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    L’Ungheria ci ripensa: blocca le sanzioni sul petrolio russo perché c’è dentro anche il patriarca Kirill

    Bruxelles – Ieri Viktor Orban aveva approvato il sesto pacchetto di sanzioni alla Russia, oggi ha dato ordine al suo ambasciatore di bloccarne l’adozione formale perché ci ha ripensato: il patriarca Kirill, sanzionato ieri, deve essere escluso dalla lista.
    La tattica del bastone fra le ruote dell’Unione europea da parte del primo ministro di Budapest continua. A quanto si apprende la scelta di inserire anche il patriarca pro-Putin aveva lasciato nei leader europei riuniti ieri a Bruxelles il dubbio che qualcuno potesse opporsi, cosa che però alla fine non era accaduta, e tutti i leader del Ventisette, Orban compreso avevano dato il via libera politico.
    Oggi si sono riuniti gli ambasciatori per il varo formale del sesto pacchetto di sanzioni, ed ecco che il rappresentante ungherese blocca tutto, dicendo che porrà il veto finché il patriarca non sarà escluso dalla lista dei sanzionati. A quanto si apprende sono in corso contatti con il Governo ungherese nell’auspicio che la questione possa essere risolta a breve, ma la riunione è stata sospesa e si attende una nuova convocazione, che non sarà a brevissimo. 
    Da parte ungherese, ed anche polacca, da tempo è stata messa in pratica una politica di “micro ostacoli” all’Unione europea, per la quale, di solito su cose non di primo piano, si cerca di buttare sabbia negli ingranaggi, riuscendo spesso nell’intento. Qui la partita è evidentemente più grande, ma la tattica da “guerriglia legislativa” con imboscate a sorpresa è sempre quella.

    Orban continua nella sua tattica del bastone tra le ruote dell’Unione: ieri aveva approvato tutto il sesto pacchetto contro Mosca

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    Vaticano-Ungheria, domani Orban da Papa Francesco: prima visita ufficiale all’estero dopo le elezioni

    Città del Vaticano – Sullo sfondo del conflitto in Ucraina e del dramma di milioni di profughi sfollati in Europa, domani alle 11 il premier ungherese Viktor Orban farà tappa in Vaticano. Incontrerà Papa Francesco per la seconda volta, anche se sarà la sua prima visita ufficiale alla Santa Sede.
    Ad annunciarlo è Zoltan Kovacs, portavoce del primo ministro, su Twitter, ricordando come questa sia la prima visita ufficiale all’estero di Orban dopo la vittoria delle elezioni lo scorso 3 aprile, il suo quarto mandato.
    Jorge Bergoglio e Orban si sono già incontrati a Budapest, dove il Papa ha trascorso qualche ora per chiudere il 52esimo congresso eucaristico internazionale il 12 settembre scorso, mentre si dirigeva in Slovacchia. Potrebbe far ritorno in Ungheria a settembre prossimo, in visita ufficiale, unendo la tappa al viaggio apostolico in Kazakhstan.
    Nel 2021, in molti hanno accostato il veloce incontro, a cinque, con il premier sovranista ungherese nel museo delle Belle Arti di Budapest con la visita ufficiale e i picchetti d’onore, fatta nel palazzo presidenziale di Bratislava per incontrare la presidente della Repubblica europeista Zuzana Caputova. Una differenza di forma e sostanza che non è passata inosservata.
    Con Orban e il Papa, nell’incontro erano presenti anche il presidente Janos Ader, il segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Parolin, e il ministro degli Esteri vaticano, Paul Gallagher. Di migranti Bergoglio parlò soltanto nell’incontro privato con i vescovi del Paese: “Vogliamo che il fiume del Vangelo raggiunga la vita delle persone, facendo germogliare anche qui in Ungheria una società più fraterna e solidale, abbiamo bisogno che la Chiesa costruisca nuovi ponti di dialogo”. Chiese loro di mostrare sempre “il volto vero della Chiesa”: “È madre! Un volto accogliente verso tutti, anche verso chi proviene da fuori, un volto fraterno, aperto al dialogo”.  “Ho chiesto a Papa Francesco di non lasciare che l’Ungheria cristiana perisca”, aveva annunciato su Facebook il premier ungherese. La replica pubblica del Papa arrivò più tardi, in Slovacchia, durante l’incontro ecumenico nella nunziatura di Bratislava. Ritrovare le radici cristiane è importante, aveva ricordato ma chiedendosi: “Come possiamo auspicare un’Europa che ritrovi le proprie radici cristiane se siamo noi per primi sradicati dalla piena comunione?”. È difficile, aveva spiegato Francesco, “esigere un’Europa più fecondata dal Vangelo senza preoccuparsi del fatto che non siamo ancora pienamente uniti tra noi nel continente e senza avere cura gli uni degli altri. Calcoli di convenienza, ragioni storiche e legami politici non possono essere ostacoli irremovibili sul nostro cammino”. Parole che potranno tornargli utili nel nuovo faccia a faccia, questa volta privato, con il sovranista ungherese.

    Il Papa severo sulla posizione di Budapest circa i migranti. l premier ungherese è al suo quarto mandato, ha già incontrato il Pontefice il 12 settembre scorso

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    Il vento nazionalista soffia ancora in Ungheria e Serbia: Orbán e Vučić stravincono le elezioni (tra le polemiche)

    Strasburgo, dall’inviato – Dentro e appena fuori i confini dell’UE, là dove l’Unione sta spingendo il processo di allargamento, non si è placato il vento dei populismi di destra, i più vicini alla Russia di Vladimir Putin. L’intensa domenica di elezioni (3 aprile) in Ungheria e Serbia ha sancito il trionfo rispettivamente del premier Viktor Orbán e del presidente Aleksandar Vučić, i due leader che stanno costruendo una forte alleanza nazionalista sull’asse Budapest-Belgrado, non completamente allineata alla politica di Bruxelles nei confronti della Russia. Due tornate elettorali particolarmente intense alla vigilia – per le aspettative di un cambiamento al vertice dei due Paesi – ma anche dopo la chiusura dei seggi, a causa delle grosse polemiche sul processo di voto e delle rivendicazioni di vittoria delle elezioni, sia in Ungheria sia in Serbia.
    Qui Budapest
    Niente da fare per l’opposizione unita guidata da Péter Márki-Zay. Nonostante il testa a testa previsto alla vigilia del voto, il partito Fidesz del premier Orbán ha conquistato il 53,13 per cento dei voti alle elezioni parlamentari, migliorando di quattro punti percentuali il risultato di quattro anni fa e assicurandosi nuovamente la maggioranza dei due terzi dell’Assemblea nazionale (135 seggi su 199). Con il 98,96 per cento delle schede scrutinate, la commissione elettorale ungherese ha confermato il nuovo trionfo dell’uomo forte di Budapest, che ora riceverà il quarto mandato consecutivo per formare l’esecutivo (al potere ininterrottamente dal 29 maggio 2010).
    Alta l’affluenza, al 69,54 per cento – in leggera flessione rispetto alle elezioni del 2018 (70,22) – che però non ha premiato l’opposizione formata dai sei partiti guidati dall’economista conservatore Márki-Zay (socialisti, verdi, liberali, progressisti e conservatori): nel sistema elettorale che assegna 106 seggi ai collegi uninominali, la coalizione ne ha conquistati 56, fermandosi al 35,04 per cento dei voti. A superare la soglia di sbarramento al 5 per cento anche i nazionalisti di estrema destra del Movimento Nostra Patria (6,17 punti percentuali, per 7 deputati), più il seggio garantito alla minoranza tedesca.

    Hungary, national parliament election:
    With 99% counted, the right-wing Fidesz/KDNP (NI|EPP) alliance of Prime Minister Viktor Orbán wins a 2/3-parliamentary majority for the 3rd time in a row.
    The right-wing extremist Mi Hazánk (~NI) enters parliament for the 1st time. #Ungarn pic.twitter.com/kRkvIvJWyz
    — Europe Elects (@EuropeElects) April 4, 2022

    “Abbiamo ottenuto una vittoria così grande che può essere vista anche dalla luna, e sicuramente da Bruxelles”, ha esultato il premier Orbán, polemizzando contro “la più grande forza che ha provato a schiacciarci” prima del voto: “Contro il globalismo, contro i burocrati di Bruxelles, contro Soros, contro i media mainstream europei e anche contro il presidente ucraino”, Volodymyr Zelensky, in riferimento ai rimproveri rivoltigli durante l’ultimo Consiglio Europeo. La prima dichiarazione populista del premier ungherese è servita e porta con sé una nota sinistra sui rapporti con Kiev e soprattutto con Putin, tradizionale alleato di Orbán. Dopo aver tenuto un profilo basso nell’ultimo mese di campagna elettorale, che è coinciso con l’inizio della campagna militare russa in Ucraina, ora da Budapest potrebbero arrivare picconate all’unanimità sempre raggiunta tra i leader UE sulle sanzioni e sulla lotta senza quartiere a Mosca. “Fidesz rappresenta una forza conservatrice patriottica e cristiana, è il futuro dell’Europa. Prima l’Ungheria!”, ha concluso il suo messaggio post-voto Orbán, facendo capire con quale spirito tornerà ad approcciarsi a Bruxelles.
    Il premier ungherese ha però taciuto la sconfitta personale arrivata dal referendum sulla legge anti-LGBT+, che si è tenuto sempre ieri contemporaneamente alle elezioni parlamentari. Solo il 44,46 per cento degli elettori ha espresso un voto valido, non raggiungendo il quorum richiesto per avallare la proposta legislativa del governo. Un’altra criticità ha riguardato lo svolgimento del processo elettorale, reso opaco dalle modifiche alla legge elettorale, dalle regole di registrazione degli indirizzi, dai problemi di trasparenza dei finanziamenti della campagna e dall’influenza del partito al potere sui media. Riconoscendo la sconfitta “in questo sistema”, il candidato premier dell’opposizione Márki-Zay ha ribadito che “è la propaganda ad aver vinto queste elezioni, non l’onestà, abbiamo fatto tutto quello che potevamo”.

    Hungary: national referendum today:
    “Do you support the teaching of sexual orientation to minors in public education institutions without parental consent?”
    Vote among all eligible voters
    No: 41%Yes: 3%
    Threshold to meet: 50%+ of eligible voters voting either ‘yes’ or ‘no’ pic.twitter.com/7P2F20ABIk
    — Europe Elects (@EuropeElects) April 4, 2022

    Qui Belgrado
    Contemporaneamente alle elezioni in Ungheria, anche per la Serbia il 3 aprile 2022 segna una data-chiave per la riaffermazione delle forze nazionaliste legate alla Russia di Putin. Con il 90 per cento delle schede scrutinate, il presidente Vučić è proiettato alla seconda vittoria consecutiva al primo turno delle presidenziali, con il 59,55 per cento dei voti, mentre il principale candidato dell’opposizione unita, Zdravko Ponoš, si ferma al 17. Per quanto riguarda le elezioni parlamentari, il Partito Progressista Serbo di Vučić si attesta al 43,45 per cento dei voti, assicurandosi 122 deputati sui 250 dell’Assemblea nazionale: lontano il cartello di opposizione Serbia Unita, con 13 punti percentuali e 36 seggi. Sembrano tramontare anche le possibilità per l’opposizione di strappare dalle mani dei nazionalisti la capitale Belgrado: il candidato dell’SNS, Aleksandar Šapić, si sta affermando con quasi il 40 per cento delle preferenze, mentre quelli dell’opposizione Serbia Unita, Vladeta Janković, e del movimento della sinistra ecologista Moramo, Dobrica Veselinović, rispettivamente al 20 e al 10 per cento.
    Nel mezzo di un processo elettorale su cui si attende il giudizio degli osservatori internazionali anche del Parlamento Europeo per le sospette irregolarità di voto e le violenze contro i candidati dell’opposizione al Partito Progressista Serbo fuori da alcuni seggi, l’UE guarda con preoccupazione alle dichiarazioni del presidente Vučić, che ieri sera si è attribuito la vittoria dalla sede dell’SNS. “Quello che è importante per europei, russi e americani è che proseguiremo nella nostra politica di neutralità“, ha affermato, confermando che Belgrado manterrà buoni rapporti con la Russia e, implicitamente, non aderirà alle sanzioni occidentali. “Dobbiamo vedere cosa fare sul petrolio e ci saranno colloqui sul gas” russo, ha aggiunto Vučić, ribadendo con forza che “questa crisi ha scosso economie molto più forti della nostra, ma noi siamo completamente stabili”.

    Serbia (Presidential Election), 88.7% parallel count:
    Vučić (SNS+-EPP): 59% (+4)Ponoš (US-S&D): 18% (+2)Jovanović (NADA-*): 6% (+1)…
    Source: CeSID / Ipsos
    +/- vs. 2017 election result
    ➤ https://t.co/eWnraQ39P8#Izbori2022 #Srbija #Serbia #SerbiaElections pic.twitter.com/IXba6uQHet
    — Europe Elects (@EuropeElects) April 3, 2022

    I due più stretti alleati di Putin in Europa, il premier ungherese e il presidente serbo, sono stati riconfermati con un’ampia maggioranza dai rispettivi elettorati. Contestazioni sul processo elettorale e sullo svolgimento del voto, oltre alle provocazioni rivolte all’UE

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    Una delegazione di eurodeputati parteciperà alla missione di osservazione elettorale in Serbia il 3 aprile

    Bruxelles – Sarà una super domenica di elezioni in Serbia e per questo appuntamento fondamentale per il Paese balcanico le istituzioni UE vogliono tenere sotto controllo lo svolgimento, l’affluenza e le modalità di voto. Con questo obiettivo inizia oggi (giovedì 31 marzo) fino a lunedì prossimo (4 aprile) la missione di osservazione elettorale da parte di una delegazione di sette eurodeputati, in occasione delle elezioni parlamentari (anticipate), presidenziali e amministrative in Serbia del 3 aprile.
    “Esamineremo tutti gli aspetti delle elezioni, compreso il quadro giuridico, l’amministrazione elettorale, i reclami e i ricorsi, l’ambiente politico e la campagna elettorale, la performance dei media, la situazione delle minoranze nazionali e la partecipazione delle donne”, ha commentato il capo della delegazione del Parlamento UE, l’eurodeputato olandese Thijs Reuten (S&D). I membri del Parlamento UE si uniranno alla missione internazionale di osservazione delle elezioni in Serbia organizzata dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), che incontrerà in questi giorni candidati, partiti, funzionari, amministratori e cittadini. Al termine della missione saranno presentate le conclusioni sul processo elettorale, in linea con quanto osservato sul territorio serbo.
    Il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić (Belgrado, 8 luglio 2021)
    Il triplice appuntamento elettorale si innesta sullo sfondo di una situazione politica particolarmente tesa nel Paese. Le elezioni parlamentari arrivano a due anni dal boicottaggio dei partiti di opposizione per le accuse al presidente Aleksandar Vučić di politiche illiberali nei confronti della società civile e della libertà di stampa: dal 2020 il suo Partito Progressista Serbo (SNS) governa con una maggioranza di 188 deputati su 250 e il voto anticipato è stato imposto dallo scetticismo dei partner internazionali sul livello di rispetto degli standard democratici del Paese. La convocazione degli elettori per il rinnovo dell’Assemblea nazionale lo stesso giorno dell’elezione del nuovo presidente della Serbia sa di pronunciamento sui cinque anni di presidenza Vučić, che cerca la riconferma per un secondo mandato.
    La campagna elettorale in Serbia, che è ruotata attorno a temi vecchi (adesione UE, Kosovo, NATO) e apparentemente nuovi (aggressione russa dell’Ucraina e rapporto tra Mosca e Belgrado), è stata travolta dalle polemiche sulla partecipazione di alcuni criminali di guerra alle elezioni parlamentari e amministrative. Come il politico ultra-nazionalista Vojislav Šešelj, leader del Partito radicale serbo, condannato a dieci anni di prigione dal Meccanismo per i tribunali penali internazionali dell’Aia nell’aprile 2018 per crimini di guerra contro l’etnia croata nel villaggio di Hrtkovci nel 1992. Secondo la legge serba, se un deputato riceve una pena detentiva superiore a sei mesi, il suo mandato cessa e non può essere rieletto: ma la misura non è mai stata applicata nel caso di Šešelj. “Non c’è spazio per il revisionismo, la glorificazione dei criminali di guerra e la negazione dei genocidi“, ha commentato nel corso del punto quotidiano con la stampa di Bruxelles la portavoce della Commissione Europea Ana Pisonero, anche se non ha risposto esplicitamente alla domanda su una presa di posizione dell’UE sullo scandalo della candidatura dei criminali di guerra.
    A livello internazionale ed europeo, l’esito delle elezioni in Serbia assume ancora più significato se si considera il contemporaneo appuntamento elettorale nella vicina Ungheria, Paese membro UE a cui Belgrado guarda come punto di riferimento nell’Unione e come alleato sull’asse sovranista/nazionalista. Come il presidente serbo Vučić, anche il premier ungherese, Viktor Orbán, punta alla rielezione (la terza consecutiva) in un clima di accuse da parte dell’opposizione e di Bruxelles di violazioni della libertà di stampa e dei diritti delle minorazione, anche considerata la consultazione sul referendum sui diritti LGBT+ che si terrà proprio domenica 3 aprile. Vučić e Orbán sono legati da stima reciproca e da un rapporto particolarmente stretto a livello politico: il presidente serbo ammira le modalità di governo dell’uomo forte di Budapest – “veterano della politica europea” – mentre il premier ungherese punta a stringere con Belgrado un’alleanza strategica nell’ottica del futuro ingresso del Paese balcanico nell’Unione. Ecco perché, con le elezioni in Serbia e in Ungheria di domenica, non sono in gioco solo le prospettive della politica interna dei due Paesi, ma anche l’indirizzo su cui procederà il processo di allargamento UE nella regione balcanica.

    Saranno valutati gli standard democratici delle elezioni presidenziali, parlamentari e amministrative nel Paese. L’appuntamento alle urne sullo sfondo delle polemiche sui criminali di guerra e del contemporaneo voto nell’Ungheria di Orbán, alleato del presidente serbo Vučić

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    Ucraina, Ungheria non consente il passaggio di armi

    Bruxelles – Armi e assistenza militare all’Ucraina, ma non via Ungheria. Budapest si associa agli Stati dell’UE nell’attivazione dello speciale meccanismo di difesa dell’Unione, lo European Peace Facility, ma non concede il proprio territorio per il trasporto di ciò che serve. “Il governo non consente il passaggio di spedizioni di armi letali attraverso l’Ungheria”, l’annuncio che arriva da Zoltan Kovacs, portavoce del governo di Viktor Orban. “Abbiamo accettato di attivare il Fondo europeo per la pace dell’UE, ma non parteciperemo a questo su base nazionale e bilaterale”. Un messaggio oltretutto che intende diffondere la posizione nazionale come espressa dal ministro degli Esteri.

    ⚡️ FM Szijjártó: Government does not allow shipment of lethal weapons to pass through Hungary. We did agree to activating EU’s European Peace Facility, but we won’t take part in this on a national, bilateral basis. #UkraineRussia
    — Zoltan Kovacs (@zoltanspox) February 28, 2022

    Attorno al tavolo dunque umori e posizioni non sono proprio del tutto convergenti. Il portavoce di Orban si sbriga a sgombrare il campo da equivoci, chiarendo che il Paese “sostiene pienamente le posizioni congiunte” dei partner europei, solo che opera dei ‘distinguo’. Sostegno e disponibilità anche a partecipare finanziariamente, ma per ora nessun utilizzo del suolo ungherese per i rifornimenti a sostegno dell’Ucraina contro la Russia.
    La presa di posizione si spiega con ogni probabilità con le elezioni politiche del 3 aprile, una delle più delicate e incerte per Orban. Tanto che Kovacs tocca anche la questione dei rifugiati ucraini e critica gli avversari della maggioranza. “Partito d’opposizione e la stampa liberale dicono a Mosca che siamo divisi e persino spaventano i poveri rifugiati. Vergogna! L’Ungheria è al passo con l’UE, la NATO e diamo il benvenuto a tutti i rifugiati dall’Ucraina”.
    Ma sul contributo bellico niente ruolo attivo. Non solo il governo non consente il passaggio di armi, e munizioni, ma neanche si attiverà per sostituirsi ai partner. Il portavoce di Orban bolla come “fake news” la notizia secondo cui aerei militari ungheresi sarebbero pronti a consegnare armamenti all’Ucraina, a conferma della linea adottata, di partecipazione non attiva. Gli aiuti all’Ucraina dovranno quindi arrivare via Polonia, Romania e Slovacchia.

    Il governo conferma di aver votato per l’attivazione dello European Peace Facility, ma chiarisce di partecipare finanziariamente

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    Viktor Orbán incassa l’appoggio di Trump in vista delle elezioni in Ungheria

    Bruxelles – A pochi mesi dalle elezioni parlamentari in Ungheria (previste nel mese di aprile), l’attuale premier, Viktor Orbán, riceve un sostegno da Oltreoceano che parla da sé: “È un leader forte e rispettato da tutti, ha il mio completo sostegno e la mia approvazione per la rielezione come primo ministro”, parola di Donald Trump, ex-presidente degli Stati Uniti e di nuovo al centro delle polemiche a Washington alla vigilia del primo anniversario dell’assalto al Campidoglio.
    Non che il sostegno di Trump possa in qualche modo influenzare le intenzioni di voto degli elettori in Ungheria, ma si tratta comunque di una conferma del lavoro di Orbán nel coltivare le relazioni con l’ala più populista e autoritaria del partito repubblicano. Il primo ministro ungherese ha appoggiato The Donald nella sua corsa alla Casa Bianca nel 2016 e di nuovo nel secondo tentativo nel 2020. Non è un caso se Orbán è stato l’unico leader UE a non ricevere l’invito dal presidente democratico, Joe Biden, al Summit per la democrazia di inizio dicembre, a causa dell’erosione degli standard democratici nel Paese.
    Per il premier ungherese è però arrivato il tempo di incassare il sostegno all’alleato statunitense. Nel mirino c’è la terza riconferma di fila a capo dell’esecutivo nel Paese, ma questa tornata elettorale è considerata la più combattuta e importante dell’ultimo decennio. A sfidare Orbán è scesa in campo tutta l’opposizione unita sotto il nome di Péter Márki-Zay, candidato-premier che ha promesso battaglia al “sistema criminale di Fidesz”. I sei partiti di opposizione (il Partito Socialista Ungherese, i verdi di Dialogo per l’Ungheria e di La politica può essere Diversa, la destra nazionalista di Jobbik, i progressisti di Coalizione Democratica e i liberali di Movimento Momentum) si sono accordati nell’organizzare le primarie per eleggere un unico candidato-premier e candidati comuni nei singoli distretti, presentando alla fine l’economista Márki-Zay come “un’alternativa credibile e pulita”.
    Nel suo endorsement a Orbán, Trump ha affermato che il premier “ha fatto un lavoro meraviglioso nel proteggere l’Ungheria, fermando l’immigrazione illegale e creando posti di lavoro, e dovrebbe poterlo continuare a fare anche dopo le prossime elezioni”. In realtà il governo ungherese è al centro di diverse polemiche, procedure d’infrazione e sentenze delle istituzioni comunitarie, tra cui sulle questioni della violazione delle procedure d’asilo, le leggi anti-LGBTI+ e il mancato rispetto dello Stato di diritto. “Probabilmente è come me, un po’ controverso, ma va bene così”, è stato il commento dell’ex-presidente statunitense Trump.

    Il premier ungherese, in corsa per il quarto mandato consecutivo, è stato definito dall’ex-presidente statunitense “un leader forte, che merita la rielezione”. Si accende la corsa contro lo sfidante Márki-Zay

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    Ungheria e Ucraina “litigano” per il gas russo, mentre l’UE cerca di mediare

    Bruxelles – E’ scontro aperto tra Ungheria e Ucraina sul gas russo, mentre la Commissione Europea cerca di fare da mediatore. La compagnia energetica ungherese MVM ha formalizzato lunedì 27 settembre un contratto di acquisto di quindici anni con la compagnia russa Gazprom per la fornitura di gas naturale, senza passare attraverso l’Ucraina. Le intenzioni del premier Viktor Orban erano già note dalla fine di agosto, e una volta concretizzate hanno spinto Kiev, che teme di perdere milioni di euro in pagamenti in quanto “Paese di transito”, a rivolgersi direttamente alla Commissione Europea, definendo quella dell’Ungheria una “decisione puramente politica ed economicamente irragionevole”.
    Mosca ha sempre trasportato il gas principalmente attraverso il territorio dell’Ucraina, solo da qualche anno – in particolare dopo le frizioni che hanno seguito l’annessione illegale della Crimea nel 2014 – ha iniziato a diversificare le esportazioni per limitare il peso strategico dell’Ucraina anche nell’UE. Il contratto siglato sarà in vigore dal primo ottobre e prevede la fornitura di 4,5 miliardi di metri cubi di gas in Ungheria ogni anno: 3,5 miliardi attraverso la Serbia e un miliardo attraverso l’Austria. Nessuna provocazione politica, ha assicurato ieri in conferenza stampa il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto, dichiarando che per l’Ungheria, la “sicurezza energetica è una questione di sicurezza, di sovranità ed economia più che una questione politica”.

    A Kiev non è bastato e il ministro dell’Energia ucraino, German Galushchenko, ha incontrato ieri la commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson, per discutere anche di questo. “Un incontro costruttivo”, dice a Eunews un portavoce della Commissione. Costruttivo anche se l’UE non ha grande margine di manovra per il momento per intervenire. L’Esecutivo ha iniziato ad esaminare le conseguenze del contratto, ma dal momento che l’accordo non è stato firmato direttamente dalle autorità ungheresi, ma dalla compagnia energetica MVM, una prima valutazione del contratto spetta alle autorità ungheresi. Solo dopo le conclusioni, Bruxelles può chiedere di visionare il contratto in caso di un sospetto di minaccia all’approvvigionamento energetico dell’Unione europea o del territorio. “Il ministro Galushchenko ha sollevato la questione, presentandoci la posizione dell’Ucraina”, prosegue il portavoce, ma Bruxelles ha un ruolo solo in caso di mancata sicurezza dell’approvvigionamento.
    La commissaria Simson ha anche ribadito “la nota posizione della Commissione” secondo cui “consideriamo l’Ucraina un Paese di transito affidabile” per il trasporto di forniture energetiche. Secondo il portavoce, il bilaterale si è concentrato anche sulle riforme in corso in Ucraina sia nel mercato dell’elettricità che in quello del gas: si porta avanti il dialogo per la sincronizzazione con la rete elettrica europea, con l’adozione di una “tabella di marcia sulle fasi e i parametri di riferimento per essere soddisfatte fino al completamento”. Il commissario e il ministro si sono confrontati, infine, sui modi per promuovere la transizione verso l’energia pulita dell’Ucraina e sullo stato di avanzamento dei programmi per migliorare la sicurezza delle centrali nucleari. 

    Budapest firma un contratto di quindici anni con la russa Gazprom per la fornitura di gas senza passare per l’Ucraina. Kiev si rivolge a Bruxelles, che per ora alza le mani

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    Ungheria, l’ultima provocazione di Orbán: trattative aperte con la Russia per la produzione di Sputnik V

    Bruxelles – Non è la prima provocazione dell’Ungheria verso l’UE e non sarà l’ultima. Dopo aver somministrato il vaccino russo Sputnik V anche senza autorizzazione dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA), Budapest compie un ulteriore passo e apre le trattative con Mosca per ottenere la licenza per la produzione del vaccino russo direttamente sul territorio ungherese. Produzione che potrebbe iniziare dalla fine del 2022, dal momento che Russia e Ungheria sono “in trattative avanzate”, ha confermato ieri (24 agosto) il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto che ha ricevuto a Budapest l’omologo russo, Sergej Lavrov. A gennaio l’Ungheria è stata il primo Paese dell’Unione europea ad autorizzare l’uso del vaccino russo, poi seguita anche dalla Slovacchia.

    🇷🇺🇭🇺 In #Budapest, Russian Foreign Minister Sergey #Lavrov held talks with Hungarian Minister of Foreign Affairs and Trade Peter Szijjarto.#RussiaHungary pic.twitter.com/o35xNyEIAo
    — MFA Russia 🇷🇺 (@mfa_russia) August 24, 2021

    Budapest si è premurata di sottolineare che senza il vaccino russo “l’Ungheria non avrebbe avuto la campagna vaccinale di maggior successo in Unione europea”, ringraziando Mosca e il governo russo per l’assistenza. In realtà, come mostrano i dati del Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (ECDC) in Ungheria il 64 per cento della popolazione è completamente vaccinata, al di sotto di molti Paesi europei, mentre la media dell’intera Unione Europea è ferma al 65 per cento. L’Ungheria non solo non è tra i migliori in quanto a progressi nella campagna di vaccinazione, ma soprattutto ha anche usufruito del portafoglio di vaccini pre-acquistato dalla Commissione UE per i suoi Stati membri. Ad ogni modo, l’intenzione è quella di costruire “una fabbrica di vaccini nella città di Debrecen e produrremo lo Sputnik V”, ha spiegato Szijjarto.
    L’incontro tra omologhi è anche l’occasione per discutere di forniture di gas russo per l’Ungheria, mentre Mosca è alle prese con la fine della costruzione del gasdotto Nord Stream 2 che trasporterà gas russo in Germania e in Europa. Secondo Reuters, il ministro ungherese ha espresso l’intenzione di firmare un nuovo accordo di fornitura di gas naturale di 15 anni con la compagnia russa Gazprom quest’anno, con il prezzo e la flessibilità da stabilire già nelle prossime settimane. “Spero di poter firmare il nuovo contratto di fornitura di 15 anni quest’autunno con buone condizioni”, ha detto Szijjarto. L’omologo russo Levrov ha fatto eco, ribadendo che la cooperazione tra Russia e Ungheria è a livelli mai raggiunti, mentre quella di Mosca e Bruxelles è forse ai minimi storici.

    La licenza per la produzione del vaccino russo nella città ungherese di Debrecen al centro dei colloqui tra il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto e l’omologo russo, Sergej Lavrov. Mosca e Budapest in trattative “avanzate”, la produzione potrebbe iniziare a fine 2022. Discusse anche le forniture di gas russo