri) e ha invitato a “mantenere la calma” fino a quando i risultati non saranno ufficiali.
    La vigilia delle elezioni è stata caratterizzata da tensioni in tutto il Paese e da episodi di violenza nella città di Elbasan, alimentati da un clima politico particolarmente teso negli ultimi anni. Nel febbraio del 2019 l’opposizione albanese aveva deciso di abbandonare il Parlamento in segno di protesta per le accuse di corruzione del Partito Socialista al governo e i sospetti di compravendita di voti alle elezioni del 2017. Il risultato è stato un aumento delle divisioni interne su temi-chiave per lo sviluppo del Paese e le prospettive europee, come la riforma elettorale, l’emigrazione, la lotta alla corruzione e alle interferenze nei media e le politiche di occupazione.
    Parlando alla nazione dopo la chiusura delle urne, il presidente della Repubblica, Ilir Meta, ha annunciato che “è l’Albania ad aver vinto in questo processo storico”, richiamando “la straordinaria responsabilità” degli scrutatori per “concluderlo in modo dignitoso”. Il presidente della Repubblica ha poi rassicurato i concittadini che “il risultato non sarà distorto né influenzato da nessuno“. Un riferimento al tema che nella giornata di ieri ha sollevato polemiche non solo nella regione, ma anche a Bruxelles.
    “L’interferenza” kosovara
    A infuocare la domenica elettorale albanese è stata la partecipazione al voto del neo-premier del Kosovo, Albin Kurti. Il leader del partito della sinistra nazionalista Vetëvendosje (Autodeterminazione), vincitore delle elezioni del 14 febbraio scorso, si è potuto recare alle urne nel Paese “straniero” in virtù della sua appartenenza etnica albanese, che gli ha anche permesso di presentare tre candidati del suo partito Vetëvendosje in Albania.
    Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti
    Accompagnato dal candidato nella regione di Tirana, Boiken Abazi, il premier kosovaro ha invitato “tutti i cittadini albanesi” a “rispettare la nostra patria, facendo la scelta migliore secondo i propri principi e valori“. Parlando alla stampa, Kurti ha definito l’appuntamento di ieri “un giorno di democrazia” non solo per i cittadini della Repubblica di Albania, ma anche per i quasi due milioni di “albanesi della diaspora”, i gruppi etnici che vivono soprattutto in Kosovo e Macedonia del Nord, ma anche negli altri Paesi della penisola o nel resto del mondo. Da più di un mese il leader nazionalista kosovaro li ha invitati a recarsi alle urne in Albania (dal momento in cui la legge elettorale non contempla il voto ai cittadini che risiedono all’estero), per “realizzare un cambiamento” contro i partiti tradizionali, socialisti del premier Rama in primis.
    Da Bruxelles, una critica feroce è arrivata dalla relatrice sul Kosovo per il Parlamento Europeo, Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/ALE): “È una cosa inaccettabile“, ha tuonato. L’eurodeputata tedesca ha commentato su Twitter di non riuscire a capacitarsi della decisione: “Da una parte, tutti in Kosovo si lamentano dell’ingerenza della Serbia e del presidente Aleksandar Vučić, mentre dall’altra parte il premier kosovaro va a votare in un Paese vicino”.

    I cannot understand what this is all about. On one hand everyone in Kosovo complains about interference from Serbia or from President @avucic himself but on the other hand here does the PM of #Kosovo even vote in a neighbouring state. Not acceptable. At least not for me. https://t.co/J3ndibX1qq
    — Viola von Cramon (@ViolavonCramon) April 25, 2021

    Ed è stato proprio il presidente serbo Vučić a rincarare la dose, dopo essere arrivato ieri nella capitale belga per partecipare a una due-giorni di incontri con i vertici delle istituzioni europee (in programma ieri e oggi). “Nonostante per la nostra Costituzione Pristina faccia parte della Serbia, immaginate se fossi andato io a votare in una qualche località in Kosovo”, ha dichiarato alla stampa: “Sarebbe stato uno scandalo a livello mondiale”. Secondo il presidente serbo, “quello lanciato da Kurti è uno dei suoi tanti messaggi nazionalisti“, che spaziano “dall’unificazione del Kosovo con l’Albania alla richiesta di risarcimenti di guerra alla Serbia”.
    Coinvolti in un complesso dialogo mediato dall’Unione Europea – che recentemente ha coinvolto anche la distribuzione di vaccini anti-COVID – i leader di Serbia e Kosovo saranno entrambi ospiti a Bruxelles nel corso di questa settimana. Vučić completerà oggi il tour de force con Commissione (la presidente, Ursula von der Leyen, l’alto rappresentate UE, Josep Borrell, il commissario per l’Allargamento, Olivér Várhelyi, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák), Consiglio (il presidente Charles Michel) e il Parlamento Europeo (il relatore sulla Serbia, Vladimír Bilčík). Per mercoledì (28 aprile) è previsto invece l’arrivo del premier Kurti, che discuterà con i rappresentanti dell’UE del nuovo approccio kosovaro al dialogo con la controparte. In attesa della ripresa dei colloqui di alto livello, fermi all’incontro del 7 settembre dello scorso anno: questa settimana avrebbe potuto rappresentare l’occasione della svolta, ma per la tensione in aumento negli ultimi mesi, rischia di essere invece l’ennesima occasione persa.

    Il partito del primo ministro Rama virtualmente primo, ma la commissione elettorale avverte che “potrebbero volerci 48 ore” per lo scrutinio. Scoppia la polemica sul coinvolgimento del premier kosovaro Kurti, che ha sfruttato la carta etnica (albanese) per recarsi alle urne

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    Italia-Turchia, Erdogan: “Parole di Draghi indecenti”

    Roma – Quella “dichiarazione del presidente del Consiglio italiano è stata una totale maleducazione. Parole indecenti”. A una settimana da quelle accuse,  Recep Tayyip Erdogan, citato dall’agenzia Anadolu, ha replicato al premier Mario Draghi che in una conferenza stampa lo aveva definito “dittatore”. Parole che erano state pronunciate dal premier commentando il Sofagate, l’incidente della sedia mancante per Ursula von der Leyen in occasione dell’incontro UE Turchia.
    Il presidente turco, ha poi ribadito il paragone con il ventennio già fatto dal ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu: “Prima di fare una dichiarazione del genere bisogna conoscere la propria storia”.
    La tensione tra Italia e Turchia dunque resta ancora alta, nonostante gli sforzi delle diplomazie che in questi giorni hanno lavorato per smorzare. La vicenda ha poi messo in allarme gli operatori economici e fatto temere riflessi sugli scambi molto vantaggiosi per entrambi i Paesi che raggiungono i 15 miliardi di euro (7,7 miliardi di export e 7,2 miliardi di importazioni).
    Un punto su cui il presidente turco nella sua replica ha rincarato la dose concludendo che “Draghi ha purtroppo danneggiato lo sviluppo delle relazioni Turchia-Italia”.

    Il presidente turco dopo una settimana ha replicato all’attacco di Draghi che lo aveva definito “dittatore”

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    “Chiamiamoli dittatori”. Draghi contro Erdogan dopo la poltrona negata a von der Leyen

    Roma – “Con questi che chiamiamo per quel che sono, dittatori, si deve essere franchi: nell’esprimere la propria diversità di vedute, opinioni, di comportamenti e visioni della società ma anche essere pronti a cooperare per assicurare gli interessi del proprio Paese”. Mario Draghi durante una conferenza stampa a Roma parla del presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan dopo l’episodio accaduto nella visita a Ursula von der Leyen. Quello della poltrona negata forse non è stato solo un errore di cerimoniale e il premier italiano usa parole forti: “E stato un comportamento non appropriato che non condivido per niente. Ha subito un’umiliazione e mi è dispiaciuto moltissimo”.

    L’attacco del premier italiano durante una conferenza stampa su temi interni. “Dispiaciuto per Ursula von der Leyen, ha subito un’umiliazione

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    Vertici UE ad Ankara per tendere la mano a Erdogan. Von der Leyen avverte: “Diritti umani non negoziabili”

    I presidenti di Commissione e Consiglio in visita in Turchia per discutere di come rilanciare un dialogo costruttivo. Michel: “Ora alla Turchia cogliere questa opportunità in modo solido e sostenibile”. Von der Leyen “molto preoccupata” che Ankara si sia chiamata fuori dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne: “Segnale sbagliato”