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    Oltre il gas, Bruxelles guarda all’Algeria per l’idrogeno verde e le emissioni di metano

    Bruxelles – Non solo gas, ma per Bruxelles la partnership con l’Algeria passa anche per il metano e per l’idrogeno rinnovabile. Si è chiuso nel pomeriggio di oggi (5 ottobre) a Bruxelles il quinto Dialogo energetico tra Unione europea e Algeria, l’occasione per la Commissione europea di guardare oltre la cooperazione con il Paese africano.Rispetto allo scorso anno nel pieno della crisi energetica con la Russia, la riunione ad alto livello ha preso le mosse questa volta in un contesto molto diverso, dando l’occasione ai due partner per riflettere su come approfondire la partnership anche oltre il gas. Dopo la decisione di ridurre gradualmente le importazioni di gas dalla Russia con l’inizio della guerra in Ucraina, l’Algeria è diventata il secondo fornitore di gas all’Ue (prima della guerra era il terzo, dopo la Norvegia). “L’Algeria è stata e continua ad essere un importante e affidabile fornitore di energia per l’Ue. L’anno scorso è stato un partner fondamentale per la sicurezza delle nostre forniture di gas ed è il secondo più grande fornitore di gas per l’Unione europea”, ha ricordato Simson, precisando che oggi durante la riunione di alto livello si è “discusso dell’evoluzione della situazione del mercato del gas e dello scenario a breve e medio termine della domanda di gas in Europa”.In conferenza stampa al fianco del ministro algerino dell’Energia e delle Miniere, Mohamed Arkab, la commissaria estone ha poi puntualizzato che il focus delle discussioni non è stato solo il gas. Prende forma l’idea di dare vita a una partnership sull’idrogeno rinnovabile. “Abbiamo concordato oggi di lavorare a una partnership tra Ue e Algeria dedicata all’idrogeno per sviluppare produzione, consumo e commercio di idrogeno rinnovabile che sarà centrale per decarbonizzare i nostri sistemi energetici”, ha confermato Simson. E per raggiungere gli obiettivi il prossimo anno sarà decisivo per attuare queste ambizioni. “Per prima cosa, riuniremo insieme i portatori di interesse algerini e europei per mettere a punto una valutazione per questa partnership. Parallelamente, studieremo la fattibilità di un primo progetto su larga scala per la produzione di idrogeno rinnovabile e la possibile esportazione in Europa”, ha anticipato ancora Simson.Nella dichiarazione congiunta pubblicata al termine della riunione si legge che Simson e l’omologo algerino Arkab “hanno convenuto che esiste un eccellente potenziale per un partenariato fruttuoso e reciprocamente vantaggioso sull’idrogeno rinnovabile e si sono impegnati a intensificare la cooperazione in questo campo”. L’altra area di cooperazione a cui lavora la Commissione europea è quella della riduzione delle emissioni di metano in particolare nell’industria del petrolio e del gas e hanno concordato di lavorare insieme per promuovere il recupero e la commercializzazione del metano che altrimenti verrebbe disperso nell’atmosfera. “Ciò comporterà vantaggi reciproci in termini di mitigazione del cambiamento climatico, migliore redditività dell’industria del gas algerina e maggiore potenziale di fornitura aggiuntiva all’Unione europea”, si legge nella nota in comune.
    Si è chiuso a Bruxelles il quinto Dialogo energetico tra Unione europea e Algeria, l’occasione per la Commissione europea di guardare oltre la cooperazione sul gas con il Paese africano. Prossimo anno sarà decisivo per la partnership sull’idrogeno pulito

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    In Nagorno-Karabakh “pulizia etnica”, Parlamento Ue per la linea dura contro Azerbaijan

    Bruxelles – Con l’Azerbaijan, ma non con questo Azerbaijan. Il Parlamento europeo censura l’operato di Baku nella regione contesa del Nagorno-Karabakh, lo accusa di “pulizia etnica” e invia un forte segnale politico di rottura. Nella risoluzione che l’Aula approva a larghissima maggioranza (491 voti favorevoli, 9 contrari e 36 astensioni) si chiede a Commissione e Stati membri di rivedere completamente le relazioni bilaterali con il Paese del Caucaso. Stop alla concessione agevolata dei visti, sanzioni ai funzionati azeri, stop agli acquisti di gas. Una risposta ‘stile Russia’, dura, come quella adottata dall’Ue per rispondere alle manovre militare del Cremlino in Ucraina.Il voto di Strasburgo si inserisce sia nel conflitto russo-ucraino, sia ancora di più con la riunione della Comunità politica europea in corso a Granada, in Spagna, a cui né la Turchia né l’Azerbaijan hanno deciso di partecipare. La questione del conflitto del Nagorno-Karabakh doveva essere uno dei temi oggetto di confronto politico e diplomatico, ma l’Azerbaijan e il suo alleato storico turco hanno deciso di lasciare l’Armenia da sola a un tavolo privo di partecipanti.La censura per l’Azerbaijan e il suo presidente Ilham Aliyev è però di quelle difficili da digerire, visto che la risoluzione dell’Aula del Parlamento europeo, di fronte a “oltre 100 mila armeni che sono stati costretti a fuggire dall’enclave in seguito all’ultima offensiva”, decreta che “l’attuale situazione equivale a una pulizia etnica“.Per questa ragione il Parlamento invita l’Ue ad adottare “sanzioni mirate” contro i funzionari governativi di Baku, poiché “responsabili di molteplici violazioni del cessate il fuoco oltre a violazioni dei diritti umani nel Nagorno-Karabakh“. Ma soprattutto si invita ad una “una revisione globale delle relazioni” con il Paese del Caucaso. Perché, denunciano gli europarlamentari, sviluppare un partenariato strategico con l’Azerbaigian, “che viola gravemente” il diritto internazionale, gli impegni internazionali e “che ha una situazione allarmante in materia di diritti umani, è incompatibile con gli obiettivi della politica estera dell’Ue“. Per cui l’invito è quello di “sospendere qualsiasi negoziato sul rinnovo del partenariato con Baku e, se la situazione non dovesse migliorare, prendere in considerazione la possibilità di sospendere l’applicazione dell’accordo di facilitazione per l’ottenimento dei visti europei con l’Azerbaigian”.L’Eurocamera prende una posizione molto netta e dura. Non si mette in discussione la territorialità dell’area contesa, visto che nessuno Stato membro dell’Ue l’ha mai riconosciuto come extraclave armena. Si condannano l’attacco e l’uso sproporzionato della forza, anche dopo le operazioni militari vere e proprie. Per questo il Parlamento invita l’Ue anche a “ridurre la sua dipendenza dalle importazioni di gas azero” e considerare l’ipotesi di sganciarsi completamente dal fornitore azero. “In caso di aggressione militare o di attacchi ibridi significativi contro l’Armenia”, i deputati si dichiarano “a favore di una sospensione completa delle importazioni da parte dell’Ue di petrolio e gas azeri“.C’è una parte di Unione europea che dunque mostra i muscoli, ma non è chiaro quanto la risoluzione, non legislativa e dunque non vincolante, troverà seguito. Perché da una parte sconfessa l’operato della Commissione per sottrarre il club dei Ventisette dalla morsa di Gazprom e raddoppiare l’import di gas azero al 2027. In secondo luogo rischia di esporre l’Ue a nuovi shock energetici. Senza più gas russo e, eventualmente, in prospettiva, senza gas azero, risulta difficile capire come potrebbe l’Unione europea a soddisfare il proprio fabbisogno.E’ qui che lo strappo tra Ue e Azerbaijan si collega alla guerra in Ucraina. Baku era vista come elemento centrale o quantomeno portante di una strategia volta a indebolire la Russia. Lo scontro diplomatico non gioca a favore degli europei. Anche perché Ilham Aliyev fin qui non ha mai smesso di sostenere Vladimir Putin. L’Azerbaijan vende il suo gas agli europei e poi, con i soldi degli europei, acquista gas russo per rispondere ai fabbisogni interni e sopperire all’aumento delle vendite.fonte foto: https://agsc.az/Il voto di oggi serve come incentivo a chiudere ogni residuo legame con la Russia. Perché a dire il vero, il gas azero arricchisce comunque la Russia. Shah Deniz, il più grande giacimento di gas naturale dell’Azerbaijan, è gestito da Azerbaijan Gas Supply Company Limited (AGSC), consorzio di cui fa parte Lukoil.Il voto del Parlamento apre però un altro fronte, quello dei mai semplici rapporti con Ankara. Si vorrebbe operare sulla Turchia un convincimento a non incoraggiare ulteriormente l’Azerbaijan. Ma come sempre in questi casi i turchi potrebbero chiedere una contropartita. Il Parlamento dell’Ue, con un voto sia pur comprensibile, si espone a rischio geo-politici non indifferenti.
    L’Aula approva una risoluzione che va allo scontro con Baku. Si chiedono stop a visti agevolati e acquisti di gas, e sanzioni ai funzionati azeri. Una prova di forza che apre un nuova sfida geopolitica

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    Ucraina, i dubbi della Corte dei conti Ue sull’assistenza da 50 miliardi per la ricostruzione

    Bruxelles – C’era e c’è la necessità di sostenere l‘Ucraina, perché il Paese “ha continuato a subire enormi danni a causa della guerra di aggressione della Russia”, ma in questa corsa alla solidarietà e al sostegno probabilmente si è agito troppo in fretta col rischio di aver promesso qualcosa che difficilmente si potrà mantenere. Questo il giudizio della Corte dei conti europea nella valutazione dell’istituzione del Fondo per l’Ucraina da 50 miliardi di euro. I conti, in sostanza, non tornano.I revisori Ue di Lussemburgo ricordano che la valutazione rapida dei danni e dei bisogni dell’Ucraina condotta dalla Banca mondiale stima che il fabbisogno totale di ricostruzione sarà equivalente a 384 miliardi di euro nei prossimi 10 anni (2023-2033), di cui 142 miliardi di euro per il periodo 2023-2027. Inoltre, il 30 marzo 2023 il Fondo monetario internazionale “ha stimato che il deficit di finanziamento dello Stato fino al 2027 avrebbe raggiunto i 75,1 miliardi di euro e ha concordato con l’Ucraina un programma quadriennale di 14,4 miliardi di euro per sostenere la stabilità e la ripresa economica”. Ciò si traduce in un gap finanziario residuo di circa 60,7 miliardi di euro. E’ qui che si pongono i problemi. Non è chiaro se e come questo ‘buco’ di bilancio potrò essere colmato. Secondo la Commissione, il “fabbisogno di ripresa rapida” dell’Ucraina, pari a circa 50 miliardi di euro, porta il deficit di finanziamento totale a 110 miliardi di euro entro il 2027. Per la Corte dei conti dell’Ue, “a causa della situazione in rapida evoluzione in Ucraina, queste stime rappresentano una valutazione delle esigenze in un momento specifico , e sono soggetti a rivalutazione“.Con i 50 miliardi di euro previsti per lo strumento per l’Ucraina, l’Ue da sola coprirebbe il 45 per cento di questo deficit di finanziamento da 110 miliardi di euro entro il 2027. Ma mancano studi e documentazioni che l’esecutivo comunitario non ha prodotto. Ha assunto impegni e basta. Come spiega il rapporto della Corte dei conti dell’Ue, “in assenza di una valutazione d’impatto e di un documento analitico che presenti le prove alla base della proposta e le stime dei costi, non è stato possibile valutare se il contributo previsto di 50 miliardi di euro da parte dello strumento per l’Ucraina sia adeguato rispetto al Un deficit di finanziamento di 110 miliardi di euro, ovvero rispetto al fabbisogno complessivo di ricostruzione di 142 miliardi di euro per il periodo 2023-2027″. Ma non finisce qui. Perché fin qui il grosso degli aiuti sono militari. Nella proposta per un Fondo per l’Ucraina “non risulta inoltre chiaro se e in che modo altri strumenti dell’UE (aiuti umanitari, assistenza agli sfollati ucraini e assistenza militare) e/o altri donatori consentirebbero di coprire le restanti esigenze”. Inoltre, in questo suo esercizio, la Commissione ha affermato che il contributo dello strumento per l’Ucraina tiene conto della capacità di assorbimento del paese. Tuttavia, “la Commissione non ha fornito un calcolo della capacità di assorbimento del paese, né un’analisi di come tale capacità è stata valutata“.Nei confronti dell’Ucraina, dunque, si stanno riconoscendo troppe concessioni. La situazione in atto sembra aver lasciato campo aperto a canali troppo preferenziali. Da qui l’invito a considerare l’ipotesi di “limitare i finanziamenti eccezionali per un periodo determinato (ove concesso), al fine di rivalutare se la situazione in Ucraina lo giustifichi ancora”. C’è il sospetto che l’Ue si stia esponendo troppo. Tanto è vero che nel sostegno all’Ucraina, per ciò che riguarda i prestiti che Kiev dovrà rimborsare, si chiede anche di “integrare la garanzia del ‘margine di manovra’ con garanzie aggiuntive, quali accantonamenti, per coprire un default improvviso e inaspettato da parte dell’Ucraina”. In questo si esorta la Commissione a “rendere pubblica un’analisi del ‘margine di manovra’ nella prossima relazione annuale sulle passività potenziali
    L’Europa da sola potrebbe soddisfare solo il 45 per cento dei bisogni di Kiev, e la Commissione non ha prodotto valutazioni e documentazioni utili. L’invito alle correzioni del caso

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    L’Ue sfida Putin: Vertice con i Paesi dell’Asia centrale il prossimo anno

    Bruxelles – Dopo Caucaso e Ucraina, l’Asia centrale. La certosina opera di espansione dell’Europa verso est, per rosicchiare quelle zone di mondo storicamente e tradizionalmente più vicine ad altre logiche e visioni, più moscovite e russofone, continua. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, sta pensando di portare a Bruxelles i leader di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan. “Stiamo cercando di organizzare un vertice dell’Unione europea con l’Asia centrale l’anno prossimo“, riconosce un alto funzionario Ue. Si tratta del “primo vertice di sempre” in questo formato.
    Una sfida alla Russia e al suo ‘zar’ dei tempi contemporanei, Vladimir Putin. Kazakistan e Kirghizistan, Tagikistan sono stati membri dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), l’alleanza militare istituita nel 1992 come riorganizzazione post-sovietica di cui la Russia è capofila. Kazakistan e Kirghizistan fanno anche parte dell’Unione economico euro-asiatica (EAEU), unione doganale e commerciale sempre con capofila la Russia e che vede l’Uzbekistan nella veste di osservatore esterno. Portare attorno al tavolo i leader di questi Paesi vuol dire cercare di scardinare il modello putiniano nella regione o, comunque, avviare una nuova fase nei rapporti con Stati improvvisamente meno lontani.
    Politicamente la guerra lanciata da Mosca contro l’Ucraina ha indebolito l’immagine di Putin. Il contestuale cambio di potere in Kazakistan, con l’attuale presidente Kassym-Jomart Kemeluly Tokayev meno assertivo nei confronti del Cremlino, offre all’Ue l’opportunità di provare ad accrescere la propria presenza nella regione. Vero è, ammette lo stesso alto funzionario europeo, che l’idea di un summit Ue-Asia centrale è stata presa “basandosi sul successo” degli incontri con lo stesso Tokayev, l’ultimo dei quali a Berlino la settimana scorsa, e “sulla partecipazione del presidente Michel agli incontri con tutti i leader dell’Asia centrale”. Perché Michel è molto attivo su questo fronte, e non è un caso.
    Si intravede una strategia, che va nella direzione di eliminare ciò che ancora rimane di un vecchio ordine mondiale basato su due blocchi. Il ragionamento che si fa sull’Armenia lo dimostra. Anche l’Armenia è membro CSTO e EAEU. Ma l’offensiva dell’Azerbaijan in Nagorno-Karabakh offre un’opportunità. L’Ue può poco per soddisfare le rivendicazioni armene su un territorio mai riconosciuto come armeno, ma può offrire prospettive europee.
    In occasione della riunione della Comunità politica europea in programma a Granada il 5 ottobre “dobbiamo essere in ‘modalità ascolto’ per capire cosa meglio fare per sostenere Armenia”, spiegano fonti Ue. Il governo di Yerevan, lasciato solo per l’occasione dal partner russo, “potrebbe anche dover decidere cosa fare a lungo termine con la sua adesione alla CSTO e cosa fare a lungo termine con la sua adesione all’unione doganale eurasiatica”. Si guarda alle scelte dell’Armenia, pronti a offrire una nuova sponda consapevoli di un’intesa russo-azera disegnata per circumnavigare le sanzioni Ue contro la Russia.
    Il blocco a dodici stelle ha tagliato gli acquisti di gas russo e aumentato la domanda di quello dell’Azerebaijan, che per soddisfare il proprio fabbisogno interno si rifornisce da Gazprom al fine di compensare l’aumento di vendite all’Europa. In sostanza, alla fine è Baku a finanziare il regime russo con i soldi presi dall’Europa per il gas venduto proprio all’Europa. Uno dei motivi che ha spinto Mosca a non intervenire nella contesa tutta caucasica.
    L’Ue è consapevole che le sanzioni non stanno dando un’efficacia al 100 per cento. Un meccanismo anti-elusione è stato inserito nell’11esimo pacchetto proprio per questo. Michel vorrebbe che i Paesi dell’Asia centrale si allineassero alla politica Ue in materia di restrizioni contro il Cremlino. Ha già iniziato a porre la questione certamente continuerà. Magari nel vertice che verrà. Per ora ci si lavora, per gradi. Con l’obiettivo di ridefinire i rapporti di forza in Asia centrale.
    Questa idea di un summit Ue-Asia centrale si va ad aggiungere all’espansione che il blocco occidentale tutto, incluso quello europeo, ha già visto con l’adesione di Svezia e Finlandia nella Nato. C’è dunque un pressione euro-atlantica che cresce verso est. L’iniziativa di un ‘allargamento’ Ue verso i Paesi dell’Asia centrale tradizionalmente partner della Russia non fa che accrescere quel senso di accerchiamento denunciato da Putin già dal 2007 , in occasione della conferenza internazionale sulla sicurezza di Monaco.

    L’idea a cui lavora il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Si cerca di scardinare l’alleanza economica e militare regionale della Russia

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    In nome dell’energia l’Ue “potrebbe minare gli obiettivi di promuovere la democrazia e i diritti umani”

    Bruxelles – Energia e risorse energetiche o valori e democrazia? Più di una semplice domanda. Per l’Unione europea è un bivio. Le une non sempre possono andare con le altre. Perché se il presidente russo Vladimir Putin, ormai vecchio rivenditore di gas e petrolio, e scaricato in quanto aggressore e criminale di guerra, i nuovi acquirenti a cui l’Ue si rivolge per sopperire a risorse che non ha e che deve trovare altrove non sembrano essere così migliori. Il rischio, neanche troppo velato, è che volutamente o meno l’Ue sacrifichi la sua battaglia per i valori in nome dell’economia.
    In uno degli ultimi documenti prodotti dal centro studi e ricerche del Parlamento europeo, si mette in luce proprio questo dilemma. Con il riposizionamento sul mercato globale dell’energia e l’Ue che acquista da altri produttori, “nei Paesi terzi le entrate aggiuntive possono ridurre la volontà degli elettori di chiedere conto ai propri governi, favorendo la corruzione e il clientelismo”. Di conseguenza “il risultato potrebbe essere quello di consolidare il potere di regimi autoritari con situazioni contrastanti in materia di diritti umani e politici, minando gli obiettivi dell’Ue di promuovere la democrazia e difendere i diritti umani”, e tradendo una certa visione di Europa, quella di David Sassoli.
    Si fa la lista di Paesi terzi con cui l’Ue ha già avviato e sottoscritto accordi di cooperazione economica, intesa all’acquisto e alla fornitura di energia. Arabia Saudita, Qatar, Azerbaijan, Algeria. Non proprio Paesi e sistemi presi a modello democratico. Ben venga dunque l’accordo con la Norvegia per i rifornimenti di gas, che può far dormire sonni certamente più tranquilli ad un’Europa in difficoltà sia sul fronte energetico sia per quanto riguarda l’aspetto valoriale.
    Che si tratti di gas naturale o liquefatto (Gnl), chiedere il prodotto e fare pressioni politiche per riforme interne a Stati indipendenti e sovrani risulta poco pratico e poco praticabile. L’Ue dunque, nel guardare alle necessità più urgenti, non potrà fare a meno di dare priorità a queste. Che non sono i valori.
    Nel 2020, ricorda il documento, la Russia è stata il principale fornitore dell’Ue di gas naturale (tasso di dipendenza dalle importazioni dell’83,6 per cento, dipendenza dell’Ue dalla Russia 41,1 per cento), petrolio greggio (dipendenza dalle importazioni 96,2 per cento, dipendenza dalla Russia 25,7 per cento) e carbon fossile (dipendenza dalle importazioni 10,5 per cento, dipendenza dalla Russia 52,7 per cento).
    C’è dunque un mercato energetico che l’Ue non può permettersi di non trascurare. Il prezzo da pagare, oltre il bene richiesto, forse troppe volte è finanziare i regimi che tradiscono i valori europei.

    Uno studio dell’Europarlamento mette in luce un aspetto controverso della nuova politica a dodici stelle: “Nei Paesi terzi le entrate aggiuntive possono consolidare il potere di regimi autoritari”

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    Von der Leyen e Michel da Biden il 20 ottobre. Il Vertice Ue-Usa tra Ucraina ed energia

    Bruxelles – Sostegno all’Ucraina, da un lato. Approvvigionamento energetico e digitale, dall’altro. I leader di Unione europea e Stati Uniti si incontreranno venerdì 20 ottobre a Washington per il secondo Vertice Ue-Usa da quando il presidente statunitense Joe Biden si è insediato alla Casa Bianca a gennaio 2021.
    La conferma è arrivata oggi (28 settembre) in una nota congiunta dei due lati dell’Atlantico in cui si legge che il presidente Biden insieme al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, faranno il punto sulla cooperazione tra Stati Uniti e Unione Europea, soprattutto per confermare il “nostro impegno condiviso a sostenere l’Ucraina nella difesa della sua sovranità e a imporre costi alla Russia per la sua aggressione”.
    La difesa dell’Ucraina e il sostegno alla sua ricostruzione saranno i temi dominanti dell’incontro. Ma le discussioni si concentreranno anche sull’approvvigionamento di materie prime critiche, centrali per la produzione di tecnologie verdi e alla doppia transizione verde e digitale. “Promuoveranno gli sforzi degli Stati Uniti e dell’UE per accelerare l’economia globale dell’energia pulita basata su catene di approvvigionamento sicure e resilienti e continueranno la cooperazione nelle tecnologie critiche ed emergenti, comprese le infrastrutture digitali e l’intelligenza artificiale”, si legge nella dichiarazione comune, in cui i leader confermano che faranno un punto anche sulle attività congiunte per rafforzare la resilienza economica e affrontare le sfide correlate.
    Il riferimento alla Cina non è diretto, ma il rafforzamento della cooperazione transatlantica è in chiave anti-Pechino. Washington e Bruxelles lavorano ormai da mesi per finalizzare un accordo sui minerali critici, che entrambe le parti puntano a chiudere entro la fine dell’anno. L’obiettivo è quello di raggiungere uno status equivalente a un accordo di libero scambio per l’Ue per i minerali critici, essenziali per la produzione di tecnologie chiave per la doppia transizione, come il litio per le batterie – e distendere le tensioni create dall’Inflation Reduction Act (IRA), il vasto piano di sussidi verdi da quasi 370 miliardi di dollari varato dall’amministrazione Usa, che Bruxelles teme possa svantaggiare le imprese europee. Le discussioni “esplorative” con gli Stati Uniti tenute finora hanno mostrato un allineamento sui principi principali, mentre i dettagli verranno approfonditi durante i negoziati ancora in corso. E il Vertice di fine ottobre potrebbe essere la giusta occasione per velocizzare i negoziati.
    Il Vertice prenderà le mosse in un contesto completamente diverso rispetto a quello che a giugno 2021 ha accolto Biden a Bruxelles. I leader europei e statunitensi si trovavano a dover affrontare e gestire insieme la crisi economica derivata dall’urgenza sanitaria del Covid-19 e una guerra alle porte dell’Europa era impensabile.

    I tre leader a Washington faranno il punto sulla cooperazione tra Stati Uniti e Unione Europea, soprattutto per confermare l’impegno “condiviso a sostenere l’Ucraina nella difesa della sua sovranità e a imporre costi alla Russia per la sua aggressione”

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    La missione di Dombrovskis in Cina tra competitività, accesso al mercato per le aziende Ue e guerra in Ucraina

    Bruxelles – Si è conclusa la missione del vicepresidente esecutivo della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, per conto dell’Ue e delle sue aziende in terra cinese. Quattro giorni terminati con il Dialogo economico di Alto Livello Ue-Cina, copresieduto dall’ex premier lettone, che a Bruxelles ha la delega al commercio, e dal vicepremier cinese, He Lifeng, in cui i due hanno cercato di riprendere in mano le fila di un rapporto che, complice l’ambigua posizione di Pechino sull’invasione della Russia in Ucraina, negli ultimi mesi si è fatto sempre più complicato.
    Un rapporto che – ha sottolineato Dombrovskis- non può prescindere dai numeri: un commercio totale di beni che “ha raggiunto gli 857 miliardi di euro nel 2022“, accompagnato dall’accumulo di “più di 300 miliardi di euro di stock di investimenti diretti esteri”. Ma c’è un dato che preoccupa l’Ue e che è alla base della strategia del ‘de-risking’ – o dimezzamento del rischio – che Bruxelles ha scelto di perseguire nei confronti del gigante asiatico: un deficit commerciale di quasi 400 miliardi euro a svantaggio del blocco.
    “Siamo preoccupati per lo squilibrio delle nostre relazioni”, ha dichiarato il commissario Ue nella conferenza stampa congiunta con He Lifeng. Che ha però assicurato a He Lifeng che l’obiettivo è “diversificare e dimezzare i rischi, non disaccoppiarsi” dall’economia cinese. Nella lista delle inquietudini dell’Ue, al secondo posto c’è l’effettivo “accesso al mercato” cinese da parte delle aziende europee. Perché il contesto imprenditoriale della superpotenza asiatica è diventato “più politico e meno prevedibile”. Per questo Dombrovskis ha auspicato “maggiore trasparenza, prevedibilità e reciprocità”: un primo riscontro, ha annunciato il commissario Ue, è il benestare di entrambe le parti per “proseguire le discussioni su un possibile meccanismo di trasparenza Ue-Cina sulle catene di approvvigionamento delle materie prime critiche“. Anche nel suo discorso all’Università di Tsinghua, il vice presidente dell’esecutivo europeo ha insistito sul fatto chela trasparenza e l’apertura sono “una strategia vincente a lungo termine“, in un momento in cui le tensioni commerciali tra il blocco europeo e la Cina stanno aumentando.
    Il tasto dolente è la mancata condanna da parte di Pechino dell’invasione russa in Ucraina. “È molto difficile per noi comprendere la posizione della Cina“, ha ammesso Dombrovskis. Una posizione che “sta influenzando l’immagine del Paese, non solo presso i consumatori europei, ma anche tra le imprese”. Il vicepresidente dell’esecutivo comunitario ha riportato a He Lifeng l’opinione degli imprenditori europei sul suolo cinese: “un terzo delle aziende Ue ha indicato che la posizione della Cina sulla guerra la sta rendendo una destinazione meno attraente per gli investimenti”. Non è tuttavia solo una questione di opportunità economiche: “Rispondere all’aggressione della Russia contro l’Ucraina è un fattore decisivo in praticamente tutte le priorità dell’Ue al momento“, ha insistito Dombrovskis.
    Il vicepremier cinese non è entrato nel merito dell’ambiguità della leadership comunista nei confronti della guerra in Ucraina, rilanciando piuttosto sull’atteggiamento di chiusura che riscontra da parte europea. “Auspichiamo che l’Unione europea rimuova le restrizioni all’esportazione di alta tecnologia in Cina”, ha dichiarato con fermezza. C’è poi la questione dell’indagine anti-sovvenzioni avviata dalla Commissione europea sulle importazioni di veicoli elettrici a batteria provenienti dalla Cina, per la quale He Lifeng ha reiterato “le preoccupazioni e il forte disappunto” di Pechino. Uguale e contrario l’invito rivolto a Bruxelles: mantenere il mercato “libero e aperto”.

    Il commissario Ue per il Commercio ha chiesto “maggiore trasparenza, prevedibilità e reciprocità” nelle relazioni commerciali e ha ribadito al vicepremier cinese che la condanna dell’invasione russa “è un fattore decisivo”. Pechino irritata per l’indagine Ue sui veicoli elettrici cinesi

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    Fondi Ue dedicati allo sviluppo utilizzati per il controllo delle frontiere in Africa. L’accusa di Oxfam all’Unione europea

    Bruxelles – Questa volta l’accusa alla politica Ue sul controllo dei movimenti migratori arriva dalla più grande confederazione internazionale di organizzazioni che si dedicano alla riduzione della povertà globale. In un rapporto pubblicato oggi (21 settembre), Oxfam afferma che “oltre un intervento su tre finanziato dall’Unione europea per il controllo dei flussi migratori in Libia, Tunisia e Niger rischia di violare le norme internazionali e comunitarie sulla destinazione degli aiuti pubblici allo sviluppo”. Perché in sostanza, Bruxelles starebbe riorientando fondi destinati alla lotta alla povertà nei Paesi partner verso azioni che “mettono a rischio il rispetto dei diritti umani dei migranti”.
    Nel mirino la gestione del budget dello strumento europeo di cooperazione e aiuto umanitario, Ndici-Global Europe: 79,5 miliardi di euro per il periodo 2021-2027, che fanno di Ndici il “principale strumento per contribuire all’eradicazione della povertà e promuovere lo sviluppo sostenibile, la prosperità, la pace e la stabilità”. Di questi, secondo l’indagine condotta da Oxfam “ben 667 milioni di euro” sono stati destinati a programmi che nulla hanno a che vedere con la cooperazione e lo sviluppo, in Stati in cui “violazioni e abusi di ogni sorta sono da anni all’ordine del giorno”.
    La fotografia scattata dal rapporto è allarmante, e certifica come la Commissione europea stia utilizzando in modo improprio le risorse destinate agli aiuti umanitari per esternalizzare il controllo delle frontiere comunitarie ai Paesi d’origine e di transito dei flussi di persone migranti. In particolare in Libia, Tunisia e Niger. Dei 16 interventi Ue analizzati nel rapporto nei tre Paesi, “gran parte dei fondi sono destinati a potenziare il controllo delle frontiere da parte delle autorità locali”. In Niger “un solo intervento ha come obiettivo il sostegno ad una migrazione sicura e regolare verso l’Europa”, in Libia “nessuna delle attività sostenute dall’Ue ha questo scopo”. L’azione dell’Ue in Tunisia, nell’occhio del ciclone dopo la firma estiva del Memorandum d’intesa con il presidente Kais Saied, dovrebbe essere in parte finanziata proprio attraverso il programma Ndici-Global Europe. Ma l’Unione europea avrebbe già “mobilitato 93,5 milioni per il blocco dei flussi migratori attraverso l’Eu Trust Fund, tra cui 25 milioni direttamente alla Guardia Nazionale Marittima tunisina”.
    Un’altra accusa mossa all’Ue è la “gravissima mancanza di trasparenza nella destinazione dei fondi”. Secondo il rapporto, spesso nella descrizione degli interventi finanziati ci si riferisce “genericamente alla gestione della migrazione”, senza chiarire nulla di più.
    Una strategia che – denuncia Oxfam- è contraria alle regole internazionale ed europee. È l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico (Ocse) a dettare le linee guida e a stabilire che gli aiuti allo sviluppo siano destinati “alla promozione della crescita economica e del benessere dei Paesi in via di sviluppo” e che “le attività che trascurano i diritti di sfollati e migranti non si qualificano come tali”. Ma anche la Commissione europea, respingendo le gravi accuse mosse da Oxfam, ha chiamato in causa l’Ocse: “Le linee guida sono date dall’Ocse e sono sempre seguite dall’Ue“, ha dichiarato la portavoce dell’esecutivo comunitario, Ana Pisonero. “La maggior parte delle nostre azioni aiutano ad affrontare le cause profonde delle migrazioni, promuovendo e rafforzando lo sviluppo sostenibile nei Paesi partner, questa è l’essenza del lavoro che facciamo”, ha rivendicato con orgoglio Pisonero. Per la Commissione europea “parlano i fatti e i dati”, che raccontano che “l’Ue è il più grande fornitore di aiuti allo sviluppo e di fondi per il clima, attore globale nella lotta alla povertà”.

    Secondo un nuovo rapporto 667 milioni di euro dal budget Ndici-Global Europe sono stati orientati ad attività che “mettono a rischio il rispetto dei diritti umani dei migranti”. Dito puntato contro i programmi Ue in Tunisia, Libia e Niger. La Commissione Ue respinge le accuse: “Siamo il maggiore fornitore al mondo di aiuti allo sviluppo, i dati e i fatti parlano da soli”